Edda Cattani

Per te donna!

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Per te donna!

 

Non avrei mai voluto esporla ma quest’anno con tante donne uccise, sacrificate alla vita, martoriate, derise, usate come bene di consumo… non festeggiamo l’ 8 marzo ma aderiamo al Movimento contro il femminicidio

IO CI METTO LA FACCIA!!!

 

   

8 MARZO: … e ricordiamo questa giornata a noi dedicata con…

ROSSO. Come il sangue che ogni giorno le donne versano per mano dei propri padri, mariti, ex compagni.

ROSSO. Il simbolo dell’energia vitale, della forza fisica e mentale, della volontà di opporsi ai maltrattamenti.

ROSSO: Il colore scelto dell’artista messicana Elina Chauvet per la sua installazione: “Zapatos rojos”, ossia “Scarpette rosse”.

Scarpe da donna di colore rosso o dipinte di rosso, sistemate per le vie, nelle piazze, vicino ai monumenti delle città per dire stop alla violenza di genere. (da FB Donne contro la violenza)

 

 

NON FINISCE CON UNA GIORNATA LA NOSTRA REALTA’!

 

“A voi Donne che per prime ci portate il gemito della vita e la luce della Risurrezione … a voi radici dei nostri sogni, gemme che vegliate sulle nostre primavere … a voi che, inascoltate, …ci fate cadere nell’amore come frutti maturi, e …che spesso sprecate per amare i profumi delle carezze e dei baci … a voi che date materne origini al buon Dio, che da voi ha imparato ad amare … a voi passi di danza accompagnino il vostro cuore tra la terra e il cielo … e solo l’amore canti i vostri sorrisi, amiche intime di un Dio che sa morire, che sa amare, che sa risorgere, per amore, solo per amore .. grazie a voi.” (Fra Benito Fusco)

 

E ANCHE OGGI:

“Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo dell’essere umano nella gioia e nel travaglio di un’esperienza unica, che ti rende sorriso di Dio per il bimbo che viene alla luce, ti fa guida dei suoi primi passi, sostegno della sua crescita, punto di riferimento nel successivo cammino della vita.” (Giovanni Paolo II)

Edda CattaniPer te donna!
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Il perdono

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Il perdono

( Ne abbiamo parlato anche i giorni scorsi alla Solange)

Dal perdono umano, a quello divino… Cosa dicono i Padri della Chiesa.

Perché questa riflessione?

Ho seguito la storia di un femminicidio e mi sono avvicinata a genitori sconvolti dalla terribile vicenda che ha distrutto la famiglia. Ho parlato sommessamente alla madre per stringerla al cuore, in un fraterno abbraccio ed ho raccolto questo grido disperato…

Giorni infiniti in cui la tua assenza fa’ sempre più male ..
giorni in cui ti ho cerco nei miei ricordi .. nei miei sogni …
giorni che ho sussurrato il tuo nome guardando le tue foto sparse per casa …
giorni in cui penso se avessi potuto evitare ciò che e’ successo …
giorni che scorrono sempre con il pensiero rivolto a te …
tanti mi dicono Dio aveva bisogno di un angelo e ha preso te ..

 

bella consolazione ……. inaccettabile .. incomprensibile … disumano …
e allora oggi mi rivolgo pure a te Dio …
se hai creato tutto l’universo non potevi farti il tuo angelo uguale e lasciarmi 
mia figlia ? 

che Dio sei ?
Un giorno se ti vedrò Dio dovrai darmi una risposta …
e già da adesso posso dirti che e’ inaccettabile …

Ci sono sempre parole che feriscono, suscettibilità che si urtano, delitti che sconvolgono equilibri familiari e non sempre basta la giustizia degli uomini a dare pace. Al contrario… E allora occorre guardarsi dentro e cancellare questa immagine brutta di un Dio giustiziere,  che ha bisogno di un fiore in più nel suo giardino, dove sono i nostri adorati figli, perché non corrisponde alla mia fede. Io penso che questa sia lo svolgersi della vita che ci riserva brutte sorprese  perché, a volte,  gli uomini compiono atti terribili e disonesti. Dio è un padre d’amore e non ci ha tolto mai i nostri figli che vegliano su di noi e penso che, questa giovane, abbia perdonato anche il suo assassino.  Ma è tanto difficile credere … Chiedere e accogliere il perdono è un processo umano e un percorso divino. Comincia con un atto di coraggio che, trasformando le relazioni umane, possiede la capacità di rivelare il volto originale di Dio.

 

 

 

 

La pratica del perdono

Chiedere perdono come anche perdonare non sono azioni spontanee, naturali. Sono valori entrati a far parte della cultura cristiana e che il cristiano è chiamato a vivere con la forza che scaturisce dalla vita nuova ricevuta con il Battesimo.

 “Ma lei ha perdonato coloro che hanno ucciso, il figlio… il marito?…”

“ E lei ha chiesto perdono alla famiglia?”.

Quante volte, a seconda dei casi, abbiamo sentito porre dai giornalisti questi tipi di domande  a coloro che sono ancora straziati da un dolore o che hanno appena commesso un reato!

E quante volte abbiamo disapprovato la mancanza di tatto in momenti così delicati avvertendo, anche inconsciamente, che il perdono da chiedere o da ricevere non è automatico ma un processo lento, progressivo, che coinvolge tutta la sfera della persona. Ci risulta faticoso chiedere perdono perché la nostra società incoraggia a salvare la faccia, a giustificarci in ogni caso, a dare prova di spirito di potenza, a non incontrare la propria debolezza. Ammettere di aver sbagliato, infatti, presuppone una grande attenzione alla propria interiorità e ai propri valori, tanto morali quanto spirituali.

Per un perdono senza equivoci

Perdonare non significa pronunciare la parola magica del perdono  e magari aspettarsi un effetto istantaneo, anch’esso magico. Può essere facile pronunciare la parola perdono, ma ha poco valore se non c’è il cuore, se non è coinvolta tutta la persona. L’atto della volontà è necessario (come diceva sant’Agostino)  ma non è sufficiente. Sono indispensabili risorse come l’intelligenza, il cuore, la sensibilità, il buonsenso, altrimenti risulta un perdono artificioso.

