Edda Cattani

Vivere il morire

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 VIVERE IL MORIRE

 

 

Don Sergio Messina

Sacerdote dal 1973, per più di trenta anni è stato assistente religioso ospedaliero nella diocesi di Torino. Venuto a contatto con le problematiche che riguardano la sofferenza umana, la fine della vita e l'accompagnamento dei morenti.

 

Perché temiamo ciò che non conosciamo?

Temere la morte non è che credere di essere saggi senza esserlo, di sapere ciò che non si sa. Infatti, nessuno sa che cosa sia la morte, se per l'uomo il più grande dei beni, eppure tutti la temono come se fossero sicuri che essa è il più grande dei mali. E non è forse la più riprovevole ignoranza, questa, di credere di sapere ciò che non si sa. E in questo, forse, ateniesi, io mi sento diverso dagli altri; e se dovessi credere di essere più sapiente di qualche altro sarebbe per il fatto che, non conoscendo nulla dell'aldilà, non presumo di saperlo. (1)

Perché temiamo ciò che non conosciamo? Mi faccio tante volte questa domanda girando tra i letti d'ospedale dove da diciotto anni passo la maggior parte del mio tempo. Spesso incontro persone che non hanno paura di parlare dell'aldilà perché hanno letto dei libri e si sono fatti una cultura che li aiuta ad affrontare queste realtà ultime con un certo distacco. E così sento esprimere sensazioni provate a leggere certe riviste specializzate oppure seguo le divagazioni di chi, parlando di queste cose, fa uno zibaldone di ricordi familiari legati a riti o credenze religiose, di spezzoni di film sui fantasmi o sugli zombi e di goliardici racconti di interrogazioni sui miti dell'Antico Egitto o sulla Divina Commedia.
Soprattutto però mi pare di captare quasi sempre una richiesta implicita. "Va bene – mi sembra che dicano i miei interlocutori – giochiamo pure a parlare del dopo, tanto tutte le opinioni sono 'vere', come lo è altrettanto il loro contrario. Ma per favore, non tocchiamo l'argomento morte".
Oggi siamo qui invece per toccare questo argomento che noi, come i contemporanei di Socrate, "per riprovevole ignoranza, pensiamo di sapere".
Pensiamo di conoscerlo, di tenerlo in pugno, ma in realtà lo aborriamo, non vogliamo sentirne parlare e di fatto lo etichettiamo, lo banalizziamo, lo svuotiamo del suo profondo significato. Non conoscendolo, diamo per scontato che "sia il più grande dei mali" e così togliamo alla nostra vita una delle sue esperienze fondamentali, cioè lo espropriamo alla nostra vita.
Sarebbe vita la nostra se ci espropriassero la libertà, la possibilità di autonomia, il bisogno di dare e ricevere affetto? Non sarebbero criminali coloro che ci impedissero di esercitare queste nostre "esperienze umane fondamentali", solo perché sono dolorose e difficili?
Allora perché fin da piccoli non veniamo messi nell'occasione di "conoscere questa esperienza vitale" e chi ci educa dà per scontato che è certamente meglio lasciare al silenzio e al destino l'incontro con la morte e i morenti?
Attorno a me vedo tanto interesse per ciò che va al di là della nostra comprensione e di cui possiamo solo tacere. Tanto interesse per parole vuote e alienanti. Mi pare davvero perdita di tempo approfondire questioni che sono sottratte alla nostra reale possibilità di comprendere, di possedere pienamente, essendo per loro natura inesprimibili. Mentre il tempo guadagnato è il tempo dato a guardare in faccia la realtà e soprattutto il tempo dato a fare chiarezza dentro di sé per scandagliare e interrogarsi. Per confrontare i diversi modi di agire che la antropologia ci permette di conoscere e per utilizzare le esperienze di vita di chi ci ha preceduto per affrontare con successo le situazioni difficili dell'oggi.
Non è alienazione preoccuparsi di cosa faremo nell'aldilà, mentre così poco interesse viene dato ad accompagnare chi, nell'al di qua, sta progettando un viaggio (cioè il proprio morire) senza bussola e senza "nutrimento"?

Tragicità e assurdità

Faccio una premessa doverosa e indispensabile. La realtà del morire resta e resterà sempre realtà che mette a nudo i nodi irrisolti della nostra vita. Questo, a mio parere, è la sua tragicità e la sua assurdità.
Una tragicità che nasce dal fatto che esplodono tutte insieme le contraddizioni che non si sono volute risolvere nella propria esistenza. O non si è potuto, per educazione familiare e religiosa, ad esempio. O per troppa paura, per limiti caratteriali.
Se infatti non si è stati capaci di metabolizzare correttamente i segni della vita, che sempre ci parlano di inizio e di termine, di crescita e di perdita, di nascita e di morte, diventa certamente tragico affrontare in modo affrettato e sofferto tutta una serie di problematiche che si sarebbero dovute interpretare a tempo debito, confrontandosi, ad esempio, con il pensiero e la prassi di qualche 'maestro' del morire oppure impegnandosi a individuare per tempo, quando il morire sembra ancora tanto lontano, compagni di strada che siano per noi sostegno sincero e solido e non ci lascino soli al nostro destino.
Se non siamo mai riusciti a passare serenamente del tempo accanto a un morente, se non abbiamo mai veramente accompagnato chi lascia la vita e non abbiamo mai voluto pensare all'importanza e al dovere di instaurare con lui comunicazioni fondate sulla sincerità, 'penseremo' inevitabilmente al nostro morire come a una lunga serie di mesi di tragedia, ritmati dalla sofferenza e dalla solitudine, dall'angoscia e dalla incomunicabilità.
E la paura inquinerà la nostra vita perché tenteremo sempre di rimuovere questo pensiero. E non è già una tragedia questo? Quando poi verrà il momento di vivere ciò che per tanto tempo abbiamo paventato, come farà a non esplodere l'angoscia? Perché dovremo dare risposta adeguata a domande che abbiamo accantonato, a problemi che ora dobbiamo guardare in faccia, dobbiamo gestire. E coi quali dobbiamo necessariamente imparare a convivere. Forse viviamo nella speranza o pretendiamo che alla fine arrivi un deus ex machina che ci tolga il fardello del morire. Ma ciò significa comportarsi da irresponsabili. Una irresponsabilità che coltiva tragedie e sfocia in tragedie.

Una assurdità perché il peso da portare alla fine della vita è certamente eccessivo. Pensiamo alla sofferenza che non sempre riesce a tenere sotto controllo e che soprattutto in Italia non viene combattuta dalla classe medica con tutte le risorse disponibili. Pensiamo al disfacimento di tutta una serie di realtà che fanno perdere al morente, a volte in brevissimo tempo, ruoli e identità lentamente costruite nel tempo. Pensiamo alla delega quasi sempre totale che colui che si sente morire deve dare a apparati sanitari, familiari, istituzionali, religiosi che spesso non brillano per 'scienza e coscienza'. Gli 'apparati' tendono a nascondere le problematiche legate alla fine della vita e si adeguano facilmente al ruolo di spettatori dell'evento-morte e del resto l'amore dei parenti, la competenza degli operatori, l'impegno dei volontari, la disponibilità dei religiosi di fatto risponde spesso in modo assai poco adeguato ai reali bisogni dei morenti. Forse perché non si può dare ciò che non si è o che non si è riusciti a diventare. Chi non ha fatto i conti con il proprio vivere a termine, chi ha omesso di rispondere alle domande che l'ineluttabilità della morte pone, chi ha tralasciato di dare tempo alla riflessione, al dibattito su questi argomenti non può che ritrarsi spaventato davanti al pensiero della morte e davanti al morire concreto di un uomo, perché sarà uno sperare ancora una volta di essere esonerato dal cominciare a vivere il proprio morire. E tutto questo da una parte rende assurdo il vivere che è continua apprensione per la catastrofe che può accadere travolgendoci improvvisamente e lasciandoci in balia del nostro nulla e delle nostre paure irrisolte e dall'altra renderà ai morenti ancora più assurda l'esperienza che stanno vivendo nella solitudine e nell'abbandono.


Il Paese delle Lacrime è così misterioso (Saint-Exupery)

Saint-Exupery esprime la difficoltà che il Piccolo Principe ha nell'entrare nel Paese delle Lacrime "Non sapevo bene cosa dirgli. Mi sentivo maldestro. Non sapevo come toccarlo, come raggiungerlo" (2). Sì, il Paese delle Lacrime è dolorosamente misterioso perché mette a nudo chi siamo e dove andiamo con realistica brutalità. Che infrange in mille pezzi il nostro narcisismo e la nostra presunzione. Che radica il nostro esistere nell'impotenza e nella vanità, secondo la felice espressione del Qoelet (3).
Nessuno questo lo dimentica. Il morire sarà sempre accompagnato dallo strappo degli affetti, dei progetti e delle speranze. Sarà sempre doloroso, sempre alternativo alla nostra mania di onnipotenza che non vorrebbe mai lasciare ciò su cui abbiamo costruito la nostra storia personale e relazionale, ciò che abbiamo conquistato, ciò per cui abbiamo faticato. Sarà sempre rompere tutta una serie di legami che noi abbiamo annodato con persone e con cose, con avvenimenti storici e costruzioni mentali che se da una parte ci hanno immerso e legato alla vita dall'altra ci hanno 'assicurato' contro la paura del 'nulla eterno' e hanno rimandato
al 'poi' una presa di coscienza della realtà del nostro 'limite'. Il Paese delle Lacrime è misterioso, ma misterioso non significa impenetrabile, né inaccessibile.

Una Storia vera

E' il 27 gennaio di quest'anno. C'è un signore che mi cerca in portineria. Ha letto il mio libro e ha pensato di contattarmi per narrarmi una storia, una esperienza di vita, un cammino che lo ha portato, dopo una lunga e faticosa escursione, alla cime di una montagna sacra dove ha esperimentato la gioia di toccare l'infinito. Lo ascolto con attenzione. Mi narra di un padre e di una madre morti di cancro, accompagnati nella loro malattia dall'affetto sincero dei figli.
Ricordi segnati dalla certezza di aver seguito con tenera attenzione i genitori morenti, ma anche nel dispiacere di non essere riusciti a trovare nel proprio cuore la forza di riempire di verità i giorni dolorosi e unici del distacco annunciato. Una amarezza che però si tramuta, dopo la morte dei genitori, in un impegno fecondo preso con la sorella più grande di dirsi la verità, nel caso un tumore avesse albergato in futuro nella loro vita.
Dopo quattordici anni l'ospite temuto si presenta e si insedia nell'esistenza della sorella, invitandola alla danza di coloro che ballano nella verità. E allora l'impegno preso anni prima diventa per questo uomo certezza morale di dover abbracciare con sincerità la sorella sussurrando parole non vuote, né mistificatorie. Parole che aiutano l'ammalata a dare un nome preciso a quei dolori, a quei farmaci, a quei silenzi imbarazzati. Parole dure, ma che trasformano i tre mesi della malattia. Essi diventano… giorni riempiti di tutto ciò che è autentico, è vivo, è spirituale. E ora i ricordi di quei tre mesi sono rievocati come segni, come impronte dello Spirito che riesce a scaldare la vita anche nei giorni più gelidi perché la comunicazione sincera è figlia di Dio ed è veicolo del Suo calore d'amore.
A settembre una ecografia rivela che un rene di quest'uomo è invaso dalla stessa malattia. Il tecnico che esegue l'esame se ne rende conto, ma non sa come dirglielo. Tergiversa e non trova nulla di meglio che domandargli a più riprese se ha dei parenti. Lui capisce che la domanda è una implicita richiesta da parte del tecnico di permettergli di giocare con la verità e di affidarla caso mai, solo ai consanguinei. Lui si sente condannato a morte, ma non solo dalla malattia. E decide di non fare lo spettatore. Insiste subito che il giudice gli legga la sentenza e vuole conoscere tutti i dettagli, i passi, le eventualità che lo attendono prima della sua esecuzione. Oggi vuole ascoltare il giudice con lo stesso sofferto coraggio con cui domani guarderà in faccia il carnefice.
Viene operato. L'operazione sembra tramutare la condanna a morte in una condanna all'ergastolo. Domani forse verrà la grazia, più bella perché non attesa.
Sente in questi giorni la necessità di parlare con qualcuno che capisca la sua ricerca, che incoraggi la sua sete di sincerità, che sostenga il suo passo su questo sentiero così poco battuto.
"Mi sento – dice – come un giocatore di calcio che ha visto l'arbitro estrarre il cartellino e ha subito pensato che fosse un cartellino rosso. Era invece un cartellino giallo. Ho ancora un po' da giocare, ma ho preso coscienza che basta una minima infrazione e… non sarò più della partita." Salutandolo e ringraziandolo ho pensato che quest'uomo aveva già vinto la sua partita, perché la morte per lui era diventata solo un avversario con cui giocare nel bellissimo gioco della vita.

Il principio di autonomia

Tutti i discorsi che a mio parere, vengono fatti in questo convegno hanno senso solo se noi crediamo al dovere di vivere il nostro morire. Solo se noi consideriamo il nostro morire un bene intangibile e indisponibile. Un bene cioè che cade sotto il principio fondamentale dell'etica: quello dell'autonomia. Compete essenzialmente a noi la piena e completa decisione su come gestire questa fase della vita. Qualsiasi atteggiamento noi ci proponiamo di tenere al termine dell'esistenza deve essere da noi scelto per tempo e deve essere da noi per tempo comunicato a coloro che noi pensiamo capaci di sostenerci nel nostro 'morire' e disponibili a 'comprendere', a prendere con sé il fardello di accompagnarci fino alla fine. Dobbiamo rassicurarci: non porta male. Serve solo a non essere poi trattati male da coloro che altrimenti vivranno con noi questa esperienza così dolorosa senza punti di riferimento e con poche possibilità di rompere il muro di impenetrabilità che l'angoscia di morte quasi inevitabilmente pone tra viventi e morenti. Non possiamo sperare che le cose prendano da sole una piega favorevole. Non possiamo comportarci da vili. Perché "fatti non foste per vivere come bruti, ma per seguire virtude e conoscenza" (4)
Una virtù e una conoscenza che non può esimerci dal guardare in faccia la propria morte e decidere con quali interlocutori appropriati comunicare e con quali accompagnatori qualificati percorrere questo segmento di esistenza. Qui per me sta la soluzione al nodo più angoscioso, ma anche più nostro della vita. Il primo che deve salvaguardare il principio di autonomia sono io per me. Perché se non lo faccio io, nessuno può a me sostituirsi.
Nella fase terminale basterebbe che ciascuno si impegnasse a essere se stesso e a non delegare a nessuno la propria autonomia per ridimensionare, almeno in parte, tutto un carico di incomprensioni, di sofferenze, di solitudini. Basterebbe assumersi l'impegno di non lasciare alla casualità o al destino questo 'suo pezzo' di vita così importante.
Per vivere il proprio morire però è necessario credere. Perché credere significa fare chiarezza dentro di sé in modo che ciò che deciderò di compiere diventi veramente 'mio', frutto di una riflessione in cui io ho messo in discussione valori e comportamenti. Credere vuol dire scegliere su cosa giocare il vivere e il morire non accettando interferenze esterne e neppure dando deleghe in bianco ad altri. Credere comporta dare tempo alla riflessione, allo studio, all'analisi dei condizionamenti che hanno segnato il nostro percorso formativo e poi imboccare la propria strada senza tentennamenti. Autonomamente senza rancori, senza rimpianti, senza rimorsi. Non perché si è convinti di essere sempre nel giusto tout-court, ma perché ogni scelta fatta con coscienza da me è mia e nessuno mi può espropriare questo compito gravoso ed esaltante. Nessuno potrà mai decidere per noi, a meno che noi non abbiamo delegato coscientemente questa nostra prerogativa. Ma la delega l'ha data la nostra coscienza. Il che significa che siamo stati noi a decidere, cioè abbiamo salvaguardato il principio della autonomia.

