Edda Cattani

Auguri Figlio mio!

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Il 7 ottobre sei venuto a me!

…e mi è caro pensarti con questo stralcio…

 

Non pianger più. Torna il diletto figlio

 a la tua casa.

 

 Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato

 serba ancóra per noi qualche sentiero.

 Ti dirò come sia dolce il mistero

 che vela certe cose del passato.

 

 Ancóra qualche rose è ne’ rosai,

 ancóra qualche timida erba odora.

 Ne l’abbandono il caro luogo ancóra

 sorriderà, se tu sorriderai.

 

 Ti dirò come sia dolce il sorriso

 di certe cose che l’oblìo afflisse.

 Che proveresti tu se fiorisse

 la terra sotto i piedi, all’improvviso?

 

 Perché ti neghi con lo sguardo stanco?

 La madre fa quel che il buon figlio vuole.

 Bisogna che tu prenda un po’ di sole,

 un po’ di sole su quel viso bianco.

 

Se noi andiamo verso quelle rose,

 io parlo piano, l’anima tua sogna.

 

 Sogna, sogna, mia cara anima! Tutto,

 tutto sarà come al tempo lontano.

 Io metterò ne la tua pura mano

 tutto il mio cuore. Nulla è ancor distrutto.

 

 Sogna, sogna! Io vivrò de la tua vita.

 In una vita semplice e profonda

 io rivivrò. La lieve ostia che monda

 io la riceverò da le tue dita.

 

 Tutto sarà come al tempo lontano.

 L’anima sarà semplice com’era;

 e a te verrà, quando vorrai, leggera

 come vien l’acqua al cavo de la mano.

Da “Consolazione” di G.D’Annunzio

 

 

 

Edda CattaniAuguri Figlio mio!
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Per ricordarti!

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Auguri Figlio mio!

 

 

 

Fu uno splendido autunno quello! A differenza degli anni precedenti vi furono giornate piene di sole; un buon auspicio per me che, godendo del congedo per maternità potevo dedicarmi interamente al mio bambino, nato proprio in quell’anno, il 7 ottobre, giorno della S.Vergine del Rosario, alla cui protezione avevo affidato la mia creatura.  

 

Nell’altalena dei ricordi pervade l’animo mio il momento della tarda mattinata, quando dopo aver terminato tutte le faccende domestiche, prendevo in braccio quell’involtino di lana calda e profumata da cui spuntava un visetto sorridente e guardandolo, parlandogli, con i termini non decodificabili che ogni madre usa, lo avvicinavo al mio seno per allattarlo.   In quell’istante, con quel rito sacro e arcano, una pace profonda, una dolcezza infinita mi avvolgeva: il divino e l’umano sembravano prendere corpo nella simbiosi di quell’atto di amore, mentre un raggio di sole, che penetrava attraverso le imposte socchiuse, ci illuminava entrambi, quasi a voler manifestare la mano benedicente del Creatore.  

 

Espressione della mia gioia interiore era la preghiera riconoscente: “…la mia mente esulta in Dio, mio Salvatore” mentre, con la mia partecipazione alla Creazione, mi sentivo vicina a Maria, Madre di tutti i viventi.   Quell’abbraccio profondo, intimo, spirituale, significava la continuità la stabilità del mio essere nel rapporto con la creatura da me nata: mio Figlio; legame forte, saldo, indissolubile che nessuna circostanza e nessuno mai avrebbero potuto spezzare.  

 

 “I figli sono frecce scagliate nell’universo”recita il poeta indiano Kahil Gibran. Quella creatura tanto amata avrebbe concluso il suo percorso terreno alla verde età di 22 anni. 

 

Fermarsi di tanto in tanto, alzare lo sguardo da ciò che ci tiene impegnati e fare delle riflessioni generali è molto importante, perché aiuta a vivere più pienamente la vita nella sua ferialità specialmente nel momento storico in cui ciascuno di noi è chiamato a percorrere delle scelte, quale è quella di essere genitori.  

 

In mezzo alla gente, fra la gente, la donna in particolare, a cui sono affidati i grandi ruoli di madre, di sposa, di educatrice, deve essere individuata come creatura privilegiata nel suo affrontare una condizione di vita che si presenta sempre più complessa; si deve rispettarne il suo “toccare con mano” il grande mistero della nascita, senza avere la pretesa di volere tutto comprendere e spiegare.  

 

Per consentire ad essa il riappropriarsi di questa dignità è necessario riconoscerle la peculiare condizione ed il suo ruolo, al di là degli aspetti consumistici che la presentano come simbolo dell’efficienza e della competitività senza dichiarare la valenza del grande progetto di cui è partecipe.   Si pone, a questo punto, il problema della donna e del suo completamento naturale, quale la maternità come profondità dell’evento di amore che si realizza nella coppia prima e nel rapporto madre-figlio poi.  

 

Amore, sessualità e concepimento di un figlio sono tappe obbligate di uno stesso discorso, ma l’evento miracolistico e il senso della sacralità si completano nell’atto dello sbocciare di una vita, perché esso è comprensivo del senso della vita stessa e dell’esistenza tutta.   Non solo la scienza dichiara questo, ma tutte le grandi religioni che accennano alla componente sacra dell’uomo che è in grado di riprodursi e si sente coinvolto nell’opera della creazione.  

 

 

 

Vorrei ricordare, a questo proposito, un esempio significativo riportatoci nelle Scritture: è il desiderio di Anna, colei che diverrà la madre di Samuele (1Sam 1, 1-2), per il dono di un figlio.   Anna è sterile e vive consapevolmente il suo stato di umiliante emarginazione, ma non perde il coraggio davanti al Signore, fino a giungere a fargli, con la sua supplica, una solenne promessa:   “Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me e mi darai un figlio maschio, io te lo offrirò per tutti i giorni della sua vita.”   In questa promessa c’è un insegnamento sorprendente: Anna dice: “…concedimi un figlio ed io te lo ridarò. Sembra a noi che, posta in questi termini, la creazione avvenga per il concorso di una donna e di Dio. Anna non chiede un figlio per vezzeggiarlo e stringerlo al cuore per tutti gli anni della sua vita. Lo chiede per darlo e così riceve. Il Dio degli umili, degli afflitti, dei bisognosi si china verso di lei come si protende verso gli “anawim”, i poveri, “per rialzarli dalla polvere e proteggere il loro cammino”. 

 

La nascita di Samuele (nome che deriva dal verbo ebraico sha’al = domandare) premia la preghiera fiduciosa di Anna che innalza il suo inno di ringraziamento:   “Il mio cuore esulta nel Signore, la mia fronte s’innalza grazie al mio Dio…”   Questo canto ricorda il Magnificat di Maria, madre di Gesù si tratta di due donne a cui miracolosamente viene dato un figlio “come un dono”. Maria è la “vergine”, Anna è la “sterile”.   E Samuele, uomo straordinario, ultimo dei Giudici, realizzerà l’unità delle tribù di Israele.   Quanto grande deve essere stato il merito e quanta parte deve avere avuto nell’opera del figlio questa madre, sofferente, umile e disponibile ad offrire la propria creatura ancor prima che le sia stata data.   E immaginiamo come sarà stato forte il legame di Anna con suo figlio, Samuele, già destinato ad una missione così rilevante!  

 

 

Questa consapevolezza é in noi, già presente come immagine riflessa e tende a volere rendere tutt’uno la femminilità con la sacralità. Si sente perciò sacro il concepimento, la gravidanza, il parto, la nascita, come è sacra la vita del bambino che nasce e che non rimane, semplicemente, una condizione assegnata e registrata; è il fatto di esistere che diviene “progetto” e perciò scelta obbligata e percorribile.  

 

Quando una donna dice: “Aspetto un bambino”  è come se affermasse: “Io ho un figlio che vive da sempre dentro di me”. Il bambino che dovrà vedere la luce era già in noi, presente nella nostra coscienza disposta a generarlo, era nel pensiero della madre quando ha sentito il suo corpo come luogo adatto ad ospitare una vita.   La donna in attesa di un figlio ha pronta una culla nel suo cuore e nel suo seno. In essa dimora tutto il suo essere, il suo futuro, la sua speranza.  

