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Aspettando i Re Magi

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Aspettando "alcuni maghi dall'Oriente…" (Mt 2,2)

 

 

   

“ Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: "Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella , e siamo venuti per adorarlo".

 Navigando su Facebook capita di trovare casualmente la pagina di alcuni sacerdoti “illuminati” che seguo da tempo e che, attraverso il web, con grande disponibilità, condividono la loro interpretazione teologica del Vangelo. E’ quanto mi è capitato di scoprire con Padre Alberto Maggi, del Centro CENTRO STUDI BIBLICI "G. VANNUCCI" di Montefano, che ho seguito in diretta giovedì scorso nel commento al Vangelo dell’Epifania:

I primi due capitoli dei vangeli di Matteo e di Luca sono chiamati i “vangeli dell’infanzia”, denominazione che molti intendono come vangeli per l’infanzia. Infatti, trattando della nascita e dei primi anni di vita di Gesù, sembrano una raccolta di fatti fantastici, scritti per meravigliare i piccoli: Gesù bambino, i magi, i pastori, gli angeli, la stella, Erode nel ruolo dell’orco cattivo… personaggi adatti più per un presepio che per la fede.

In realtà questi vangeli non sono il ricordo dei primi passi di Gesù, ma un compendio teologico col quale gli evangelisti anticipano al lettore l’intera esistenza di Gesù, con particolare riferimento alla sua morte e risurrezione.

È questa l’ottica con la quale va letto il secondo capitolo del vangelo di Matteo, che si apre con la nascita di Gesù e l’improvvisa comparsa di “alcuni maghi dall’Oriente” (Mt 2,1).

Che c’entrano i maghi con il Figlio di Dio? Non è stato facile, per i primi cristiani, accettare la presenza imbarazzante dei maghi alla nascita del loro Signore.

Era inammissibile che i primi a rendere omaggio a Gesù fossero proprio coloro che esercitavano un’attività proibita dalla Legge divina (Lv 19,26) e che erano stati i rivali di Mosè (Es 7,22).

Non potendo censurare l’episodio di Matteo, si è provveduto a neutralizzare il termine maghi, che nella lingua greca aveva il significato di imbroglioni, ciarlatani, di coloro che “predicono menzogne” (Ger 27,10). Così gli inquietanti maghi divennero gli innocui magi, unica volta che nella letteratura il termine greco màgoi veniva reso così.

Ma non bastava, occorreva dare ai maghi una dignità che allontanasse qualunque sospetto. Così, richiamandosi al testo di Isaia “Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere” (Is 60,3), i maghi vennero elevati di rango e fatti re, equiparandoli ai potenti della terra. Infine, in base ai doni portati, i maghi divennero tre e vennero posti loro anche i nomi, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, uno bianco, uno nero e l’altro meticcio… e i personaggi per il presepio erano pronti.

Questa irruenza della tradizione sul testo ha fatto sì che l’importanza dei maghi nella nascita di Gesù fosse sminuita. Il significato della presenza dei questi pagani va ricercato nei doni che offrono a Gesù: “Oro, incenso e mirra” (Mt 2,11).

Portando a Gesù l’oro, offerta per il sovrano (1 Re 9,11.28) e simbolo di regalità, i maghi riconoscono il Signore come loro re. E’ la fine del sogno di restaurazione del regno d’Israele. Gesù è venuto a realizzare il regno di Dio (Mt 4,17; 12,28; At 1,6), regno che non è limitato ai Giudei, a un popolo, a una religione, ma è esteso a tutti quegli uomini che accettano di essere amati da Dio. L’evangelista anticipa così, nell’episodio dei maghi venuti dall’oriente, le parole di Gesù: “Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli” (Mt 8,11).