Il principio di beneficialità

Nessuno può interferire, senza il nostro permesso, in questo nostro ambito, neanche in nome di una presunta beneficialità. Se il malato stesso non prende in mano il proprio morire correrà il rischio che il suo entourage si sostituirà a lui nelle decisioni che lo riguardano. Sembra infatti che tutti sappiano ciò che è bene per il malato. Sembra che non ci sia bisogno di dibattito etico su questa terra di nessuno, perché tutti paiono aver deciso per tempo quali sono i valori, le scelte da fare, gli atteggiamenti da tenere. Si dà per scontato che il silenzio del malato è la scelta di chi non vuole fare domande, che gli scatti d'ira sono dovuti solo al male fisico e che il non volersi più nutrire è solo causato dalla stanchezza o dalla poca volontà di collaborazione. La famiglia difficilmente ripensa in un'ottica di ascolto ai piccoli segnali inviati dal malato, né si sforza di immedesimarsi nello status di un morente.
Anzi ci si vanta di tenere tutto sotto controllo e di riuscire a interpretare sempre correttamente i bisogni del malato. E' chiaro che se il morente per primo non ha mai espresso opinioni in proposito, significa implicitamente che ha delegato ad altri questo compito. Ma la delega deve essere chiara e precisa, oserei dire firmata e consacrata dalla presenza di testimoni. E non certamente in senso giuridico, ma etico. E' il malato che deve esplicitare cosa lo aiuta a vivere in pienezza, cosa lo conforta, cosa lo assilla. E non è lecito a nessuno dettare legge o peggio dare interpretazioni personali sul senso che il malato ha voluto dare alla sua vita e sul valore delle sue scelte, indirizzandole magari verso mete consacrate dall'uso culturale o religioso. Le interpretazioni personali possono essere molto gratificanti per chi ne fa uso, ma sono certamente fuori dalla verità.
E poi non scegliere molte volte può significare lasciare tante cose incompiute, arruffate, confuse. Pensiamo, per esempio, alla mancanza dei testamenti scritti che chiudono le famiglie in spirali di odio e di ripicche per intere generazioni. Oppure ai sensi di colpa che devastano l'intimo di persone che, ancora a distanza di anni, si domandano che cosa sarebbe stato meglio fare. Perché la fase terminale è momento unico e occasione
irripetibile che non tornerà più, 'talento' da far fruttare se non si vuol vivere da "servo malvagio e infingardo". (5)
Troppo spesso, mi pare, noi tendiamo a giustificare atteggiamenti presi dalle équipes mediche o dai parenti nei confronti dei morenti perché riconosciamo loro una certa buona fede o, tutt'al più, una mancanza di coraggio. La mia esperienza mi porta invece a riconoscere in questi atteggiamenti quasi sempre la paura che attanaglia malati e sani in una spirale di 'morte' che paralizza ogni moto di sincerità in nome di un presunto bene o beneficio dell'altro.
E' il suo bene, si sente dire e tutti accorrono ad abbeverarsi a questo principio, a questa oasi che lenisce la sete di chi da tempo cammina in una landa assolata e desolata. Ma forse ci si potrebbe trovare in un'altra terra, magari rigogliosa e ricca di acque. Basterebbe forse essere riusciti a coinvolgere il malato, a interpretare le sue parole e i suoi silenzi, le sue bestemmie e le sue preghiere. Lo so che non è facile. Non per nulla ho definito "landa assolata e desolata" il tempo dell'accompagnamento dei morenti. Ma forse si possono ipotizzare altri percorsi, altri sussidi, altre comunicazioni.
E ancora una volta il responsabile principale di questa fase deve essere il malato, perché compete a lui, come dovere cui non può eticamente sottrarsi, chiedere rispetto per sé, per le sue paure e le sue speranze, le sue decisioni e le sue aspettative di vita. Ha ben sintetizzato questo pensiero la Kübler-Ross:
"Se quando vai a trovarlo, il paziente ti dice: 'So di avere un cancro. Non uscirò mai più da questo ospedale', allora tu lo sentirai, lo aiuterai, perché ti rende le cose facili. E' lui a dare inizio alla comunicazione a dire pane al pane e vino al vino… I pazienti terminali che sanno parlare chiaro della loro malattia mortale sono quelli che hanno già superato la loro peggior paura, la paura della morte. In realtà sono loro che aiutano te, non il contrario. Sono loro i tuoi terapeuti, sono loro che ti fanno un regalo". (6)
Non è facile guardare in faccia la propria morte. Forse molti non ci riusciranno mai perché non è proprio facile improvvisare al termine della vita atteggiamenti e comportamenti. Ma non possiamo dare per scontato che di questa fase della vita nessuno sia veramente e assolutamente responsabile. Da sempre è stato individuato l'attore principale che può dare senso e significato al lasciare la vita: è il malato che non deve svendere, almeno alla fine, il suo essere persona. Deve decidere, appena ne prende coscienza, e impegnarsi a salvaguardare la capacità di riflettere su se stesso e sul proprio agire, di prendere decisioni autonome e libere, di inventare come essere e come agire nella fase terminale della vita senza aspettarsi dagli altri niente altro che essere ascoltato, accompagnato, supportato, per tutto ciò che è il suo benessere.
Ogni persona, per quanto condizionata da un programma biologico e culturale, infatti ha sempre la possibilità di scegliere, almeno parzialmente ed ha sempre una libertà interiore che lo porta a pronunciare sì o no, a progettare, a decidere autonomamente cosa è giusto e cosa è sbagliato. Perché è l'unica creatura che fa etica.
Fare etica, giocarsi la vita sulla salvaguardia di ciò che abbiamo di più intimo e invendibile: la nostra coscienza. Sensibilizzarsi per tempo per sapere affrontare con umiltà e determinazione la sfida centrale della nostra esistenza. Illuminarsi la strada per decidersi e sapere dove andare, equipaggiarsi per evitare sorprese e proporsi un progetto di vita che valorizzi e giustifichi, definisca i confini e gli orizzonti dei valori e dei comportamenti che identificheranno autonomamente il nostro morire.
Fare etica per non lasciarsi irretire dai falsi profeti che senza chiederci il permesso, si introducono nella nostra visione della vita e della morte per irridere la verità, preoccupati come sono solo delle loro paure. Persino con Francesco d'Assisi, alla fine della vita, per il suo bene, hanno tentato di barare.
"In questi giorni un medico di Arezzo, di nome Bongiovanni, molto amico di Francesco, venne a visitarlo nel palazzo vescovile di Assisi. Il santo lo interrogò. 'Che ti sembra Benvegnate, della mia idropsia?' Il medico rispose: 'Fratello,con l'aiuto del Signore starai meglio'. Francesco insistette: 'Dimmi la verità. Qual è il tuo parere? Non aver paura a dirmelo, poiché con la grazia di Dio non sono un pusillanime che teme la morte; per dono dello Spirito Santo sono così unito al mio Signore da essere ugualmente felice sia di vivere che di morire'.
Allora Bongiovanni parlò senza reticenze: 'Padre, secondo la nostra scienza la tua malattia è evidentemente incurabile. Penso che per la fine di settembre o ai primi di ottobre tu morirai'.
Allora Francesco, steso sul letto, levò le mani verso il Signore con grande fervore e riconoscenza e pieno di gioia d'anima e corpo esclamò: 'Sii la benvenuta, sorella mia Morte'".(7)

La morte non vuole gli stupidi (Cecov)

Un detto sufi che mi è molto caro afferma: "La cosa di cui parliamo non si potrà mai trovare cercandola, eppure, solo coloro che la cercano la trovano". Un detto che esprime la inadeguatezza di tutti i nostri strumenti per infrangere il velo dell'impenetrabile, ma nello stesso tempo lo stimolo a rendere carne e sangue, cioè vivibile, ciò che in ogni caso ci appartiene.
Sì, la morte ci appartiene, come ci appartiene il morire. La morte è vivibile come è vivibile l'accompagnamento al morire dei nostri cari. Basta, l'ho scritto sul manifesto del progetto hospice della nostra associazione, "rompere lo schema che accomuna fase terminale con incomunicabilità e con insincerità e che squalifica a priori tentativi nuovi di rendere tutti più consapevoli e coinvolti nell'accompagnamento dei morenti".
Dobbiamo guardare in faccia la morte, perché essa è parte integrante della vita come la libertà, la sessualità e la ricerca sincera e appassionata di conoscere il volto autentico di Dio. Per fare questo occorre smantellare ciò che ci ingabbia in nome del "si è sempre fatto così" o del "è impossibile" e riuscire così a esprimere le nostre più recondite aspirazioni. Dipende da noi e da quando margine di manovra riusciamo a ritagliarci per vivere appieno e per fare del nostro morire uno strumento essenziale del nostro vivere. Forse dovremmo cominciare a pensare che nei primissimi anni di vita la famiglia, la società e la religione ci passano le loro paure, le loro zone tabù, le loro opzioni che così poco si sposano con la razionalità e la ricerca della verità. E forse allora la nostra vera vita inizia quando cominciamo con coraggio a liberarci di questi fardelli che paralizzano il nostro lento aprirci alla realtà di un'esistenza che è avventura, ricerca e ritrovamento di tesori nascosti per acquistare i quali vale la spesa vendere tutto.
Sarà per questo che Cecov ha scritto che "la morte non vuole gli stupidi". Perché chi rinnega la propria morte vive stupidamente, impoverendo giorno per giorno la sua esistenza. E' stato saggio invece Socrate che di fronte alla sua ingiusta condanna a morte non esprime rancore, ma richiama tutti, anche i suoi stessi carnefici, al dovere di vivere sempre in pienezza. Cioè a guardare in faccia, con atteggiamento etico, la vita e la morte:
"Vi voglio pregare di una cosa: quando i miei figli saranno cresciuti, puniteli, cittadini, stategli dietro come facevo con voi, se vedrete che si preoccupano più delle ricchezze o degli altri beni materiali che delle virtù e se si crederanno di valere qualcosa senza valere poi nulla, rimproverateli, come io rimproveravo voi, per ciò che non curano e che, invece, dovrebbero curare, se credono di essere 'grandi uomini' e poi non sono niente. Se farete questo, io e i miei figli avremo avuto da voi ciò che è giusto. Ma è giunta, ormai, l'ora di andare, io a morire, voi a vivere. Chi di noi vada a miglior sorte, nessuno lo sa tranne dio". (8)

1) Platone, Apologia di Socrate, Garzanti Milano, 1993, pp. 23-24
2) Sain Exupery, Il piccolo principe, Bompiani
3) Qoelet 1,1
4) Dante, La Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI
5) Mt, 5, 14
6) Kübler-Ross, La morte è di vitale importanza, Armenia 1997, p.26
7) Fonti Francescane, Editrici francescane 1987, p.1437
8) Platone, op. cit., p.25

 

Edda CattaniVivere il morire
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“Schindler’s list” Il valore di una vita

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potranno mai le mie parole….

 

di Mario Farinato

 

 

 

"Chiunque salvi una vita salva il mondo intero"

 

Schindler's List  è un film del 1993 diretto da Steven Spielberg, interpretato da Liam Neeson, Ben Kingsley e Ralph Fiennes.

Ispirato al romanzo La lista di Schindler di Thomas Keneally, basato sulla vera storia di Oskar Schindler, permise a Spielberg di raggiungere la definitiva consacrazione tra i grandi registi, vincendo l'Oscar per la "miglior regia" e il "miglior film".

Il film è stato girato interamente in bianco e nero, fatta eccezione per quattro scene: la prima è la scena iniziale, in cui si vedono due candele spegnersi, così come, simbolicamente, la fiammella di altre due candele riacquista colore verso il termine della storia, la seconda e la terza, dove appare una bambina con un cappotto rosso, la prima durante il rastrellamento del ghetto e la seconda durante la riesumazione delle vittime, e l'ultima durante la scena finale. 

