Edda Cattani

La devozione a San Michele Arcangelo

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Oggi 29 settembre: Festa degli Arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele " «…vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio di Dio…”

Messaggeri della sua grazia, della sua verità, della sua gloria… come i nostri Figli!

 

A CATTOLICA

CON GLI ANGELI DI ROMANINA

 

 

 

 

Riceviamo da Don Marcello Stanzione

Dio ci ha dato gli angeli come amici e fratelli maggiori che ci aiutano a raggiungere il vero obiettivo per cui siamo sulla terra, la santificazione personale e comunitaria. E' dunque evidente l'importanza di una spiritualità dell'unione angelica, cioè il convivere in un modo più consapevole con il proprio angelo custode in un cammino di crescita spirituale secondo la sperimentata dottrina spirituale della Chiesa. La figura e la missione di San Michele viene qui presentata attraverso cinque vie: la Sacra Scrittura, i segni sacri che l'uomo saggio può riconoscere nel creato, l'iconografia dell'arcangelo, le esperienze di alcuni grandi uomini e infine i siti micaelici.

 

Le apparizioni di San Michele Arcangelo

Di San Michele Arcangelo sono note almeno sei apparizioni:

Le prime tre avvengono alla fine del V secolo, quando San Michele Arcangelo apparì; sul Gargano e più precisamente sul monte Drion tra il 490 ed il 493.

Oggi nel luogo dove avvennero queste prime apparizioni sorge l'omonimo santuario di Monte Sant'Angelo di Puglia.

Le successive interessano Papa Gregorio I Magno, il Duca Logobardo Grimoaldo e di nuovo il Monte Sant'Angelo durante la pste del 1656.

L'apparizione del Toro

La prima apparizione di San Michele è detta del "Toro" e risale al 490 d.C. allorquando Elvio Emanuele, ricco possidente di Siponto che in avanti chiameremo con il solo nome Elvio, smarrisce il miglior toro della sua mandria.

Dopo averlo a lungo cercato lo ritrova all'interno di una impervia grotta.

Ma Elvio non riesce ad avvicinarsi al suo toro.

Qualcosa gli impediva di entrare e il toro non ne voleva sapere di uscire.

Così, preso da un raptus d'ira, Elvio finì per scagliare contro il toro una freccia con l'intenzione di ucciderlo.

Ecco però che la freccia, come per miracolo, cambia direzione, torna indietro e colpice Elvio ad una gamba.

Ovviamente il folklore ha diverse versioni del fatto ed un'altra storia cita che mentre una infuriava una tempesta Elvio trovò il toro inginocchiato davanti a una grotta dedicata al culto del dio pagano Mitra.

Elvio chiamò ripetutamente il toro che però non si mosse.

Allora Elvio impugnò il suo arco e scoccò una freccia contro il toro.

Anche in questa versione della storia la freccia tornò indietro e lo ferì al piede.

A differenza però dell'altra versione Elvio era a cavallo e la freccia, colpendolo, lo fa cadere …

… mentre cadeva, avvolto in una luce fatta da tutti i colori dell'arcobaleno, Elvio vide un Angelo guerriero che impugnava una spada scintillante.

Comunque, quale sia la storia, abbiamo che Elvio, sicuramente terrorizzato dall'evento che probabilmente pensava demoniaco, si recò dal Vescovo Felice (in altre versioni il vescovo è Lorenzo di Maiorano), il quale ordinò, forse senza neanche prestarci troppa attenzione, tre giorni di preghiera.

Ma al terzo giorno, l'8 Maggio 490, San Michele Arcangelo apparve in sogno al Vescovo e gli disse:

 

Io sono l'Arcangelo Michele, e sono sempre alla presenza di Dio.

La grotta è a me sacra ed Io l'ho scelta.

Non ci sarà più spargimento di sangue di animali.

Dove si apre la roccia il peccato dell'uomo potrebbe essere perdonato.

Ciò che è stato richiesto in preghiera sarà concesso.

Perciò risalite la montagna e consacrate la grotta al culto cristiano.


Il Vescovo chiamò a raccolta la popolazione per portarla in processione sul Monte Sant'Angelo di Puglia.

Anche in questo caso il folklore ci dice che la processione non riuscì a ritrovare la grotta originare … e tutto finì li (per il momento!).

L'apparizione della "Vittoria"

La seconda apparizione è detta della "Vittoria" e avviene due anni dopo, nel 492 d.C., la precedente apparizione del Toro.

Siamo sempre a Siponto che troviamo assediata dagli Eruli comandati da Odoacre, uno dei tanti popoli barbari che scorrazzavano per l'Italia dell'epoca.

Siponto era ridotta allo stremo ed il Vescovo Lorenzo di Maiorano ottenne tre giorni di tregua da Odoacre.

Gli eruli erano un popolo pagano ed il Vescovo Lorenzo di Maiorano ordinò alla popolazione di pregare e di fare penitenze per avere l'intercessione dell'Arcangelo protettore il popolo di Dio.

Anche questa volta San Michele Arcangelo apparve (di nuovo in sogno?) e promise il suo aiuto al Vescovo Lorenzo di Maiorano.

Così alle dieci del mattino, un violento temporale accompagnato da tempeste di sabbia e grandine, si abbattè sulle truppe di Odoacre, che in preda al terrore scapparono sciogliendo l'assedio.

San Michele Arcangelo aveva salvato Siponto ed il vescovo Lorenzo di Maiorano organizzò una nuova processione verso Monte Sant'Angelo di Puglia.

L'apparizione della "Meditazione"

La terza apparizione è detta della "Meditazione" in quanto è la prima che "lascia un segno tangibile" della presenza di San Michele Arcangelo.

Il Vescovo Lorenzo di Maiorano, riconoscente a San Michele Arcangelo dell'intervento contro gli Eruli, aveva ottenuto da Papa Gelasio I il permesso di poter consacrare la grotta in cui San Michele era apparso.

Ma San Michele Arcangelo aveva altre intenzioni e, riapparendo di nuovo in sogno al Vescovo Lorenzo di Maiorano, Gli disse:

Non è necessario che voi mi dedichiate questa chiesa che Io stesso ho consacrato con la mia presenza.

Entra e con il mio aiuto innalza preghiere e celebra il Sacrificio.

Io Ti mostrerò come Io stesso ho consacrato questo luogo.


Il Vescovo Lorenzo di Maiorano, insieme ad altri sette vescovi, al clero ed alla popolazione pugliese si avviò in processione verso Monte Sant'Angelo.

E' 29 settembre del 493 e fa molto caldo quando, durante il cammino, si verificò un primo prodigio.

Due aquile, con le loro ali spiegate, ripararono i vescovi dai raggi del sole.

Giunti alla Grotta un secondo prodigioin quanto vi trovarono eretto un altare (che immaginiamo essere fatto di semplice pietra squadrata), coperto di un pallio vermiglio e sormontato da una Croce in legno (altre storie parlano di una Croce di cristallo veramente improbabile).

Finalmente San Michele Arcangelo aveva dato il segno di quale era la Sua Grotta, l'aveva consacrata (a nostra conoscenza questo santuario è l'unico consacrato per mano non umana) ed aspettava che il popolo di Dio ci celebrasse il Sacrificio.

Inoltre all'entrata nella roccia trovarono il segno soprannaturale lasciato da San Michele Arcangelo ovvero l'orma del piede di un bambino.

Al Vescovo Lorenzo di Maiorano ora restava il compito di far edificare una chiesa (l'attuale santuario) all'entrata della grotta ed a San Michele Arcangelo fu dedicato il 29 settembre.

Da quel giorno il Monte Drion, che in greco Drion significa quercia, fu chiamato Monte Sant'Angelo.

L'apparizione della mole Adriana

La quarta apparizione coinvolge Papa Gregorio Magno (590-604) al quale San Michele Arcangelo appare in sogno sopra la mole Adriana, nell'atto di rinfoderare la spada, annunciando così la fine della terribile peste che infestava Roma.

Poichè la pestilenza finì veramente, Papa Gregorio Magno cambiò il nome del mausoleo di Adriano in Castel Sant'Angelo, nome che è giunto fino ai giorni nostri.

L'apparizione della "Vittoria" II

La quinta apparizione (se mai avvenuta) è ancora detta della "Vittoria" (Longobarda), in questo caso ottenuta dai Logobardi del Duca Grimoaldo durante la guerra contro i Bizantini nel 662-663.

Questa vittoria, avvenuta l'8 maggio, fu attribuita dai Longobardi all'intercessione diretta di San Michele Arcangelo.

Date le molte similitudini con la vittoria contro gli Eruli di Odoacre e dato che dal 666 sulla bandiera Longobarda comparì lo stemma di San Michele Arcangelo forse le due "apparizioni" della Vittoria sono la stessa cosa.

L'apparizione della "Peste"

La sesta apparizione (la quarta che avviene sul Gargano) è 1656 d.C..

In quegli anni, di manzoniana memoria, la peste mieteva vittime tra le popolazioni italiane.

Il Vescovo Alfonzo Puccinelli, ordinò giornate di preghiere e di digiuno per invocare l'aiuto di San Michele Arcangelo, arrivando a lasciare nelle mani della statua di San Michele una supplica scritta a nome di tutta la popolazione locale.

Ed ecco, sul far dell'alba del 22 (o 25) Settembre, mentre pregava in una stanza del palazzo vescovile di Monte Sant'Angelo, il Vescovo Puccinelli sentì come un terremoto e poi San Michele gli apparve avvolto in una luce fatta da tutti i colori dell'arcobaleno e gli disse:

Io sono l'Arcangelo Michele

Chiunque utilizzi la pietra di questa grotta sarà guarito dalla peste.

Benedici le pietre e scolpiscivi il segno della Croce e le iniziali del mio nome.

Il vescovo fece come San Michele Arcangelo gli aveva detto e ben presto tutta l'area fu liberata dalla peste.

Ancora oggi si può leggere, sulla statuta di San Michele Arcangelo, l'iscrizione voluta dal Vescovo Pulcinelli:

Al Principe degli Angeli vincitore della peste, patrono e custode, monumento di eterna gratitudine

Alfonso Puccinelli 1656

Villelmus Card. Baum – Penitenziere Maggiore Aloisius De Magistris – Reggente


A onor di cronaca anche di quest'ultima apparizione – prodigio esiste un'altra versione.

Tal Federico Spagnoletta, villico locale, fu colpito dalla peste.

Essendo molto fedele di San Michele Arcangelo, si recò presso la grotta dell'Arcangelo per pregare.