 

E durante la gravidanza, la madre avvia un dialogo, una comunicazione, con quel bambino; questo accade, con sua “sorpresa”, quando riconosce il “meraviglioso” che sta accadendo nel figlio tramite la sua persona, anche al di là della sua intenzione.   La meraviglia crea una immagine promettente del mondo, perché essa riconosce il fatto straordinario che è premessa di quell’unione fisica, psicologica e spirituale, sopravvenuta dopo il concepimento.  

 

 

Sentiamo le espressioni usate in questa lirica da un poeta non noto, con cui viene sentita la maternità

   ” Istanti…forse secoli, in cui pulsa la coscienza   e il suo ritmo è gioia:  

gioia dentro, gioia fuori,   gioia ovunque.    

Cellule di vita, immense quanto l’universo,  

in esse tutto è presente: la notte dei tempi   e un futuro ciclico,

 meravigliosamente riassunti   in un istante cangiante.    

Energie sottili che vorticano in un centro,   che si individualizza e si nutre di sé espandendosi.    

Madre dentro, madre fuori, madre me, madre lei.  

Madre nella madre in un’esplosione a catena   che si espande al rallentatore   (o forse in istanti di sogno).     Lei diventa me, io ritornerò a lei.   

 Lei mi nutre dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri;   i miei sentimenti e i miei pensieri torneranno a lei.     Come una vibrazione che percorre  un’unica coscienza  

come amore che effonde dall’indicibile.” 

Edda CattaniPer ricordarti!
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La festa dei nonni

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2 ottobre: Festa dei Nonni

I nonni ti vedono crescere, sapendo che ti lasceranno prima degli altri. Forse è per questo che ti amano più di tutti.

La Festa dei nonni è una ricorrenza civile introdotta in Italia con la Legge 159 del 31 luglio 2005, quale momento per celebrare l’importanza del ruolo svolto dai nonni all’interno delle famiglie e della società in generale.

Viene festeggiata il 2 ottobre, data in cui la chiesa cattolica celebra gli Angeli custodi.

 

Il brano dal titolo “Ninna Nonna”, scritto da Igor Nogarotto e Gregorio Michienzi, due autori astigiani (in arte I 2 Così), dal 2006 è stato ufficialmente riconosciuto come “Canzone Italiana dei Nonni”

 

 

Roma, 2 ottobre 2011 – Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha rivolto alle nonne e ai nonni d’Italia, nella giornata di festa a loro dedicata, un messaggio: “Celebriamo oggi la festa dei nonni, divenuta ormai un appuntamento fortemente sentito e ricco di iniziative per ricordare, nel segno dell’affetto e della riconoscenza, il loro insostituibile ruolo nella vita familiare.

I nonni, con il loro patrimonio di umanita’, saggezza ed esperienza, offrono quotidianamente generoso e prezioso sostegno alla crescita ed allo sviluppo dei piu’ piccoli, che seguono sin dalla nascita nel percorso educativo e formativo ed ai quali trasmettono conoscenze, tradizioni e valori della loro generazione.

Al peso e al ruolo assunti dagli anziani non puo’ non rispondere l’impegno nell’attuale contesto sociale da parte delle istituzioni e della collettivita’ a difendere e salvaguardare quei diritti che rappresentano una conquista fondamentale per la vita e la dignita’ della persona in quella fascia di eta’. Con questo auspicio e con sentimenti di vicinanza e di ideale condivisione dello spirito che anima questa giornata, rivolgo alle nonne e ai nonni d’Italia un caloroso saluto augurale”.

Per citare una bella frase di Maria Rita Parsi: ” I nonni sono coloro che vengono da lontano e vanno per primi, ad indagare oltre la vita; sono i vecchi da rispettare per essere rispettati da vecchi; sono il passato che vive nel presente ed i bambini sono il presente che vedrà il futuro

La psicologa Maria Rita Parsi a Cattolica 2012 

 

Edda CattaniLa festa dei nonni
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Giornata mondiale per la Cura del Creato

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Giornata Mondiale per la Cura del Creato 

 

 

La Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato ricorre ogni 1 settembre, occasione nella quale il Santo Padre scrive un Messaggio diretto alla Chiesa Cattolica e a tutte le persone di buona volontà.

Nel suo Messaggio Papa Francesco invita a “vivere una fede incarnata, che sa entrare nella carne sofferente e speranzosa della gente; unire le forze per contribuire a ripensare alla questione del potere umano; estendere anche al creato l’armonia fra umani nella responsabilità per un’ecologia umana e integrale, via di salvezza della nostra casa comune”.

La salvaguardia del creato è dunque una questione, oltre che etica, eminentemente teologica: riguarda, infatti, l’intreccio tra il mistero dell’uomo e quello di Dio. Questo intreccio si può dire “generativo”, in quanto risale all’atto d’amore con cui Dio crea l’essere umano in Cristo. Questo atto creatore di Dio dona e fonda l’agire libero dell’uomo e tutta la sua eticità: libero proprio nel suo essere creato nell’immagine di Dio che è Gesù Cristo, e per questo “rappresentante” della creazione in Cristo stesso. C’è una motivazione trascendente (teologico-etica) che impegna il cristiano a promuovere la giustizia e la pace nel mondo, anche attraversola destinazione universale dei beni: si tratta della rivelazione dei figli di Dio che il creato attende, gemendo come nelle doglie di un parto. In gioco non c’è solo la vita terrena dell’uomo in questa storia, c’è soprattutto il suo destino nell’eternità, l’eschaton della nostra beatitudine, il Paradiso della nostra pace, in Cristo Signore del cosmo, il Crocifisso-Risorto per amore.

Sperare e agire con il creato significa allora vivere una fede incarnata, che sa entrare nella carne sofferente e speranzosa della gente, condividendo l’attesa della risurrezione corporea a cui i credenti sono predestinati in Cristo Signore. In Gesù, il Figlio eterno nella carne umana, siamo realmente figli del Padre. Mediante la fede e il battesimo inizia per il credente la vita secondo lo Spirito (cfr Rm 8,2), una vita santaun’esistenza da figli del Padre, come Gesù (cfr Rm 8,14-17), poiché, per la potenza dello Spirito Santo, Cristo vive in noi (cfr Gal 2,20). Una vita che diventa canto d’amore per Dio, per l’umanità, con e per il creato, e che trova la sua pienezza nella santità.

Edda CattaniGiornata mondiale per la Cura del Creato
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Buone vacanze!

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Buone Vacanze!

Chiesi a Dio…che la mia presenza accanto a voi fosse per sempre. 

Con questo saluto  auguro a voi Buone Vacanze! Un periodo di meritato riposo porterà ad uno nuovo risveglio dello spirito e di questo tutti noi abbiamo bisogno!

Ci siamo sempre sentiti con l’atmosfera gioiosa delle feste e ci ritroviamo ora, con il solleone che ci affatica ma ci ristora … L’animo umano ha bisogno di calore e con questa stagione sembrano trovare pace tutte le ansie e il desiderio di consolazione e conforto. La natura ci aiuta in questo con splendide aurore e colorati tramonti.

Buone Vacanze anche con questo saluto:

Quanto da imparare sempre fra le bacheche … nelle righe scritte … nei commenti fatti!!! Volendo crescere, amici miei ce n’è in abbondanza!  Ed ora riprendiamo le fila dei nostri intercorsi… e delle nostre iniziative.

 

 

Ma veniamo ora al nostro interesse più stretto. Siamo prossimi a Cattolica 2022 ed ogni cuore si è aperto alla speranza  del potere condividere un’esperienza che cambi la visione della vita turbata dalla perdita di una persona cara. La XXXV edizione dello storico congresso del Movimento della Speranza, offre anche quest’anno un programma di grande ricchezza e attualità. Ampio spazio alla sperimentazione, alle testimonianze e alle esperienze dirette; ampio spazio anche alla ricerca, all’analisi, allo studio, alla presentazione di tematiche correlate a quelli che sono i temi portanti di questa manifestazione e cioè la spiritualità e la vita dopo la morte.