 

…ed ecco come Mario Farinato, papà di Lene, ispirandosi al film, da cui trae alcune immagini, vede la morte…

 


 

potranno mai le mie parole esserti d'aiuto.. di carne e ossa il mio corpo si muove in questo universo.. come potrei mai esserti d'aiuto.. stanotte pensavo alla morte.. il sudore e le tediose nuvole che attraversano questi cieli estivi non si aprono al sole di giugno anzi coprono i mie pensieri e li rendono umidi, bagnati.. lacrime o sudore sempre dolore è.. non importa da dove arrivi l'incubo se da lontano o da dietro il letto sempre di incubo si tratta.. si insinua tra le pieghe del mio cuore  e cresce come cancro… poi si ferma… ma sopito attende di rialzarsi.. entra furtivo nei mie sogni, mi spegne le candele e fa buia la stanza.. e con il suo maleodorante olezzo invade il mio sogno fino a svegliarmi.. e pensavo a quanti modi ci sono di morire… a quanta gente muore secondo dopo secondo in questo incontenibile universo, e pensavo a tutte le paure ed i dolori di madri padri e sorelle, amanti mogli e mariti, e quando arriva per mano potente e quando arriva per errore, e per fato o per sfortuna oppure per una risata o un biscotto mal deglutito, per soffocamento, per annegamento, per caduta, per incidente, per lavoro, per paura o per coraggio.. se dovessi dare un volto alla morte la dipingerei bambina… tenera, ingenua, sorridente con un vestito rosso sangue ed un giocattolo in mano.. uno di quei pupazzetti che fanno tenerezza.. ecco la dipingerei cosi.. con occhi grandi e azzurri profondi e ingenui, saltellando da una parte all'altra del mondo, tra guerre e deliri, tra profumi e odori tra piccole nevrosi e grandi manie di potere.. lei passeggia e ruba ingenuamente vite.. le porta via, e chissa dove poi.. e chi resta non capisce.. e ci si chiede come  era solo una bambina che giocava ed ora non è  piu.. e ci si chiede cos'è ora? restano i dubbi, i sensi di colpa, parole vuote nei cieli blu come chiare giornate di primavera, che da vita alla vita  ruba vita alla vita… e nei deserti saturi di gas nervino tra cadaveri e topi che succhiano sangue e uccelli che strappano carni già morte lei gioca.. la morte vola.. cammina con le sue scarpine rosse a chiedersi dove il mio prossimo gioco? dove il mio prossimo bambino da rapire.. e cosi mentre lei cammina noi piangiamo.. ci perdiamo nei nostri piccoli vuoti universi di tristezza , universi fatti di paure, di terrori… ma restano le parole.. e mi chiedo potranno mai le  mie parole capirti o farti capire?.. che fesso che sono.. qualcuno di noi muore dentro.. e come cadaveri attraversano le vie della città.. le nostre paure a volte uccidono i nostri amanti, figli, amici.. le nostre paure dettate da secoli di inquisizione spagnola.. dove il papa ci dice che è peccato gozzovigliare e ci lascia morire di stenti mentre preti e cardinali ingordi mangiano succulenti bocconi di carne fresca di cinghiale e cervo di montagna.. e noi li a bere la loro urina per dissetarci almeno.. aspettiamo che aprano le loro gonne rosse per bere gocce di avanzi… e mentre le nostre paure ci costringono a morie e malattie, lentamente loro godono dei privilegi di una vita votata all'inutilità.. cosi donne impaurite da mariti vogliosi e puzzolenti si fanno violentare nell'anima e nel cervello ogni giorno, figlie impaurite da padri senza spina dorsale si impoveriscono nell'anima e tramandano ai figli dei loro figli le loro usanze e costumi.. e lentamente violenze e ingiustizie si infiltrano come batteri nelle nostre menti per creare altra paura, altre fobie, altre insicurezze e nasce l'incertezza del vivere, ora banche e politici ci dicono che la crisi non è finita, e noi impauriti e senza bussola viaggiamo senza meta in oceani di tristezza e solitudine, altri in barche piu grosse o piccole attraversano gli stessi oceani ma noi non ci fermiamo, e loro non si fermano.. ci teniamo stretti stretti i nostri guai e rimpinziamo di frustrazioni chi ci sta accanto, perchè deve imparare.. imparare cosa poi non lo sappiamo neanche noi, e l'inutile giostra della vita continua a girare tra imperfezioni e oceani neri, tra scatole di metallo e scatole a colori, tra un reality show ed una risata senza felicità ed il nostro rapporto con il tempo ci fa dimenticare che se solo ci fermassimo per un attimo, se solo per un momento ci guardassimo allo specchio, e se stamane invece di andare a lavorare come automi prendessimo i nostri figli e andassimo al mare? Cosa succederebbe al mondo? se stamane invece di piangere tra paure e deliri prendessimo per mano le nostre madri, i nostri amori i nostri vecchi e camminassimo per andare la mare… immaginate l'autostrada piena di gente che cammina mano nella mano, per andare a giocare tra le onde, in un silenzioso e dolce passeggiare.. se solo camminassimo fino al mare, politici preti e banchieri, dittatori aguzzini e briganti, ladri puttane e assassini non avrebbero piu ragione di essere.. perchè non potrebbero rubarci l'amore…potranno mai le mie parole capirti o farti capire……


 

La bambina con il cappotto rosso (dal film di Steven Spielberg)

 

Da FB il commento di F.S. 

"perchè non potrebbero rubarci l'amore…" L'amore, quello che ci fa perdonare, quello che ci sostiene,salva, sempre e comunque, l'unica vera ricchezza che , non si quantifica, nè , come di ci tu si ruba, ma si dona e si riceve… non salvi solo la tua di anima, ma anche quella di chi ti legge… l'amore quello infinito che varca i confini della vita e della morte… L'amore quello che ci fà essere persone migliori, che ci unisce, nonostante diversità o distanze… L'amore, quello con la A maiuscola,che un caro amico del cyberspazio ;),mai conosciuto di persona ti dimostra scrivendo cose meravigliose, quello di cui spesso mi nutro leggendo le tue note, e quello che goffamente cerco di "donarti", con i miei commenti , e messaggi nei momenti per te più bui …l'amore, quello che mi unisce ai tuoi alti e ai tuoi bassi di uomo e padre… l'amore l'unico mezzo di resurrezione per chi è morto dentro… l'amore…. ti voglio bene Pigna grazie

 

Edda Cattani“Schindler’s list” Il valore di una vita
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Credere non credere

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La fede oltre ciò che si vede

 

 

Il 21 gennaio 2009 intervistata a "Otto e mezzo" in onda su "La7", Margherita Hack ha dichiarato:
"Credere che Dio esiste è come credere che esiste la Befana".
Ha ragione.
Infatti Dio esiste e Margherita Hack pure. 

 

      La fede nelle cose che non si vedono

 

     Agostino di Ippona         

 

  Niente di più certo dell’interiore visione dell’animo.
1. 1. Vi sono alcuni i quali ritengono che la religione cristiana debba essere derisa
piuttosto che accettata, perché in essa, anziché mostrare cose che si vedono, si comanda
agli uomini la fede in cose che non si vedono. Dunque, per confutare coloro ai quali
sembra prudente rifiutarsi di credere ciò che non possono vedere, noi, benché non siamo
in grado di mostrare a occhi umani le realtà divine che crediamo, tuttavia dimostriamo alle
menti umane che si devono credere anche quelle cose che non si vedono. E, in primo
luogo, a coloro che la stoltezza ha reso così schiavi degli occhi carnali che giudicano di non
dover credere ciò che con quelli non scorgono, va ricordato quante cose non solo credano
ma anche conoscano, che pure non possono vedere con tali occhi. Già nel nostro animo,
che è di natura invisibile, ce ne sono innumerevoli. Per non parlare di altro, proprio la fede
con la quale crediamo o il pensiero con il quale sappiamo di credere o di non credere
qualcosa, sono totalmente estranei agli sguardi di codesti occhi; eppure che c’è di più
manifesto, di più evidente, di più certo dell’interiore visione dell’animo? Come dunque
possiamo non credere ciò che non vediamo con gli occhi del corpo, quando ci accorgiamo
di credere o di non credere pur non potendo giovarci degli occhi del corpo?
Nessuna disposizione dell’animo si può vedere con gli occhi del corpo.
1. 2. Ma, essi dicono, queste cose che sono nell’animo, poiché le possiamo percepire con
l’animo stesso, non c’è bisogno di conoscerle mediante gli occhi del corpo; quelle, invece,
che ci proponete di credere, non le mostrate all’esterno in modo che le conosciamo
mediante gli occhi del corpo, né sono interiormente, nel nostro animo, in modo che le
vediamo con il pensiero. Questo è quanto dicono: come se si ordinasse a qualcuno di
credere nel caso in cui potesse vedere davanti a sé l’oggetto del credere. Di certo, dunque,
siamo tenuti a credere ad alcune realtà temporali che non vediamo, per meritarci di
vedere anche quelle eterne nelle quali crediamo. Ma, chiunque tu sia , tu che non vuoi
credere se non ciò che vedi, ecco, tu vedi con gli occhi del corpo i corpi presenti e vedi con
l’animo, poiché sono nel tuo animo, le tue volontà e i tuoi pensieri del momento; ora
dimmi, ti prego, la buona disposizione del tuo amico verso di te con quali occhi la vedi?
Nessuna disposizione, infatti, si può vedere con gli occhi del corpo. O vedi forse con il tuo
animo anche ciò che avviene nell’animo altrui? Ma se non lo vedi, come ricambi a tua volta
la benevolenza dell’amico, dal momento che non credi ciò che non sei in grado di vedere?
O, per caso, stai per dire che vedi la disposizione altrui dalle sue opere? Dunque, vedrai i
fatti e sentirai le parole, ma, circa la disposizione dell’amico, tu sarai costretto a credere
ciò che non si può né vedere né sentire. Quella disposizione, infatti, non è né un colore né
una forma che si imponga agli occhi, non è un suono o una melodia che penetri negli
orecchi, e non una tua disposizione, che sia percepita da un moto del tuo cuore. Non ti
resta, pertanto, che credere ciò che non è né visto, né udito, né percepito dentro di te,
affinché la tua vita non rimanga vuota, senza alcuna amicizia, o l’amore che hai ricevuto
non sia, a tua volta, da te ricambiato. Dove è dunque quel che dicevi, e cioè che non devi
credere se non ciò che vedi, all’esterno con il corpo o, all’interno, con il cuore? Ecco, a
partire dal tuo cuore tu credi ad un cuore non tuo, e là dove non drizzi lo sguardo della
carne e della mente, ci destini la fede. Tu, con il tuo corpo, scorgi il volto dell’amico, con il
tuo animo discerni la tua fede: ma la fede dell’amico tu non puoi amarla se, a tua volta,
non hai in te quella fede con la quale credi ciò che in lui non vedi. Sebbene l’uomo possa
anche ingannare col fingere benevolenza o col nascondere la malvagità o, se non ha
intenzione di nuocere, con l’aspettarsi da te qualche vantaggio, tuttavia egli simula perché
manca di amore.

Nelle avversità si prova il vero amico.
1. 3. Ma, secondo quanto dici, tu credi all’amico, del quale non puoi vedere il cuore,
perché lo hai sperimentato nelle tue situazioni difficili e hai conosciuto quale fosse la sua
disposizione d’animo verso di te in occasione dei pericoli in cui non ti ha abbandonato.
Forse dunque, a tuo parere, dobbiamo augurarci delle disgrazie per avere la prova
dell’amore degli amici verso di noi? E nessuno proverà la felicità che proviene da amici
fidatissimi, se non sarà stato infelice per le avversità, ovvero non potrà mai godere