Qui, non ci è noto il perchè, prese delle schegge di pietra e le pose sui bubboni della peste e miracolosamente guarì in pochissimo tempo.

Ma Federico non aveva capito che la sua guarigone era data dalle pietre e dall'intercessione di San Michele Arcangelo.

Anche questa volta San Michele Arcangelo apparve in sogno, spiegandogli cosa gli era accaduto …. e annunciandogli che il miracolo era riprducibile.

La notizia si diffuse molto più velocemente della peste, dato che anche il Vescovo Alfonzo Puccinelli gridò al miracolo.

Da allora la grotta divenne meta incessante dei pellegrini devoti a San Michele Arcangelo e le piccole pietre sono considerate quasi come delle reliquie.

Oltre a quanto sopra scritto su San Michele Arcangelo non ci risultano essere attribuiti ulteriori miracoli …. e se ne siete a conoscenza o avete osservazioni da farci …. siamo a disposizione.


L'apparizione del "Faito"

Ci scrive Catello Malafronte, rettore del santuario san Michele sul Faito:

Le comunico che sul Monte Aureo o sant'Angelo a Tre Pizzi (provincia di Napoli, attuale monte Faito) nel sec. VI ci fu l'apparizione di san Michele Arcangelo ai santi Catello, vescovo di Stabia (ora Castellammare di Stabia) e a Sant'Antonino Abate (il patrono di Sorrento).

L'arcangelo chiese loro di costruire sul monte Aureo (poi Sant'Angelo) un Santuario.

Il santuario, andato distrutto per l'ingiuria del tempo e degli uomini, agli inizi del sec. XX è stato ricostruito sulla vetta detta monte Cercasole sul Faito.

 

Ricerca da internet

 

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Tutto è compiuto!

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Tutto è compiuto!

Così anche Mentore è andato alla Casa del Padre… o meglio, come dice il servita Padre Alberto Maggi “…Il tuo sposo non va alla casa del Padre… Perché lui era questa casa! Noi siamo l'unica dimora di Dio. La morte non ci allontana dai nostri cari ma ci avvicina sempre più!"

 Ora è il tempo del silenzio e della memoria. Ricordo i primi tempi, quando si manifestarono i sintomi del terribile morbo che l’avrebbe distrutto poco alla volta, nemico inesorabile, caparbio, irriducibile! Si cominciò a frequentare, con frequenza diurna “Casa Madre Teresa”: il mattino lo portavo e il pomeriggio lo riprendevo. La chiamava “la mia scuola” e ne parlava con i nipotini come di una nuova esperienza. Diceva loro “Sapete anch’io frequento una scuola dove mi insegnano tante cose." Il momento del ritorno era sempre gioioso: ”Com’è andata la giornata?” “Bene” “E cosa hai fatto oggi con i tuoi amici?”  “Abbiamo letto” “Raccontami su… avete letto il quotidiano?” “ Siì “  “…e di cosa avete parlato?”  “…di tante cose!” “Dimmi qualcosa…” “ Mi chiamano il santo…!”

Non poteva essere diversamente… si rendeva conto della sua condizione che accettava con umiltà, sorridendo, tornando quasi bambino, a quella infanzia che forse, dati i tempi, gli era mancata. Passando al semaforo guardava con nostalgia il ragazzo con i fiori in mano che bussava al finestrino: “Vuoi regalarmi una rosa?” “Sì”… e mi tornava alla mente la canzone di Simone Cristicchi:

Ti regalerò una rosa

Una rosa rossa per dipingere ogni cosa

Una rosa per ogni tua lacrima da consolare

E una rosa per poterti amare

…Dei miei ricordi sarai l'ultimo a sfumare…

 

 Ed è stato così… il ricordo di me non è mai sfumato, è rimasto vivo fino all’ultimo istante. “Ti ho lasciato sola…!” ripeteva con amarezza quando fummo costretti a prendere la drastica decisione del ricovero permanente. Il mattino che lo trasferii nella struttura credevo d’impazzire mentre lui mi confortava con le sole parole possibili, pacato e sereno: “Cosa vuoi, questa è la vita!” Ci vedevamo ogni giorno e molte erano le volte che provavo a trattenerlo nella “nostra” casa… quella casa dove ormai regnava il silenzio, interrotto solo dal vociare dei bambini, quando le figlie me li lasciavano per emergenze. Una vita di solitudine e dolore, soprattutto per lui, sempre più rattrappito, immobilizzato in quella poltrona, divenuta poi un giaciglio per un corpo lacerato.

 

Lunghi giorni e lunghi anni… non più festività insieme, ma ormai in “famiglia” a Casa Madre Teresa, divenuta la dimora stabile per entrambi. Ho vissuto con il mutare delle stagioni, il cambiamento delle situazioni… persone entrate autonome ridotte a vegetali dementi… Mentore no! Solo gli occhi si sono mossi fino all’ultimo, in cerca del mio incoraggiamento; io sono stata la sola persona a cui ha rivolto lo sguardo fino all’estremo istante, ancor quando lo supplicavo: “Lasciati andare Mentore, vai caro, ora puoi volare! Cosa aspetti? Basta soffrire… vedi, ti tengo la mano e Andrea è dall’altra parte che ti sorride… Vai, amor mio, vai!!!”

 

 

Gli ho messo fra le mani lo scapolare della Madonna del Carmine di cui siamo devoti e l’ho dato a Maria, donato a Lei nella settimana dell’Assunta.

Il giorno che l’ho portato nella struttura era il 22 maggio: 22 sono gli anni di Andrea e in quella data si festeggia Santa Rita, la Santa degli impossibili. Ricordo quand’ero adolescente e andavo ancora a scuola, nella mia parrocchia c’era un’altarino dedicato a Santa Rita e non mancava giorno che non facessi una visita prima di recarmi alle lezioni, pregavo per la riuscita di un compito, di una interrogazione… ora le ho affidato mio marito, il mio compagno, il papà di Andrea, l’ultima figura della mia famiglia rimasta a tenere la fiammella accesa di una casa sgretolata e dove ormai sarò sola.

 

Nel giardino però non sono mai cessate le sorprese: Andrea mi ha fatto trovare petali a forma di cuore dappertutto, mentre pregavo Dio di perdonarmi per la mia debolezza e perché non venisse meno la forza di andare avanti. Troppo grande la mia presunzione di avere pagato il pedaggio con le mie precedenti sciagure e di non dovere più soffrire; ora capisco Signore che non mi avresti abbandonato  mettendo al mio fianco una spalla su cui piangere e con cui condividere il dolore, una creatura che potrà alleviare ogni mia pena con un segno di conforto.

Ora è passato tutto, tutto è compiuto! Sono rimasta con lui fino all’ultimo… non ho voluto accanto nessuno in quest’ultimo viaggio… Noi soli, anche alle esequie, fatte nel raccoglimento, con le mie figlie e gli operatori: il cero pasquale indice di Fuoco dello Spirito e un cuoricino di rose bianche con i nomi dei miei nipotini. Lui, grande presenza al centro, pronto per raggiungere in cappella Andrea, sopra di lui, finalmente!!!

 

 

 

Ma debbo ringraziare le Mamme degli Angeli di FB che, fino dai primi momenti dell’agonia mi sono state accanto a decine, impareggiabili nei commenti e nell’esortazione all’accettazione e alla fiducia in Dio. Chi poteva pensare che dai mezzi elettronici potesse venirmi tanta umanità? Chi lo conosceva di persona non si è presentato in tutti questi anni…e, dagli ultimi, i più lontani, coloro che sono stati colpiti da lutti raccapriccianti, ne è venuta la solidarietà e la preghiera dell’anima a sollievo della sofferenza!

GRAZIE!!! GRAZIE A TUTTI

Ed ora… per coloro che hanno FEDE!!!

 

L'ho visto volare e mi ha dato un messaggio… che più bello di così … "…mia sposa io ora sto bene…è grande il sacrificio… i tuoi fiori tutti per me. Il tuo dolore nella prova è stato grande… COSPARGI IL TUO PROFUMO AL VENTO E RIGENERA IL TUO ABITO DI FOGLIE E DI FIORI… "… cosa debbo desiderare di più! La morte non esiste e gliela farò anche questa volta…

 

 Un grande abbraccio e GRAZIE!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Portami il girasole …

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Oggi lo dedico a te Mentore… 

in attesa delle esequie e il suo arrivo nella cappella del suo riposo!

Portami il girasole ch'io lo trapianti

 

Portami il girasole ch'io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l'ansietà del suo volto giallino.

Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.

Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.


(
Eugenio Montale, Ossi di seppia, 1925)

 

Da questa poesia parte anche la mia invocazione; è un verso di quelli che si stampano nella memoria: portami il girasole ch'io lo trapianti. C'è tutta la forza di una preghiera e la debolezza di chi, sente la propria anima come un terreno bruciato dal salino, la ferita di una terra dolorosa. Il girasole, pianta magica e dalle foglie gialle, come quei limoni cantati da Montale in altre liriche, più che un uomo è un angelo, che tende verso il cielo azzurro per ansia e bramosia di infinito.

Per questo, in questa stagione porto ad Andrea “il girasole” quasi a volere, in forma poetica  proseguire la mia preghiera che va al di là del dissolvimento: trasparenze e verbi quali vapora fanno capire quanto ci si allontana dalla materialità per giungere all'essenza. Il girasole è  simbolo di un'ebbrezza quasi mistica, che rischiara la visione delle cose, estremo tentativo di una supplica che non è conoscenza, è qualcosa di più, è quello che ai poeti, e anche a me, piace chiamare Illuminazione.

 

 il profumo dei fiori che mi porti giunge fino a me 

 

 

Edda CattaniPortami il girasole …
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Quando non ci sarò più

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Quando non ci sarò più …

Oggi più che mai attuale… Mentore è appena mancato!

Non volevo pubblicare questa bellissima preghiera giuntami inaspettata il  27 luglio, giorno  successivo  alla festa dei SS. Anna e Gioacchino, i nonni di Gesù, genitori della Madonna, Maria SS.ma.  Poi mi sono detta che forse era il tempo di farlo perché è un inno all’amore e alla Famiglia e può ricordare a tanti come , pur nelle difficoltà e nel dolore , si possa condividere  una vita .

Un "grazie " riconoscente al gentile autore della presente.

27 luglio 2011

 

Padre d’Amore

accogli nelle Tue tenere mani

i giorni, i mesi, gli anni che hanno unito

Edda e Mentore a Te, Vite di Grazia.