 

Perdonare non significa dimenticare il torto subito. Spesso sentiamo dire: «Va bene, dimentichiamo, voltiamo pagina, perdoniamoci… ». In questo caso non si avrebbe niente da perdonare. Esercitare il perdono esige invece una buona memoria e una coscienza lucida dell’offesa. Anzi, alcuni suggeriscono di ricordare, anche dettagliatamente, il torto ricevuto per poterci liberare delle ferite che esso può aver provocato. In effetti, se si giunge a perdonare un’offesa ciò significa che il suo ricordo non ci causa più sofferenza ma sarà un ricordo come un altro che contribuirà ad acquistare maggiore saggezza. “Il perdono non è dimenticare le colpe del passato, ma un dilatarsi del cuore in uno scambio di vita” (Giovanni Vannucci)

Nel vangelo Gesù dice:

“Sapete che fu detto: occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due” (Mt 5,38-41).

 

Per un perdono cristiano

Charles Duquoc, commentando questo brano, afferma che Gesù non è un ingenuo, non comanda la passività, non chiede di rinunciare alla lotta contro il male. Egli vuole mostrare che l’equivalenza nel male, fosse anche nel nome della giustizia, non trasforma la società umana. Ci vuole un atteggiamento che non si misuri su quanto è già stato fatto: occorre un gesto innovativo, un gesto creatore.

Il perdono rappresenta questa innovazione.

Il credente imita Dio creatore quando, tralasciando l’imperativo della giustizia legale, apre un’altra relazione con colui al quale egli perdona. Così il perdono, trasformando le relazioni umane, possiede la capacità di rivelare il volto originale di Dio. Il perdono comincia con un atto di coraggio.

Perdonare come il Signore perdona noi

“L’animo sia ben disposto, umile, pieno di misericordia, facile a perdonare. Chi sa di avere offeso, chieda perdono. E’ indubbiamente elemosina assai meritevole perdonare le colpe al fratello, come il Signore perdona le nostre. E’ solo questione di volontà. Qualcuno può dire: “Ho mal di stomaco: non posso digiunare”, oppure: “vorrei dare qualcosa ai poveri, ma non posso, ho appena il sufficiente per me”. Ma chi oserà dire:”Non concedo il perdono a chi me lo chiede perché la salute non me lo permette, o mi manca la mano con cui stringere la sua?” . Perdona e sarai perdonato. Non si richiede uno sforzo fisico: L’anima non ha bisogno di fatica muscolare per compiere quanto le viene richiesto. Essendo scritto: Non lasciate tramontare il sole, senza che abbiate prima perdonato (Ef 4,26) ditemi, fratelli carissimi, se può chiamarsi cristiano colui che, neanche in questi giorni di quaresima vuol finirla con i rancori, che non avrebbe mai dovuto alimentare” (Agostino, Sermone 210,12).

Dio dice: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie.
Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri» (Is 55,8-9).
Se noi, quando i nostri servi hanno commesso molte mancanze,
perdoniamo loro, se promettono di correggersi,
e li rimettiamo all’onore di prima
e talvolta persino concediamo loro una maggior fiducia,
molto più lo farà Dio.
Se Dio ci avesse creato allo scopo di poterci castigare,
avresti ragione di disperare
e di dubitare della tua salvezza;
ma dal momento che ci ha creato per sua sola bontà
e per farci godere dei beni eterni,
e per questo fa di tutto
dal primo giorno della nostra esistenza, fino a ora,
che cosa ci può rendere dubbiosi?
Chi semina non mieterà,
se dopo la semina non si attende la messe.
Chi vorrebbe mai fare una gran fatica,
se questa non gli porta nessun frutto?
Così chi semina parole, lacrime e confessione,
se non fa questo con la speranza di averne bene,
non potrà staccarsi dal peccato,
poiché lo trattiene il male della disperazione;
anzi, come il contadino che non spera di mietere,
non bada a togliere ciò che danneggia il campo,
così chi piange e riconosce i suoi peccati,
ma da ciò non si aspetta alcuna utilità,
non potrà mai eliminare ciò che guasta il suo pentimento.

Da Invito a penitenza di Giovanni Crisostomo

 

Edda CattaniIl perdono
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Il sogno paranormale

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            Il sogno: uno degli enigmi dell’uomo

 Dott. E. Marabini

 

Tra le tante cose che pur accadendo quotidianamente, rimangono da svelare vi è il sogno. Cioè quello strano evento che dalla nostra nascita ci accompagna per tutta la vita e che da migliaia di anni è stato oggetto di osservazione, di riflessione e di conoscenza da parte di uomini saggi, di profeti, di filosofi, di medici , di poeti, di scienziati e, non da ultimo, da parte del cosiddetto uomo della strada.
Il sogno, fenomeno indiscutibilmente biologico oltre che psichico, nella sua consuetudinaria ordinarietà rimane un evento “straordinario” e, nonostante l’ampiezza della conoscenza scientifica dei nostri giorni, mantiene ancora inalterata la sua enigmaticità.
Perché fenomeno straordinario ? Perché tramite esso esperienziamo un mondo strano, fantastico, effimero che, nella sua apparente irrazionalità, è comunque ricco di contenuti e di impensate possibilità espressive e cognitive.
Fenomeno enigmatico perché l’analisi di quelle sfuggevoli, impalpabili realtà che ci accompagnano nel sonno, conduce la ragione a doversi rapportare con situazioni oggettive e soggettive che paiono trascendere la stessa meccanicità dello psicosoma che le manifesta e il cui significato, molto spesso, acquista una valenza esistenziale.

Prima di entrare nell’analisi delle caratteristiche psicologiche del sogno è opportuno soffermare l’attenzione – anche se fugacemente – sul complesso problema del sonno, dato che generalmente il sogno si realizza durante quel particolare stato comportamentale.