dell’amore collaudato di un altro, se non è stato tormentato dal proprio dolore o timore? E
allora come si può desiderare, e non piuttosto temere, quella felicità che si prova
nell’avere veri amici, quando solo l’infelicità può renderla certa? E tuttavia è indubbio che
si può avere un amico anche nelle prosperità, sebbene è nelle avversità che ne abbiamo la
prova più certa.
Crediamo al cuore degli amici anche prima di metterlo alla prova.
2. 3. Ma, comunque, per metterlo alla prova, tu non ti affideresti alle tue verifiche, se non
credessi. Perciò, siccome tu lo fai per metterlo alla prova, tu credi prima di averne la
prova. Di certo infatti, se non dobbiamo credere alle cose non viste, dal momento che
crediamo ai cuori degli amici anche quando non ne abbiamo ancora prove certe, e dal
momento che, anche quando abbiamo prove – a prezzo dei nostri mali – che sono buoni,
anche allora, piuttosto che vedere, crediamo alla loro benevolenza verso di noi, tutto ciò
accade soltanto perché in noi è così grande la fede che, in maniera del tutto conseguente,
pensiamo di vedere, se si può dire, con i suoi occhi ciò che crediamo. E dobbiamo appunto
credere, proprio perché non possiamo vedere.
Se scomparirà la fede, finirà del tutto l’amicizia.
2. 4. Se questa fede fosse eliminata dalle vicende umane, chi non si avvede di quanto
scompiglio si determinerebbe in esse e di quale orrenda confusione ne seguirebbe? Se non
devo credere a ciò che non vedo, chi infatti sarà riamato da un altro, dal momento che in
se stesso l’amore è invisibile ? Pertanto finirà del tutto l’amicizia, perché essa non consiste
in altro che nell’amore reciproco. Quale amore infatti si potrà ricevere da un altro, se non
si crede affatto che sia stato dato? Con la fine dell’amicizia poi non resteranno saldi
nell’animo né i vincoli matrimoniali né quelli di consanguineità né quelli di parentela,
poiché anche in essi vi è senz’altro un comune modo di sentire basato sull’amicizia. I
coniugi dunque non potranno amarsi a vicenda, quando, non potendo vedere l’amore come
tale, l’uno non crederà di essere amato dall’altro. Essi non desidereranno avere figli,
poiché non credono che saranno da essi ricambiati. E costoro, se nascono e crescono,
ameranno molto di meno i loro genitori, non vedendo nel loro cuore l’amore verso di sé,
dato che è invisibile; naturalmente, però, qualora il credere le cose che non si vedono è
segno di colpevole impudenza e non di lodevole fede. Che dire poi degli altri vincoli
familiari – tra fratelli, tra sorelle, tra generi e suoceri, tra congiunti di qualsivoglia grado di
consanguineità e affinità – se l’amore è incerto e la volontà è sospetta, tanto da parte dei
genitori verso i figli quanto da parte dei figli verso i genitori, e quindi finché la dovuta
benevolenza non è ricambiata, perché non la si ritiene dovuta quando, non vedendola, non
si crede che vi sia nell’altro? D’altra parte, se non è ingenua, è quanto meno odiosa questa
cautela per la quale noi non crediamo di essere amati per il fatto che non vediamo l’amore
di chi ci ama, e pertanto non ricambiamo a nostra volta coloro che non ci riteniamo in
dovere di ricambiare. Fino a tal punto perciò le cose umane sono sconvolte, non credendo
ciò che non vediamo, da essere distrutte fino alle fondamenta, se non crediamo a nessuna
volontà d’uomo, che di certo non possiamo vedere. Tralascio di dire quante cose della
pubblica opinione, della storia ovvero di luoghi in cui non sono mai stati credano coloro che
ci riprendono per il fatto che crediamo ciò che non vediamo, e come essi non dicano " non
crediamo perché non abbiamo visto ". Se dicessero ciò, infatti, sarebbero costretti a
confessare di non avere alcuna certezza sull’identità dei loro genitori, poiché, anche in
questo caso, hanno creduto a quanto altri gli raccontavano, senza peraltro essere capaci di
mostrarglielo perché era ormai passato; e, pur non conservando alcun ricordo del tempo
della loro nascita, tuttavia hanno dato il pieno consenso a coloro che in seguito gliene
hanno parlato. Se così non fosse, inevitabilmente si incorrerebbe in un’irriguardosa
mancanza di rispetto nei confronti dei genitori, nel momento stesso in cui si cerca di
evitare la temerità di credere in quelle cose che non possiamo vedere.
La presenza di indizi chiari ci sprona a credere.
3. 4. Se, dunque, con il non credere ciò che non possiamo vedere crollerà la stessa umana
società, perché verrebbe a mancare la concordia, quanto più è necessario prestare fede
alle realtà divine, sebbene siano realtà che non si vedono? Se non si prestasse loro fede,
non l’amicizia di un uomo qualsiasi ma la stessa suprema religione sarebbe violata, in
modo che ne consegue la somma infelicità.
3. 5. Ma, tu dirai, la benevolenza di un amico nei miei confronti, malgrado non possa
vederla, tuttavia la posso ricercare attraverso molti indizi; voi, invece, non potete
mostrare con nessun indizio le cose che volete che crediamo pur senza averle viste.
Intanto, non è di poco conto che tu concedi che si debbano credere alcune cose, anche se
non si vedono, quando si è in presenza di chiari indizi; già questo, infatti, è sufficiente per
concludere che non ogni cosa che non si vede non deve essere creduta. Ed è così
completamente screditato quel presupposto per cui si dice che non dobbiamo credere le
cose che non vediamo. Però sbagliano di molto quelli che ritengono che noi crediamo in
Cristo senza nessun indizio su di Lui. Quali indizi, infatti, sono più chiari delle cose che ora
constatiamo che sono state predette e si sono realizzate?. Voi, dunque, che escludete
l’esistenza di indizi perché dobbiate credere, relativamente a Cristo, quelle cose che non
avete viste, considerate quelle che vedete. La Chiesa stessa, con parole di materno amore,
vi conforta : " Io, che vedete con meraviglia fruttificare e crescere per tutto il mondo 1, un
tempo non fui quale ora mi ravvisate". Ma, nel tuo seme saranno benedette tutte le genti
2. Quando Dio benediceva Abramo, prometteva me: io infatti mi diffondo fra tutte le genti
nella benedizione di Cristo. Che Cristo è il seme di Abramo 3 lo attesta l’ordine di
successione delle generazioni. Per riassumere in breve, Abramo generò Isacco, Isacco
generò Giacobbe, Giacobbe generò dodici figli, dai quali è scaturito il popolo di Israele.
Giacobbe stesso, anzi, ebbe il nome di Israele. Tra questi dodici figli generò Giuda, da cui
è derivato il nome dei Giudei, fra i quali è nata la Vergine Maria, che partorì il Cristo 4. Ed
ecco, in Cristo, cioè nel seme di Abramo, vedete che sono benedette tutte le genti e ne
restate stupiti; eppure esitate ancora a credere in lui, nel quale piuttosto avreste dovuto
temere di non credere. Mettete in dubbio o rifiutate di credere che una vergine abbia
partorito, quando piuttosto dovreste credere che così si addiceva a Dio di nascere come
uomo? Sappiate, infatti, che anche questo fu predetto mediante il profeta: Ecco una
vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiameranno Emmanuele, che vuol dire " Dio è
con noi " 5. Non metterete, dunque, più in dubbio che una vergine possa partorire, se
volete credere in un Dio che nasce e, senza abbandonare il governo del mondo, viene tra
gli uomini nella carne, e che possa concedere alla madre la fecondità, senza toglierle
l’integrità verginale. Così bisognava che nascesse come uomo, pur restando sempre Dio,
perché nascendo sarebbe divenuto per noi Dio. Per questo il Profeta dice di nuovo di Lui: Il
tuo trono, Dio, dura per sempre; è scettro di rettitudine lo scettro del tuo regno! Tu hai
amato la giustizia e hai detestato l’iniquità; per questo Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con
olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali 6. Questa è l’unzione spirituale con la quale Dio
unse Dio, cioè il Padre il Figlio: donde sappiamo che Cristo prende il nome da crisma, che
significa unzione. Io sono la Chiesa, della quale si parla in quel medesimo salmo,
preannunziando come già avvenuto ciò che doveva avvenire: Stette la regina alla tua
destra, in abiti d’oro, ornata di vari colori 7, cioè nel segno della sapienza, adornata dalla
varietà delle lingue. Ivi mi si dice: Ascolta, o figlia, e guarda, porgi l’orecchio, e dimentica
il tuo popolo e la casa di tuo padre, perché al re piacque la tua bellezza; poiché Egli è il
Signore Dio tuo. A Lui si prostreranno dinanzi le figlie di Tiro con doni, tutti i ricchi del
popolo supplicheranno il tuo volto. Tutta la gloria della figlia del re è all’interno; la avvolge
un vestito dalle frange d’oro dai vari colori. Le vergini, al suo seguito, saranno condotte al
re; a te saranno condotte le sue compagne; saranno condotte in gioia ed esultanza,
saranno condotte nel tempio del re. Al posto dei tuoi padri ti sono nati i figli, li farai capi di
tutta la terra. Si ricorderanno del tuo nome, di generazione in generazione. Perciò i popoli
ti renderanno lode in eterno, nei secoli dei secoli 8.
Adempiute le profezie sulla Chiesa.
3. 6. Se non vedeste questa regina, ormai anche feconda di prole regale; se colei, alla
quale fu detto: Ascolta, o figlia, e guarda, non vedesse realizzata la promessa un tempo
udita; se colei, alla quale fu detto: Dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre, non
avesse abbandonato le antiche consuetudini del mondo; se colei alla quale fu detto: Al re
piacque la tua bellezza, poiché egli è il Signore Dio tuo, non riconoscesse ovunque che
Cristo è Signore; se non vedesse che le città levano preghiere a Cristo ed offrono doni a
Lui, del quale le fu detto: A lui si prostreranno dinanzi le figlie di Tiro con i doni; se anche i
ricchi non deponessero la loro superbia e non supplicassero l’aiuto della Chiesa, a cui fu
detto: Tutti i ricchi del popolo supplicheranno il tuo volto; se non riconoscesse la figlia del
re, al quale le fu comandato di dire: Padre nostro, che sei nei cieli 9; e se colei della quale
fu detto: Tutta la gloria della figlia del re è all’interno, non si rinnovasse di giorno in giorno
nell’intimo 10 attraverso i suoi santi, sebbene colpisca sfavillando anche gli occhi di gente
estranea con la fama dei suoi predicatori, che si esprimono in diverse lingue, paragonabili
alle frange dorate di un vestito dai vari colori; se, dopoché il suo buon profumo l’ha resa
famosa in ogni luogo, giovani vergini non venissero condotte a Cristo per essere
consacrate a Lui, del quale e al quale si dice: Le vergini, al suo seguito saranno condotte al
re, a te saranno condotte le sue compagne; e, affinché non sembrasse che fossero
condotte come prigioniere in un carcere, dice: Saranno condotte in gioia ed esultanza,
saranno condotte nel tempio del re; se essa non desse alla luce figli, dai quali avere come
dei padri, da farli ovunque suoi reggitori, lei alla quale si dice: Al posto dei tuoi padri ti
sono nati i figli, li farai capi di tutta la terra; lei, madre, sovrana e suddita insieme, che
confida nelle loro preghiere, per cui fu aggiunto: Si ricorderanno del tuo nome, di
generazione in generazione; se, per la predicazione di questi padri, nella quale il suo nome
è stato ricordato senza interruzione, moltitudini così grandi non si riunissero in essa e non
rendessero incessantemente lode, ciascuna nella sua lingua, alla gloria di colei alla quale si
dice: Perciò i popoli ti renderanno lode in eterno, nei secoli dei secoli 11.
Le cose che vedete sono state predette molto tempo prima e si sono compiute
con tanta chiarezza. Altrettanto sarà per le cose future.
4. 6. Se queste cose non si rivelassero così evidenti che gli occhi dei nemici non trovano in
quale parte volgersi per evitare di essere colpiti da tale evidenza e di essere da essa
costretti ad ammetterle manifestamente; allora forse a buon diritto potreste dire che non
vi vengono mostrati indizi di sorta, visti i quali possiate credere anche quelle cose che non
vedete. Ma se queste cose che vedete sono state predette molto tempo prima e si sono
compiute con tanta chiarezza; se la verità stessa vi si mostra sia con i suoi effetti
antecedenti sia con quelli che ne sono seguiti, perché crediate quello che non vedete, o
resti dell’infedeltà, vergognatevi per le cose che vedete.
4. 7. Guardate me, vi dice la Chiesa; guardateme, che vedete, ancorché non vogliate
vedere. Coloro, infatti, che in quei tempi, in terra di Giudea, furono fedeli, appresero
direttamente, come realtà presenti, la meravigliosa nascita da una vergine, la passione, la
resurrezione, l’ascensione di Cristo, e tutte le cose divine da Lui dette e fatte. Tutto ciò voi
non l’avete visto; è per questo che vi rifiutate di credere. Guardate dunque queste cose,
prestate attenzione a queste cose, pensate a queste cose che vedete, che non vi sono
narrate come fatti del passato, che non vi sono preannunziate come eventi del futuro, ma
vi sono mostrate come realtà del presente. Vi pare una cosa vana o insignificante, e
ritenete che non sia un miracolo divino o che lo sia ma di poco conto che, nel nome di un
crocifisso, accorre tutto il genere umano? Non avete visto ciò che fu predetto e si è
avverato della nascita umana di Cristo: Ecco una vergine concepirà e darà alla luce un
figlio 12; ma vedete compiuto ciò che la parola di Dio predisse ad Abramo: Nel tuo seme
saranno benedette tutte le genti 13. Non avete visto ciò che fu predetto dei miracoli di
Cristo: Venite e vedete le opere del Signore, che ha compiuto prodigi sulla terra 14, ma
vedete ciò che fu predetto: Il Signore mi disse: Tu sei mio figlio; io oggi ti ho generato:
chiedimi e ti darò le genti in eredità, e i confini della terra come tuo possesso 15. Non avete
visto ciò che fu predetto e si è avverato della passione di Cristo: Hanno trapassato le mie
mani e i miei piedi, hanno contato tutte le mie ossa; essi mi hanno osservato e guardato;
si sono divise le mie vesti e hanno tirato a sorte sulla mia tunica 16, ma vedete ciò che
nello stesso Salmo fu predetto, e che ora appare avverato: Si ricorderanno del Signore e a
Lui ritorneranno tutti i confini della terra e lo adoreranno, prostrati davanti a Lui, tutte le
stirpi dei popoli, poiché del Signore è il regno ed Egli dominerà sulle genti 17. Non avete
visto ciò che fu predetto e si è avverato della resurrezione di Cristo, secondo quanto il
Salmo gli fa dire anzitutto riguardo al suo traditore e poi ai suoi persecutori: Uscivano fuori
e tutti insieme sparlavano di uno solo; tutti i miei nemici contro di me mormoravano,
contro di me meditavano il mio male; una parola iniqua contro di me hanno fatto circolare
18. Ove, per far vedere che nulla valse loro uccidere chi sarebbe risorto, continuò dicendo:
Chi dorme non potrà forse rialzarsi? 19 E poco dopo, avendo predetto, mediante la stessa
profezia, del suo stesso traditore ciò che sta scritto anche nel Vangelo 20: Chi mangiava il
mio pane, alzò sopra di me il calcagno 21, cioè, mi calpestò, subito aggiunse: Ma tu, o
Signore, abbi pietà di me e resuscitami, e io li ripagherò 22. Ciò si è avverato: Cristo dormì
e si risvegliò, ossia resuscitò; egli che, nella medesima profezia ma in un altro Salmo,
dice: Io ho dormito e ho preso sonno; e mi sono levato su, poiché il Signore mi sosterrà 23.
È vero, tutto ciò voi non lo avete visto, ma vedete la sua Chiesa, della quale fu detto in
modo simile e si è avverato: O Signore mio Dio, a te le genti verranno dall’estremità della
terra e diranno: " In verità i nostri padri adorarono gli idoli menzogneri, che però non sono
di nessuna utilità " 24. Di certo ciò voi lo constatate, sia che lo vogliate sia che non lo
vogliate, e, se ancora pensate che gli idoli siano o siano stati di qualche utilità, nondimeno
di certo avete sentito che innumerevoli popoli, dopo aver abbandonato, rifiutato o distrutto
simili vanità, dicono: In verità i nostri padri adorarono gli idoli menzogneri, che però non
sono di nessuna utilità: se l’uomo può fabbricarsi i suoi dèi, ecco, essi non sono dèi 25. E
poiché fu detto: A te le genti verranno dall’estremità della terra, non crediate che le genti
predette sarebbero venute in un qualche luogo di Dio: capite, se vi riesce, che al Dio dei
cristiani, che è sommo e vero Dio, le schiere dei popoli non vengono camminando ma
credendo. La stessa cosa infatti fu così predetta da un altro profeta: Il Signore prevarrà su
di loro e sterminerà tutti gli dèi dei popoli della terra; e tutte le isole della terra Lo
adoreranno, ciascuna nel suo luogo 26. Come quello dice: A te verranno tutte le genti,
questo dice: Lo adoreranno, ciascuna nel suo luogo. Dunque, verranno a Lui senza lasciare
il loro luogo, perché chi crede in Lui lo troverà nel proprio cuore. Non avete visto ciò che fu
predetto e si è avverato dell’ascensione di Cristo: Innalzati, o Dio, sopra i cieli, ma vedete
ciò che viene subito dopo: e su tutta la terra sia la tua gloria 27. Tutto quel che, riguardo a
Cristo, è avvenuto ed è passato, voi non lo avete visto, ma queste cose, che sono presenti
nella sua Chiesa, non potete dire di non vederle. Le une e le altre noi ve le mostriamo
come preannunciate, ma non possiamo presentarvele come avvenute e che è possibile
vedere, perché non siamo capaci di riportare dinanzi agli occhi le cose passate.
Tanto le cose passate che quelle presenti e future le sentiamo o le leggiamo
preannunciate prima che accadano.
5. 8. Ma, come per gli indizi che si vedono crediamo nelle volontà degli amici che non si
vedono, così la Chiesa, che ora si vede, di tutte quelle cose che non si vedono ma che
sono mostrate in quegli scritti in cui essa stessa è preannunciata, è segno di quelle
passate, profezia di quelle future. Perché tanto delle cose passate, che ormai non si
possono più vedere, quanto delle cose presenti, che non si possono vedere tutte, non si
poteva vedere nulla quando furono preannunciate. Allorché, dunque, le cose preannunziate
cominciarono ad accadere, da quelle già accadute a queste che stanno accadendo, tutte le
cose predette riguardo a Cristo e alla Chiesa si sono susseguite in una serie ordinata. A
questa serie appartengono quelle sul giorno del giudizio, sulla resurrezione dei morti,
sull’eterna dannazione degli empi con il diavolo e sull’eterna ricompensa dei giusti con
Cristo, cose che, anch’esse preannunciate, accadranno. Perché, dunque, non dovremmo
credere le cose passate e quelle future che non vediamo, quando abbiamo come testimoni
delle une e delle altre le cose presenti che vediamo e quando, nei libri dei profeti, tanto
quelle passate che quelle presenti e future le sentiamo o le leggiamo preannunciate prima
che accadano ? A meno che per caso gli infedeli non ritengano che siano state scritte dai
cristiani in modo che queste cose, che essi già credevano, avessero un peso maggiore in
fatto di autorità, col ritenere che fossero state promesse prima che accadessero.
I Giudei nelle Scritture sono nostri sostenitori, nei cuori nemici, nei libri
testimoni.
6. 9. Se hanno questo sospetto, esaminino attentamente i libri dei Giudei, nostri nemici. Vi
leggeranno tutte le cose che abbiamo ricordato e troveranno che sono state preannunciate
riguardo a Cristo, nel quale crediamo, e alla Chiesa, che vediamo dall’inizio faticoso della
fede fino alla beatitudine sempiterna del regno. Ma, quando leggono, non si meraviglino se
coloro che detengono questi libri non comprendono tali cose a causa delle tenebre
dell’inimicizia. Che essi non avrebbero capito, infatti, era stato predetto dagli stessi
profeti; e dunque era necessario che questo, come tutto il resto, si avverasse e che,
secondo un segreto ma giusto giudizio di Dio, subissero la pena che avevano meritato. È
vero, colui che crocifissero e al quale diedero fiele e aceto, benché pendesse dal legno, per
coloro che avrebbe condotto dalle tenebre alla luce avrebbe detto al Padre: Perdona loro,
perché non sanno quello che fanno 28; tuttavia per gli altri che, per più occulte ragioni,
avrebbe abbandonato per bocca del profeta tanto tempo prima predisse: Hanno messo
fiele nel mio cibo e quando avevo sete mi hanno fatto bere aceto. La loro mensa divenga
per essi una trappola, come ricompensa e come motivo di scandalo. Si offuschino i loro
occhi, affinché non vedano, e piegato per sempre sia il loro dorso 29. Così, benché i loro
occhi siano offuscati, vanno in tutte le parti del mondo con le più illustri testimonianze
della nostra causa, di modo che, per mezzo loro, sono confermate queste cose nelle quali
invece essi sono smentiti. Ciò fu fatto per evitare che fossero distrutti e che della stessa
setta non restasse nulla; ma essa fu dispersa per il mondo, affinché, portando le profezie
della grazia a noi riservata, ci fosse dovunque di aiuto per convincere più fermamente gli
infedeli. E ciò stesso che dico, sentite come è stato annunciato dal profeta: Non li uccidere
– dice – perché non abbiano un giorno a dimenticare la tua legge; disperdili con la tua
potenza 30. Dunque non furono uccisi in quanto non dimenticarono quelle cose che presso
di loro si leggevano e si udivano. Se infatti, anche senza comprenderle, dimenticassero
completamente le Sacre Scritture, verrebbero uccisi nello stesso rito giudaico, perché, non
conoscendo nulla delle leggi e dei profeti, i Giudei non sarebbero stati di nessun
giovamento. Costoro, dunque, non furono uccisi ma dispersi, affinché, pur non avendo la
fede che li salverebbe, tuttavia conservassero la memoria dalla quale ci proviene l’aiuto:
nelle Scritture sono sostenitori, nei cuori sono nostri nemici, nei libri testimoni.
La Chiesa si è diffusa mirabilmente in tutto il mondo.
7. 10. Del resto, anche se riguardo a Cristo e alla Chiesa non vi fossero state tante
testimonianze precedenti, chi non dovrebbe sentirsi spinto a credere che la divina
chiarezza all’improvviso ha cominciato a risplendere per il genere umano quando vediamo
che, abbandonati i falsi dèi e distrutte dappertutto le loro statue, demoliti i templi o
destinati ad altri usi ed estirpati tanti vani riti dalla ben radicata consuetudine umana, un
solo vero Dio è invocato da tutti? E tutto ciò è accaduto per mezzo di un uomo deriso dagli
uomini, catturato, legato, flagellato, schiaffeggiato, vituperato, crocefisso, ucciso. Per
diffondere il suo insegnamento scelse come discepoli uomini semplici e senza esperienza,
pescatori e pubblicani: essi annunziarono la sua resurrezione e ascensione, affermando di
averla vista, e, riempiti di Spirito Santo, fecero risuonare questo messaggio in tutte le
lingue, pur senza averle imparate. E tra quanti li ascoltarono alcuni credettero, altri non
credettero, opponendosi ferocemente alla loro predicazione. In tal modo, in presenza di
credenti capaci di lottare per la verità fino alla morte, non contraccambiando con i mali ma
sopportandoli, e di vincere non con l’uccidere ma con il morire, il mondo si è talmente
mutato in questa religione, i cuori dei mortali, uomini e donne, piccoli e grandi, dotti e
ignoranti, sapienti e stolti, potenti e deboli, nobili e non nobili, di rango elevato e umili, si
sono così ben convertiti a questo Vangelo e la Chiesa si è diffusa tra tutte le genti ed è
cresciuta in modo tale che contro la stessa fede cattolica, non spunta nessuna setta
perversa, nessun genere di errore che sia così ostile alla verità cristiana da non aspirare e
ambire a gloriarsi del nome di Cristo. Di certo, non si consentirebbe a tale errore di
diffondersi sulla terra, se la stessa opposizione non servisse da stimolo per la sana
disciplina. Quel crocifisso come avrebbe potuto realizzare cose così grandi, se non fosse
Dio fattosi uomo? E tutto ciò, anche se non avesse predetto mediante i Profeti nessuna di
queste cose future. Ma, dal momento che un così grande mistero di amore è stato
preceduto dai suoi profeti e araldi, dalle cui voci divine fu preannunciato ed è avvenuto
così come è stato preannunciato, chi sarebbe così folle da dire che gli Apostoli hanno
mentito su Cristo, quando ne annunciarono la venuta così come era stata predetta dai
profeti, i quali non tacquero neppure gli eventi che sarebbero veramente accaduti riguardo
agli Apostoli? Di essi infatti avevano detto: Non vi è idioma e non vi è discorso in cui non si
senta la loro voce; in tutta la terra si sparge il loro strepito e sino ai confini del mondo le
loro parole 31. Ciò di certo lo vediamo avverato in tutto il mondo, anche se non abbiamo
ancora visto Cristo in carne. Chi pertanto, a meno che non sia accecato da una strana
pazzia o non sia duro e inflessibile per una singolare caparbietà, si rifiuterà di credere alle
Sacre Scritture, che predissero la fede di tutto il mondo?
Esortazione ad alimentare e accrescere la fede.
8. 11. Quanto a voi, o carissimi, questa fede che avete o che avete cominciato ad avere da
poco, si alimenti e cresca in voi. Come infatti sono accaduti gli eventi temporali predetti
tanto tempo prima, così accadranno anche le promesse sempiterne. Non vi ingannino né i
vani pagani né i falsi Giudei né gli ingannevoli eretici e neppure, all’interno stesso della
Chiesa cattolica, i cattivi cristiani, che sono nemici tanto più nocivi quanto più intimi.
Perché neppure su questo punto, per non lasciare i deboli nel turbamento, la profezia
divina tacque, laddove, nel Cantico dei Cantici, lo sposo parlando alla sposa, cioè Cristo
Signore alla Chiesa, dice: Come un giglio in mezzo alle spine, così la mia amata in mezzo
alle figlie 32. Non disse in mezzo alle estranee, ma in mezzo alle figlie: chi ha orecchi per
intendere, intenda 33. E, quando la rete gettata in mare e piena di pesci di ogni genere,
come dice il santo Vangelo, viene tratta a riva, cioè alla fine del mondo, essa si separi dai
pesci cattivi col cuore non con il corpo, cioè cambiando i cattivi costumi e non rompendo le
sante reti. In modo che i giusti, che ora sembrano mescolati con i reprobi, non ricevano
una pena ma una vita eterna, quando sulla spiaggia comincerà la separazione 34.
1 – Cf. Col 1, 6.
2 – Gn 22, 18.
3 – Cf. Gal 3, 16.
4 – Cf. Mt 1, 1-16.
5 – Is 7, 14.
6 – Sal 45, 7-8.
7 – Sal 45, 10.
8 – Sal 45, 11-18.
9 – Mt 6, 9.
10 – Cf. 2 Cor 4, 16.
11 – Sal 45, 11-18.
12 – Is 7, 14.
13 – Gn 22, 18.
14 – Sal 45, 9.
15 – Sal 2, 7-8.
16 – Sal 21, 17-19.
17 – Sal 21, 28-29.
18 – Sal 41, 7-9.
19 – Sal 41, 9.
20 – Gv 13,18.
21 – Sal 41, 10.
22 – Sal 41, 11.
23 – Sal 3, 6.
24 – Ger 16, 19.
25 – Ger 16, 19-20.
26 – Sof 2, 11.
27 – Sal 108, 6.
28 – Lc 23, 34
29 – Sal 69, 22-24.
30 – Sal 58, 12.
31 – Sal 18, 4-5.
32 – Ct 2, 2.
33 – Cf. Mt 13, 9.
34 – Cf. Mt 13, 47-49. 