 

Benedici, Padre, le loro lacrime.

Tienili stretti alla Roccia del Tuo Amore,

consumali nel Fuoco della Tua Gioia.

 

Fa, o Padre, che si elevino canti

da questa camera di sofferenza.

Manda i Tuoi Santi Angeli ed Andrea

a preparare il Nuovo Banchetto Nuziale.

 

Accogli, o Padre, tutti i momenti vissuti

da Edda e Mentore.

Tutte le loro speranze, la loro fatica,

i giorni felici e le incomprensioni,

le solitudini provate, gli abbracci

ed i baci che hanno segnato di miele

i loro occhi in fusione.

 

Benedici, Padre, i frutti del loro destino:

figli, nipoti, le nuove famiglie,

tutte le nuove piantine che verranno negli anni,

memoria, ricordo e presenza

di questi cari Edda e Mentore.

 

Di noi tutti che in vario modo

siamo a loro vicini, abbi Pietà.

Concedici un po’ di quella Luce d’Amore

che ha accompagnato il loro cammino.

Preservaci dalla stoltezza del male

che ci verrà incontro

conoscendo la nostra fame.

 

Fa’ che nel Tuo Tempo Edda e Mentore

potranno pregare, insieme, per tutti noi,

dai giardini della Gerusalemme Celeste.

Amen.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il tuo cuore lo porto con me

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Il tuo cuore lo porto con me

Ed oggi… ecco l'incontro!

Ripropongo questa bella lirica in ricordo dell'11 febbraio, festa della S.Vergine di Lourdes,

in cui Mentore  ed io abbiamo unito le nostre vite. Queste parole che suggellano un amore esprimono il grado più alto e puro di

un'unione; perciò le dedico anche ad Andrea che possa presto accogliere il suo Papà.

 

In Her Shoes – Se fossi lei

 

Un film andato in onda in prima serata, nemmeno recente, che insegna il senso dell'amore nella vita di noi tutti. Un bellissimo ritratto dell'amore fraterno. Un forte contrasto tra stili di vita opposti che trovano una spiegazione logica nei traumi del passato. Una brusca caduta nella disperazione e un lento e faticoso cammino verso la rinascita. La necessità di toccare con mano le proprie radici e il conforto di poter contare su ciò che resta della propria famiglia. A volte ingenuo, a volte sadico,a volte ironico e lieve. Mai volgare. Fra le scene più belle, quella finale, in cui tutto si fa tenero e gioioso e un'emozione prepotente ti assale mentre non puoi fare a meno di tenere il tempo dietro le note spensierate della musica reggae. In her shoes è un percorso di vita al femminile, attuale e non così distante dalla realtà odierna. Il passato riaffiora nella nonna interpretata da Shirley MacLaine, forse per non dimenticare i valori famigliari, che come sempre sono una valida ancora di salvezza nelle difficoltà dell' everyday life. Fra i sorrisi, le lacrime e la ricerca infinita dell'immagine perfetta con cui affrontare i dilemmi dei nostri tempi.

 

La parte più bella, che rimane nell'animo come messaggio,  è la poesia finale di E. Cummings

 

Il tuo cuore lo porto con me

 

 

Il tuo cuore lo porto con me
Lo porto nel mio
Non me ne divido mai.
Dove vado io, vieni anche tu, mia amata;
qualsiasi cosa sia fatta da me,
la fai anche tu, mia cara.
Non temo il fato
perché il mio fato sei tu, mia dolce.
Non voglio il mondo, perché il mio,
il più bello, il più vero sei tu.
tu sei quel che luna sempre fu
e quel che un sole sempre canterà sei tu
Questo è il nostro segreto profondo
radice di tutte le radici
germoglio di tutti i germogli
e cielo dei cieli
di un albero chiamato vita,
che cresce più alto
di quanto l'anima spera,
e la mente nasconde.,
Questa è la meraviglia che le stelle separa.
Il tuo cuore lo porto con me,
lo porto nel mio.

(Edward Estlin Cummings)

 

 

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Angeli “diversamente abili”

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Avremo a Cattolica 2012, per sensibilizzare l'opinione pubblica NICE BONOMI (Verona): insegnante e formatrice in ospedali, scuole e carceri attraverso l’amore e la gioia la "Dott.ssa Takipirina" segue casi di grande disagio portando il sorriso.

 

Un pensiero-carezza a tutti

 In partenza per le vacanze con il mio nipotino, rinnovo questo articolo!

QUANTO DOVRA’ DURARE ANCORA QUESTO GENOCIDIO???

(Da FB scrive il padre Giorgio Tremante)

Per dimostrare quanto male possono fare le vaccinazioni, usate così indiscriminatamente sulle famiglie d’ogni parte del mondo, penso sia doveroso da parte… mia narrare la mia vicenda, precisando però che purtroppo la mia storia non è da considerarsi un caso unico sporadico a se stante, ma è solo la punta di un iceberg che tenta di smascherare quella categoria di “scientismi” che impongono ancora col terrore l’uso delle pratiche vaccinali.

La tragedia che ha colpito la mia famiglia, si è abbattuta su tre dei miei quattro figli.

Premetto che i tre miei figli, colpiti da reazione da vaccino, sono nati perfettamente sani e che le manifestazioni di una possibile malattia sono comparse solo dopo la prima vaccinazione antipolio Sabin. A Marco, il mio primogenito, sulla cartella clinica fu descritta la sintomatologia che presentò dopo l’antipolio Sabin. I disturbi manifestati (nistagmo oculare, tremori e difetti alla parola) erano stati messi in correlazione al Sabin dal pediatra, mentre altri medici avevano supposto diagnosi diverse quali tumore al cervello o encefalopatia degenerativa, mai confermate da alcun’analisi eseguita sul bambino. Morì nel 1971 all’età sei anni. Col secondo figlio, nato nel 1970, non ci furono problemi. Ma il dramma si ripresentò con la nascita, avvenuta nel 1976, di due gemelli monoovulari. Nonostante la mia ferrea opposizione ad una legge che mi imponeva una assurda e pericolosa obbligatorietà, senza nessun accertamento preventivo, vennero vaccinati e il giorno successivo iniziarono già ad affiorare i primi sintomi di qualche alterazione. Sottoposi le cartelle cliniche dei primi ricoveri subiti dai miei figli a varie Università: negli Stati Uniti, in Inghilterra e perfino in Russia, proprio in quest’ultimo paese s’ipotizzò una malattia su carenze immunitarie che avrebbe confermato la responsabilità specifica delle vaccinazioni. Nella mia città, Verona, fu posta la diagnosi di “leucodistrofia di tipo metacromatico”, una malattia degenerativa del sistema nervoso, tale diagnosi non fu mai confermata dagli esami anche genetici ai quali ci sottoponemmo. Più tardi Andrea, uno dei due gemelli, si aggravò e venne ricoverato per disidratazione; nonostante la mia raccomandazione di non far uso di farmaci immunosopressori, in quanto il bimbo era un immunodepresso, fu usato del cortisone in vena ed in cinque ore la mia creatura morì. In seguito venni a sapere che lo stesso farmaco era stato somministrato anche al mio primo figlio prima del decesso. Neppure con l’autopsia riuscimmo ad avere elementi utili per salvare la vita al gemello rimasto, giacché ci fu negata la presenza di un medico legale di parte, per questo tale esame non poteva risultare attendibile alle nostre ricerche. Ad un mese dalla morte di Andrea, anche Alberto, il gemello rimasto, dovette essere ricoverato. Nonostante il parere dei medici fosse quello di lasciarlo morire, fu portato, su nostra richiesta, in rianimazione e interpellato un virologo di Napoli, che in precedenza aveva già esaminato il bambino, questi ci consigliò degli immunostimolanti. Sottoposto a terapia con “interferone”, il bimbo cominciò lentamente a migliorare. Dopo sei mesi di degenza il bimbo fu portato a casa senza lettera di dimissione. Qualche tempo dopo, richieste le cartelle cliniche, mi accorsi che erano difformi da quelle che fotocopiavo giornalmente durante il ricovero. Per questo presentai un esposto alla magistratura. In conseguenza a tale fatto fu emessa da un Giudice una comunicazione giudiziaria nei confronti del Direttore Sanitario dell’Ospedale in cui era stato ricoverato il bambino, estesa successivamente al primario della Pediatria per “Falso in atto pubblico”. Alla fine questo procedimento è stato archiviato.

Molti altri ricoveri subì Alberto, sia nello stesso Ospedale di Verona che in altre rianimazioni: al Policlinico di Milano, a Merate in provincia di Como, a Melegnano, in provincia di Milano, e per ultimo fu trasferito d’ufficio da Melegnano al Policlinico di Verona. Durante tutti i vari ricoveri il mio compito era quello di far sì che venissero praticate terapie immunostimolanti che ci avevano dato i primi risultati positivi. Queste terapie ci venivano sempre consigliate dal professor Tarro di Napoli, che era stato allievo del Professor Sabin. Era sempre difficile se non impossibile far praticare questo tipo di terapia ad Alberto, poiché la classe medica compatta aveva sentenziato ormai che mio figlio dovesse morire. Ciò era sostenuto perché non fosse scoperta la responsabilità delle vaccinazioni usate su un soggetto, parzialmente immunodepresso. Nonostante del nostro caso si fosse interessato l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, facendo pressione perché il Ministro della Sanità Renato Altissimo istituisse una Commissione Ministeriale, questa senza mai aver visto Alberto stese una relazione fasulla per nascondere la verità del danno subito dai vaccini. L’ultimo ricovero Alberto lo dovette subire al Policlinico di Verona dove, secondo il parere dei sanitari, mio figlio doveva morire a breve tempo. Cercai disperatamente di portarmi a casa il mio bambino, visto quale era il loro modo di pensare perché l’unica soluzione del problema per loro era l’epilogo nefasto di tutta la nostra vicenda. In quel frangente, perché non riuscissi nell’intento di far sopravvivere la mia creatura, addirittura mi fecero togliere la “patria potestà” dal Giudice dei minori di Venezia, al quale mi rivolsi subito per fargli capire che stava commettendo un macroscopico errore. Riuscii a convincerlo e a farmi reintegrare nella potestà parentale, iniziando così fin dall’ormai lontano 1984 a gestirmi mio figlio a domicilio, creandomi una “sala di rianimazione” dove in precedenza era sistemata la nostra stanza matrimoniale. Durante tutti i ricoveri mia moglie Franca ha sempre seguito Alberto, rimanendo con lui giorno e notte, al fine di proteggerlo da ogni sopruso che la classe medica cercava di porre in atto.