In modo particolare, da questa edizione, il programma si arricchisce per l’apertura ai social network con la diretta delle metodologie adottate dagli sperimentatori, ma anche con la testimonianza dei grandi movimenti, come ad esempio i parenti delle “Vittime di Omicidio Stradale”. Si è cercato di dare uno spazio dignitoso a tutti i relatori ed anche a coloro che accompagneranno i presenti con colloqui individuali di contatto. Forse non si sono date risposte ad alcuni protagonisti “eccellenti” ma ai miracoli nessuno è tenuto e se qualcuno ha rinunciato sono certa che tutti capiranno all’arrivo che, di questi tempi e con questi costi, di meglio non si poteva fare.

Avremo quindi persone qualificate e “mamme carismatiche” come vengono definite coloro che pazientemente hanno cercato, nella loro disperazione, una comunicazione con l’oggetto amato ed hanno sviluppato in se stesse delle facoltà che possiamo definire “carismi” doni dello Spirito per aiutare chi si trova in condizione di bisogno.

  La mia barca è una conchiglia adagiata su una spiaggia deserta 

 Ed ora che dirvi? Una miriadi di appuntamenti vengono comunicati da internet e sappiamo pertanto che tutti possono accedere, lontano o vicino alla loro dimora a convegni di tutti i tipi. Diciamo che quello del Movimento della Speranza offre una chance in più, essendo di più vecchia data e supportato da persone che fanno parte di coloro che hanno vissuto infauste vicende.

 

Il 16 luglio si festeggia la Madonna del Carmine: affidiamo a questa Madre tutte le nostre speranze ed anche le nostre certezze, stringendo al cuore lo scapolare devozionale, che tengo ancora custodito gelosamente, un modo come altri per avere tangibile il contatto con la Madre Celeste. Buona festa a tutti e continuate a seguirci. Non mancheremo di farvi condividere pensieri, sentimenti ed emozioni!

Edda CattaniBuone vacanze!
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La preghiera del cuore

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Ho trovato tra le altre questa nota dal titolo  “La Preghiera del cuore” scritta da Padre Gasparino Movim. Contempl. Mission. “P. De Foucauld”- Cuneo … Provo a vederne qualche stralcio:

“La Preghiera del cuore”

Sai che cos’è? Vuoi sperimen­tarla?

Chi la scopre, sperimenta una strada di preghiera che trasforma la vita.

Anzitutto…

Prima di tutto riconosci che la preghiera è dono e che hai sempre bisogno di imparare a pregare.

Ti sei già posto con realismo il problema?

Quando preghi se sei sincero, ti accorgi che è più il tempo che passi nelle distrazioni, del tempo che stai con il Signore.

Se sei sincero, capirai che la tua preghiera è parolaia, e non ti mette a contatto con Dio…”

Beh… per quanto riguarda quest’ultima affermazione, personalmente posso dire di non avere mai usato tante parole per pregare tenendo presente: “Quando pregate, dite: ‘Padre nostro…’”(Mt 6,9-13).

Mi torna sempre il riferimento al tempo della mia vita in collegio, quando nel momento della meditazione mattutina mi fermavo alla prima parola “padre” e rimanevo estatica a pensare la bellezza, la grandezza, l’amore infinito di un Dio che permette che noi lo chiamiamo “padre”… e ci dà la sua preghiera come preghiera personale… Infatti Gesù premette all’insegnamento del Padre nostro questo:… il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,6).

Lui vede nel segreto e “mi ricompenserà”…. Io non chiedo ricompense, non ho nulla da chiedere che Lui non abbia già provveduto a darmi, ma gli presento me stessa: “Mi riconosci Padre, sono colei che tante volte non si rivolge a te nella preghiera comunitaria ma che ti presenta, ancor prima di se stessa tutti coloro che sono entrati dalla mia porta, nel mio cuore… tutti i miei fratelli… Lo vedi Signore…. Non sono sola in questa casa vuota: il mio cuore contiene i miei fratelli e il mondo, e dico al plurale: “Padre nostro… dacci… rimetti a noi… non ci indurre… liberaci…”.

Continua Padre Gasparino: “Non pensare a niente di senti­mentale, la preghiera del cuore è un cammino spirituale serio, ma che ti aprirà le porte della vita spirituale profonda, se tu avrai l’umiltà e il desiderio concreto di imparare…

La preghiera del cuore si potreb­be anche chiamare: preghiera di silenzio o preghiera contemplativa.”

Perdonami Signore quando mi vedi correre, se non ti so pregare se ti chiamo “Padre”… e qui mi fermo… Questa preghiera è profonda e semplice come Dio stesso, come il vangelo che essa sintetizza in poche righe. Chiamare il Padre è sentirlo “in spirito e verità” (Gv 4,23-24) significa entrare nella profondità e nell’immensità dell’amore di Dio, nella conversione totale a Lui, nel movimento filiale di obbedienza spontanea e amorosa.

Pregare per tutti coloro che mi sono vicini è fare ciò che ci ha indicato Papa Francesco in questi giorni santi dopo la sua elezione: sono i più poveri, i miseri, i diseredati, i disabili … sono i miei bambini, il mio Simone, tutte le piccole creature del mondo … e anche oltre … tutti i Ragazzi del Cielo, i miei Ragazzi, Andrea … e la piccola Dalia … tutti uniti nella preghiera in una sola vita … Perché tutto è VITA!!!

La preghiera del cuore è preghiera semplice, è un po’ tornar bambini con piccoli, garbati simboli.

Vediamo la Preghiera che Papa Francesco scrisse una quindicina di anni fa quando era vescovo di Buenos Aires

Una preghiera per ogni dito della mano

  1. Il pollice è il dito a te più vicino. Comincia quindi col pregare per coloro che ti sono più vicini. Sono le persone di cui ci ricordiamo più facilmente. Pregare per i nostri cari è “un dolce obbligo”.
  2. Il dito successivo è l’indice. Prega per coloro che insegnano, educano e curano. Questa categoria comprende maestri, professori, medici e sacerdoti. Hanno bisogno di sostegno e saggezza per indicare agli altri la giusta direzione. Ricordali sempre nelle tue preghiere.
  3. Il dito successivo è il più alto. Ci ricorda i nostri governanti. Prega per il presidente, i parlamentari, gli imprenditori e i dirigenti. Sono le persone che gestiscono il destino della nostra patria e guidano l’opinione pubblica… Hanno bisogno della guida di Dio.
  4. Il quarto dito è l’anulare. Lascerà molti sorpresi, ma è questo il nostro dito più debole, come può confermare qualsiasi insegnante di pianoforte. È lì per ricordarci di pregare per i più deboli, per chi ha sfide da affrontare, per i malati. Hanno bisogno delle tue preghiere di giorno e di notte. Le preghiere per loro non saranno mai troppe. Ed è li per invitarci a pregare anche per le coppie sposate.
  5. E per ultimo arriva il nostro dito mignolo, il più piccolo di tutti, come piccoli dobbiamo sentirci noi di fronte a Dio e al prossimo. Come dice la Bibbia, “gli ultimi saranno i primi”. Il dito mignolo ti ricorda di pregare per te stesso… Dopo che avrai pregato per tutti gli altri, sarà allora che potrai capire meglio quali sono le tue necessità guardandole dalla giusta prospettiva.

…e a me basta Padre tutto ciò che hai già dal tuo “tempo” eterno… disposto per me!

“La preghiera del cuore non deve mai trascurare la preghiera di ascol­to. E’ la Parola di Dio la linfa vitale della preghiera cristiana. La pre­ghiera del cuore è il momento cul­minante dell’ascolto. Ogni giorno collega il Vangelo della Liturgia del giorno alla tua vita concreta. Da quel Vangelo tro­va la preghiera del cuore rivolto al Padre, o al Figlio, o allo Spirito Santo, presenti in te”.