 

 

 

  

Edda CattaniCredere non credere
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La scrittura automatica

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La scrittura automatica

La scrittura automatica viene comunemente definita come la capacità di chi scrive parole, frasi, messaggi senza che la propria volontà influisca sul braccio. Il soggetto, appoggiando la penna sul foglio attende che la mano si muova e, in stato di veglia o di trance, inizia a scrivere senza avere di solito consapevolezza di ciò che sta scrivendo. Volendo fare una ricostruzione storica dell’argomento bisogna risalire alla seconda metà del secolo scorso, nell’ambiente dello spiritismo e più precisamente ad Allan Kardec, considerato il padre dello spiritismo francese, il quale nel 1861, nelle sue pubblicazioni, ufficializza l’uso della scrittura automatica come il mezzo più semplice e più completo per poter stabilire delle relazioni con gli spiriti. In seguito tale pratica, dopo gli studi sull’inconscio e le varie teorie psicanalitiche che la presentano come forma di dissociazione della personalità, desta minor interesse al mondo parapsicologico; perde cioè quell’alone di mistero che l’aveva circondata precedentementee, non costituendo più un fenomeno paranormale in senso stretto, sembra passare in secondo piano rispetto ad altri fenomeni le cui cause rimangono ancora misteriose.
Tuttavia negli ultimi anni, nel clima della nuova religiosità, si riaccende notevolmente l’attenzione per la scrittura automatica, che si inserisce in una nuova o meglio più ampliata prospettiva rispetto a quella ottocentesca.La nuova religiosità presenta spesso un intreccio di tecniche psicologiche, fusioni di varie spiritualità supportate da presunte spiegazioni scientifiche. Messaggi dall’aldilà, insegnamenti di ogni tipo da entità, affollano intere librerie con notevole successo.
Secondo il pensiero New Age, infatti, chiunque più o meno può, mediante l’uso di tecniche tra le quali si ripresenta più vigorosa che mai la scrittura automatica, diventare canale (channeler) e comunicare con Dio, il Cristo, gli angeli, fate, gnorni, elfi, spiriti della natura, spiriti di defunti, entità multipersonali, extraterrestri, non escluso l’inconscio collettivo.

La questione terminologica
La scrittura automatica si presenta come un fenomeno alquanto complesso che si presta a svariate interpretazioni.
Secondo la spiegazione fornita da Ugo Dettore (1986, p. 875), l’autorevole studioso di parapsicologia, è un “fenomeno considerato tanto dalla psichiatria quanto dalla psicologia e dalla parapsicologia, per il quale un soggetto, in stato di sonnambulismo, di ipnosi, di trance. o anche in stato di veglia, scrive più o meno inconsciamente dando comunicazioni di vario genere. In realtà non sempre si può parlare di vero e proprio automatismo, perché lo scritto molte volte presenta una coerenza e una creatività che presuppongono un’attività pensante , in se consapevole di quello che scrive anche se distaccata dalla coscienza normale. […] Il fenomeno, in sé. potrebbe non essere di carattere paranormale. Gli psicologi lo considerano una manifestazione dell’Io inconscio e se ne valgono spesso per le loro analisi del profondo: come nel sogno, durante la scrittura automatica affiorano motivi rimossi, che il soggetto ha respinto nella zona inconscia per la paura di affrontarli e l’incapacità di affrontarli. Assume però carattere paranormale quando nelle comunicazioni scritte appaiono evidenti manifestazioni di telepatia, chiaroveggenza nello spazio e nel tempo, xenoglassia. personificazione: così come il sogno non è in sé un fenomeno paranormale ma può divenirlo quando appaiono in esso tali manifestazioni”.
La scrittura automatica si presenta dunque come una realtà articolata
da una molteplicità di elementi, quelli psicologici, parapsicologici ecc.,
che interagiscono tra loro diversamente in ogni soggetto.
La diversità delle origini del fenomeno ha spesso indotto gli studiosi a dissertazioni terminologiche.
Secondo il Sudre, per esempio, la definizione scrittura automatica è“alquanto inesatta, se si considera che deriva da una coscienza a volte più ricca e più coerente della coscienza normale. Anche nel senso in cui l’ha usato Janet, distinguendo tra l’attività creatrice dello spirito e l’attività conservatrice, il nome di automatismo è inaccettabile per una attività che, una volta spezzatasi la personalità, è essenzialmente creativa in un campo di coscienza più o meno ristretto. Scrittura inconsciente sarà un’espressione molto più giusta” (Sudre, 1966). Tale espressione, però, non è stata adottata nè in psicologia nè in parapsicologia.
Nel 1934 Gino Trespoli, nel libro Spiritismo moderno, definisce il fenomeno psicografia, cioè scrittura psichica; il termine viene usato oggi anche per indicare il “fenomeno per il quale un sensitivo riesce ad influenzare la materia fotosensibile di una lastra fotografica, riuscendo ad impressionarla con una immagine di una scena pensata” (Conti, 1989).