Molti altri soprusi dovemmo subire da parte della Sanità, anche quando Alberto non aveva più messo piede in un ospedale, polemiche di ogni tipo da parte delle Istituzioni sanitarie perché non si voleva ammettere che le vaccinazioni erano state la causa della sua malattia e della morte dei suoi fratelli.

Finalmente, nel 1995, facendo ricorso alla legge 210 del 1992, vidi riconosciuto dallo Stato il “nesso di causalità” del danno patito sottoponendo i nostri figli alle vaccinazioni d’obbligo.

Durante tutti questi anni mi adoperai per fondare associazioni in Italia per aggregare persone come me che avessero patito danni dalle pratiche vaccinali;

inoltre cercai di far passare una legge, che avevamo messo a punto con dei Parlamentari, per togliere l’obbligatorietà di queste pratiche; ma questo traguardo in Italia non è stato raggiunto, poiché, secondo me, la politica sanitaria che viene attuata è rimasta succube ancora del potere delle Multinazionali dei Farmaci. Tutto ciò sta dimostrando che, anche in questo settore, una certa pseudoscienza, con la prepotenza del suo scientismo, privo d’ogni scrupolo, calpesta continuamente, con azioni il più delle volte illecite, ogni diritto umano e civile. Essa impone il suo potere basato essenzialmente su interessi speculativi che fondano il loro progredire non su un’aperta e corretta informazione, ma piuttosto su una voluta e completa disinformazione fino ad arrivare anche all’occultismo di certe realtà e spaccia per prevenzione queste pratiche di profilassi che tutto possono, tranne che prevenire alcunché.

 

CI SONO ANCH’IO
Non so se sarà bello
anche per me
partecipare a questa preghiera:
la preghiera di tutti,
nella Chiesa.
Sarebbe meglio restare
fra noi ragazzi,
parlare più semplicemente,
cantare….
e poi almeno potremmo distrarci…
Si sa, i ragazzi!
Invece tu, Signore,
mi chiami a occupare il mio posto,
là nella Chiesa,
accanto al catechista, al dottore,
vicino all’ignorante e al sapiente,
vicino a chi è bigotto
e a chi non sa neanche perché è qui.
Ci sono anch’io.
Va bene.
Ci sono anch’io
e prego con tutta la Chiesa. 

Questo è il mio nipotino Simone, all'età di 4 anni, colpito dai postumi di un vaccino alle proteine cerebrali, in coma poi, miracolato dal Beato Giovanni Paolo II°. Ora porta i segni di questa terribile vicenda.

Edda CattaniAngeli “diversamente abili”
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Emergenza terremoti

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Quando la terra trema

 

29 maggio 2012 – C'e stata una violenta scossa di terremoto che ha fatto tremare tutto il nord Italia intorno alle 09:00 l'epicentro localizzato nella pianura padana avvertita in Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Toscana, Piemonte e Liguria per il momento non ci sono indicazioni sulla magnitudo ed epicentro aggiornamenti tra poco…

29 maggio 2012 – Un nuovo forte sisma ha fatto tremare il nord Italia alle ore 09:00 locali,secondo i dati dell'Usgs( l'istituto sismologico americano) di magnitudo 5.8 Richter ad una profondita' di 9.6 km localizzato a 40 km NNO da Bologna,60 km E da Parma in Emilia Romagna,sia magnitudo che epicentro potranno essere soggetti ad aggiustamenti per i prossimi minuti

Si sta concludendo il mese di maggio con una temperatura piacevole e tanti progetti: le vacanze in arrivo, i ragazzi e gli esami, i conti che non tornano ma si possono far quadrare e l’ottimismo… che non manca mai… del popolo italiano. Ci sono sì coloro che si tolgono la vita perché non riescono ad uscirne, ma forse non sono stati sufficientemente accorti o si tratta di casi di “sporadica tensione”… così si tira avanti… Poi improvvisamente l’uomo si trova davanti all’inatteso, al “male” ineludibile che non riesce ad evitare… ed è il “Silenzio di Dio”.

Allora ti chiamo Signore in tribunale e ti chiedo ancora una volta “perché?” perché hai permesso tutto questo nella tua terra, nel tuo terreno di caccia…? Non erano bastati i disastri invernali…Genova, La Spezia… i morti annegati… Oggi le macerie e gli operai al lavoro, per guadagnare il pane per la famiglia… Perché mio Dio, perché? Tu taci Signore e noi non capiamo e ci sarà chi ancora una volta farà promesse “elettorali” e poi dimenticherà questa povera gente, costretta a rimboccarsi le maniche e a farsi forza… a darsi coraggio … in una temporanea, fugace prova di solidarietà!

 

  La nostra solidarietà

 

Cile, oltre 700 morti e cresce il numero dei dispersi. "Allarme tsunami in ritardo"

Ha avuto ripercussioni anche nell'entroterra il terremoto che ha avuto come epicentro un punto in mezzo all'oceano al largo delle coste del Cile. Molte le vittime, intere zone del paese sono rimaste isolate. Nella notte è scoppiato un incendio a Concepcion (Ap)

 
 
ultimo aggiornamento: 01 marzo, ore 12:42
Conception – (Adnkronos) – Soccorsi ostacolati dalle scosse di assestamento. Farnesina: non risultano dispersi. Ma manca all'appello un professore di Ascoli Piceno. Dall'Ue subito aiuti per 3 milioni di euro. Il governo accusa la Marina per non aver lanciato in tempo l'allarme.

va ai bambini più bisognosi del nostro aiuto…..

Haiti

Emergenza Terremoto scala 7.0:

Haiti/Terremoto scala 7.0:

"catastrofe di proporzioni enormi"

 Siamo solidali con la popolazione:

SERVE TUTTO!

"…non ci sono i sacchi per trasportare i morti…"

http://www.nphitalia.org/

 

 

Edda CattaniEmergenza terremoti
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Newsletter n.12

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Newsletter n.12 del 14 luglio 2012  

Chiesi a Dio…che la mia presenza accanto a voi fosse per sempre (Andrea)

Con il saluto di un Angelo auguro a voi Buone Vacanze! Un periodo di meritato riposo porterà ad uno nuovo risveglio dello spirito e di questo tutti noi abbiamo bisogno!

Ci siamo sentiti con l’atmosfera gioiosa delle feste e ci ritroviamo ora, con il solleone che ci affatica ma ci ristora … L’animo umano ha bisogno di calore e con questa stagione sembrano trovare pace tutte le ansie e il desiderio di consolazione e conforto. La natura ci aiuta in questo con splendide aurore e colorati tramonti.

Buone Vacanze anche con il saluto di Fra Benito, una presenza ormai familiare su FB, un sacerdote servita che sta per partire missionario e che comprende e sa sviscerare i meandri dell’animo umano con il Vangelo e l’immagine di un Cristo Uomo, a noi tanto simile:

  “ Dio della gioia Tu sei, Signore, che desideri la felicità dei Tuoi figli .. Aiutaci a cercare alla fine di ogni giornata, alla fine di ogni fatica, il profumo, il sapore del Tuo vino, perché di esso impregni ogni nostro gesto .. anche se non ce ne accorgiamo perché sembrano solo piccoli dettagli del mondo .. pieni di silenzio e senza un sapore condiviso .. allora insegnaci ad amare il vino degli altri, il sudore della loro fatica, i baci non dati, le lacrime delle loro fragilità .. e a salvarci con la gioia che sa di vino e di labbra che amano “

    

 

Quanto da imparare sempre fra le bacheche … nelle righe scritte … nei commenti fatti!!! Volendo crescere, amici miei ce n’è in abbondanza!  Ed ora riprendiamo le fila dei nostri intercorsi… e delle nostre iniziative.

  

Un grande, storico giornale che si occupa da tempo delle tematiche che ci riguardano, l’AURORA diretta dal Prof. Roul Bocci,  è stato colpito dal grave lutto della perdita della Prof. Mara Montemaggiori, fedele collaboratrice e compagna infaticabile ed esperta di questo grande sussidio spirituale.  Non avremo pertanto la pubblicazione sulla rivista dei nostri interventi, anche a causa delle precarie condizioni di salute del Professore stesso. Ho provveduto, a titolo personale, ad inviare una lettera unitamente al programma del Convegno di Cattolica 2012 a tutti gli abbonati, manifestando la nostra solidale condivisione affettiva.

 

 

 

   

   

 Di tutto nostro c’è stato dopo il Convegno di Dicembre per il ventennale di  Andrea , riuscito magnificamente per la presenza di ottimi relatori  e di tanti  partecipanti, la continuazione dell’anno sociale con l’afflusso di tante persone alla sede di Via Rinaldi e ai “Tre Pini” per l’incontro di fine mese con la Messa per i nostri Cari.

Poi una serie di Convegni, uno a ridosso dell’altro hanno permesso di incontrarci, di conoscerci, di stare insieme in armonia e grande spiritualità. Primo fra tutti il “Convivio” di Roma dove ho potuto ritrovare cari amici ed abbracciare il Prof. Filippo Liverziani che, per me e mio marito è stato un maestro di spiritualità e ci ha consentito un percorso di formazione approfondita. Ricordo poi Bellaria, dove ancora una volta è arrivata la sempre gradita testimonianza del Dr. Moody con le ultime esperienze in punto di morte. E infine San Marino dove magistralmente il Prof. Cozzi ed altri hanno approfondito tematiche di confine.

Ma veniamo ora al nostro interesse più stretto. Siamo prossimi a Cattolica 2012 ed ogni cuore si è aperto alla speranza  del potere condividere un’esperienza che cambi la visione della vita turbata dalla perdita di una persona cara. La XXVI edizione dello storico congresso del Movimento della Speranza, offre anche quest’anno un programma di grande ricchezza e attualità. Ampio spazio alla sperimentazione, alle testimonianze e alle esperienze dirette; ampio spazio anche alla ricerca, all’analisi, allo studio, alla presentazione di tematiche correlate a quelli che sono i temi portanti di questa manifestazione e cioè la spiritualità e la vita dopo la morte.

In modo particolare, da questa edizione, il programma si arricchisce per l’apertura ai social network con la diretta delle metodologie adottate dagli sperimentatori, ma anche con la testimonianza dei grandi movimenti, come ad esempio i parenti delle “Vittime di Omicidio Stradale”. Si è cercato di dare uno spazio dignitoso a tutti i relatori ed anche a coloro che accompagneranno i presenti con colloqui individuali di contatto. Forse non si sono date risposte ad alcuni protagonisti “eccellenti” ma ai miracoli nessuno è tenuto e se qualcuno ha rinunciato sono certa che tutti capiranno all’arrivo che, di questi tempi e con questi costi, di meglio non si poteva fare.