Edda CattaniLa preghiera del cuore
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La luna del raccolto

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La luna del raccolto

(dalla cultura degli Indiani d’America)

 

Meravigliose notti che si spegnevano all’ alba e gli uomini si svegliavano sotto i brividi della guazza, caduta nella notte sull’aia dove essi avevano dormito. Un nuovo giorno; una nuova parentesi di vita che si donava, espressa così magnificamente dalla natura, offerta all’uomo per goderne, per arricchire la sua coscienza, disponendolo per ciò ad accettare la vita nel bene e nel male, secondo i suoi precetti, dai quali discende la tranquillità della nostra esistenza.” 

Già l’ora che bisogna mietere
a mani nude ed insanguinate
per strappare via spine dall’anima,
edere dai ricordi,
tuberose di profumate illusioni,
a schiena curva sotto il peso del Tempo
con i sudori salati ed amari come il fiele,
lacrime che fanno di vetro smerigliato
gli stanchi occhi che ormai fanno fatica
a credere.
Su questa Terra avara,
girata e rigirata,
fecondata dal Dolore e dalle fatiche
d’un vivere a volte disumano,
concimata da lotte e speranze
ho buttato nei solchi del destino
un pugnetto di giorni e talenti
perché la mia piccola pianta di UOMO
potesse crescere e vivere.
Ho colto a piene mani spighe acerbe
della mia povera ed ubriacante giovinezza
che dava lo sballo,
ho riparato dal sole, dal vento, dal gelo
i teneri germogli dei figli,
lottato contro la disgregazione e la distruzione
di templi e Leggi,
Questo ho raccolto
il mannello ha pochi ed avari steli
sarà poco per Te
ma tanto per la mia povera carne:
Perdonami!

 

 

La Luna del Grano sorge sopra i campi maturi, mentre si celebra il momento del raccolto, è la Luna che vede il sacrificio del Dio Sole ( Lugh per i celti, Osiride per gli egiziani, Tammuz per i babilonesi), la Luna che si prepara per essere sepolcro del suo sposo.
Antico è il culto del grano e del mais, basti pensare che fu proprio la coltivazione di questi cereali che diede vita ai primi villaggi, prima di allora l’umanità viveva di caccia e di raccolta di erbe selvatiche, non esisteva una comunità ma ognuno vivere separato tentando di sopravvivere alle stagioni, alle belve e agli ostacoli del quotidiano.
Proprio grazie alla scoperta che il grano potesse esser coltivato iniziano a nascere i primi villaggi, intorno alle piccole piantagioni, l’uomo non ha più bisogno di vivere come un nomade, ora può costruirsi una capanna o una tenda e tenere al sicuro la propria famiglia, ora il campo di mais o grano gli assicurerà il cibo, il nutrimento e il sostentamento per i mesi che verranno.
Dunque, le nostre città, hanno origine dal grano, tutti noi siamo figli del grano.
La Luna del Grano è anche la Luna che accompagna i festeggiamenti del raccolto, da sempre, ogni popolo antico ha festeggiato questo periodo come momento di grande importanza per la comunità, un raccolto abbondante significava “sopravvivere” all’inverno che da lì a qualche mese sarebbe arrivato, un raccolto misero metteva in pericolo la vita di tutti.
Capiamo bene dunque come in ogni cultura proprio in questo periodo nasce una festa del raccolto, lughnasadh per i celti, che festeggiava il sacrificio del Dio Sole ( Lugh) durante la mietitura per assicurare il cibo e quindi la sopravvivenza dell’intera comunità; In Egitto, Osiride patrono della resurrezione, veniva considerato anche protettore della vegetazione, delle statuette di argilla che lo rappresentavano venivano sepolte nel periodo della semina per stimolare magicamente il raccolto.
Il Dio veniva spesso raffigurato steso orizzontalmente dal quale sorgevano ventotto spighe rappresentanti i ventotto giorni del mese lunare.
Un testo antico riporta: “che io viva o muoia, io sono Osiride, io penetro in te e riappaio attraverso la tua persona; in te deperisco e in te cresco…. Gli dei vivono in me perché io vivo e cresco nel grano che li sostenta”, per gli Indiani D’America questo era il periodo del Poskita, in cui si celebrava un tempo di pace.
Anche se in quel momento era in atto una battaglia i capi militari inviavano una lettera al nemico e i guerrieri si ritiravano per quattro giorni nelle capanne di sudorazione dove si depuravano da tutte le energie che la guerra aveva deposto sul loro corpo e sulla loro anima e poi iniziavano le celebrazioni del Poskita, era per i Nativi Americani una delle celebrazioni più importanti del calendario; si accendeva un fuoco nuovo, puro che simboleggiava il vincolo del popolo con gli antenati e con il mondo superiore, il fuoco nuovo diveniva una potente personificazione del sacro ed esso aveva il potere di riconsacrare le cose, le relazioni e l’intera comunità. Questa celebrazione che aveva il potere di portare la pace ( qualsiasi fosse la situazione che il popolo in quel momento stesse vivendo) veniva dedicata al mais, secondi i miti sacri dei Creek, il mais fu donato al popolo da una donna, dea della terra.
Numerose sono le dee del mais e del grano, questa Madre primigenia che distribuisce il nutrimento ai suoi figli direttamente dal suo corpo ha un’origine molto antica ( Coatlicue, Dea Madre dei Cereali e della Terra che troviamo in Messico, sempre venerata dagli aztechi è la “zea mays” Chicomecoatl fino ad arrivare alla dea frigia Cibele, la greca Demetra che fu poi portata a Roma con il nome di Cerere) il mito del grano e della spiga viene bene raffigurato nel rituale che si compie per lughnasadh, l’ultimo covone del raccolto viene lasciato macerare sul campo, esso è chiamato Madre del Grano, poiché è il principio del prossimo raccolto e la fine di quello appena avvenuto.
Il ciclo Vita-Morte-Vita ben rappresentato dal processo di semina, maturazione, mietitura e macerazione del grano ci riporta al significato e all’energia della Luna del Grano, in essa danzano le antenate così come riposano i semi della nuova stirpe, è il grembo primordiale di vita e di morte, colei che germoglia ma che nello stesso tempo compie l’atto sacro della mietitura ( spesso la morte viene raffigurata con la falce della mietitura fra le mani, ricordando proprio questo atto della raccolta del grano), tutto nella vita ha il suo corso, niente rimane ciò che è, ogni cosa deve trasformarsi e la morte così come ci racconta la Luna del Grano è il nostro passaggio da frutto maturo a nutrimento, è il sacrificio ( render sacro) che da senso alla vita, senza la morte rimarremmo per sempre meravigliose spighe mature senza nessuna utilità per la vita.
La Luna del Grano appare come un’enorme spirale di spighe mature, percorriamola cantando, fino al centro per onorare il seme che ci ha reso frutto, per onorare i grembi che ci hanno partorito e poi torniamo indietro dal centro danzando verso più ampi cerchi e orizzonti lì dove ci aspetta il raccolto augurandoci di esser con la nostra vita nutrimento prezioso per i semi futuri della nostra stirpe.

“ Vieni Anima danzante, raccogli le spighe e racconta il loro canto, il canto antico del seme che si fece cibo.
Vieni Anima affamata, il corpo della Dea ha il profumo del primo pane offerto al Dio Sole.
Vieni Anima a cercare nel campo le orme di chi ha seminato prima di te.
Accendi il fuoco per onorare
Accendi il fuoco per purificare
Accendi il fuoco per cuocere
Vieni Anima e danza cantando le arcaiche parole della Luna del Grano, Colei che nutre la Vita donando la Morte. “

fonti :
Oscure Madri Splendenti – Luciana Percovich
Culture e Religioni degli indiani d’america – L.E. Sullivan


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Il mese del raccolto

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Il mese del raccolto

giugno

È il mese del raccolto, del pane da condividere, dell’amore da dare e da ricevere. Mi piace farlo vivere con questa bella lirica d’autore.

Passammo ne la notte profumata,
per l’alta via tra taciti giardini,
tu su l’omero mio leve poggiata
la bella testa da i capelli fini,
io su le labbra tue volto a succhiare,
come dal fresco calice d’un fiore,
coi lunghi baci il pieno oblio dei mali.
Ma non udisti tu de i vegetali
in torno a noi, per l’aria tutta aulente,
il fremito d’amore,
le stelle non vedesti palpitare
allor piú intensamente,
e l’indistinte voci, onde ai mortali
nei momenti propizî al dolce inganno,
la Terra parla, pietosa madre,
e a sempre amar consiglia,
tu non sentisti, o innamorata figlia.