Nel 1940 Salvatore Occhipinti conia il termine telescrittura (scrittura a distanza), e vuole indicare specificatamente le comunicazioni ottenute, attraverso la tavoletta o il bicchierino capovolto, fatto scorrere su di un piano dove vengono poste le lettere dell’alfabeto. Successivamente questo temine viene usato anche per la scrittura automatica.

I coniugi Verrico, in seguito, adottano il termine psicoscrittura per in la pratica della scrittura automatica, riprendendo a modello le teorie di Sudre.

Spesso nello spiritismo viene usata anche l’espressione scrittura medianica, o scrittura spiritica, con la quale si intende il prodotto di una comunicazione con l’aldilà o un’altra dimensione.
Recentemente la nota sensitiva Laura Casu ha proposto nel suo libro Il Maestro Interiore di chiamare questo fenomeno comunicazione alternativa: “dobbiamo considerare il termine scrittura automatica in parte improprio, perché pur mantenendo le caratteristiche dell’ automatism o psicologico per quanto riguarda il gesto dello scrivere, si differenzia totalmente da altri automatismi per lo svolgersi successivo del fenomeno, che sembra comprendere, appunto, la sfera psichica, come per gli altri automatismi, ma in maniera autonoma e dissociata, inoltre intellettivamente creativa in modo proprio. Volendo ipotizzare un termine più consono direi Comunicazione Alternativa” (Casu, 1995, p. 43).

 

2. Ipotesi di classificazione

Nonostante la vastità e la complessità ditale argomento’ è possibile avanzare delle ipotesi di classificazione in base ai modi scriventi, alla messaggistica (messaggi provenienti da defunti, spiriti guida, energie di luce o messaggi di tipo letterario, filosofico) e all’ interpretazione stessa del fenomeno. La prima classificazione ad esempio suddivide la scrittura automatica in diretta o indiretta.
Nella scrittura indiretta è il medium che scrive, in genere senza aver consapevolezza di ciò che sta scrivendo; in quella diretta, detta anche pneumatografia, il medium rimane inattivo, in stato di trance o meno, mentre la penna scrive da sola sudi un foglio di carta.

Tra le ipotesi interpretative del fenomeno, tre sono le principali correnti che emergono:

– -interpretazione spiritica;
– interpretazione parapsicologica;
– interpretazione psicologica, psicanalitica.
Secondo l’interpretazione spiritica, innumerevoli sono le prove che dimostrerebbero l’esistenza di una intelligenza completamente indipendente da colui che scrive. Allan Kadec, il caposcuola dello spiritismo europeo, nel Libro dei Medium, tratta in maniera approfondita il problema della scrittura automatica, cercando di fornire una guida a tale fenomeno.

 
CONSIDERAZIONI GRAFOLOGICHE

 

1) Non esiste un modello fisso di scrittura automatica, però,dalle esperienze descritte da alcuni celebri automatismi del secolo scorso, da indagini svolte in campo medico, dalle scritture presentate in questo studio, alcune modalità grafiche sembrano ripetersi costantemente.
2) Nella maggior parte dei casi, la scrittura automatica, presenta un percorso di variazioni grafiche che va dai primi tentativi, o dalle prime parole che si interrano dal tracciato grafico, alla compilazione di messaggi completi. Si può dunque parlare di diversi livelli di scrittura automatica o di vari gradi di automatismo. E’ possibile idealmente dividere la scrittura automatica in tre fasi o livelli: fase iniziale,fase centrale, fase di maturazione.
3) Le scritture in esame non si trovano tutte allo stesso livello

 

Fase iniziale: Nella fase iniziale solitamente vengono tracciati dei segni simili agli scarabocchi del bambino. Spesso si descrivono anche delle forme circolari, a spirale, circonvoluzioni, movimenti ondulatori che si sviluppano per l’intero rigo, tornando a capo in un unico movimento.
Si può presentare anche un tracciato formato da una serie di puntini continui, o di aste che procedono a zig zag in direzione orizzontale. In seguito cominciano a delinearsi le prime lettere, se pure in modo molto deformato: in particolare si evidenziano le aste verticali, come la t, la p, la d e poi anche la I e la g. In questa fase le lettere a, in, e, i, o, u, s, si confondono tra loro, per l’eccessiva dilatazione del gesto e contorsione del tracciato, provocando spesso una lettura delle prime parole più interpretativa che oggettiva.
Il ritmo grafico, in questa fase, non è necessariamente veloce. Si riscontrano anche grafie lente, in cui le prime parole vengono tracciate in modo rigidamente calligrafico con lunghe asteggiate sproporzionate rispetto al corpo centrale della scrittura.
Seconda e terza fase. Tra la seconda e la terza fase si possono collocare le scritture in esame. Infatti il medium ha superato la fase della formazione delle prime parole, per passare alla formulazione di frasi, periodi, messaggi di intere pagine. Le lettere presentano una loro struttura anche se spesso in un contesto grafico confuso.
Nell’ esaminare le principali variazioni grafiche che caratterizzano le scritture automatiche rispetto alle corrispondenti scritture abituali, si terrà conto anche dei fattori esterni e cioè delle modalità strumentali ed esecutive con cui viene eseguito lo scritto.
Di solito nella fase iniziale viene usato un pennarello, o una penna ad inchiostro liquido, o una matita, per facilitare lo scorrimento dello strumento scrittorio sulla carta. In un secondo momento, quando si è “acquisita una certa pratica della scrittura”, alcuni utilizzano indifferentemente anche la penna a sfera.
La penna può essere tenuta in modi diversi: o normalmente tra pollice ed indice appoggiando la mano sul piano di appoggio, o con una presa molto lunga, afferrandola cioè nella parte superiore. Quest’ultima posizione è accompagnata spesso dal gomito sollevato per permettere un movimento più ampio ma nello stesso tempo meno coordinato.
La penna (o meglio il pennarello) in casi più rari è appoggiata sul palmo della mano che è tenuto in posizione verticale rispetto al foglio, e procede durante la scrittura in direzione verticale.
La scrittura automatica può essere vergata da sinistra verso destra, o viceversa, o come accennato dall’alto verso il basso.
Nella scrittura automatica può essere utilizzata, indipendentemente dalla mano abituale, sia la destra che la sinistra e in casi molto rari tutte e due simultaneamente.
Da quanto detto ne consegue che il modo con cui si tiene la penna influisce sulla qualità della grafia. causando variazioni della distribuzione pressoria lungo i singoli tratti grafici e sui livelli di velocità del movimento (Bravo, 1998).

 
Si aggiunge che una presa della penna molto lunga comporta una variazione dell’angolo di incidenza della punta scrivente sulla superficie della carta (Saudek, 1925).
Inoltre la posizione del gomito sollevata causa un assorbimento di energia a livello di spalla. di braccio e di avambraccio che condiziona l’energia liberata.
Esaminando le principali costanti grafiche che emergono dalle scritture automatiche in esame, si evidenzieranno per prime le componenti dinamiche che caratterizzano il movimento formativo della scrittura, quali la velocità, l’energia e l’ampiezza.
In riferimento alle suddette componenti si rilevano le seguenti caratteristiche (cfr. figure, 1, 2 e3): 1) Ritmo grafomotorio estremamente veloce caratterizzato da impulsi incontrollati che alterano vistosamente l’armonia delle proporzioni. 2) Pressione fortemente fluidificata nella distribuzione. 3) Ampiezze grafiche contenenti forme esageratamente ampie e sproporzlonate
In particolare l’energia pressoria essendo attivatrice del movimento scrittorio nelle componenti di ampiezza e velocità subisce poi gli effetti di dette componenti.
 
Nelle scritture automatiche, pertanto, la pressione segue l’eccessiva velocità esecutiva, canalizzandosi senza chiaro scuri, uniformemente, ma non in modo piatto, lungo il tracciato.
Una scrittura non automatica, “normale”, per quanto possa avere elementi di accelerazione, non li avrebbe in modo uniforme, ma solo in alcuni punti. La scrittura infatti presenterebbe una velocità non isocrona, con settoriale accelerazione, con elementi grafici che segnalerebbero anche una sbrigatività intensa, ma che poi ritornerebbe ad una normalità.
Nella scrittura automatica, invece, il ritmo rimane costantemente alterato. L’eccessiva velocità conseguentemente sbilancia le altre componenti dinamiche della scrittura rompendone l’equilibrio armonico. Da ciò la pressione si diluisce lungo il tracciato con forte scorrevolezza.
 

Altre caratteristiche grafiche ricorrenti costantemente nelle grafie automatiche, sono:

l)Occupazione totale dello spazio.

2)Continuità del tracciato grafico tra lettere, tra parole e tra righi, con passaggio rapido dalla fine di un rigo all’inizio dell’altro.

3)Forte dilatazione dei tratti letterali, con presenza di contorsioni, grovigli, fino a punti di confusione tra parole e righe.

4)Punti di stentatezza del tracciato costituiti da scosse (deviazioni repentine a zig zag) ed inceppamenti.

5)Assenza quasi totale del largo tra parole, o indistinto dal largo tra lettere.

6)Andamento ascendente del rigo.

7)Assenza generale di: puntini delle i, tagli delle t, accenti ed interpunzione.

8)Forme letterali simili al modello scolastico o calligrafico. Ad esempio le m e le n tracciate a ghirlanda nella scrittura abituale diventano ad arco nella scrittura automatica.

Il messaggio generalmente ha un senso logico, di mediocre leggibilità Si intende precisare che le suddette caratteristiche grafiche si riscontrano costantemente nella fase che a scopo orientativo abbiamo definito centrale.
Può far seguito, una terza fase, detta di maturazione. Attualmente molti medium, dicono di essere passati, dopo un certo tempo di pratica della scrittura automatica, ad un livello superiore. Il messaggio cioè viene quali percepito interiormente e poi scritto, con la partecipazione della propria volontà. La scrittura, fanno notare, è uguale a quella abituale.
La terza fase, potrebbe essere definita come il passaggio dalla scrittura automatica alla scrittura ispirata, ma aggiungiamo, di derivazione automatica.
Man mano che aumenta la coscienza di ciò che si scrive, inevitabilmente la grafia tende a modificarsi nelle caratteristiche seguenti:
riduzione della velocità esecutiva;
maggiore differenziazione pressoria;
maggiore equilibrio delle ampiezze verticali ed orizzontali;
maggiore spazio tra parole;
maggiore discontinuità del tracciato (attacchi e stacchi);
– maggiore personalizzazione scrittoria;
inserimento di puntini delle i, tagli delle t, accenti, interpunzione;
A volte in una stessa scrittura automatica possono presentarsi caratteristiche grafiche che comprendono più fasi. Ci sono infatti casi di interazione tra i vari livelli non facilmente classificabili, mentre altri casi rimangono inspiegabili.
Uno dei problemi principali che hanno animato il dibattito tra spiritisti e animisti è sicuramente quello dell’identità spiritica, cioè l’identificazione della personalità comunicante con quella che tale personalità afferma di essere.
In merito alla scrittura medianica ci sono casi in cui i messaggi ti riproducono, secondo quanto testimoniano le fonti bibliografiche, esattamente la scrittura della persona evocata, costituendo una pro favore della teoria spiritica.

 

Del seguente caso non si hanno informazioni specifiche. Si sa solo la signora Marchetti di 52 anni, è una nota medium che da molti pratica la scrittura automatica. Molte entità sarebbero in comunicazione con lei, ma in particolare sostiene che, quando riceve i messaggi da parte di padre Pio, la scrittura automatica diventa identica a quella del frate.
Nella scrittura della medium (figura 4) si riscontrano i seguenti segni grafologici:
Intozzata 1° e 2°modo. Calibro medio piccolo. Forte pendenza. Slanciata primo tipo. Aste rette. Prevalente Attaccata. Omogeneità dei parametri grafici.
La scrittura di padre Pio da Pietralcina (figura 5) si caratterizzaper i segni Intozzata 1° e 2°modo, Calibro medio piccolo, Pendente,aste concave a destra e rette, prevalente Attaccata.
La scrittura automatica della signora Marchetti (figura 6) presenta i seguenti segni: Veloce. Calibro piccolo. Forte pendenza. Stiramenti orizzontali dei tratti grafici. Abbassamento delle altezze delle minuscole maggiori. Incompletezza delle forme e precipitosità del gesto.
La scrittura automatica presenta sostanzialmente tutte le caratteristiche grafodinarniche della mano della medium: l’occupazione dello spazio è piuttosto invadente e invasiva come de tano in particolare i segni Pendente in alto grado, Attaccata ugualmente in alto grado, Largo tra lettere e Profusa. Le righe risultano ben distanziate sia nella scrittura spontanea sia in quella automatica, e non danno luogo a incroci o sovrapposizioni di tracciati. Anche il gesto di collegamento tra paragrafi non si sovrappone praticamente mai a lettere o parole già scritte.
l’andamento sul rigo è caratterizzato da discreta tenuta e da una particolare leggera concavità. Corrispondente risulta anche la caratteristica caduta finale di qualche rigo che viene chiamata “a coda di volpe”.

4. Alcune considerazioni peritali sul caso Marchetti

la leggibilità, nonostante la discreta personalizzazione del modello scolastico, è notevole anche se contestuale.
– la cura grafica presenta qualche aspetto di compitezza anche se questa viene attenuata dalla debole spontaneità esecutiva.
– la pressione grafica è caratterizzata da un notevole grado di filiformità e ciò, grafologicamente, unito all’ alto grado di Pendente, costituisce un indice significativo di forte sensibilità e verosimilmente di sensitività.
– l’esecuzione delle singole lettere omologhe, sia dal punto di vista dell’ideazione del movimento che del risultato formale, è pienamente coincidente tanto che è superfluo elencarle singolarmente. Solo a titolo di esempio si fanno notare:
– la lettera “G” con il caratteristico riccio iniziale (cfr. “Gente” nella scrittura spontanea e “Gesù” in quella automatica);
– la lettera “f”’ con il risvolto angoloso alla base e con la frequente formazione di un triangolo nella parte bassa della lettera;
– la lettera “b” eseguita secondo il modello scolastico e collegata con la lettera successiva.
La scrittura di Padre Pio, rispetto alla scrittura automatica della medium, manifesta, tra le altre, le seguenti divergenze:
– il ritmo risulta più contenuto e accurato;
– le aste superiori sono molto sviluppate e creano un certo squilibrio rispetto al Calibro e allo sviluppo della zona inferiore;
– la tenuta del rigo è più lineare e rigida;
– la pressione, pur manifestando momenti e aspetti di filiformità (occorrerebbe esaminare l’originale per poterne stabilire meglio la qualità), presenta elementi di non omogeneità e tratti meno netti (forse però dovuti allo strumento scrittorio utilizzato);
Per quanto riguarda l’esecuzione di singole lettere, si segnalano le differenze relative:
– alle lettere “D” e “S ” più accurate e calligrafiche;
– alla lettera “b” che nella parte finale si richiude su se stessa piuttosto che proiettarsi verso destra;
– alla lettera “f " che segue il modello calligrafico;
– alla lettera “v ” staccata dalla successiva;
L’accentuazione della pendenza e il Calibro medio piccolo rendono simili le tre scritture. Si osserva infatti che tra la grafia di padre Pio e quella abituale della medium esistono già delle siniilarità casuali dovute appunto al Calibro, alla pendenza, alla prevalente Attaccata e allo stiramento dei tratti in linea orizzontale.
Rispetto a quella automatica, pertanto, la grafia abituale della medium è molto più simile a quella di padre Pio. Le similarità presenti riguardano però solo l’aspetto formale delle grafie.
Si rilevano invece differenze grafodinamiche notevoli che evidenziano come le due scritture provengano da due mani diverse.