Avremo quindi persone qualificate e “mamme carismatiche” come vengono definite coloro che pazientemente hanno cercato, nella loro disperazione, una comunicazione con l’oggetto amato ed hanno sviluppato in se stesse delle facoltà che possiamo definire “carismi” doni dello Spirito per aiutare chi si trova in condizione di bisogno.

Speriamo si rimetta in salute un “cardine” del  programma: Padre Alberto Maggi, del Centro Studi Biblici di Montefano, appena uscito da un pesante intervento chirurgico dal quale, ci auguriamo ne sia venuto fuori completamente ristabilito .

  La mia barca è una conchiglia adagiata su una spiaggia deserta 

Siamo vicini agli amici della “Casa dell’albero” di Fossoli e a Carla Castagnini reduce dalla catastrofe del sisma che ha colpito l’Emilia Romagna. Si dice che le attività riprenderanno in qualche modo al termine dell’estate e, a dire il vero tutti ci auguriamo che ogni cosa riesca a contenersi in termini di costi e di equilibri.

 Ed ora che dirvi? Una miriadi di appuntamenti vengono comunicati da internet e sappiamo pertanto che tutti possono accedere, lontano o vicino alla loro dimora a convegni di tutti i tipi. Diciamo che quello del Movimento della Speranza offre una chance in più, essendo di più vecchia data e supportato da persone che fanno parte di coloro che hanno vissuto infauste vicende.

Domani si festeggia la Madonna del Carmine: affidiamo a questa Madre tutte le nostre speranze ed anche le nostre certezze, stringendo al cuore lo scapolare devozionale, che tengo ancora custodito gelosamente, un modo come altri per avere tangibile il contatto con la Madre Celeste. Buona festa a tutti e continuate a seguirci. Non mancheremo di farvi condividere pensieri, sentimenti ed emozioni!

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Edda CattaniNewsletter n.12
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Angeli Custodi e Nuovi Angeli

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Premessa

 

 

 

In questi giorni particolari in cui gli innocenti subiscono violenza e muoiono, spesso dimenticati; gli ammalati soffrono e non trovano soccorso, la fame e la miseria vengono ignorate quando non ci riguardano … offro questo mio contributo dal profondo silenzio di un Dio Crocifisso.

 

Oggi in particolare la offro alle Mamme degli Angeli che hanno manifestato a Roma per il riconoscimento dell'Omicidio stradale e che ho definito MAMME CORAGGIO: a Croce Castiglia e a tutti i Gruppi sorti in Italia e ai giovani mancati in questi giorni nel "ponte del 1° Maggio. " Benedetti Voi che avete visto la LUCE! "

 

 

PARLIAMO DI ANGELI  allora, con tutta la fede e il rispetto che essi meritano lungo le vie impervie del nostro cammino.

 

Un'anima non è mai senza la scorta degli Angeli, questi spiriti illuminati sanno benissimo che l'anima nostra ha più valore che non tutto il mondo.

San Bernardo di Chiaravalle

 

Noi tutti siamo stati affidati da Dio ad un Angelo custode a cui, ogni nuovo giorno, dovremmo chiedere consiglio, forza spirituale e saggezza. Ogni sera dovremmo poi ringraziarlo per tutte le volte in cui ci ha aiutato anche senza che noi ne fossimo consapevoli.

L'Angelo Custode, se rettamente invocato, circonda tosto la casa con amore, protezione e benedizioni. Gli Angeli Custodi apportano più quiete, armonia e spiritualità nella nostra casa: dicono che noi abbiamo eretto una quasi insormontabile barriera di rumore e di materialismo, tra il nostro mondo ed il loro. Una breve preghiera per la Divina ed angelica protezione della casa, dei bambini, dei vecchi e degli ammalati, ripetuta giornalmente, assicurerà i loro privilegi e darà alla casa un' atmosfera di bellezza e di pace.

 

 

 

 

Relazione

 

 

 

 

Di questi tempi sentire parlare di Angeli è diventata ormai una consuetudine, vorrei dire quasi una moda. Se ne occupano i media, la stampa specializzata,  la televisione con programmi specifici, in cui si trasmettono episodi di vita che hanno come protagonista un essere spirituale che ha contribuito a salvare una situazione al limite. I primi filmati su angeli custodi e soccorritori sono stati narrati da persone che vivono negli Stati Uniti, una terra in cui la gente sembra essere incline  a credere nella autenticità  di simili argomenti.

 

I filmati sono ben rappresentati da gradevoli attori ( Ghost ne è la riprova) e da bambini-simbolo-pubblicità che, all’insegna di una società che vuole tutti belli, felici e sani, commuovono l’uditorio disponibile ad immaginare una realtà bella in cui le funzioni angeliche vengono attribuite a particolari circostanze dove i sogni premonitori ci salvano dai pericoli e animali, persone care (trapassate e non) che ci hanno voluto bene riescono a raggiungerci facilmente e a risolvere i nostri problemi.

 

 

 

Tutto questo è confortevole e, dal momento che la TV spazzatura solitamente ci propina ben altro, come immagini esasperate e violente, quando assistiamo a racconti a lieto fine, soprattutto se il tutto è accompagnato da effetti speciali, con sottofondo musicale tipo-New Age e alone di mistero, l’auditel sale a notevoli livelli.

 

 

Storie più o meno garbate accarezzano i nostri sogni attraverso i mass-media per dirci che l’angelo della fortuna può cambiare la nostra vita con una vincita strepitosa e l’angelo del nostro segno zodiacale può regalarci un ambo, un terno o farci incontrare il grande amore. A questo punto si passa agli eccessi o ai paradossi linguistici.

 

 

Sono chiamati «angeli della notte» i  giovani che escono dalle discoteche frastornati dal fumo e dal rumore della musica tecno, con i capelli verdi, gialli, rossi e blu e la testa piena di vuote illusioni, in una società che non li aiuta, non dà loro lavoro e non li comprende. Il richiamo della moda fatta di spot  sempre più incalzanti, li invita a crescere in serie, tutti uguali come i polli in batteria, ad adottare tatuaggi e pearcing, ad indossare pantaloni griffati, a cercare il brivido del rischio e della velocità, fino a correre superando ogni barriera e precauzione per finire schiantati contro un albero o una guardarail.

 

 

 

Questi aspetti parziali fanno parte del ben più vasto panorama figurativo fatto di immagini illusorie, che accontentano fatue esigenze, ma sono anche indice di un malessere generale che vuole avere tutto a portata di mano mentre l’uomo odierno, nel suo delirio di onnipotenza, vorrebbe tutto raggiungere, compresa una realtà-altra a fronte di quella spesso frustrante e squallida in cui ci troviamo a vivere il quotidiano. Ma il superjet per avventurarsi oltre l’atmosfera delle vie inesplorate dell’universo cosmico non è alla portata di tutti e il raggiungibile finora conosciuto è solo in grado di darci qualche passeggera emozione.

 

 

 

Peraltro nulla  vieta di pensare all’intervento di presenze soprannaturali nel nostro cammino  e la religione ci insegna che un fedele custode ci è stato messo al fianco fin dalla nascita. Ognuno di noi può aver qualcosa da dire al riguardo! Quante volte abbiamo superato terribili momenti o siamo usciti da sgradevoli esperienze che ci hanno fatto esclamare: «Mio Dio, come posso avercela fatta!» Chi ha fede crede nell’aiuto di creature celesti, o dei Santi (pensiamo agli ex voto per grazia ricevuta); perciò nulla di nuovo all’infuori del fatto che, finché non ti capita l’evento grave che ti aiuta a riflettere, non ci si pensa più di tanto, convinti che i casi nostri  non facciano notizia.

 

 

 

Quando si viene toccati da una tragedia immane come quella della perdita improvvisa ed imprevista di una persona a noi immensamente cara, specie se è una piccola, giovane creatura, si va alla ricerca di qualsiasi segno tangibile e tutto ciò che è patrimonio della cultura religiosa e laica può dare conferma agli indizi di accadimenti che una volta trascuravamo e che ora sembrano divenire così importanti. Anche le persone che ci avvicinano dopo la nostra tragedia, credenti e non, provano un grande imbarazzo e misurando le parole non trovano di meglio da dire, per consolarci un po’: «Ora hai un angelo, lassù, in Paradiso!».

 

 

 

Noi rispondiamo che ne siamo convinti anche se la lacerazione che abbiamo e la nostra povera umanità, fatta di esperienze legate alla materialità del vedere, del toccare, dell’accarezzare i nostri Cari, del dare loro un bacio, del chiedere come stanno, non si accontenta di vaghi incoraggiamenti… Inoltre se condividiamo questo pensiero e siamo certi che corrisponda a verità, quando proviamo ad esaminare i termini di questa affermazione restiamo, comunque, disorientati e senza certezza alcuna.

 

 

 

Cominciamo da questo «lassù». Ognuno di noi capisce quanto sia vago quel «lassù». Dove è finita quella creatura che fino a qualche istante prima occupava uno spazio nel tempo della mia vita? Accettato che lo spirito abbia la possibilità di volatilizzarsi e di acquistare rinnovate capacità, dal momento che viviamo in una dimensione strutturata secondo le regole dello spazio e del tempo, qual è, o meglio, dov’è il luogo che chiamiamo «lassù»?

 

 

 

Ritengo giusto e (chi sono io poi per dire il contrario?) che la pietà popolare abbia voluto collocare in qualche sito non dell’etere, ma dell’universo quella che dovrebbe essere la dimensione dell’eterna beatitudine. Dagli albori della storia l’uomo ha guardato al cielo con timore reverenziale, innalzando a un Dio che si pensa «nell’alto dei cieli» le sue suppliche.

 

 

 

La scienza astronomica, oggi, va addirittura a cercare cosa vi sia al di là dei buchi neri dell’universo e tende a sospettare che, all’interno di questi, possa trovarsi addirittura un mondo rovesciato. Le stesse testimonianze che alcuni medici hanno raccolto da pazienti in punto di morte ed il «tunnel» che essi dicono di avere visto, farebbero pensare ad una sorta di imbuto da cui saremmo risucchiati per venire poi a ritrovarci, insieme ai nostri cari che ci hanno preceduto, in una splendida dimora con prati verdi,  colline in fiore, profumi e musiche ed esseri di Luce pronti a farci da guida.