Come è noto, l’uomo adulto presenta fisiologicamente nelle 24 ore del giorno uno stato di veglia della durata media di 15 – 18 ore e rimanenti 9 – 6 ore di sonno.
Ad una superficiale considerazione questi due condizioni (veglia e sonno) sembrano significare una netta divisione ed una chiara contrapposizione comportamentale. Genericamente si potrebbe dire che la veglia è sinonimo di attività mentre nel sonno tutto è silenzio e riposo.
Ma se invece le cose si considerano un poco più analiticamente si deve constatare che non è affatto così e che tra lo stato di veglia e quello di sonno esistono, in primo luogo, differenti gradi di transizione a cui corrispondono differenti situazioni neurofisiologiche e psicologiche e, in secondo luogo, tutto l’organismo presenta uno stato di intensa attività.
É così che dallo scivolare nel sonno (la fase di addormentamento) si passa al sonno NON-REM, indi al sonno REM e con alterne fasi l’individuo riemerge poi allo stato di veglia.
Orbene, tutti questi momenti anche se possiedono una stabilità relativa, sono comunque periodi specifici e ripetitivi del sonno normale. Corrispondono cioè a condizioni psicosomatiche in cui gli organi manifestano differenti fenomeni funzionali. Dalle modificazioni del comportamento muscolare, alle modificazioni del metabolismo e dell’attività bioelettrica del cervello, dalla attivazione di processi neuro-endocrini, alle modificazioni neurovegetative (c’è chi parla di una vera “burrasca vegetativa”) si innestano differenti espressioni oniriche testimonianti una mutata attività coscienziale.
Dunque, da un punto di vista fisiologico si può dire che, dal momento che l’organismo varca la soglia del sonno e la soglia del mondo onirico, entra in uno stato di accentuata esaltazione funzionale di tutti gli organi mentre esperimenta a livello di attività mentale un’esperienza impensabilmente complessa e singolare.
Un chiarimento di questa attività psichica si è reso possibile con lo studio del comportamento bioelettrico cerebrale. Con l’avvento della elettroencefalografia, fra le tante conoscenze – utili sia a livello fisiologico che clinico diagnostico – si sono potute definire le cosiddette fasi REM e NON-REM del sonno che poco fa ho ricordato.
Sperimentalmente si è assodato che la fase di sonno REM è connessa con i sogni. Il risveglio durante registrazione dei parametri elettroencefalografici ha dimostrato che circa nell’83,3% dei casi il soggetto riferisce di avere avuto un sogno che lo stimolo risvegliante aveva interrotto. Il ricordo del sogno, se il risveglio avviene subito dopo la fine della fase REM, appare più vivo, ricco di particolari e di contenuti visivi. (MANCIA M.)
Un’altra prova indiretta che mostra lo stretto rapporto tra sonno-REM e sogno è l’osservazione che la valutazione soggettiva della durata del sogno da parte del soggetto in esperimento corrisponde alla durata reale del periodo di sonno REM registrato col poligrafo.
Tutto ciò non esclude la possibilità che vi siano dei sogni cosiddetti “istantanei” (cioè, brevi e rapidi), ma, almeno a livello sperimentale, ciò corrisponde all’eccezione.
Durante un sonno notturno regolare sogno e fase REM compaiono 4 – 6 volte per notte e per la durata di 20 – 30 minuti a periodi abbastanza regolari intervallati dal sonno NON-REM.
Tutti i soggetti sperimentati sognano, anche quelli che affermano di non avere mai sognato, per cui se si vuole generalizzare questa evidenza, si può dire che tutti sognano.
L’attività mentale, in fase ipnagogica (fase che corrisponde ai momenti di scivolamento nel sonno), consiste in sensazioni di tipo visivo, allucinatorio, a volte con esperienze auditive e cinestesiche e con la comparsa di un’attività mentale che, di per sé, corrisponde ad una trasformazione dei contenuti percettivi provenienti dal mondo esterno. In fase NON-REM, invece, i contenuti mentali sono senza allucinazioni, ma sono la continuazione delle esperienze vissute da svegli. Ed è in quella fase che spesso si nota una “ricreazioni di eventi recenti e pensieri non distorti” (Mancia M.) o simbolizzati, come invece accade nel sonno REM.
Altro dato emerso da recenti studi sperimentali si è provato che i racconti offerti dai soggetti svegliati durante la fase di addormentamento (dunque nei primi momenti del sonno) presentano caratteristiche simili a quelle esperienze oniriche che compaiono nella fase REM, tanto è vero che vi sono dei sogni in fase di addormentamento che è pressoché impossibile distinguere dai sogni REM. (M. Bosinelli, 1991)
Per cui, nel concludere queste brevi notizie si può dire che “gli equivalenti psicologici di queste fasi sono rappresentati dall’attività mentale con contenuti che in fase NON-REM sono più vicini alla realtà e privi di attività percettiva, mentre in fase-REM si trasformano in contenuti più propriamente onirici ricchi di attività allucinatoria”. (Mancia M.)

È cosa nota, anche se non sempre viene consapevolizzata, che l’uomo trascorre nel sonno circa un terzo della propria vita, il che, tradotto in termini numerici, considerando la vita media di 75 anni, significa che l’uomo dorme per ben 25 anni. E poiché la psicofisiologia ci dice che quando il soggetto dorme di un sonno fisiologico quasi sempre sogna, è indiscutibile che per gran parte della nostra vita mentale la coscienza vive un tipo di realtà che può essere di connotazione decisamente diversa da quella che noi esperienziamo nello stato di veglia.
Normalmente si tende a privilegiare come realtà tutte le informazioni che ci provengono dal mondo sensoriale e si considera perciò l’attività onirica come una realtà effimera ed illusoria. Indubbiamente ciò e vero se consideriamo l’uomo in modo oggettivo e da un punto di vista antropologico e sociale. In tal caso l’esperienza onirica è l’espressione di un distacco dal mondo esterno e corrisponde alla caduta della psiche in un mondo allucinato, fantastico e irreale.
Ma se è vero che ogni attività di un sistema biologico è finalistica (teleonomica) e se è vero che l’uomo dorme per ben 25 anni e sogna per un tempo altrettanto lungo, allora bisogna riconoscere che non solo il sonno, ma anche il sogno, per l’organismo che lo esperimenta, è un momento della massima importanza vitale, anche se per molti versi il suo scopo è nascosto da un mare di nebbia.
D’altra parte la sperimentazione scientifica ha dimostrato che senza sonno e con la privazione forzata del sogno REM l’individuo entra in una condizione patologica. Presenta stati di ansia e di aggressività, tremori muscolari, difficoltà di concentrazione, disartria, manifestazioni allucinatorie e idee paranoidi, incapacità di organizzare un discorso, perdita della memoria immediata, ecc., ecc.) E queste sono manifestazioni tangibili ed oggettive dello psicosoma.
Dunque, sonno e attività mentale onirica sono condizioni fondamentali per il mantenimento di un equilibrio vitale.
Ma, per quello che concerne il vissuto coscienziale, l’organismo che cosa realizza col sogno?
Se ci avviciniamo a questo problema seguendo una concettualità fenomenologica, se per un verso constatiamo che l’evento onirico e molti dei suoi contenuti sono strettamente legati alla fisiologia della struttura organica del soggetto dormiente, per un altro verso ci troviamo di fronte a contenuti coscienziali che trascendono non solo l’organicità corporea, ma anche il patrimonio mnemonico-esperienziale della psiche di quel particolare soggetto.
Ora, anche questo, indubbiamente, deve avere un senso. Se, in un’ottica generale, si volesse sintetizzare il significato del sogno in quanto attività mentale, mi pare di potere sostenere che pur nella sua fittizia evanescenza allucinatoria, in moltissime occasioni assume una chiara connotazione di dialogo interiore. Si configura, cioè, come uno strumento più profondo e più diretto di comunicazione nei confronti sia dello stesso soggetto, fruitore del proprio sogno, che nei confronti degli altri individui.
Per fare questo, l’inconscio del soggetto opera secondo modalità sue proprie in cui il simbolismo o la metafora come linguaggio preverbale e primitivo, meglio esprimono ciò che il soggetto “sente” ma che non riesce a comunicarsi e a comunicare tramite la parola “parlata”.
Questa visione concettuale è quanto mai evidente nel setting analitico, quando coll’instaurarsi del transfert e, successivamente, del controtransfert si assiste all’attuazione di un dialogo prelogico tra l’inconscio del paziente e quello dell’analista, con caratteristiche molto personalizzate.
Ora questa constatazione è molto importante per l’implicita visione dell’instaurarsi di un rapporto subconscio (fenomeno di “interazione psi”) tra il paziente, inteso nel suo racconto onirico e l’analista, a sua volta inteso secondo la sua concezione dottrinale. In modo chiaro D. Nobili (1991) a questo proposito scrive:
“Tutti conosciamo l’influenza dell’orientamento teorico e dello stile comunicativo dello psicoanalista sopra i sogni dei suoi pazienti: essi utilizzano il linguaggio e il simbolismo dei loro analisti, per cui sembra quasi che uno sogni “junghiano”, un altro “freudiano” o “kleiniano”. Ma perché scandalizzarcene? – continua Nobili – Se ci trovassimo in un paese straniero (e tale è per entrambi, paziente ed analista, il mondo interno) troveremmo naturale tradurre ciò che vogliamo comunicare nella lingua che il nostro interlocutore si mostra in grado di intendere. E poiché differisce molto da un analista all’altro, anche all’interno della stessa corrente di pensiero, l’importanza attribuita ai sogni rispetto al resto del materiale, e quindi la loro utilizzazione pratica, differirà anche, nei pazienti, la tendenza a esprimersi attraverso la comunicazione onirica”.