 

Scritture A grafia della medium B grafia automatica medium C grafia autografa di padre pio

 

5. Conclusioni
Dallo studio delle scritture automatiche in esame, con il metodo grafologico si è cercato di dare un contributo alla comprensione di un fenomeno che, nonostante gli studi e le sperimentazioni condotte in passato rimane ancora, almeno in parte, avvolto nel mistero.
In particolare dallo studio svolto è emerso che non esiste un modello fisso di scrittura automatica, ma che tuttavia alcune caratteristiche grafiche, sembrano ripetersi costantemente, quali l’estrema velocità esecutoria, la pressione fortemente fluidificata nella esecuzione del tracciato, le ampiezze grafiche esageratamente sviluppate, una continuità di tracciato tra lettere, parole e righe.
Tali caratteristiche segnalano un’ alterazione delle componenti grafo-motorie rispetto alla grafia normale. Ne consegue un insegnamento di estrema prudenza che il grafologo deve tenere nell’ affrontare casi di scrittura automatica.
Molto interessanti sono i risvolti di natura peritale nei casi di analisi di grafie eseguite da medium, evocando persone defunte delle quali sono riprodotte le grafie.
Si è riscontrato che in questo ambito il grafologo potrebbe incontrare non poche insidie, come nel caso Marchetti, in cui la scrittura della medium presenta alcune analogie con quella autografa evocata.
Nonostante le evidenti e in alcuni casi suggestive similarità delle scritture esaminate, si è riscontrata tuttavia una diversa natura grafomotoria. Da ciò si deduce che, ai fini identjficatori, non è sufficiente una riproduzione fedele delle forme, se sono diverse le movenze di fondo che strutturano e qualificano una gestualità grafica.
Sotto questo punto di vista, il metodo grafologico, se applicato correttamente può fornire un notevole aiuto per uscire dalle insidie derivanti dall’uso eventuale di scritture medianiche, specialmente quando sono utilizzate all’insaputa del grafologo-perito.

 

Tesi di Carlo Bastarelli ( grafologo consulente diplomato presso la Scuola diretta a fini speciali di studi grafologici dell’Università di Urbino)

 
 
 

 

Edda CattaniLa scrittura automatica
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Dallo spiritismo alla “ricerca psichica”

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Dallo Spiritismo alla Ricerca Psichica e alla Parapsicologia

 


La seconda metà dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento sono caratterizzati dalla grande Medianità che si esprime attraverso Medium di eccezionali capacità. Verso gli anni Trenta di questo secolo il panorama cambia totalmente e l'attenzione si sposta a quei fenomeni che costituiscono la base moderna della parapsicologia e sono attribuibili esclusivamente all'uomo. Si continuano a studiare i medium, ma viene data la preferenza a fenomeni suscettibili di sperimentazione in laboratorio e di valutazione statistica: nasce la parapsicologia quantitativa. Essa consiste nello studiare sperimentalmente casi molto semplici, ripetuti migliaia di volte in varie condizioni, anche con soggetti dotati di scarsissima sensitività.
Nell'ultimo decennio del secolo scorso, inoltre, l'applicazione dell'Ipnotismo nella cura degli isterici portò, grazie agli studi di Sigmund Freud e di Josef Breuer, alla nascita di una nuova scienza, la Psicoanalisi. Questa ben presto, oltre ad una valenza terapeutica si sviluppò come tecnica di interpretazione dei contenuti della psiche. Man mano essa si allargò a una concezione generale della realtà e dei rapporti tra psiche e corpo. Contemporaneamente, però, aumentarono le difficoltà teoriche e pratiche, e anche le divergenze tra i seguaci della stessa dottrina psicoanalitica. Si arrivò, così, alla separazione tra Carl Gustav Jung e il suo maestro Sigmund Freud, considerato il padre della Psicologia del profondo. Nel tempo la Psicoanalisi ha portato alla nascita di diverse ramificazioni rispetto alla teoria originale, costituendo però, una base per lo studio dell'interiorità dell'uomo.
Alla Duke University di Durham nella Carolina del Nord (università privata come tante altre negli USA) fu fondata nel 1927 una facoltà di Psicologia, la cui direzione fu offerta al professor William Mac Dougall. Questi, insieme ad altri psicologi (come William James e Gardner Murphy) si interessava di Ricerca Psichica. Mac Dougall una volta nominato alla Duke University si fece raggiungere da una giovane coppia che aveva conosciuto alla Harward University di Boston. Si trattava di Joseph Banks Rhine e sua moglie Louise. Grazie a J.B. Rhine nasce la Parapsicologia moderna di cui egli è unanimemente considerato il fondatore. Da questo momento lo studio della fenomenologia paranormale approda nelle università, che nel 1933 Willem Tenhaeff nell'Università di Utrecht è il primo libero docente di Parapsicologia in una cattedra universitaria. Con gli esperimenti sui fenomeni di Telepatia, Chiaroveggenza e Precognizione da parte di Rhine (che li unificò sotto il termine ESP, Percezione Extra-Sensoriale) si parla di una parapsicologia quantitativa, tuttavia non viene abbandonata quella qualitativa ogni qualvolta si presentino Sensitivi eccezionali. Questo è il caso di Gerard Croiset, in Olanda, preso in esame da Willem Tenhaeff per le sue doti di Chiaroveggenza e Precognizione e di Gustavo A. Rol in Italia, per la sua Sensitività ad Effetti Fisici.
Mentre la ricerca proseguiva nei laboratori – dove venivano analizzati soprattutto i fenomeni della Telepatia, della Chiaroveggenza, della Precognizione e della Psicocinesi – i Fenomeni Medianici continuavano a presentarsi.


Ricerca Psichica

 

http://www.ricercapsichica.it

Definizione


Il termine Ricerca Psichica è la traduzione dell'espress
ione inglese Psychical Research adottata ufficialmente nel 1882 dai ricercatori inglesi della S.P.R. per indicare lo studio dei Fenomeni Paranormali. ma non era, però, l'unico a definire tale studio. Nel 1905 Richet indicò lo studio "di tutti i fenomeni meccanici o psichici che sembravano dovuti a forze intelligenti sconosciute o a fattori intelligenti latenti nell' inconscio umano" con il termine Metapsichica, che venne utilizzato, poi, in Francia e in Italia. Alla fine del 1800, invece, il medico tedesco M. Dessoir aveva creato il termine Parapsicologia, che venne preferibilmente usato in Germania e nei paesi germanici. Al Congresso Internazionale di Parapsicologia tenuto a Utrecht nel 1953 venne proposto che lo studio dei fenomeni paranormali venisse universalmente conosciuto con il nome Parapsicologia.
Tuttavia, nonostante la differenza etimologica i termini Ricerca Psichica e Parapsicologia vengono utilizzati indifferentemente. La medianità ad alto livello intellettivo
La seconda metà dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento sono caratterizzati dalla grande Medianità che si esprime attraverso Medium di eccezionali capacità. Verso gli anni Trenta di questo secolo il panorama cambia totalmente e l'attenzione si sposta a quei fenomeni che costituiscono la base moderna della parapsicologia e sono attribuibili esclusivamente all'uomo. Si continuano a studiare i medium, ma viene data la preferenza a fenomeni suscettibili di sperimentazione in laboratorio e di valutazione statistica: nasce la parapsicologia quantitativa. Essa consiste nello studiare sperimentalmente casi molto semplici, ripetuti migliaia di volte in varie condizioni, anche con soggetti dotati di scarsissima sensitività.
Mentre la ricerca proseguiva nei laboratori – dove venivano analizzati soprattutto i fenomeni della Telepatia, della Chiaroveggenza, della Precognizione e della Psicocinesi – i Fenomeni Medianici continuavano a presentarsi. Negli anni Venti e Trenta l'entità Symbole aveva dettato importanti Comunicazioni alla medium francese Jeanne Laval, mentre in Italia una voce aveva trasmesso al sensitivo Pietro Ubaldi una serie di messaggi in cui venivano trattati i rapporti che intercorrono tra spirito e materia. Fu dal secondo dopoguerra che si ebbe una svolta nella Medianità intellettiva. In Italia negli anni 1945-1946 cominciano a svilupparsi le medianità di due sensitivi eccezionali: Roberto Setti, a Firenze, e Corrado Piancastelli, a Napoli. Attraverso essi si è avuta una ricchissima produzione di Comunicazioni Medianiche ad alto livello intellettivo. Il gruppo formatosi attorno a Roberto Setti, denominatosi Cerchio Firenze 77, ha raccolto e pubblicato in volumi la ricca produzione di messaggi ottenuti in quarant'anni di medianità, mentre quello riunito attorno a Corrado Piancastelli, facente capo al Centro Italiano di Parapsicologia (CIP) raccoglie e pubblica le comunicazioni nella rivista bimestrale CDA (Comunicazioni dell'Entità A). Nel 1963, invece, attraverso una scrittrice americana, Jane Roberts, una entità cominciò ad inviare Comunicazioni non meno valide.


LA MEDIANITA’

 


La medianità è appunto la facoltà specifica dei medium, ovvero di quei sensitivi che fungono da mezzi, da tramite tra il mondo della realtà più visibile e banale e la realtà più profonda, misteriosa e nascosta. Come dicevo nella sezione dedicata alla parapsicologia i medium sembrano intervenire direttamente con la personalità dei defunti, con l'anima del nostro passato, con la storia e le vicende della nostra umanità. Tutto questo è per noi abbastanza normale e la nostra capacità viene naturalmente crescendo man mano che leggiamo, interpretiamo e divulghiamo i pensieri dell'umanità, soprattutto passata e defunta, attaverso i nostri sogni, i nostri scritti ed il nostro linguaggio.

Così come nell'antichità i vari eroi si recavano in viaggio nell'oltretomba per carpire i segreti dei grandi del passato, così anche noi come Enea, Dante o altri visitiamo sempre il mondo dei morti e come negli antichi presagi portati dai sogni le profezie e le precognizioni che ne ricaviamo non sono mai troppo buone, anzi sono in genere sempre presagi di morte, di catastrofe e di malattia. Ma è proprio per questo che il medium deve intervenire, per cercare di modificare l'evolversi e lo sviluppo degli eventi negativi, trasformandoli attraverso la propria sensibilità e la propria conoscenza in eventi positivi o almeno di gran lunga meno dannosi. Ora qui non voglio dilungarmi troppo su queste tematiche piuttosto complesse, ma vi basti sapere che noi siamo la morte in vita e la vita in morte. Noi siamo come i veri maghi, i veri poeti, i veri folli, noi non siamo altro che medium.
MORIRE, DORMIRE; DORMIRE, FORSE SOGNARE!
Dunque non abbiamo nulla a che vedere con lo spiritismo, con fenomeni psico-biodinamici o spiritoidi, ma ci occupiamo solo della morte e della vita da un punto di vista estremamente scientifico, filosofico, letterario e poetico. La nostra insomma non è altro che una ricerca psichica e intellettuale di natura filosofica all'interno dei meandri del caos e dell'assurdo dell'esistenza umana ed il nostro scopo principale è quello di sconfiggere la paura della morte, anche perché chi impara a non temere la morte impara a non servire, a non essere schiavo e diventa una persona libera, un'entità che può servire a qualcosa senza per questo dover supinamente servire la stupidità del potere organizzato. Per questo noi abbiamo sempre approfondito le tematiche della morte e del dolore per poter così meglio capire i nostri desideri, i nostri sogni e scoprire finalmente la felicità, la serenità, l'amore e perché no, forse anche la morte.

Apprendere a morire infatti significa imparare a vivere e poi in fondo come diceva Freud …………..
La nostra più acerrima lotta dunque non è con l'al di là, entità culturale e spazio temporale di cui siamo in intima correlazione oggettiva, ma è contro la stupida banalità dell'al di quà, dove si concentrano infatti tutte le malefiche negatività delle più vanitose, mostruose e avide forze dell'autorità e della stupidità. Mitigate dunque le vostre paure e ricercate la vostra strada, approfondite la vostra conoscenza e sviluppate la vostra umanità, uccidete il vostro egoismo e liberate la vostra comunicatività, solo così potrete sperare di migliorare la vostra serenità terrena ed ultraterrena! Per iniziare dunque ad approfondire la vostra capacità medianica vi metto a disposizione una vasta scelta di aforismi sulla morte e sul'arte di morire, il tutto ovviamente sperando di darvi delle buone idee per vivere meglio.

Sensitivo

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Un individuo che sa raggiungere i livelli superiori. La capacità di ricevere le impressioni, vibrazioni, che sono oltre quelle di solito percepite dai cinque sensi.
Molti potrebbero arguire che tutti sono sensitivi in gradi distinti, ma il termine tende ad assumere un valore maggiore per coloro che in effetti si vi rapportano per processare le influenze dei livelli superiori. Come nel caso di tutte le capacità psichiche, alcuni possiedono determinati doni, mentre altri devono focalizzarsi maggiormente sul loro sviluppo. Il sensitivo non deve per forza essere un medium, a meno che lui/lei sia abbastanza sensibile da controllare un'entità disincarnata.
In termini spirituali per sensitivo si intende l'anima. Quello che è meramente psichico non eguaglia lo spirituale, dato che in questo contesto ci si riferisce al termine "percezione-extrasensoriale" che può non avere alcuna relazione con la natura spirituale, ma risulta una semplice estensione dei sensi fisici.
La scrittura automatica è una capacità psichica, ma è pure una delle meno affidabili, dato che richiede una maggiore distinzione tra i pensieri di questo mondo e quelli l'altra parte.
Una delle grandi limitazioni di molti sensitivi risiede nell'essere emotivamente coinvolti con un individuo o un concetto. Il che blocca o limita le informazioni che di norma invece riceverebbero.
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Edda CattaniDallo spiritismo alla “ricerca psichica”
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MARIA Madre e Donna

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 Dedichiamo questo mese a Maria, Madre delle Madri e Regina della Pace.