Ben io l’intesi, e ne diceano: Vanno
con passo lento i secoli nel nulla,
e si portan con loro
le umane genti (noverarle è in vano):
Amate, amate, amate,
né mai, tranne l’amore, altro tesoro
su me grama cercate.
In un attimo vano,
se in un bacio d’amore lo chiudete,
intera accoglierete
e vivrete la vita
dei secoli, dei secoli infinita.


(“Intermezzo lieto”, Luigi Pirandello)

 

Edda CattaniIl mese del raccolto
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Il “Corpus Domini”

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Nel riproporre un articolo già pubblicato in occasione di questa grande festa dello “spezzare il pane”…

“ Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”

Il ritorno alle “origini”

…”Ecco io sono con voi fino alla fine dei tempi!”…desidero condividere l’emozione provata quando partecipai alla processione nel quartiere di questa cittadina ove abito, in fila con i miei nipotini vestiti con la tunica della Prima Comunione, mentre spargevano petali di rose precedendo il sacerdote con l’ostensorio di Gesù Eucarestia! Ho ricordato il mio abito bianco, la coroncina in testa e le tante persone che cantavano il “TANTUM ERGO SACRAMENTUM”. Si dice che l’innocenza porti provvidenza e proprio della “Provvidenza di Dio che ha ‘sì gran braccia …”  abbiamo bisogno in questi momenti disseminati di tristi vicende. A quel tempo, si usciva dalla guerra mondiale ed eravamo pieni di speranza … oggi forse, questa che è venuta a mancare. In una società in cui sono caduti i valori, in cui poco si prega, in cui prevale l’egoismo e la disperazione non trova sollievo, il candore dei piccoli innocenti può essere un segno di rinnovamento.

…quanta gioia questi bimbi…

A mezzogiorno il Santo Padre, nell’impartire la benedizione dell’Angelus in Piazza San Pietro, ha ricordato Gesù Eucarestia. Preghiamo quelle particole vere del “panino di Gesù” come lo chiamano i miei bambini, affinché ci portino a risollevarci, con determinazione, con la “forza” quale virtù di salvezza, come “olio benedetto” sulla nostra fronte ricevuto dallo Spirito Santo d’Amore! …e AUGURI a tutti … Buon “Corpus Domini”!

La domenica successiva alla Solennità della SS. Trinità si celebra la festa del Corpo e del Sangue del Signore. Prima della riforma liturgica era nota come festa del Corpus Domini (distinta dalla festa del Sanguis Christi celebrata in luglio). La festa del Corpus Domini trova le sue origini nella ambiente fervoroso della Gallia belgica – che San Francesco chiamava “amica Corporis Domini”. Solitamente in giugno, si tiene a Bolsena la festa del Corpus Domini a ricordo del miracolo eucaristico avvenuto nel 1263. Un prete boemo, in pellegrinaggio verso Roma, si fermò a dir messa a Bolsena ed al momento dell’Eucarestia, nello spezzare l’ostia consacrata, fu pervaso dal dubbio che essa contenesse veramente il corpo di Cristo. A fugare i suoi dubbi, dall’ostia uscirono allora alcune gocce di sangue che macchiarono il corporale (attualmente conservato nel Duomo di Orvieto) e alcune pietre dell’altare tuttora custodite in preziose teche presso la basilica di Santa Cristina in Bolsena. La solennità cattolica del Corpus Domini (Corpo del Signore) chiude il ciclo delle feste del dopo Pasqua e vuole celebrare il mistero dell’Eucaristia.

 “ Per la vita del mondo”: questa parola evangelica deve pulsare dentro di noi, come pulsava nel cuore di Gesù.

Chi si nutre del pane eucaristico diviene presenza discreta, è un credente, che si ricorda di fare del bene, cioè di dare tutto, ma nello stile di Gesù lasciandosi plasmare da Lui. E’ capace anche di silenzio, di ascolto; di quel silenzio che rende possibile l’ascolto e l’accoglienza delle parole di chi ci vive accanto, delle parole della fragilità e della debolezza, della malattia di chi ci vive accanto, della sofferenza e della morte, ma anche le parole dal significato alto.

E’ un credente capace di gratuità, la cui gioia non sta tanto nell’affermazione di sé ma nel portare “ vita” al mondo, nel testimoniare Gesù,  vita per l’uomo.

Chi si nutre del pane eucaristico è messo in grado di volere il bene dell’altro e di promuoverlo, sapendo che questo “pane” verrà a lui di ritorno…

 Dal mio percorso di vita…

Anch’io ho spezzato quotidianamente un pane al capezzale del mio sposo affetto da un male incurabile, cercando per lui  “amore incondizionato e perfetto”, “tenendolo curato oltre ogni sforzo perché non perdesse in dignità”

Nella mia ricerca di conferme mi viene inviato questo scritto:

…Ecco, voglio dirti semplicemente questo: il pane che hai spezzato per il tuo compagno, ritorna a te in questo tempo.

Ascolta cosa scrive Erri De Luca: “Valencia è una città spagnola sul Mare Mediterraneo. Una volta aveva un fiume che l’attraversava, il Guadalaviar, ma ora il suo corso è stato deviato. E’ l’unica città del mondo, che io sappia, che si sia sbarazzata di un fiume. Ci sono stato l’anno scorso in ferie, invitato da un editore che aveva tradotto un mio libro nella bella lingua del posto, la catalana. Ho percorso la città a piedi, la sola unità di misura che possiedo per conoscere i posti altrui. Ho visto mercatini puliti e lotterie, mura romane e lavori in corso, ma cercavo il fiume che non c’era più. Infine l’ho trovato, il letto vuoto, i ponti su di lui come se ci fosse ancora.

Al posto di una corrente che già sente il mare vicino, hanno piantato palme e costruito un lungo stagno con pesci rossi. Dall’alto del ponte vedevo quel parco sotto di me, dubitando del senno dei cittadini di Valencia. Presso la riva dello stagno un uomo anziano con un cane forse ancora più anziano passeggiava. Lo vidi avvicinarsi al bordo dell’acqua e cavare dalla sacca delle pagnotte vecchie. Pezzo a pezzo le gettò ai pesci. Restai a guardarlo, affascinato dalla monotonia dei suoi gesti. Non durò poco. Solo alla fine della provvista capii che stavo guardando il verso uno del capitolo undici di Kohèlet. “Manda il tuo pane sul volto delle acque.” Un uomo anziano nell’autunno del ’93 in una città spagnola eseguiva alla lettera l’invito, dando al verso il suo unico verso.

Compiva quel gesto di offerta tra sé e i pesci da molto tempo, ma quel giorno lo compiva anche per un muratore italiano pieno di Bibbia. Lo compiva perché potessi capire: potevo ben azzardarmi a cambiare la traduzione di un verso sacro, potevo pure avere ragione di farlo e di leggere: “in molti giorni lo ritroverai”, anziché “dopo”, purchè ricordassi che chi aveva letto quel verso altrimenti era stato ugualmente felice della sua lettura e di certo aveva offerto più pane di me. Così un uomo di una città remota, accompagnato da un cane e vicino a un fiume prosciugato, era un verso dell’Antico Testamento, lontano molte mattine, che tornava dopo molti giorni.

Per un gioco delle correnti il pane spezzato si allontanava dal lanciatore in direzione della sponda opposta, verso il mare, seguendo un fiume che non c’era più, secondo il suo verso”.

 “ G r a z i e !!!”

 

Edda CattaniIl “Corpus Domini”
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Festa della Pentecoste

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La discesa dello Spirito Santo,

ovvero della Profezia sulla Chiesa e sul mondo

Lo stesso giorno in cui la comunità giudaica celebrava il dono della Legge data da Dio a Mosé sul Sinai, in quella cristiana scendeva lo Spirito. Quel che guiderà i suoi passi non sarà più una legge esterna all’uomo, ma lo Spirito, forza di Dio che è intima all’uomo. Da quel momento il credente non sarà più colui che obbedisce a Dio osservando la sua Legge, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo.(P.A.Maggi)

A tutti buona Pentecoste!