È noto che numerose sono le teorie formulate a spiegazione del sogno.
In un tempo antico vi erano le teorie mitiche, secondo le quali i sogni, veri o non veri che fossero, erano ispirati dagli dei, o dai demoni, mentre, come sostenevano Aristotele, o Ippocrate e altri filosofi greci, la causa del sogno era da ricercarsi nell’intervento di forze naturali proprie dell’anima (psichè). Simili idee si ritrovano in un gruppo di teorie moderne, le quali, appunto, identificano queste possibilità all’attività dello stesso organismo.
Sono le teorie del gruppo meccanicistico, secondo cui le immagini oniriche sono la necessaria conseguenza di stimolazioni di varia entità e provenienza che agiscono sullo psicosoma durante il sonno ed alle quali non è da riconoscere scopo alcuno.
Maggior credito invece hanno le teorie del gruppo finalistico o teleologico, secondo le quali il sogno è promosso da cause aventi una determinata finalità, la cui rappresentazione, guida e dirige il fenomeno.
E sono di questo gruppo, ad esempio, le teorie, più seguite in campo psicologico, postulanti una causalità inconscia: impulsi libidici rimossi o repressi (Freud), situazioni affettive legate al complesso d’inferiorità (Adler), espressioni simboliche di esperienze personali o collettive, innate o acquisite (Jung). (Castelli G. D. 1960)
Sempre secondo un’ottica fenomenologica, in questo inquadramento, bisogna poi considerare anche la possibilità di una attività onirica di tipo creativo (Assagioli).
Vi è infatti, una ricca casistica ricorrente nei secoli che suggerisce l’ipotesi dell’esistenza di un’attività subconscia prelogica che, in modo inopinato, si dimostra capace di risolvere problemi che tramite un’attività razionale non avevano trovato soluzione.
Un caso paradigmatico di un sogno di tipo psicopompico è quello occorso al Prof. Lamberton dell’Università di Pennsylvania.
“…pur avendo meditato a lungo sopra un teorema di geometria, dovette rinunziare a risolverlo. Più non vi pensava da circa una settimana, quando la soluzione gli apparve improvvisa in sogno, sotto forma di un diagramma corredato con formule dimostrative. L’immagine allucinatoria, nettamente proiettata sulla parete, vi rimase per qualche tempo dopo il risveglio, dando al sognatore la possibilità di balzare dal letto e di ricopiare la figura”. (Stevens W. O., 1953)

Così pure, un altro sogno ispiratore, in questo caso con una rara componente ipnopompica allucinatoria auditiva, è il sogno fatto dal grande musicista Giuseppe Tartini.
“…trovandosi una notte in Assisi, si desta dal sonno e si mette febbrilmente a comporre una sonata in sol minore per violino e cembalo. Poc’anzi, a capo del letto sul quale dormiva, il diavolo, improvvisatosi violinista, si era spontaneamente a lui rivelato eseguendo una sonata di prodigiosa bellezza. Egli tenta di trascrivere quanto più gli riesce di ricordare: alcuni brani, qualche frammento e, soprattutto, la “cadenza” dell’ultimo tempo, il famoso “trillo”, fulgido capolavoro di composizione musicale che l’Autore tuttavia dichiara “enormemente inferiore” (Mazzucchelli) a quanto ebbe l’avventura di udire nel sogno”. (Castelli G. D., 1960)
Naturalmente, eventi di questo tipo si rintracciano nella storia di uomini di pensiero di tutti i tempi. Potrei citare Galeno il quale in sogno ebbe il suggerimento di realizzare un certo tipo di intervento per un suo paziente, analogamente a quanto occorse al chirurgo Von Esmarck, inventore del metodo ischemizzante, o al chimico Von Kekulè, che scoprì in sogno la soluzione dell’anello benzolico, ecc.