  13 Gennaio

Sul dolore (Kahlil Gibran)

 

Il dolore è lo spezzarsi del guscio

… che racchiude la vostra conoscenza.

Come il nocciolo del frutto deve spezzarsi

affinché il suo cuore possa esporsi al sole,

così voi dovete conoscere il dolore.

E se riusciste a custodire in cuore la meraviglia

per i prodigi quotidiani della vita,

il dolore non vi meraviglierebbe meno della gioia;

accogliereste le stagioni del vostro cuore

come avreste sempre accolto le stagioni

che passano sui campi.

E vegliereste sereni durante gli inverni del vostro dolore.

Gran parte del vostro dolore è scelto da voi stessi.

È la pozione amara con la quale il medico che è in voi

guarisce il vostro male.

Quindi confidate in lui e bevete il suo

rimedio in serenità e in silenzio.

Poiché la sua mano, benché pesante e rude,

è retta dalla tenera mano dell'Invisibile,

e la coppa che vi porge,

nonostante bruci le vostre labbra,

è stata fatta con la creta che il Vasaio

ha bagnato di lacrime sacre.

 

 

Ho trovato queste pagine scritte da un sacerdote che profuma di santità. Leggiamole con calma, sono bellissime e ci invitano a sentire Maria come una di noi.  Non sempre troviamo parole indicative della personalità di una donna così lontana… nel suo vissuto… eppur così vicina a noi perchè "scelta" ad essere la Madre del Dio Vivente.

BUONA LETTURA!   e …

 

Ecco a voi il libro al completo… click …qui sotto!

 

MARIA donna dei nostri giorni  (continua…click!)

Un preambolo …  

MARIA Donna dei nostri giorni    

Monsignor Antonio Bello (affettuosamente chiamato don Tonino) è stato vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi dal 4 settembre 1982 fino alla morte avvenuta il 20 aprile 1993. …

Maria, donna feriale

 

Chi sa quante volte l'ho letta senza provare emozioni, L'altra sera, però, quella frase del Concilio, riportata sotto un'immagine della Madonna, mi è parsa così audace, che sono andato alla fonte per controllarne l'autenticità.

Proprio così. Al quarto paragrafo del decreto del Concilio Vaticano II sull'Apostolato dei Laici c'è scritto testualmente: …….

Edda CattaniMARIA Madre e Donna
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Buon anno a tutti!

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BUON ANNO!

BUON ANNO A TUTTI!!!

 

 

 

Cari Amici miei, un anno se ne va e un altro sta per cominciare. È tempo di bilanci…. tempo di volgere indietro lo sguardo per guardare quanto abbiamo seminato e quanto di questo sia rimasto. Certamente è stato un anno di svolta per quanto riguarda la mia vita e quella della nostra associazione. Ho viaggiato e incontrato tante persone che mi hanno dato ricchezza interiore e affetto. Ho anche lasciato persone care lungo il cammino: mamma Maria, Silvia…e nei giorni scorsi R…osa cara amica del mio percorso di fede e di speranza. Tutte hanno impresso una traccia indelebile e spero che continuino ad essere compagne ed esempio per tutte noi. Ancora una volta in questo passaggio ad un nuovo anno della nostra storia, auguro a tutti e a me stessa di riuscire a trovare la pace e la serenità interiore, assaporando la vita in tutte le manifestazioni che ci circondano.

Possiamo sentirci fratelli nella serenità dei giorni felici come nella sofferenza delle circostanze meno favorevoli. Perché solo nella fratellanza, nell'amore, nello stringerci l'uno all'altro potremo sentire il battito del cuore dell'intero universo che permea e condivide l’esistenza di tutte le creature.

Auguro un anno in cui i misteri che ci circondano, giungano a meravigliarci, a stupirci come bambini, nella semplicità e nella tenerezza che ci viene dal messaggio evangelico, perché possiamo condividere questa nostra realtà che è piena di meraviglie che possono e debbono entusiasmarci.

Auguro un Buon Anno nuovo, a me stessa e a tutti voi amici miei…”buono” come il pane fresco appena sfornato, come il vino novello che lascia il sapore dolce in bocca… perché tutto ci è donato per condividerlo, spezzarlo insieme… Lo vogliono i nostri Cari … che saranno felici per noi, per la nostra determinazione, il nostro coraggio, il nostro ringraziamento a Dio per l’esistenza che ci è stata data e mai ci verrà tolta!!!

 

 

 

.. sì, buon anno! .. possa essere per tutti, per tutte, un anno che ha bisogno di radici e di rami .. e sappiate che 'malgrado il passato e nonostante il futuro, la mia vita è, e resterà, l'istante in cui voi mi avete amato' .. perché l'amore vale tutto ciò che ho, che avevo e che avrò, e molto di più .. anche se sogno, ancora, per i miei occhi e per la libertà, l'umile e pigro sventolio delle bandiere di un rosso vero .. quelle che hanno l'odore di bucato delle famiglie operaie e la tenerezza eroica di una indimenticabile stagione .. mentre ora Dio sembra sussurrarmi che anche uno straccio può diventare bandiera ardente, sanguigna, bella .. se a sventolarla sono uomini e donne, liberi .. sì, buon anno .. e srotolate le bandiere: quel che viene non sarà tempo di viltà ..(fra benito)

 

 

 

 

Edda CattaniBuon anno a tutti!
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Auguri diversi

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Auguri diversi

 

 

 

L’incontro è finito. La gente che affolla la pieve di Romena è tutta in piedi ad applaudire don Luigi Ciotti. Ma lui sente che manca ancora qualcosa. Chiede di nuovo il microfono: “Scusatemi – dice – ma vorrei dirvi un’altra cosa. Vorrei augurarvi il coraggio di essere eretici…”
E’ un augurio inusuale, vivo, aperto. Un augurio che parte quel giorno, durante l’incontro “Rischiamo il coraggio”.
Un augurio da rilanciare proprio oggi, alla vigilia di un nuovo anno, in un giorno dedicato alle promesse, alle speranze, alla voglia di cambiarsi e di cambiare…

Vi auguro di essere eretici.
Eresia viene dal greco e vuol dire scelta. Eretico è la persona che sceglie e, in questo senso è colui che più della verità ama la ricerca della verità.
E allora io ve lo auguro di cuore questo coraggio dell’eresia. Vi auguro l’eresia dei fatti prima che delle parole, l’eresia che sta nell’etica prima che nei discorsi.
Vi auguro l’eresia della coerenza, del coraggio, della gratuità, della responsabilità e dell’impegno.
Oggi è eretico chi mette la propria libertà al servizio degli altri. Chi impegna la propria libertà per chi ancora libero non è.
Eretico è chi non si accontenta dei saperi di seconda mano, chi studia, chi approfondisce, chi si mette in gioco in quello che fa.
Eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze, chi non si rassegna alle ingiustizie. Chi non pensa che la povertà sia una fatalità.
Eretico è chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza.
Chi crede che solo nel noi, l’io possa trovare una realizzazione.
Eretico è chi ha il coraggio di avere più coraggio.
                                      
                                                                  Luigi Ciotti

 

Ma vediamo anche:

 

 

 

IN QUESTI GIORNI ABBIAMO BISOGNO DI MATTI!


O Dio, mandací dei matti, di quelli che siano capaci di esporsi,
di quelli che siano capaci di scordarsi di loro stessi,
di quelli che sappiano amare con opere e non con parole,
di quelli che siano totalmente…
a disposizione del prossimo.
Donaci persone temerarie, appassionate,
capaci di andare contro corrente,
seguendo le tue vie senza paure e false sicurezze;
di quelli che sono capaci di guidare la gente
senza il desiderio di utilizzarla come sgabello;
di quelli che non utilizzano il prossimo per i loro fini.
Ci mancano questi matti, o mio Dio!
Matti nel presente, innamorati di una vita semplice,
liberatori del povero, amanti della pace,
liberi da compromessi, decisi a non tradire mai,
disprezzando le proprie comodità o la propria vita,
capaci di accettare tutti i tipi di incarichi,
di andare in qualsiasi luogo per ubbidienza,
e nel medesimo tempo liberi, spontanei e tenaci, allegri, dolci e forti.
Dacci questo tipo di matti, o mio Signore.
(LOUIS JOSEPH LEBRET)

 

 

 

 

Edda CattaniAuguri diversi
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Maria “madre delle madri”

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Maria "madre delle madri"

Sono stati giorni particolari questi con tutta una serie di ricorrenze che, sebbene si vogliano trascorrere come tutte le altre giornate, segnano dei passi indelebili nella storia della mia vita. La Santa Vergine sembra avere avuto un legame particolare in ogni tappa ed a lei ho affidato i miei figli, la mia famiglia e le persone care come riferimento importante, imprescindibile. Ed ora con l’avvicinarsi dell’Immacolata, a Lei, Madre delle madri affido ancora una volta queste liriche.

Ave Maria di Fabrizio De André

 

Questa canzone è stata cantata e suonata dalla "mamma di Francesco" e dedicata a tutte le Mamme, durante la celebrazione e la S.Comunione della Messa nei nostri congressi A.C.S.S.S.

 


E te ne vai, Maria, fra l'altra gente
che si raccoglie intorno al tuo passare,
siepe di sguardi che non fanno male
nella stagione di essere madre.

Sai che fra un'ora forse piangerai
poi la tua mano nasconderà un sorriso:
gioia e dolore hanno il confine incerto
nella stagione che illumina il viso.

Ave Maria, adesso che sei donna,
ave alle donne come te, Maria,
femmine un giorno per un nuovo amore
povero o ricco, umile o Messia.

Femmine un giorno e poi madri per sempre
nella stagione che stagioni non sente. 

 

Edda CattaniMaria “madre delle madri”
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Basta violenza sui bambini!

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Non finisce la violenza…

E' morta la neonata trovata con il cordone ombelicale ancora attaccato in un cassonetto dei rifiuti a Palermo. A dare l'allarme ai carabinieri una passante allertata da un clochard che rovistando tra i rifiuti, aveva notato le gambine della piccola tra i sacchetti. La bambina, con ogni probabilità nata all'alba di oggi, era dentro una borsa sportiva rossa, insieme con una scarpa da adulto e un paio di forbici, utilizzate probabilmente per recidere il cordone ombelicale. 

 

 

Ancora maltrattamenti ai piccoli negli asili:

Quanto dovranno ancora subire questi bambini?

 

 

 

L'iniziativa prevede, infatti, la formazione di un gruppo composto da un minimo di sei a un massimo di otto adolescenti autori di reati sessuali tra i quattordici e i diciotto anni – guidato da quattro operatori specializzati nella tematica trattata – e l'avvio, in parallelo, di un gruppo composto dai genitori dei ragazzi. Per essere ammessi al trattamento, gli adolescenti – segnalati dal Tribunale per i minorenni o dai servizi sociali – devono aver riconosciuto, anche parzialmente, il reato commesso e non devono presentare disturbi comportamentali tali da impedire la condivisione del percorso in gruppo. L'ammissione sarà decisa dallo staff di Tiama, in seguito a due colloqui propedeutici, sia con i ragazzi che con i genitori. Gli adolescenti ammessi al gruppo parteciperanno a discussioni su temi individuati dagli operatori (due psicologi psicoterapeuti, un'assistente sociale e un consulente legale esperto di problematiche minorili).

Adolescenti e abusi: l'esperienza di Tiama

Il Centro Tiama (Tutela infanzia adolescenza maltrattata) di Milano da anni si occupa di bambini abusati e adolescenti autori di reati sessuali. E' iniziata l'attività di un nuovo gruppo di trattamento per adolescenti abusanti, un'esperienza avviata dal Centro nel 2006 che coinvolge anche i genitori dei ragazzi.

 

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In vigore la Convenzione
di Lanzarote

 

Il primo luglio 2010 è entrata in vigore, nei paesi che l'hanno ratificata, la Convenzione europea per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale. Firmato da trentanove sui quarantasette stati membri del Consiglio d'Europa, il documento è attualmente in discussione nel Parlamento italiano.

La convenzione di Lanzarote, dall'isola dell'arcipelago delle Canarie dove è stata adottata nel 2007 durante un meeting dei ministri europei della Giustizia, «affronta sistematicamente le tematiche relative alla protezione dei minori dallo sfruttamento sessuale e dall’abuso, introducendo princìpi generali, prevedendo misure preventive e autorità specializzate per la protezione dei minori, nonché specifici programmi di intervento a protezione e assistenza delle vittime» (così si legge nel testo di accompagnamento al disegno di legge  che attende l'approvazione del Parlamento).

 

 

Le misure previste nelle normative messe a punto dall'esecutivo europeo prevedono, prima di tutto, l'inasprimento delle pene per i reati di natura sessuale che coinvolgono minorenni. Inoltre, nella gamma dei reati punibili entreranno il grooming (cioè l'adescamento elettronico: partendo dal contatto online con i ragazzi e riesce, pian piano a  conquistarne a poco a poco le confidenze e la fiducia necessaria che può portare a un incontro reale), la semplice visione di filmati pedopornografici e la realizzazione di foto con bambini in pose ammiccanti. Come già effettivo in diversi paesi europei, il turismo sessuale verso mete esotiche dovrà essere comunque punibile. Per quanto riguarda le vittime, la Commissione europea propone che vengano loro risparmiati gli ulteriori traumi derivanti dalle deposizioni in sede giudiziaria e che godano sempre dell'assistenza gratuita di un avvocato. Le misure restrittive nei contatti con minori inflitte ai condannati avranno poi validità sull'intero territorio europeo e non solo all'interno dei confini nazionali.

L'Europa: giro di vite contro i crimini sessuali

Una lotta più dura contro i crimini sessuali sui minori e la tratta di esseri umani: nelle scorse settimane la Commissione europea ha proposto sanzioni più severe per i colpevoli, maggiore protezione per le vittime e prevenzione: ora la proposta passa al Parlamento europeo.

Sono diversi i fronti sui quali la Commissione europea propone un giro di vite. Prima di tutto gli abusi sessuali, lo sfruttamento , la pornografia infantile (soprattutto su Internet) e poi una strategia complessiva che rafforzerà e coordinerà l'impegno degli Stati membri contro la tratta.


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Edda CattaniBasta violenza sui bambini!
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