L’incenso era l’elemento specifico del servizio sacerdotale, adoperato in modo particolare nelle offerte di ringraziamento (Lv 2,1-2; 1 Sam 2,28). Ebbene, i maghi, che in quanto stranieri sono “pagani peccatori” (Gal 2,15), offrendo l’incenso, svolgono verso Gesù il compito dei sacerdoti, gli unici che potevano rivolgersi direttamente alla divinità nel culto. Il privilegio di essere un popolo sacerdotale non è più esclusivo di Israele (Es 19,6) ma viene esteso a tutti i popoli, pagani e peccatori compresi (1 Pt 2,9; Ap 5,10).

L’ultimo dei doni offerti dai maghi è la mirra. Nella Scrittura questa resina, dall’intensa fragranza, è il profumo con il quale l’amante conquista il suo amato (“Ho profumato il mio giaciglio di mirra”, Pr 7,17), e simbolo dell’amore della sposa per lo sposo (Ct 5,5; Est 2,12). Il rapporto tra il Signore e il suo popolo veniva raffigurato dai profeti con i tratti di un matrimonio, dove Israele era la sposa del suo Dio: “Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te” (Is 62,5; Os 2). Anche il privilegio di essere la nazione sposa del suo Dio non è esclusivo d’Israele, ma è esteso alle nazioni pagane, delle quali i maghi sono i rappresentanti.

Nell’episodio dei maghi, Matteo presenta la fine dell’illusione di Israele, che pensava di essere il popolo eletto, la nazione chiamata a dominare su tutte le altre.

Così cari navigatori, amici miei, e voi care Mamme, cari Papà del Movimento della Speranza che vi siete iscritti a questo blog perché vi riconoscete nelle fede che in essa viene testimoniata, nell’amore che le parole ogni giorno trasmettono, potrete comprendere il profondo senso dell’annuncio evangelico in cui il Cristo non condanna, non emargina, non giunge a ghettizzare alcune categorie esaltandone altre e potrete capire il senso della lettera che pubblicai sull’AURORA in una particolare occasione e che vi ripropongo. E' una lettera aperta scritta in occasione della visita a Cattolica di Mons. Milingo (allora vescovo carismatico ufficiale della Chiesa Cattolica Romana). Per noi non fu facile accettarne le parole dopo averlo atteso per ore come si attendono i Re Magi. Credo proprio che un totale stravolgimento della nostra condizione fosse la lettura che ne diede questo prelato da cui avremmo solo voluto ricevere una parola di conforto e una benedizione.

 

Caro Monsignore

 

 

non ero venuta a Cattolica per vederti. Di te sapevo quel tanto che sanno tutti… che sei un sant’uomo e che ti occupi di tanti disgraziati. A dire il vero, avevamo avuto un contatto indiretto. La mia anziana mamma (guai a chiamarla “vecchia”!) ti aveva incontrato una mattina, in una di quelle tue visite fuori programma nel ravennate e ti ha chiesto una benedizione. Tu hai stretto le tue mani benedette intorno alla sua testa (me lo permetti?) “benedetta” ed hai pregato per la sua guarigione.

 

 

        Grazie, Monsignore, per averlo fatto. Ha aspettato per tanto tempo ed ancora aspetta di poter guarire, grazie anche alle tue preghiere ed anch’io aspetto di vederla sollevata un po’, povera donna!

        A Cattolica ti aspettavo così, misericordioso come l’immagine di Dio che si occupa dei più poveri fra i poveri e viene a confortare quelli come me, che, pur non meritando nulla, attendono una parola di conforto per “prendere al volo” il soffio dello Spirito e ricevere il dono della Speranza.

        Io ero in camera quando mi hanno detto di scendere. Una grande folla era accalcata nel Teatro della Regina ed aspettava, paziente, che tu arrivassi. Erano state ben preparate le mamme della Speranza! Non capivano nemmeno perché ti fosse stato detto di non venire a Cattolica, dove alberga, ogni anno, l’immagine del dolore più grande, ma insieme la fede e la ricerca della consolazione, in un’immagine di Dio che si vuole riconoscere come Provvidenza, del Dio che conforta, come ci insegna la storia dei più umili, dei mistici e dei Santi, con doni insostituibili e incommensurabili.