 

 

 

Questa condizione, una specie di Eden che accarezza la nostra fantasia e che sembra lenire un poco l’esacerbante dolore e gli interrogativi senza risposta che sconvolgono tutti i nostri sentimenti quando ci troviamo nella condizione  di sofferenza da lutto, indubbiamente non può essere definita in termini tanto banali, ma è legata al modo di concepire  degli uomini.

 

 

 

La mia considerazione potrà apparire un po’ azzardata, ma questa ipotesi sui «buchi neri» mi lascia alquanto perplessa e, nella mia modesta cultura mi sento di dire che ho guardato il passaggio dell’ultimo eclisse con un attimo di tremore. Il cammino degli astri, le possibili conseguenze di una catastrofe cosmica, la terra che si fa buia, la caduta di un asteroide, gli eventi e i flagelli previsti per il 2012 saranno cose semplici per gli astrofisici, ma a me fanno pensare a qualcosa di non riconducibile alla nostra volontà e non controllabile dall’uomo.

 

 

 

Possiamo ammettere che, a meno che non si sia imbottiti di dottrine meccanicistiche, tutto l’universo visibile o immaginabile, con le leggi che lo governano, al di là dell’esplosione del bing-bang, non può essere nato dal «caso», ma debba far parte di un grande disegno ingegneristico che solo uno straordinario Autore può avere approntato.

 

 

 

L’ipotesi di cercare in esso lo spazio, il luogo, il modo di essere della nostra sopravvivenza mi lascia abbastanza confusa, per non dire scettica  o indifferente. Quel grande uomo e Papa che presto salirà alla gloria degli altari, Giovanni Paolo II, ha di recente dichiarato che il Paradiso non è un luogo e non è collocabile in una dimensione ma che, piuttosto, è una condizione dell’essere.

 

 

 

A questo punto poi, parlando di esseri spirituali a noi vicini, che ci aiutano a risolvere i nostri problemi, aggiungo ancora e mi domando, a costo di far cadere un castelletto di  immagini che possiamo aver costruito a difesa del dubbio e dell’angoscia, se pensiamo proprio che  i nostri figli passati a quella che possiamo definire «altra dimensione» siano, di colpo, divenuti simili agli angeli della Rivelazione cristiana.

 

 

 

Al di là del fatto che fossero tutti bravi, belli, generosi e sensibili, possiamo veramente  credere che tutto quello che li caratterizzava in vita, come piccoli capricci, manchevolezze, difettucci anche minimi siano di colpo scomparsi e spazzati via per trasformare le nostre creature così peculiari nelle loro manifestazioni, nei loro rapporti con noi con le loro paure, le loro spavalderie, i loro sogni in pura, perfetta e  risplendente spiritualità propria di quegli esseri del creato che non hanno mai conosciuto l’umana condizione? Per quello che mi riguarda un  figlio così lo sentirei troppo staccato da me, quasi morto un’altra volta e quasi non saprei definirlo «mio figlio».

 

 

 

Mi sono iscritta recentemente ad un social network quale è face book ed ho trovato decine di fratelli che hanno condiviso con me le loro pagine per parlare dei loro figli venuti a mancare innanzi tempo e in diverse circostanze. I discorsi che si scambiano sono per lo più i medesimi:” Come si chiama il tuo Angelo?… oppure… “Sono la mamma di un angelo chiamato…ecc.”.

 

 

 

Per chi si aspettava da me un discorso di ben altro genere può capire che non è mia intenzione parlare degli angeli richiamando citazioni teologiche, aspetti magici o visualizzazioni artistiche, ma vorrei fare un discorso costruttivo, da mamma con i piedi per terra, per giungere tutte insieme a riconoscere e capire cosa ne sia adesso dei  nostri figli, cosa vogliono da noi e cosa debbano fare le mamme di coloro che si definiscono, badate bene, perché lo dicono loro, «Nuovi Angeli»  per essere veramente degne dei loro figli.

 

 

Coloro che per devoto pellegrinaggio o per diletto avessero la ventura di recarsi a Padova, oltre a visitare il Santuario di colui che tutti chiamano IL SANTO in cui sono raccolte le reliquie di Antonio da Lisbona, potrebbero ammirare le vestigia della città medievale e gli affreschi di Giotto e di Giusto de’ Menabuoi, rappresentanti angeli musicanti. Ne è ricca la nota Cappella degli Scrovegni e, accanto alla cattedrale, il Battistero. In quella gloria di oro fino e di smalti si individua la cultura popolare così ricca di una pietà legata alla tradizione religiosa, indicativa dello sfarzo delle corti nobiliari, simili alla corte celeste in cui gli alti dignitari appaiono in ricche vesti, nell’adorazione di un Dio maestoso e statico.

 

 

 

Alessandra, la nostra maggiore, ha coronato la sua laurea con una tesi sugli aspetti pittorici del trecento ed ha raccolto le belle immagini affrescate in un volume ricco di approfondimenti sul loro significato. Nelle raffigurazioni si ripetono sembianze di angeli che suonano la tromba indice del giudizio a cui saremo chiamati con la fine dei tempi. Le foto riproduttive, unitamente ad immagini di carattere religioso, hanno accompagnato il tempo della mia solitudine e dei ricordi  avvicinando il mio animo al mistero della morte, del destino dell’uomo e di ciò che  è imperscrutabile.

 

 

 

Quando Andrea è partito al nostro sguardo lasciandoci nel più vuoto annichilimento ed in uno scoramento facile da comprendersi, in un  momento di veglia, prossima al riposo, fui raggiunta da una frase che suonò nitida al mio orecchio: «Sono io mamma, quell’angelo che suona la tromba!» Pensai all’angelo del Battistero e l’immagine parve lenire il quadro disastrato delle mie sensazioni.

 

 

 

Qualche tempo dopo, una sera, al crepuscolo, mentre erano presenti gli amici di Andrea che erano soliti, nei primi tempi, venire a farci visita e trattenersi nella sua stanza per ascoltare musica, come quando lui era ancora presente, all’improvviso, dalla finestra un suono dolce ed acuto ad un tempo, proveniente non sappiamo da dove, ci raggiunse facendoci sobbalzare per la meraviglia. Era un suono di tromba che sembrava d’argento, dalla nota costante e intensa che raggiungeva frontalmente la finestra di quel locale quasi a voler richiamare l’attenzione di tutti i presenti. Scesero i vicini a controllare le auto del giardino, ma nessuna di esse era dotata di allarme e, oltre la nostra abitazione, vi è  la campagna priva di strade e di rumori. Una vicina ebbe a dire: «Madona, ghe ze i spiriti!» riferendosi alla straordinarietà dell’accadimento, ma Mentore ed io, ascoltammo rapiti in un angolo del terrazzo finché dicemmo: »Ora basta, Andrea, abbiamo capito che sei tu.» In quell’istante ogni suono tacque.

 

 

 

Un «angelo che suona la tromba», un angelo mio figlio! A quel tempo l’avrei desiderato in ben altro modo il figlio mio… magari vestito con quei bei maglioni sgargianti, come i suoi amici, intento ad ascoltare le musiche di Michael Jackson o Freddy Mercuri, il solista dei Queen dalla voce angelica mancato poco dopo di lui; oppure lo vorrei pensare nella sua bella divisa da ufficiale in cui aveva appena messo le prime stellette.

 

 

Ma quale angelo, e con quale volto? Fin dall’infanzia abbiamo visto angeli con le ali, dai volti di paffuti bambinelli; angeli bianchi, angeli negri; angeli adulti con l’armatura e la spada minacciosa e angeli piccoli come putti dalle teste ricciolute. Quale pittore, quale poeta, quale artista non si è cimentato nel cercare di rappresentare queste creature celesti di cui si è parlato a volte a proposito, inserendoli in contesti religiosi e,  a volte un po’ a sproposito caricandoli di aspetti magici legati all’occultismo e alla cultura esoterica?

 

 

Mio figlio così positivo e razionale, così umano e bello nelle sue sembianze che sembravano accomunare forza e precisione delle simmetrie, baldanza e dolcezza ad un tempo? «Come sei adesso, figlio mio?» «Di più di più di prima… tanto!»

 

 

 

Nei primi tempi, quando fummo avvicinati, per cause a noi non ancora note, da persone provate dalla nostra stessa esperienza, sentimmo raccontarci, in perfetta buona fede, avventure fantastiche e ipotizzare paradisi immaginari in cui i nostri Cari vivono, ci aspettano e ci raggiungono. Se ci si attende da me che io, solo perché ho qualche anno di più di esperienza di altri, fornisca la ricetta che assicura il passaporto per l’aldilà, una sorta di carta di credito per il luogo dove si trovano i nostri Cari, mi spiace deludere, ma non mi è possibile farlo.

 

 

 

 

Vorrei esporre, piuttosto, un discorso importante, ma veramente importante, non solo per me, ma per tutti. Alla fine si potrà giudicare se era veramente importante. Quanto ho detto non è una novità. E’ accaduto a tutti di andare in brodo di giuggiole per aver visto o sentito riportare determinate cose… poi, ripensandoci bene, la stessa storia non ci è andata più giù.

 

 

E’ un po’, se mi è concesso il paragone, come l’arte di crescere un «bonsai». Avete presente quell’alberello nano, frutto della cultura nipponica, nato dai floricoltori la cui grande soddisfazione è di «rendere con tecniche naturali più naturale un soggetto innaturale»? Il merito dei giapponesi non è, infatti, tanto quello di darci un albero in miniatura, ma idealizzare una pianta con la sensibilità, l’arte, la creatività propria del bonsaista.

 

 

 

Anche a me è parso tutto riconducibile a tecniche, quando sentii raccontare di facile percorso, che qualcuno ci avrebbe dato una mano, di poter parlare per scrittura ispirata, di aspettare per poi fare quello che mio figlio mi avrebbe detto, della possibilità di ritrovarmi dotata di facoltà medianiche, e ancora di pensare che lui mi avrebbe aspettata per stare un po’ con me e un altro po’ sarebbe andato per un’altra strada ad impersonificare un’altra esistenza purificatrice.