Ma, a questo punto, è doveroso sottolineare che il discorso analitico e interpretativo del sogno si impatta anche con contenuti particolarmente conturbanti, di per sé disturbanti o addirittura contrastanti la razionalità della scienza.
Alludo ai cosiddetti “sogni telepatici”. Non credo esistano psicologi o psicoanalisti attenti nel loro lavoro che non possano riferire di avere constatato, durante l’analisi dei sogni dei loro pazienti, un simile accadimento.
Già Freud aveva puntualizzato questa possibilità. In sintesi, in più occasioni, ha scritto:

  1. La telepatia è favorita dallo stato di sonno.
  2. Anche se il messaggio telepatico giunge al ricevente nello stesso momento in cui si svolge l’evento esterno, può essere percepito dalla coscienza solo nella notte successiva, durante il sonno.
  3. Vi sono due tipi di sogni telepatici: nel primo, il messaggio telepatico può essere considerato alla stregua di un residuo diurno il quale, secondo lo schema classico, “concorre” alla formazione del sogno. In questi casi il messaggio telepatico (…) non può dunque cambiare nulla nel processo di formazione del sogno”. Nel secondo tipo, invece, il sogno è la produzione non deformata di un evento esterno trasmesso telepaticamente, rispetto al quale la psiche mantiene un atteggiamento “ricettivo e passivo”. Per questo tipo di sogni Freud ritiene corretta la distinzione di “esperienza telepatica verificatasi durante il sonno”.
  4. Sembra essere facile la trasmissione di desideri inconsci o di ricordi laddove questi siano particolarmente “intensi” o dotati di una forte “tonalità affettiva”….”. (M. Bolko e A. Merini, 1991)

Come si vede, dunque, anche Freud, analizzando attentamente i sogni dei suoi pazienti, aveva constatato la presenza di quella che oggi definiamo “percezione extrasensoriale” o, meglio ancora, “interazione psi”. Ed anche R. Assagioli, parlando del significato dei sogni, definisce tale evenienza in modo esplicito, inquadrandoli nel suo schema, come “sogni parapsicologici”.

Un caso significativo di questo tipo di fenomenologia, è, ad esempio, il sogno fatto da C. G. Jung.
Racconto particolarmente importante nell’ambito della letteratura non solo psicologica, specie se si considera che Jung, durante la sua vita, frequentemente ha vissuto esperienze di chiara impronta paranormale.
Così racconta:
“Il rapporto tra medico e paziente – specie quando si verifichi un caso di transfert, o una più o meno inconscia identificazione tra il medico e il paziente – può occasionalmente determinare fenomeni di natura parapsicologica. È una cosa che mi è capitata spesso. Un caso del genere, che mi colpì particolarmente, fu quello di un paziente che avevo curato guarendolo da uno stato di depressione psicogena. Ritornò a casa e si sposò. Sua moglie però non mi piacque, la prima volta che la vidi provai un sentimento di disagio. Notai che per lei io, a causa dell’influenza che avevo sul marito, che mi era riconoscente, costituivo una spina nel cuore. Capita assai spesso che donne le quali non amano realmente il marito siano gelose e distruggano le sue amicizie. Vogliono che il marito appartenga a loro interamente, proprio perché non gli appartengono….”.
“L’atteggiamento della moglie costituiva per il marito un terribile fardello, che egli era incapace di sostenere: sotto il suo peso, dopo un anno di matrimonio, ricadde in uno stato di depressione. In previsione di questa eventualità, mi ero messo d’accordo con lui; mi avrebbe dovuto subito avvertire non appena avesse notato un cedimento nel suo stato d’animo…”.
“In quel periodo dovetti tenere una conferenza a B. Ritornai in albergo verso la mezzanotte – per un po’ dopo la conferenza, mi ero trattenuto con alcuni amici – e andai subito a letto. Ma rimasi sveglio a lungo. Circa verso le due – dovevo appena essermi addormentato – mi sveglio di soprassalto, con l’impressione che qualcuno fosse entrato nella stanza, e la porta fosse stata aperta precipitosamente. Immediatamente accesi la luce, ma non c’era niente. Pensai che qualcuno avesse sbagliato porta, e guardai nel corridoio: ma anche lì c’era un silenzio di tomba. “Strano” pensai “eppure qualcuno è entrato nella stanza!” Allora cercai di ricordare esattamente che cosa fosse accaduto, e mi sovvenni che mi ero svegliato con la sensazione di un dolore sordo, come se qualcosa mi avesse colpito prima alla fronte poi alla nuca.
“Il giorno seguente ebbi un telegramma che mi annunciava il suicidio del mio paziente. Si era sparato. In seguito seppi che la pallottola era rimasta conficcata nella parete posteriore del cranio”. (A. Jaffè, 1978)

Sulla possibilità di simili interferenze tra psichismi, che si realizzano durante il sogno, come voi sapete, vi è una ricca letteratura scientifica di Autori italiani e stranieri.
Ciò che mi piace sottolineare è il dato secondo cui tutto concorre a stabilire che anche tramite il sogno la nostra mente – meglio, la nostra coscienza – è capace di varcare i confini della stessa corporeità tramite la quale si manifesta.

Ma ritorniamo al sogno e vediamo ora in sintesi quali aspetti acquista il suo contenuto manifesto. In primo luogo nel contesto del sogno domina la perdita dei parametri sequenziali temporo-spaziali della realtà oggettiva.
Persone e luoghi subiscono contaminazioni e metamorfosi, mentre il vissuto emotivo affettivo sottostà ad una pseudo-logicità legata, a volte, all’azione di filtro della censura, mentre la coerenza e la sequenzialità logica del racconto onirico si organizza secondo processi dinamici molto bene puntualizzati da Freud e che vengono descritti come condensazione, sostituzione, drammatizzazione. (Penati G., 1974)
Infine, esistono processi in funzione dei quali gli elementi cognitivi, affettivi, emotivi, istintuali vengono sollecitati da condizioni psico-organiche endogene ed esogene e vengono variamente combinati in funzione di una loro valenza psicologica profonda sì da creare la drammatizzazione del racconto onirico.
É così che l’esperienza onirica acquista quei caratteri particolari che tutti conosciamo, densi di contenuti soggettivi, propri di questo o quel soggetto.
Ma, come dianzi ho ricordato, l’esperienza dimostra che in certe particolari e imprevedibili occasioni, i contenuti del sogno non sono frutto della fantasia o dell’immaginazione del soggetto, ma sono realtà psico-cognitive estranee al suo psichismo. Racconti onirici, perciò, che non sono riconducibili al suo vissuto (al vissuto ontologico), e non sono rapportabili all’emergenza di immagini archetipiche provenienti dall’inconscio collettivo, ma che invece sono riconducibili a un effetto di tipo paranormale, per l’attivazione della “funzione psi”. In altri termini vi sono sogni che paiono dimostrare una capacità cognitiva extrasensoriale e irrazionale della mente.