        Ecco, Monsignore, tu eri atteso così, e si riusciva anche a cantare i tuoi canti, legati alla tua terra, in quel teatro gremito. Ti si aspettava, addirittura, raccontando motti spiritosi e si toccava con mano una pace ed un’ilarità che non si era trovata da tempo.   Ogni tanto qualcuno ci aggiornava sui tuoi percorsi e si attendeva il tuo arrivo. Mi ricordava qualcosa tutto questo: la pianura dove il popolo della Palestina era in attesa del passaggio di Gesù e dove la gente comune, gli affamati, i lebbrosi, i ricchi e i poveri, i malati e gli storpi ascoltavano la Sua parola: “Beati i poveri di spirito, i malati, i perseguitati … perché vedranno Dio, perché saranno chiamati Figli di Dio!”

        Così si è fatta notte, con questo spirito; una notte che avrebbe potuto essere meravigliosa, da passare in veglia di preghiera. Tu avresti imposto le mani su qualcuno più fortunato di altri ed avresti benedetto tutti e noi, certi del dono dello Spirito, avremmo sentito il Suo soffio  su di noi ed il sorriso dei nostri Figli su tutti.

        Ti avremmo parlato dei nostri “Ragazzi di Luce” e ti avremmo detto che Essi si prodigano per opere di bene e che sono pronti ad aiutare anche i tuoi ammalati, i tuoi poveri, anche se hanno la pelle nera! In Dio siamo tutti uguali e “grazie a Dio”, nell’aldilà, non ci sono pregiudizi e religioni e culti diversi.

        E tu, Monsignore, ci hai parlato delle tue radici e della tua cultura ed anche  delle tue storie di “morti” che prendono i vivi per le spalle e che seminano guai e disgrazie nelle famiglie.

        Non abbiamo capito queste cose; forse tu non sei stato fortunato come noi. Le storie di intriganti e stregoni che ti hanno raccontato non ci sono note. Probabilmente tu non sapevi nulla di noi ed avrai immaginato o, magari, ti avranno informato non correttamente. Ti avranno detto che siamo quelli che parlano con i “morti”, ma costoro non hanno capito niente della nostra realtà.

        Che peccato, Monsignore non averti potuto dire che i nostri morti sono vivi in Cristo Signore e non ci prendono per le spalle, ma, veramente, sì! ci prendono per le spalle, ma per sollevarci ed aiutarci a vivere.

        I nostri “Ragazzi”, i nostri “Angeli di Luce” che ci hanno preceduto nel cammino della Patria Celeste non sono guidati dal Maligno, che pure sappiamo esista. Il Maligno è nell’odio, è nelle guerre, nelle infamie razziste, nelle divisioni ingiuste, nelle emarginazioni. Non è dove si parla di amore e si prega.

        Ci hai detto che tu preghi per i tuoi parenti una volta la settimana? Ma noi preghiamo tutti i giorni, in tutti i momenti della giornata, offrendo la nostra povera vita perché Dio si prenda a cuore i nostri Cari e li indirizzi in compiti di aiuto a chi soffre ed è lacerato.

        La nostra storia è questa, Monsignore. E’ un cammino nella vera Comunione dei Santi. La storia di Saul che evoca gli spiriti per sapere se vincerà la guerra non ci riguarda. Noi sappiamo che Gesù è risorto per dirci che tutti siamo vivi e che quello splendido involucro che abbiamo posto sotto terra non è che l’immagine del corpo glorioso che avremo nell’eternità. Siamo fiduciosi nel messaggio evangelico e nei doni dello Spirito, come  dichiara San Paolo.

        Per questo ti aspettavamo, Monsignore. Per ascoltare e ricevere i tuoi carismi e per parlarti anche dei piccoli doni, dei piccoli carismi che un Dio d’amore ha donato a noi, povere creature sofferenti, madri della speranza, gente che non fa notizia e che te ne avrebbe potuto dire delle belle.

        Che occasione ti sei persa, caro Monsignore!

 

                                                                     Edda Cattani

 

                                                      “la mamma di Andrea, il tenente”

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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