 

 

 

Ognuno è padrone di pensarla come meglio crede, ma io sto cercando di spiegare perché non mi piace più l’arte di fare il «bonsai» e anche perché l’attrazione che all’inizio ho provato per alcune affermazioni non mi sostenne più. Il rapporto privilegiato che, fin dal primo momento, ciascuna madre provata dalla perdita di un figlio, giunge ad instaurare con lui, non può essere simile all’opera del giardiniere che, a furia di studiare tecniche e lavorare di fantasia, giunge a menomare una pianta, destinata ad essere rigogliosa, ad estendersi nel cielo azzurro, capace di ossigenare, di accogliere altre creature, di affondare le sue radici e di trasformarsi in fertile humus, fino a ridurla a un nanerottolo dalla strana, contorta forma.

 

 

 

E’ come se io costringessi mio figlio, spirito immortale, che si libra nell’infinito, dotato di capacità straordinarie, a diventare l’oggetto che ho in mente io, a seguirmi in quello che io, nella mia povera realtà, vorrei che facesse e dicesse, a furia di artifici e di elucubrazioni mentali.

 

 

 

Vediamo fin d’ora di fare una scelta, soprattutto se siamo qui per la prima volta, e facciamola non verso il basso, ma verso l’alto. Vediamo di pensare non per brevi e limitati percorsi, fatti di lacrimevoli storielle, ma indirizziamoci verso spazi e dimensioni planetarie. Pensiamo di volere imbrigliare l’aquilone? Vogliamo guardare l’eclisse ad occhio nudo e non attraverso il velo della nostra lente affumicata? Questo atteggiamento impoverirebbe la nostra esperienza e ci allontanerebbe da quello che ci preme di più: la possibilità di migliorare noi stessi e di seguire, con le nostre opere, quell’essere a noi tanto caro.

 

 

 

Nella campagna, in un lungo capannone privo di finestre vivono e crescono forsennatamente migliaia e migliaia di piccoli pulcini, che ingrassano con mezzi scientifici ultrarapidi. La luce elettrica uniforme e sempre uguale è più efficace dei raggi varianti del sole. Così questi volatili passeranno dalla gabbia artificiale al fuoco del girarrosto senza vedere il sole. Chi vive fuori da quel padiglione scientifico vorrebbe gridare: «Sapete voi che non c’è solo la luce artificiale ma c’è anche il sole?»

 

 

Non facciamo come i gallinacei che ignorano la presenza del sole perché non l’hanno mai visto. Non somigliamo ai materialisti che tutto vorrebbero spiegare, come i pagani, attraverso aridi meccanicismi o sterili favole contornate da aspetti magici.

 

 

Come al problema del male non possiamo trovare una soluzione logica e del tutto chiara, così, alla realtà spirituale che coinvolge e persegue tutta la nostra esistenza, non possiamo trovare una soluzione logica. Possiamo però accendere qualche luce che illumini il nostro cammino e ci aiuti ad attraversare il tunnel del mistero, anche se non a spiegarlo come un’equazione geometrica.

 

 

 

Nella nostra realtà sociale, contrassegnata dal materialismo, dall’egoismo, dall’interesse economico, s’intrecciano due aspetti denotativi: da un lato il diritto dell’uomo a vivere nel piacere e dall’altro a volere dare ragione del panorama mai sufficientemente conosciuto della sofferenza e del dolore.

 

 

 

Con il farsi strada della convinzione che l’uomo sia padrone assoluto della vita stessa, dal momento che la bioingegneria genetica sembra avere risolto il problema della riproduzione e quindi della creazione, prende atto la pretesa di poterla gestire, cioè concluderla quando si voglia.

 

 

Ma il nascere, il vivere, il morire e quello che ci attende dopo la morte è cosa di Dio. Soprattutto il dolore è un mistero nell’intimo di ciascuno di noi, ed è un mistero alla luce della fede cristiana. La vita è sacra perché lo è la persona che Dio ha creato a Sua immagine e somiglianza. L’uomo ne è amministratore libero e responsabile, perciò il valore vita fa parte della stessa dignità umana. Il capitolo quarto del libro della Genesi, cioè del primo libro dell’Antico Testamento, ci dice che Eva, diventata madre per la prima volta, esprime la sua gioia con queste parole: «Ho comperato un uomo dal Signore».

 

 

 

Come ogni donna anch’io posso dire di avere comperato da Dio i miei figli. Ho fatto un patto con Dio di solidarietà e di amore e mi sono impegnata a crescerli nel Suo progetto, perché a Lui sapevo che ne avrei dovuto rendere conto. Ma ognuno ha una propria esperienza e nel conto dei miei anni non vi era quello di dovere restituire due figli innanzi tempo.

 

 

 Se Dio, dunque, è creatore e Padre, come  proclama  la Chiesa, perché questo Padre ci ha fatto così, perché ha permesso il nostro strazio, perché ci ha separato dalle nostre creature?

 

 

La nostra mente non può attraversare il velo se non attraverso la virtù della speranza, virtù tipica dell’uomo in cammino, del pellegrino che non è ancora giunto alla visione.

 

 

 

Nella ventiquattresima Domenica del tempo ordinario, si legge una pagina del Vangelo che esalta la cultura del perdono. Il Vangelo narra di un signore che condona ad un debitore una cifra inverosimilmente esorbitante: diecimila talenti (qualcosa come 55 milioni di lire italiane oro!).  Il debitore ha anch’egli un credito verso un collega: cento denari, in pratica la paga di un operaio per circa tre mesi di lavoro.

 

 

Qual è il valore di questa esasperata opposizione numerica? La risposta è semplice se si esaminano i due volti: quello del padrone e quello del debitore. Nel primo si intravede la figura di Dio; solo Dio può contrarre debiti così sproporzionati e così ingenti perché, diversamente dagli uomini, Dio è molto più tollerante. Nel volto del debitore si intuiscono i nostri lineamenti. I nostri crediti sono microscopici rispetto a quelli che Dio potrebbe vantare verso di noi.

 

 

 

La condizione di debito e credito, vista da questa ottica, appare azzerare la scontata disposizione del Dio-Re, padrone misericordioso e creditore  e dell’uomo meschino e gretto nei confronti dei fratelli. 

 

 

 

«Ebbene sì, Dio Padre misericordioso, non vale forse la vita di mio Figlio molto di più di 55 milioni di lire italiane oro? E allora, mio Dio, Tu che ti sei fatto uomo simile a me, sappi che io ho bisogno di capire e poiché non posso farlo mi è necessario dirti che per sentirmi in pace, per placare il tumulto del mio sdegno e della mia rivolta, debbo chiederti PERDONO.

 

 

 

TI chiedo PERDONO,  Dio mio, Padre di misericordia perché so che Tu non hai voluto la morte di mio Figlio, ma l’hai permessa senza muovere un dito. Avresti potuto evitarla, ma non l’hai fatto. IO TI chiedo PERDONO proprio perché non Ti capisco.

 

 

 

TI chiedo PERDONO perché non so quale sia la ragione di questa perdita; non conosco i motivi della sua dipartita; non immagino la condizione della sua nuova esistenza. Io sono un creditore da cento denari, che ho sbagliato tutto e non ho saputo perdonare, ma io non ero Dio, non avevo conoscenza degli impegni forti della sofferenza, quelli che si pagano in oro.

 

 

 

TI chiedo PERDONO DIO E ORA POSSO ANCHE DIRTI GRAZIE perché con il dolore hai affinato la mia sensibilità, mi hai reso più umana e disponibile, mi hai fatto comprendere la relatività della mia esistenza e della vita degli uomini tutta.

 

 

TI RINGRAZIO per avermi dato la possibilità’ di farti questo dono, mio Dio e mio Re, un dono prezioso di oro fino, il più prezioso che io potessi farti.

 

 

 

Ed ora, Dio mio, mio Re, Padre tenero e di Misericordia, Dio Padre e Madre ad un tempo, dimmi, mio Signore, ora che sai che sono io che l’ho dato a Te, cosa ne fai Tu del mio dono, cosa vuoi da me e da mio figlio? Cosa ne fai Padre buono di tanti bambini, di tanti giovani, sterminati dalle guerre, mancati per terribili malattie, per droga, per circostanze impreviste ed improvvise, per incidenti sulle strade…?»

 

 

 

Sono troppi, sono tanti. Non chiedo ai governi la risposta. Trovo ridicola e meschina l’addebitare al caso, alla meccanizzazione, alla «volontà» di Dio, la dipartita di tante giovani esistenze. La grande verità del Corpo Mistico di Cristo ci apre orizzonti stupendi. Nulla dei nostri Cari va perduto e attraverso le nostre storie umane che si intersecano e si arricchiscono, in Cristo nessuno è solo a patire.

 

 

 

 

 

Ma anche Cristo, il derelitto, il Poverello, il Crocefisso non è solo. In una rinnovata Pentecoste, come il Dio della Creazione si è servito di Raffaele, di Michele gli splendidi arcangeli, come ha inviato lo Spirito Santo sugli Apostoli nel Cenacolo perché si preparassero a predicare la Buona Novella, così penso ad un Dio di Misericordia, circondato da uno stuolo di Anime partite innanzi tempo al nostro sguardo che si definiscono, Nuovi Angeli  che, insieme a noi, come Figli ricreati dall’amore, ci preparano un programma di riconciliazione nel passaggio del Millennio.

 

 

 

Non sono angioletti con le alucce, non figure eteree smaterializzate, ma splendide creature nella giovane esaltazione della loro bellezza. Essi ci chiamano, si fanno sentire, ci proteggono e  implorano per l’umanità derelitta il sentiero della pace per quella che sarà la dimensione della nostra vera e reale rinascita.

 

 

 

A questo punto non posso fare a meno di citare la denominazione che, per i nostri amati figlioli, ha creato lo stesso P.Zaccaria Bertoldo, il fraticello nostro assistente spirituale, venutoci a mancare un paio di anni fa e che nei primi tempi, come più volte si era scritto, venivano chiamati “Figli di Luce”. Io stessa sapevo di un’evoluzione di questi nuovi gruppi di ragazzi mancati per incidenti o, comunque in giovanissima età, al punto da farsi riconoscere sempre come “Ragazzi”. Vediamo come ce li ha definiti P.Zaccaria:

 

 

 Da ciò la denominazione da noi data special­mente ai giovani rapiti alle loro mamme,di "RAGAZZI DI LUCE" o meglio ancora, di "NUOVI ANGELI". "Essi sono, come dice stupendamente il prof. GOMERRO, nel dinamismo di Dio". (E un teologo che parla).