 


At 2,1-11; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20

Non so quanti sanno che la Pentecoste, chiamata anche “festa delle settimane”, era una festa che gli ebrei celebravano nel bel mezzo del raccolto del frumento e come ringraziamento alla fine del raccolto dell’orzo. In alcuni ambienti giudaici, la Pentecoste (parola che deriva dal greco e significa “cinquantesimo giorno” dopo la festa dei pani azzimi, ovvero la Pasqua) assunse il significato di commemorazione dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, avvenuta sul monte Sinai cinquanta giorni dopo l’uscita dall’Egitto.
Questo l’ho detto per farvi capire che il cristianesimo non ha eliminato di per sé ogni festa ebraica, ma ha dato ad essa un nuovo contenuto. Pensate alla Pasqua. Cristo ha scelto di morire proprio durante le festività pasquali ebraiche. Ha istituito l’Eucaristia nel mezzo della cena pasquale, seguendo per un verso il rito ebraico ma nello stesso tempo innestandovi la Novità della sua presenza sotto il segno del pane e del vino, raffiguranti il dono della sua vita nella morte che sarebbe avvenuta pochi giorni dopo. Non dico oltre perché entrerei in un mistero che non voglio banalizzare in due parole.
Comunque, una cosa deve risultare chiara. Il cristianesimo è in un certo senso in linea con l’Antico Testamento o, meglio, diciamo che è in linea con la migliore tradizione profetica. Parlare, dunque, della Pentecoste non è possibile senza tener conto di questa tradizione profetica. Già i profeti avevano parlato dello Spirito santo, naturalmente senza avere idee chiare, che saranno poi possibili con la venuta di Cristo. Il bello della profezia, ancora oggi, sta nel suo segreto che si rivela a poco a poco, a mano a mano si offrono le occasioni, e le occasioni bisogna anche favorirle. Se non altro, approfittarne quando si verificano.
I profeti parlavano in nome di Dio, e ci credevano pur ignorando i tempi di realizzazione della profezia che annunciavano e ignorandone addirittura la Novità. Con la venuta di Cristo tutto sarà più chiaro, anche se i più dotti del tempo e il popolino non avevano capito che le profezie si stavano realizzando. Ma neppure i cristiani capiranno in pienezza il messaggio di Cristo. La profezia è così: si realizza e rimane profezia, i suoi tempi non sono limitati, ma duraturi. Anzi, più la profezia è strepitosa, e meno si esaurisce nel tempo. Ho l’impressione che la Chiesa cerchi di bloccare la profezia e di fermarla nel tempo. E così ferma la Storia di Dio. I profeti fanno paura proprio perché annunciano cose che non si realizzano in toto nel tempo presente, così da poterle afferrare e chiudere in uno schema dottrinale. Si realizzano solo in parte; la profezia va oltre il presente, tende e spinge verso il futuro. Il presente per la profezia è dinamico, non statico. Si muove in continuazione in avanti. Progredisce. In meglio. Ecco la Profezia. A differenza della cultura dell’avere che vorrebbe darti più cose, subito, oggi. lludendoti di darti una felicità oltre l’oggi. Le cose si consumano, e consumano il presente, chiudendo la possibilità di un futuro.
Un discorso che mi piacerebbe continuare, ma leggo sul volto di qualcuno l’obiezione: che c’entra tutto questo con la Pentecoste?
Vorrei rispondere: secondo voi chi è lo Spirito santo? A parte il fatto che ancora oggi è uno sconosciuto, riscoperto solo da alcuni Movimenti ecclesiali (pensate al Rinnovamento nello Spirito) ma per farne una giustificazione direi misticoide per il loro estraniarsi da questo mondo. Lo Spirito santo al contrario non solo ci lascia realisti, con i piedi per terra, ma ci fa cogliere il cuore di ogni problema esistenziale, ci permette cioè di vivere intensamente su questa terra, in quanto esseri umani indivisibili. Indivisibili come esseri umani.
Il problema sta nel cogliere e nel vivere l’armonia del nostro io, e di sentirci parte dell’umanità e dell’universo. Uno Spirito che ci divide, da noi stessi e dal Creato e dall’Universo, non è lo Spirito di Dio, o lo Spirito di quel Cristo che si è incarnato proprio per riconciliare, non tanto con Dio (come ci hanno sempre fatto credere), ma con il nostro essere e con l’Universo intero. Il sacramento della riconciliazione, invece che essere ridotto alla Confessione dei peccati individuali, dovrebbe riguardare la fratellanza umana e del creato.
L’errore più grosso sta nel credere che lo Spirito santo divida l’anima dal corpo, per elevare l’anima umiliando il corpo. Così pure, l’errore sta nel credere che lo Spirito ci faccia vivere in un regno separato da questo mondo. Non parliamo poi della nostra totale o quasi indifferenza al fatto che siamo parte dell’Universo. Proprio perché viviamo su questa terra, a contatto con i problemi reali, è preziosa la presenza dello Spirito santo. Siamo bravi nell’usare espressioni come Spirito di libertà, Spirito di verità, Spirito di fratellanza, Spirito di unità ecc., e poi, appena siamo chiamati a dare verità, libertà, fratellanza a questo nostro mondo, allora lo Spirito evapora, si dissolve, svanisce nei nostri sogni ultraterreni.
Pensiamo solo allo Spirito di libertà. Che significa libertà? Anzitutto non c’è libertà senza liberazione. La libertà richiede spazi aperti, sgombri da ogni pregiudizio, da ogni chiusura, da ogni schematizzazione della verità. Liberazione anche dalla paura che blocca il processo di liberazione. Lo Spirito santo – l’ha detto Cristo – non sai da dove viene, dove va, dove cammina, dove si posa: non sopporta alcun freno, alcuna inibizione, non vuole spazi ristretti, calcoli, misure, compromessi.
Belle parole! Sì, belle parole, che leggiamo anche sui libri più cattolici. In realtà noi abbiamo paura dello Spirito Santo. Per questo facciamo finta che non esista o, se ne parliamo, stiamo attenti alla punteggiatura. Ogni tanto sentiamo il bisogno di una nuova Pentecoste. Sogniamo un altro Concilio. E poi? Tutto come prima, peggio di prima. Dopo anni e anni dall’ultimo Concilio che sembrava una grande ventata di freschezza evangelica, ora siamo ancora qui a soffocare in una Chiesa che si è ripreso tutto ciò che lo Spirito aveva spazzato via.

 Dal sito dongiorgio.it

I doni dello Spirito Santo sono regali

che Dio ci fa per affinarci di più a sé.

Troviamo questi doni enumerati nel Libro del profeta Isaia al capitolo 11 dove parlando del Messia che verrà il profeta dice che sarà ricoperto dello Spirito del Signore che è spirito di Sapienza ecc…

È interessante notare che nell’originale ebraico erano nominati solo sei doni, mancava la pietà, quando invece è stata preparata la versione greca chiamata dei 70 (circa un secolo prima di Cristo), essi introdussero anche la pietà perché nella lingua greca il termine timore di Dio non rendeva la pienezza di significati del corrispondente ebraico.

I 7 doni ci sono dati perché nello Spirito Santo portiamo frutti, noi che ora siamo innestati nella vite vera. I frutti dello Spirito santo li conosciamo da Galati 5,22-23.

Nella sequenza allo Spirito Santo diciamo: “Senza il tuo spirito non c’è nulla nell’uomo senza colpa”. Il Signore vuole darci questi doni ma tocca a noi aprirci. Nel Vangelo secondo Giovanni (7,37) è scritto: “Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno. E diceva questo riferendosi allo Spirito Santo”. Abbiamo dunque la certezza di questi doni.

 Il dono della Sapienza

È l’esperienza gioiosa delle realtà soprannaturali. Ci da una conoscenza di Dio che non passa dalla conoscenza delle cose ma dalla condivisione della sua stessa vita. È fondamentale nella vita Cristiana, Risponde alle nostre esigenze di felicità. In Sapienza 8 abbiamo la sposa che offre tutte le gioie dell’intimità con Dio. È la gioia degli Apostoli dopo la Pentecoste. È l’anticipazione del Paradiso.