La letteratura parapsicologica a questo proposito, come ben sapete, è quanto mai ricca di esperienze di questo genere, e non c’è che l’imbarazzo della scelta.
E come vi sono sogni che realizzano fenomeni di chiaroveggenza pura, così vi sono racconti che si riferiscono a eventi di tipo paranormale proscopico (i cosiddetti sogni premonitori), con la drammatizzazione della causa della morte evidente e non simbolizzata.
G. Piccinici e G. M. Rinaldi (1990) nella loro recente inchiesta citano il seguente racconto onirico fatto da una donna di 33 anni.
“Sognai che un mio amico aveva un incidente in macchina. Nel sogno vedevo la sua macchina, che conoscevo bene, vedevo uno scontro con un’altra macchina e sentivo il rumore dello schianto. Non vedevo il mio amico chiaramente, era solo un’ombra, però sapevo che era lui, e udivo la sua voce che si lamentava e chiedeva aiuto. Nel sogno lui moriva.
“Al mattino raccontai il sogno a mio marito. Era un sabato. Per tutto il sabato e la domenica piangevo senza motivo, tanto che mio marito si chiedeva se ero impazzita. Non sapevo dare una spiegazione alla mia angoscia, perché non la associavo al sogno.
“Quel sabato a mezzogiorno e mezza, il mio amico moriva in un incidente mentre era in viaggio in Ungheria: si era scontrato con un’altra macchina. Lo venni a sapere la sera della domenica dalla televisione, e allora dissi a mio marito: “Hai visto che non sono una visionaria?”.

Vi sono altri casi in cui, invece il sogno non illustra in modo realistico i fatti che accadranno, ma contiene soltanto una allusione più o meno indiretta e simbolica di un evento futuro.
Alludo a quella casistica spontanea in cui il sogno pare informare il soggetto che sarà protagonista di un accadimento grave che egli dovrà esperienziare, ma che per questa specifica informazione egli si salverà. Casistica che la letteratura parapsicologica riunisce nel capitolo delle “premonizioni tutelari”.
Un caso paradigmatico è quello riferito da G. Dario Castelli (1960), accaduto nel 1957. “Una donna sogna di essere svegliata da una voce che la chiama sulla strada. Si alza e corre alla finestra: dinanzi alla casa si è formato un carro funebre. Il cocchiere ha l’occhio sinistro coperto da una benda nera. Scende di serpa, punta l’indice verso la donna e le chiede: – Siete pronta? – La donna, gelata dallo spavento, fa segno di no e indietreggia nel vano della finestra. – Sta bene – risponde calmo il cocchiere e si allontana nella nebbia.
“Qualche settimana dopo, la donna si trova all’ottavo piano di un grande magazzino, aspettando l’ascensore per tornare al pianterreno. L’ascensore arriva. La porta si spalanca: appare un “groom”. Ha l’occhio sinistro coperto da una benda nera. La donna, paralizzata da un assurdo terrore, resta ferma vicino alla ringhiera. – Siete pronta? – domanda l’uomo. La donna fa cenno di no. L’uomo richiude la porta dell’ascensore, stracarico, che scende verso il pianterreno. Qualcosa si spezza; la grande scatola e tutto il contenuto vanno a fracassarsi contro il suolo…”.

Infine ritengo utile citare un caso da me stesso controllato perché può illustrare la dinamica onirica simbolica.
Caso che nella sua apparente elementarità, dimostra come nel soggetto, durante una situazione del genere, molto spesso si instaura uno stato di ansiosa attesa vigile, accompagnato da uno squilibrio neuro-vegetativo. Stato disturbante il suo equilibrio psicosomatico che scomparirà nel momento in cui l’informazione onirica troverà la sua realizzazione nella realtà dei fatti.
Il caso è il seguente. Il sogno mi fu riferito dalla Sig. M. D., la quale aveva già dimostrato in precedenti occasioni di poter vivere in modo simbolico, durante il sogno, eventi futuri.

Sogno n. 7. Il seguente sogno è stato fatto nella notte del 13-14 giugno 1955, tra le ore 3 e le ore 5 del mattino. È stato riferito al Dott. Marabini alle ore 11,30 del giorno 14 giugno 1955, presente la Sig.na R. S., infermiera.
“Dopo alcune scene di sogni in cui ero angustiata, mi sento far male ad un dente … molto male …e tanto ho tirato colle mie dita che me lo sono tolto.
“Ha cominciato ad uscire sangue dalla ferita.
“Subito ho cercato di medicarla, ma il sangue sgorgava sempre abbondante, e l’arcata mandibolare mi doleva.
“con tutto ciò, le mie mani non si sporcarono di sangue”. “Mi sono svegliata depressa e con una forte cefalea. Ancora adesso (sono le 11,30 del 14-6-55) mi sento tutta agitata internamente. Ho la necessità di stare sveglia, poiché sono convinta che se mi addormento, di nuovo sogno questi fatti.
Appena terminato il racconto, si cercò di analizzare brevemente il sogno mediante il metodo associazionistico. Ne risultò quanto segue: Male ad un dente. (Associazione). – Il male ai denti per me è associato a dispiaceri familiari. Dente che è tolto. (Associazione). – Ogni qual volta mi sono sognata un “dente tolto”, nella famiglia vi è sempre stato un lutto. “Lei” si è tolto un dente colle sue mani. (Associazioni). – Non saprei a cosa associarlo. Certamente è la prima volta che mi capita; negli altri sogni analoghi, i denti mi sono sempre stati tolti. Sangue che sgorga dalla ferita. (Associazione) – Il sangue che sgorgava era mio. Perciò ho paura che si riferisca a qualche persona del mio sangue. Le mani non si sporcano di sangue. (Associazione). – Per me quando le mani mi si sporcano di sangue, vuol dire “guadagno”. (Faccio notare che la Sig.ra M. D. è di professione ostetrica) Pertanto, qui sento una conferma delle sensazioni precedenti. Non si tratta di guadagno.
Fu allora richiesto al soggetto di esprimere una sua interpretazione del sogno. Così rispose: “Ho la convinzione che questo sogno si riferisca ad un lutto della mia famiglia (nel senso di parenti). Alla mattina da sveglia, ho pensato alla nipotina (figlia del fratello) che da domenica ho saputo gravemente indisposta. Soffre dalla nascita di epilessia e nella giornata di domenica ha avuto tre accessi”.
I fatti che seguirono. – Il giorno 29 giugno, alle ore 10, incontriamo la Sig.ra M. D., la quale, in seguito alle nostre richieste di essere tenuti al corrente di tutti i fatti che fossero capitati in quei giorni, ci riferisce quanto segue:
“Il giorno 25 giugno, rientrando a casa da Castelfranco, mio cugino G. C. perdeva il controllo della motocicletta e cadeva riportando la frattura di un braccio. Ora è ricoverato all’ospedale con prognosi favorevole”.
Chiesi allora alla Sig.ra M. D.: “Crede che il sogno del 14 giugno si possa mettere in relazione con questo avvenimento?”.
Ella rispose: “No. questo fatto non ha niente a che fare col sogno. Nel sogno io “mi sono tolta un dente”, e questo per me è sempre stato sinonimo di ‘morte”.
Nel pomeriggio del giorno 29 giugno, la Sig.ra M. D., alle ore 16, mi telefonava dicendomi che alle ore 14 era stata avvertita telefonicamente da Castenaso della morte del cugino Sig. M. A.
Per quanto riguarda questo avvenimento si sono potuti raccogliere i seguenti dati: il giorno 28 giugno 1955, nelle prime ore del mattino il Sig. M. G. di Marano, cugino della Sig.ra M. D. (dal lato paterno), di anni 50, si era suicidato impiccandosi. (E. Marabini, 1956).