Ciò vuol dire che essi, i NUOVI ANGELI, cooperano e partecipano, o meglio, Dio li chiama a partecipare alla sua missione salvifica. Ora cos'è tutto questo (compreso il conforto che. recano alle mamme desolate) se non quella missione di aiuto a comprendere e salire ver­so Dio di cui s'è detto e di cui ci parlano i nostri amici di lassù? Il Card. Tonini, in una trasmissione TV, ha accolto questa idea; noi viviamo l'insegnamento della Chiesa nella realtà del­la Comunione dei Santi, dove sono inseriti anche i nostri cari Giovani, i nostri Nuovi Angeli di luce e conforto.

 

Concludendo, i nostri Figli, i Nuovi Angeli, si aspettano dalle Loro Mamme, le Mamme della Speranza, che ognuna di noi trovi la forza e il coraggio di  seguirli, ognuna come può, alla sua maniera. Abbiamo tutte la stessa dignità, ma siamo strutturate in modo radicalmente diverso, così come ciascuno ha un suo bene da fare e un suo male da evitare. Sappiamo che i nostri Figli ci tengono per mano, ma nessuna di noi è esonerata dall’impegno e dallo sforzo quotidiano. La vita sarà sempre fatta di ombre e luci, di scogli da superare più o meno facili, ma comune è la partecipazione e gratificante il cammino perché troveremo la gioia e il conforto di sentirci ancora utili.

 

 

 

L’alto traguardo è un rapporto serio con Dio, il Dio di tutti i popoli, di tutte le nazioni e di tutte le religioni. Guardiamoci dal pensare che il male dipenda dal Dna: i nostri Figli sono di ogni colore. Vincitori e vinti si abbracciano e si tengono per mano nella dimensione della Luce. Il credente sa che essere fratelli significa tornare alla fede con la semplicità dei fanciulli e che, se saremo pronti,  ci attende una nuova era di solidarietà e giustizia.

 

 

«Non più lacrime mamma. Coraggio papà, fatti coraggio!» Sì, Figlio mio, Figli nostri, Angeli di Dio, Ragazzi di Luce, siamo con voi, vicini a voi … !

 

 

In attesa di riunirci per l’eternità!

 

 

Edda Cattani

 

 

 

 

 

                                          

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Edda CattaniAngeli Custodi e Nuovi Angeli
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Il pianto degli agnelli

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da "La coscienza degli animali"

Credo sia opportuno pubblicare anche questo…

 

 

La coscienza degli
animali

 

 

 La Pasqua si avvicina. Gli scaffali dei supermercati sono un trionfo di uova di cioccolata di ogni dimensione, di colombe con tutte le possibili varianti — con uvetta, senza uvetta, ricoperte di cioccolata, con lo zabaione — per accontentare i gusti più stravaganti. Da qualche anno poi, alle più tradizionali colombe, si sono affiancati dolci a forma di campane e di agnelli, anche questi in svariate versioni. Per chi vive in campagna, e ha lo sguardo abituato ad osservare ciò che succede nella realtà circostante, la Pasqua è quel momento in cui le gemme sui rami iniziano a ingrossarsi e i peschi e gli albicocchi, spesso temerariamente, schiudono i loro fiori. Le prime lucertole si svegliano e il loro fruscio si sente in prossimità dei muretti mentre le uova dei rospi, avvolte a migliaia da una lunga collana gelatinosa, ondeggiano tra le piante dei laghetti. Nel sottobosco spuntano le primule, le violette, i crochi, le pervinche e il mesto pigolio invernale degli uccelli si trasforma nella grande sinfonia che prelude al corteggiamento.

 


Il periodo che precede la Pasqua è il periodo in cui la vita si muove nuovamente verso la sua pienezza e, con questa sua forza oggi così poco compresa, spinge anche noi a rinnovarci, ad abbracciare con una nuova visione lo scorrere incerto della vita. Anche molti animali partecipano a questo rinnovamento. La maggior parte dei capretti e degli agnelli nascono con la luna piena di febbraio e, dopo i primi giorni di timidezza trascorsi zampettando dietro l'ombra rassicurante della madre, si lanciano in corse scatenate con i coetanei del gregge. Chi non ha mai visto gli agnellini giocare, non avrà mai un'immagine chiara della gioia che può pervadere la vita. Si inseguono in gruppi, sterzano, cambiano direzione, saltellano sulle zampe anteriori e posteriori, se c'è un punto più alto nel pascolo, una roccia, un tronco abbattuto, un fontanile, fanno a gara a saltarvi sopra e questo per loro è il massimo divertimento, e poi di nuovo riprendono a rincorrersi, ogni tanto si affrontano e si caricano a testate, simulando l'età adulta. Poi le madri li richiamano, e allora è tutto un correre, un raggiungere con misteriosa abilità, tra la folla del gregge, la propria genitrice, uno spingere con testa, un vibrare di codine soddisfatte.

 

Sul pascolo scende allora il tenero silenzio della poppata. Ma poi un giorno, poco prima della Pasqua, mentre gli agnellini pan di spagna sorridono invitanti sui banchi dei supermercati, nelle campagne arrivano i furgoni e caricano i piccoli delle pecore e delle capre. La gioia se ne va dai pascoli e subentrano gli strazianti belati delle madri che per tre giorni corrono incredule da un lato all'altro chiamando a gran voce le loro creature con le mammelle gonfie di latte. Poi, dopo tanta agitazione, sulle campagne scende il silenzio e i pascoli tornano ad essere delle distese brulle in cui i corvi zampettano tra le madri svuotate dal dolore. Intanto gli agnellini, avvolti nel cellophan, sono arrivati nei banconi dei supermercati: interi, a pezzi, o solo la testa, che pare sia una prelibatezza. Non posso non sussultare quando vedo, schiacciati dalla pellicola, quegli occhi opachi e quei dentini che già strappavano la prima erba.

 

 

 


L'altro giorno mi ha chiamato un'amica che lavora vicino al mattatoio. «Mi sono messa i tappi, ma non serve a niente. Vengono scaricati ogni giorno, a centinaia, e urlano con voci da bambini, disperate, rauche, in preda al terrore, ma, a parte me, nessuno sembra farci caso. In fondo ogni anno è così. È la vita, è la tradizione, è Pasqua e questo è il rumore della Pasqua». Già, perché la Pasqua è soprattutto un pranzo tradizionale, una mangiata di quelle che si fanno di rado, con l'abbacchio trionfante in mezzo alla tavola, un abbacchio ridotto a prelibatezza culinaria, a segno di una cultura gastronomica mai tradita, spogliato da ogni valenza che superi il tratto gastrointestinale. Ma in quei belati, in quelle urla, in quella vita che è pura innocenza, non è forse celata la domanda più profonda sul senso dell'esistere? Perché la morte irrompe e devasta, senza guardare in faccia nessuno. Nella nostra società così asettica e così impregnata di onnipotenza, lo dimentichiamo un po' troppo spesso, ma dimenticare l'ingombrante presenza della morte vuol dire abdicare, fin da principio, al senso della vita. Quando la morte scende su uno dei miei animali, gli altri fanno dei lunghi giri per non avvicinarsi al corpo, per non guardarlo e, per qualche giorno, il loro comportamento cambia, diventa stranamente assente, come se qualcosa, al loro interno, all'improvviso avesse cominciato a vibrare in modo diverso.

 

 

 

 

La contemplazione della morte non può non provocare un profondo senso di timore, timore per quell'occhio brillante che improvvisamente diventa opaco, per quel vivo tepore che si trasforma in fredda rigidità. È per questa ragione che tutte le culture dell'uomo hanno sviluppato dei rituali di macellazione per rendere questo passaggio meno temibile — temibile per l'animale, ma temibile soprattutto per noi, temibile per la potenza evocativa racchiusa nel sangue che scorre.
Ma in una società come la nostra, totalmente profana, in cui nulla è più sacro e gli unici timori concessi sono legati alla materia, la catena di morte del macello non è che una realtà tra le altre. Le urla degli agnelli sono un rumore di fondo, uno dei mille rumori che frastornano i nostri giorni. E forse non sapere ascoltare questo lamento è il non saper ascoltare tutti i lamenti — i lamenti delle vittime delle guerre, dei malati, dei bambini torturati, uccisi, delle persone seviziate, abbandonate, dei perseguitati, di tutte quelle voci che invano gridano verso il cielo. È anche il non saper ascoltare il nostro lamento, di persone sazie, annoiate, risentite, incapaci di vedere altro orizzonte oltre quello del nostro minuscolo ego, incapaci di interrogarci, di affrontare le grandi domande e di accettare il timore che, da esse, inevitabilmente deriva.

 

 

Sdraiati sul comodo divano della teodicea, continuiamo a ripetere che Dio non può esistere perché permette il male degli innocenti e questo assunto ci placa, ci quieta, ci mette dalla parte della ragione, proteggendoci dall'insonnia delle notti e dall'angoscia straziante del dolore del mondo. Quanti orrori — e quanti errori — derivano da quest'immagine di Dio onnipotente, da quest'idea di un Dio con la barba, seduto su una nuvola, parente stretto di Zeus, con i fulmini in mano, pronto a scagliarli sugli empi della terra. L'onnipotenza di questa società ipertecnologica, non deriva forse proprio da questo? Dio non è onnipotente, come ci aveva promesso, e dunque diventa nostro compito assumerci l'onnipotenza, raddrizzare le cose storte in cose dritte, creare il paradiso in terra, un paradiso in cui la giustizia finalmente trionfa, grazie alle nostre leggi. Il paradiso in terra però, come già abbondantemente ci hanno mostrato le tragedie del Novecento, ben presto si trasforma nel suo opposto perché, quando l'uomo crede di agire unicamente secondo i principi assoluti della ragione, sta già srotolando un reticolato e prepara potenti luci al neon per illuminare ogni angolo della prigione.
Forse il pianto delle migliaia di agnelli immolati per routine consumistica in questi giorni non è che il pianto di tutti i milioni di vite innocenti che ogni giorno in modi diversi, da che mondo è mondo, vengono stritolate dal male. E quel pianto che si alza verso il cielo senza ottenere risposta, ci suggerisce forse che il passaggio, la vera liberazione — la vera Pasqua — è proprio questa. Sapere che Dio non è onnipotente, ma, come Agnello, condivide la stessa nostra disperata fragilità. E solo su quest'idea — sull'idea che condividiamo la fragilità, che le tue lacrime sono le mie e le Sue sono le nostre — si può immaginare un mondo che non scricchioli più sotto il delirio dell'onnipotenza ma che si incammini nella costruzione di una vera umanità.

 

 

Edda CattaniIl pianto degli agnelli
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