Sapienza 7,24-27: “Lei penetra in tutte le cose in virtù della sua purezza. È un aura del Dio potente e una pura effusione della gloria dell’Altissimo. Lei può tutto e rinnova tutto mentre lei rimane intatta. Passando in anime sante di ogni età produce amici di Dio e profeti”.

Sapienza 9,10: “Mandami la tua sapienza che sia con me e lavori con me perché io conosca ciò che piace a te”.

Matteo 5,13-16: “Voi siete il sale della terra e la luce del mondo. La vostra luce deve risplendere di fronte agli altri, essi devono vedere le vostre opere buone e rendere gloria al Padre dei cieli”.

La gente si sente attratta dal “Sapiente” perché sa che non è solo conoscenza quella che riceve ma stile di vita, capacità di approfondire le cose, provocazione ai valori veri della vita. Il sapiente capisce l’animo, le attese le speranze di chi gli sta di fronte.

Il sapiente non si allinea alle mode ma sa andare contro corrente e provocare la massa.

Un ragazzo ha visto una ragazza cento volte, ed essa era una delle tante, bruttina e noiosa. Ad un certo punto si innamora di essa e vede tutto in modo diverso, gode di averla vicina, tutto l’affascina in lei, cerca tutti i modi per stare con lei. Questo è l’effetto della fede in noi quando è arricchita dalla sapienza. Da questa nuova esperienza di Dio scaturisce anche un modo nuovo di vedere e valutare la vita e le cose. L’anima vede le cose con gli occhi di Dio e le valuta come le valuta Dio.

Frutto della sapienza è la contemplazione.

 Preghiamo: Donaci, Signore, lo Spirito di Sapienza, per contemplare le meraviglie del tuo amore, per riconoscerti nel creato, nel cosmo, nelle persone, in ogni essere vivente. Concedici di adorarti, come Maria, la Madre di Gesù, in Spirito e Verità. Amen. Alleluia.

 Il dono dell’intelletto

È la risposta al bisogno di conoscenza e verità. Ci fa comprendere in maniera chiara quello che la luce della fede ci fa comprendere in maniera crepuscolare. Nell’ultima cena Gesù dice: “Vi ho detto queste cose ma il Padre vi manderà lo Spirito Santo che vi insegnerà ogni cosa”. È indispensabile nell’Evangelizzazione e nella catechesi, sia per chi parla che per chi ascolta. Fa capire in profondità la Parola di Dio e fa gustare la bellezza delle realtà rivelate.

Salmo 119,104: “Attraverso i tuoi precetti io guadagno l’intelletto per cui odio le vie false”.

Pensate a tutti i dogmi della fede. “Ti ringrazio Padre perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”.

Il dono dell’intelletto coinvolge non solo la mente ma anche il cuore, la volontà, la passione, e persino l’azione.

Per gli antichi Ebrei della Bibbia, sede dell’Intelletto non è il cervello ma il cuore perché la conoscenza che si raggiunge col cuore è più profonda di quella fredda del cervello.

Non è puro calcolo, ma adesione. Intelletto, da intus legere. Chi conosce con l’intelletto non si ferma all’esteriorità e al momento ma sa cogliere le conseguenze delle cose e accettarle. L’intelletto è strettamente legato alla fortezza che gli darà la capacità di portare avanti le scelte.

Altra caratteristica dell’intelletto è quella di saper fare unità tra i diversi aspetti della fede.

Chi vive di intelletto sa che la vita è sempre un misto di vittorie e sconfitte, gioie e dolori. Si arriva a capire il modo di agire di Dio che è diverso dal nostro.

È un dono indispensabile quando si legge la Bibbia. Frutto dell’intelletto è la profezia.

 Preghiamo: Donaci, o Padre, il dono dell’intelletto, per scrutare il tuo Mistero, per essere profeti di verità in questo nostro tempo così difficile. Fa’ che le nostre menti e i nostri cuori si aprano alla conoscenza del tuo amore. Amen. Alleluia. 

 Il dono del Consiglio

Offre un discernimento intuitivo e sicuro nelle scelte che facciamo per conoscere la volontà di Dio. Pensate alla scelta vocazionale. Accresce la virtù della Prudenza. Fa sì che le nostre azioni siano degne di Dio; ci fa agire sempre per la gloria di Dio.

Matteo 6,25-34: “Quando pregate non fate come i pagani… quando digiunate … quando fate l’elemosina …”; “Guardate i Gigli del campo e gli uccelli del cielo”.

Qui si va al di là delle scelte legate solo ai doveri morali. Di per sé non si tratta di scegliere di seguire delle regole, quello è scontato. Non si tratta di scegliere tra un bene e un male, quello è scontato. Si tratta di scelte più impegnative che ci avvicinano a Dio.

Però è anche vero che al giorno d’oggi sorgono molteplici problematiche nuove per le quali non è più sufficiente applicare le regole vecchie alla lettera. Ad esempio tutte le problematiche dell’etica medica e scientifica.

Inoltre oggi è sempre più forte la problematica innalzata dall’incontro della società occidentale sempre più in crisi di valori religiosi e le culture diverse, per cui anche i valori tradizionali sembrano perdere o cambiare significato. Cosa vuol dire libertà, rispetto della vita, famiglia, ecc.? Fino a che punto il pluralismo è valore e non confusione? Dobbiamo ripartire da Babele per arrivare alla Pentecoste dove la diversità delle lingue scaturisce dall’unità dello Spirito.

Naturalmente, fondamento del consiglio è l’esperienza e siccome qui si parla di consiglio come dono di Dio è necessario far esperienza di Dio sia nella preghiera che nella coerenza di vita. Primo dovere di ogni consigliere è pregare.

Frutto del consiglio è soprattutto la riscoperta della propria vocazione e di quella degli altri: il così detto discernimento spirituale.

 Preghiamo: Abbiamo, bisogno, o Padre, del dono del Consiglio: per fare esperienza di te, per aiutare gli altri nel discernimento, per interpretare i fatti della nostra storia, per essere coerenti nella vita. Liberaci dalla confusione, dai pensieri sbagliati, dalle suggestioni del male. Donaci, o Padre, lo Spirito di Consiglio: per confortare, per illuminare, per esortare. Amen. Alleluia.

 Il dono della Fortezza

La Fortezza ci abilita a sopportare fatiche e sofferenze ma anche ad affrontare tentazioni e difficoltà. È lo spirito dei martiri, di coloro che sono ammalati da tempo e offrono queste sofferenze. Solo un amore grande riesce a superare tutte le difficoltà. “Non ci spaventino le prove o i dolori, a chi ama, Dio moltiplica i dolori. È dai dolori più grandi che sorgono le gioie più grandi”. “Vivere, palpitare, morire ai piedi della croce o in cima alla croce”. “Non domandiamo a Cristo che ci liberi dalle croci, sarebbe la nostra rovina, domandiamo che ce le aumenti, e ci dia la capacità di portarle con gioia con lui”.

Siracide 2,1: “Quando vieni a servire il Signore preparati per le prove. Sii retto di cuore e forte, non ti smarrire nel tempo dell’avversità”.

Salmo 46: “Dio è per noi rifugio e forza, aiuto sempre vicino nelle angosce”.

Matteo 10,16-33: “Vi mando come pecore in mezzo ai lupi. … Non preoccupatevi di cosa e come dovete dire, vi sarà suggerito in quel momento. Non sarete infatti voi a parlare ma lo Spirito del Padre”.

La troviamo sia tra le virtù cardinali che tra i doni dello Sp. S. Alla virtù si riferisce l’azione decisa della persona, al dono si riferisce la capacità di farsi guidare e plasmare dallo Spirito Santo nonostante le difficoltà. Il dono è quindi la completezza della virtù stessa.

Si ha di fronte il bene, con l’intelletto e il consiglio si sono fatte le scelte, ora si tratta di portarle a termine, di essere fedeli.