Con questo breve excursus sul sogno, dopo avere preso in considerazione le sue modalità realizzative, e la varietà dei suoi contenuti, abbiamo conosciuto che la fenomenologia onirica può avere un’origine sia dalla attività della struttura organica, che da stimolazioni provenienti dall’ambiente esterno. Ed egualmente può essere sollecitata da residui psicoemotivi diurni ed anche da una rielaborazione di contenuti rimossi.
Infine abbiamo constatato che a livello contenutistico tutte queste allucinazioni, per quanto effimere esse siano, frequentemente dimostrano di possedere i caratteri di un dialogo, di un messaggio finemente articolato.
É a questo punto, allora, che mi pare giustificato chiedere: quale realtà nasconde la vita del sogno?
Quale nucleo, o quale matrice organizza questi eventi?
Indubbiamente la fenomenologia onirica trova il suo veicolo di emergenza nello psicosoma, ma l’elemento centrale, dinamicamente inconscio che dirige, informa, osserva, trasforma, elabora e simbolizza messaggi e progetti è la coscienza, cioè l’Io.
E quando constatiamo, nella drammatizzazione del sogno, l’intrusione di particolari e straordinari contenuti veridici, che la loro analisi dimostra essere estranei alla stessa struttura psicosomatica dell’individuo che li manifesta – alludo alle informazioni paranormali – è sempre in azione la coscienza.
Se a livello di discorso psicologico, questa realtà coscienziale (o Io), ha assunto un significato operativo clinico e terapeutico, è doveroso ricordare che troviamo ora importanti conferme della validità di tale concetto negli attuali indirizzi delle Neuroscienze.
Infatti, le conoscenze che emergono da questi studi, cominciano ad offrire impensate e lusinghiere conferme riguardanti le molteplici proprietà dell’istanza coscienziale, non ultimo che la coscienza, per usare le parole di Roger Sperry (come ho ricordato in altre occasioni) pur essendo collegata con la materia cerebrale non è ad essa riducibile.
Il che, in altri termini, è come dire che la coscienza è indipendente dalla struttura tramite la quale si manifesta.

Dunque, tutto questo ancora una volta ci riconferma perché la coscienza, questa misteriosa istanza dell’essere, si dimostra capace di operare negli infiniti spazi dell’inconscio personale e collettivo e, in particolari circostanze e senza che il soggetto ne sia direttamente consapevole, può spaziare nell’intramondano sino ad immergersi in un differente dominio di realtà realizzando così un rapporto non solo con il resto dell’Universo, ma a volte anche col dominio del trascendente.

Bibliografia
  1. ASSAGIOLI R. (1973) – Principi e metodi in Psicosintesi Terapeutica. Astrolabio, 1973.
  2. BOSINELLI M. (1991) – Il processo di addormentamento. in: Sogni: figli d’un cervello ozioso. Bollati Boringhieri, 1991, 249.
  3. BOLKO M. e MERINI A. (1991) – Sogno e telepatia. Continuità e discontinuità della ricerca psicoanalitica. in: Sogni: figli d’un cervello ozioso. Bollati Boringhieri, 1991, 129.
  4. CASTELLI G. D. (1960) – Psicologia e parapsicologia del sogno. CEDAM, 1960.
  5. JAFFÈ A. (1978) – Ricordi, sogni, riflessioni di C. G. Jung. Biblioteca Universale Rizzoli, 1978.
  6. MANCIA M. (1974) – Sonno e sogno: aspetti psicologici ed etologici. La Medic. Intern. A. LXXXII, Luglio, 1974, 25.
  7. MARABINI E. (1956) – Sogno paragnosico. Parapsic. di Minerva Medica, A. XLVII, n. 48, 1956, 3.
  8. NOBILI D. (1991) – Il dialogo analitico: il sogno come strumento di comunicazione. in: Sogni: figli d’un cervello ozioso. Bollati Boringhieri, 1991, 91.
  9. PENATI G. (1974) – Sonno e psichiatria. La Med. Intern., A. LXXXII, Luglio 1974, 61.
  10. PICCININI G. e RINALDI G. M. (1990) – I fantasmi dei morenti. Editrice il Cardo, 1990.
  11. SPERRY R. (1983) – Science and Moral Priority. Oxford, 1983.
  12. STEVENS W. O. (1953) – Il mistero dei sogni. Bompiani, 1953.
Edda CattaniIl sogno paranormale
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La vergogna del peccato

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La vergogna del peccato è Grazia

(dal libro intervista di papa Francesco Il nome di Dio è misericordia)

Posso leggere la mia vita attraverso il capitolo 16 del Libro del profeta Ezechiele. Leggo quelle pagine e dico: ma tutto questo sembra scritto per me! Il profeta parla della vergogna, e la vergogna è una grazia: quando uno sente la misericordia di Dio, ha una grande vergogna di se stesso, del proprio peccato. C’è un bel saggio di un grande studioso della spiritualità, padre Gaston Fessard, dedicato alla vergogna, nel suo libro La Dialectique des “Exercises spirituels” de S. Ignace de Loyola