Si esprime più nella fedeltà del quotidiano anche se può arrivare alla grandezza del martirio.

È necessaria contro lo scoraggiamento, le tentazioni, l’egoismo, ma è necessaria anche nel cammino spirituale di santificazione, ne sono prova le così dette notti oscure attraverso le quali passarono i grandi mistici.

Frutto della fortezza è la gioia interiore.

 Preghiamo: Donaci, o Padre, lo Spirito di Fortezza, per vincere le suggestioni del male, per essere testimoni coraggiosi del Vangelo in un mondo che cambia e si allontana sempre più da te, dalla Verità, dalla Vita. Donaci la Fortezza, Signore, per non assimilarci alla mentalità di questo secolo, per rigettare ogni messaggio di morte (la vendetta, la guerra, l’eutanasia, l’aborto), per sopportare con fiducia e speranza le nostre sofferenze e infermità, le tribolazioni e le fatiche di ogni giorno. Amen. Alleluia.

 Il dono della Scienza

Dell’intelletto abbiamo detto che ci fa intuire le verità, la scienza ci da la capacità di vedere le cose come le vede Dio. Fa sì che possiamo vedere sempre tutte le creature con gli occhi della fede. Fa percepire con sensibilità viva la presenza del Creatore nelle creature e la presenza di Gesù in tutti gli uomini. È alla base della santità perché ci pone sempre alla presenza del Signore.

Salmo 49: “L’uomo nella prosperità non comprende è come gli animali che periscono. … Ma Dio potrà riscattarmi, mi strapperà dalla mano della morte. Se vedi un uomo arricchirsi non temere, se aumenta la gloria della sua casa. Quando muore con sé non porta nulla”.

Marco 12,38-40: “Guardatevi dagli scribi che amano passeggiare …”.

Marco 12,41-44: “L’obolo della vedova”.

Qui si rivolge il sapere umano che il dono della scienza sa cogliere e porre all’interno della scala di valori di Dio.

È capacità di conoscere e capire le cose e di usarle per il bene, per incamminarsi verso Dio. È un sapere che non può essere appreso solo sui libri ma diventa affinità con la materia, diventa vita.

In una cultura sempre più laica e atea che vuol escludere Dio perché di lui non ci sono prove scientifiche, la scienza si rilancia come strumento di cammino verso Dio, dando la capacità alla conoscenza umana di fare il salto verso l’assoluto e accettare quello che non possiamo comprendere. È quindi strettamente collegata con la Fede. Fa capire la limitatezza del sapere umano. È il dono dei filosofi cristiani, ma, più in generale di tutte le scuole cristiane.

Frutti della scienza sono ammirazione, stupore e riflessione.

 Preghiamo: Donaci Signore la Scienza: per vedere le cose come le vedi tu, per contemplarti in noi stessi, in ogni uomo e donna creati a tua immagine e somiglianza, per lodarti in eterno, per rendere ragione della speranza che è in noi. E, in modo più semplice, per alimentare lo stupore della vita, la nostra capacità di riflessione, di ragionamento. Donaci la Scienza, o Padre, per ritrovarti in tutte le cose che hai creato: perché anche la ragione ci porta a te e non solo la fede. Donaci la vera Scienza per comprendere che il mondo si salverà non con le scoperte scientifiche, né con i progressi della tecnica, ma con l’amore che viene da te. Amen. Alleluia. 

 Il dono della Pietà

La pietà ci fa sperimentare la tenerezza del Padre e ci fa sentire figli prediletti. “Come un bimbo sereno in braccio alla madre”. Ci da il senso della Divina Provvidenza, che riconosce che siamo figli di Dio e che lui provvede a tutto. “Il Signore non turba mai la pace dei suoi Figli se non per darne una maggiore” (Don Orione). È la forza del pentimento dei peccati. È l’amore dei figli verso il Padre. Esempio è Enea che fugge da Troia portando in spalle il padre.

Osea 11,3-4: “Gli ho insegnato a camminare, l’ho tirato su fino alla mia guancia e mi sono chinato su di lui per dargli il mio cibo”.

Galati 4,6: “È lui che ci sussurra di dire Padre”.

Lo spirito di pietà ci introduce nell’intimità della famiglia trinitaria.

Sapienza 12,20-22: “Se hai punito con riguardo e indulgenza i nemici dei tuoi figli concedendo loro tempo di ravvedersi, con quanta più attenzione lo fai coi figli della promessa? Mentre dunque ci correggi colpisci i nemici perché riflettiamo e speriamo nella tua misericordia”.

È un dono che coinvolge volontà, azione, sentimenti delle persone. È una sensibilità del cuore, di quel cuore di carne che Dio ha messo al posto del cuore di pietra. Diventa così importante perché prepara il terreno per tutti gli altri doni. È cuore capace di ascoltare la parola del Signore e far sì che diventi impulso per le azioni.

Insegna a desiderare come Dio desidera. L’uomo diventa figlio di Dio e impara a dire con confidenza e umiltà: Abbà, Padre.

Da questo cuore convertito che si slancia verso Dio nasce la preghiera.

Questo rapporto con Dio ha conseguenza anche sul nostro rapporto con gli uomini. Ci fa sentire vicini agli altri, fratelli. Sensibili, senza sentirsi migliori perché la pietà porta sempre con sé l’umiltà.

Frutti della pietà sono la preghiera e la solidarietà.

 Preghiamo: Donaci, o Padre, la Pietà. Per essere teneri come te, per donare il tuo amore al mondo. Fa’ che la nostra fede sia accompagnata dalla tenerezza, dalla dolcezza delle tue parole. Perché con umiltà e mansuetudine sappiamo annunciare il tuo regno di pace infinita agli uomini afflitti e stanchi, a coloro che sono senza amore, privi della tua gioia. Amen. Alleluia.

 Il dono del Timore

Il Timore di Dio non è paura, ma il riconoscere la santità e la trascendenza, la maestà di Dio. È il santo che cantiamo ogni giorno a Messa (Is 6,1). Rende vivo il valore di Dio nella nostra vita, ci fa coscienti della sua presenza e ci fa dispiacere di far qualcosa contro di Lui. Adorazione, lode, ringraziamento partono da qui.

Siracide 1,9-18: “Il timore del Signore è gloria e vanto. … Per chi teme Dio andrà bene alla fine. … Principio della sapienza è il timore del Signore. Pienezza della sapienza è il Timore del Signore. Corona della sapienza è il timore del Signore. Radice della sapienza è il timore del Signore.”

Salmo 25: “Chi è l’uomo che teme Dio? Gli indica il cammino da seguire. Il Signore si rivela a chi lo teme, gli fa conoscere la sua alleanza. Vedi la mia miseria e la mia pena e perdona tutti i miei peccati”.

Matteo 24: “Essere pronti per la venuta del Signore”.

Non è la paura e non è neanche in contrasto con l’amore. Esso è prima di tutto rispetto, riconoscimento della sua grandezza, fiducia nella sua giustizia.

È il monito profetico che ci invita fortemente a non fare compromessi col male. Con la giustizia di Dio non si scherza.

È un riconoscere che i suoi pensieri non sono i nostri pensieri, le sue vie non sono le nostre vie.

In continuazione, l’Antico Testamento ci invita a temere Dio. È però un riconoscerlo Padre. È timore filiale intriso di affetto, è più un non voler rattristarlo col nostro comportamento sbagliato che non un temerne il castigo.

Frutto del Timore del Signore è la coerenza.

 Preghiamo: Donaci, Signore, il santo Timore: per mettere Te al primo posto nella nostra vita, per riconoscere che i tuoi pensieri non sono i nostri; per camminare secondo le tue vie, per mettere in pratica i tuoi comandamenti. Per vegliare sempre, sino al giorno della tua venuta. Per ricordare al mondo che tu sei il Salvatore. Amen. Alleluia

Padre Edoardo Scognamiglio (Provinciale dei Frati Minori Conventuali e teologo )

Ofm Conv. CONVENTO SAN FRANCESCO

Via san Francesco, 117 – 81024 Maddaloni (Ce)


Edda CattaniFesta della Pentecoste
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