La vergogna è una delle grazie che sant’Ignazio fa chiedere nella confessione dei peccati davanti al Cristo crocifisso. Quel testo di Ezechiele insegna a vergognarti, fa sì che tu ti possa vergognare: con tutta la tua storia di miseria e di peccato, Dio ti rimane fedele e ti innalza. Io sento questo. Non ho ricordi particolari di quando ero bambino. Ma da ragazzo sì. Penso a padre Carlos Duarte Ibarra, il confessore che incontrai nella mia parrocchia quel 21 settembre 1953, nel giorno in cui la Chiesa celebra san Matteo apostolo ed evangelista.
Avevo 17 anni. Mi sentii accolto dalla misericordia di Dio confessandomi da lui. Quel sacerdote era originario di Corrientes, ma si trovava a Buenos Aires per curarsi dalla leucemia. Morì l’anno seguente. Ricordo ancora che dopo il suo funerale e la sua sepoltura, tornato a casa, mi sono sentito come se fossi rimasto abbandonato. E ho pianto tanto quella sera, tanto, nascosto nella mia stanza. Perché? Perché avevo perso una persona che mi faceva sentire la misericordia di Dio, quel «miserando atque eligendo», un’espressione che allora non conoscevo e che poi ho scelto come motto episcopale. L’avrei ritrovata in seguito, nelle omelie del monaco inglese san Beda il Venerabile, il quale descrivendo la vocazione di Matteo scrive: «Gesù vide un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: “Seguimi”».
Questa è la traduzione che comunemente viene offerta dell’espressione di san Beda. A me piace tradurre miserando, con un gerundio che non esiste, “misericordiando”, donandogli misericordia.
Dunque «misericordiandolo e scegliendolo», per descrivere lo sguardo di Gesù che dona misericordia e sceglie, prende con sé.

Edda CattaniLa vergogna del peccato
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Dalle ceneri la Quaresima

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Mercoledì delle ceneri

 

“Mai Gesù ha invitato a fare penitenza, a mortificarsi, vocaboli assenti nel suo insegnamento, e tanto meno a fare sacrifici…”. Su il Libraio.it l’intervento di frate Alberto Maggi, biblista, che parla del significato della Quaresima

Con il mercoledì delle ceneri è iniziata la Quaresima. Per comprendere il significato di questo periodo occorre esaminare la diversa liturgia pre e post-conciliare.

Prima della riforma liturgica, l’imposizione delle ceneri era accompagnata dalle lugubri parole “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”, secondo la maledizione del Signore all’uomo peccatore contenuta nel Libro della Genesi (Gen 3,19). E con questo funereo monito, nel quale è completamente assente la novità dell’annuncio evangelico, iniziava un periodo caratterizzato da penitenze e digiuni, da rinunzie e sacrifici, e dalle mortificazioni, più orientato verso il Venerdì santo che alla Pasqua di Risurrezione.

Oggi l’imposizione delle ceneri è accompagnata dall’invito di Gesù “Convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15). Le prime parole pronunciate dal Cristo secondo il Vangelo di Marco, sono un invito al cambiamento, in un continuo processo di rinnovamento che deve essere il motore della vita del credente. E credere al vangelo significa orientare la propria esistenza al bene dell’altro.

L’uomo non è polvere, e non tornerà polvere, ma è figlio di Dio, e per questo ha una vita di una qualità tale che è chiamata eterna, non tanto per la durata, indefinita, ma per la qualità, indistruttibile, capace di superare la morte, come Gesù ha assicurato: “Se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte”; “Chiunque vive e crede in me, non morirà mai” (Gv 8,51; 11,25).

In queste due diverse impostazioni teologiche sta il significato della Quaresima. Mai Gesù ha invitato a fare penitenza, a mortificarsi, vocaboli assenti nel suo insegnamento, e tanto meno a fare sacrifici. Anzi, ha detto esattamente il contrario: “Misericordia io voglio e non sacrifici” (Mt 9,13; 12,7). Ciò che Dio chiede non è un culto verso lui (sacrificio), ma l’amore verso gli altri (misericordia). I sacrifici e le penitenze centrano l’uomo su se stesso, sulla propria perfezione spirituale, e nulla può essere più pericoloso e letale di questo ingannevole atteggiamento, che illude la persona di avvicinarsi a Dio quando in realtà serve solo ad allontanarla dagli uomini. Paolo di Tarso, che in quanto fanatico fariseo era un convinto assertore di tutte queste devote pratiche, una volta conosciuto Gesù, arriverà a scrivere nella Lettera ai Colossesi che tali atteggiamenti “in realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne” (Col 2,23), e per questo non esita a definirli “spazzatura” (Fil 3,8).

La Quaresima pertanto non è tempo di mortificazioni, ma di vivificazioni. Per questo l’azione di Gesù non è quella di abbattere l’albero che non porta frutto, ma di concimarlo per dargli nuovo vigore (Lc 13,8), perché lui non è venuto a spezzare la canna incrinata o a spegnere la fiamma smorta (Mt 12,20), ma a liberare nell’uomo le energie d’amore che sono sopite e fargli scoprire forme inedite, originali e creative di perdono, di generosità e di servizio, che innalzano la qualità del proprio amore per metterlo in sintonia con quello del Vivente, e così sperimentare la Pasqua non solo come pienezza della vita del Risorto ma anche della propria. Così, come i contadini sul finire dell’inverno distribuivano sul terreno le ceneri accumulate nel tempo freddo per dare nuovo vigore alla terra, la Parola del Signore è capace di infondere nuove energie agli uomini.

 

Edda CattaniDalle ceneri la Quaresima
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La rosa di San Valentino

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Dai ricordi…

 

Mi sono alzata al levar del sole pensando alle tante promesse dei ragazzi nell’esuberanza della giovane vita, intrise di speranza e palpiti del cuore e una marea di ricordi ha accarezzato la mia mente vagante incontro ad immagini ormai sbiadite dal tempo. C’è il festival di Sanremo in questi giorni e anche questo evento richiama la vita nel suo fiorire…una passerella di esordienti si esibisce davanti ad un uditorio di entusiasmi giovanili … gli anziani non fanno spettacolo, non comprano dischi, non festeggiano San Valentino…

 

Nella mia solitudine accarezzo i ricordi, i vissuti, i pensieri… alla ricerca di quella tenerezza che mi manca, comunque mi manca… e a chi non manca una carezza, un sentirsi ancora giovane e vitale, a volere toccare con mano l’affettività di coloro che rimangono comunque presenti? Ho acquistato la rosa rossa e le orchidee bianche per i miei “tesori” e sono andata in cappella a contemplarmi quanto resta della loro “corporeità … So bene che non sono lì, ci mancherebbe! Le tombe non servono ai morti, ma ai vivi … infatti loro non sono morti … Ci parlo ogni giorno, interloquisco nel mio vagare e correre e … loro mi danno risposte, non udibili all’orecchio umano ma che io sento, che io so provenire da ciò che resta di quel filo che invisibilmente ci unisce ancora.

 

Ieri mi ha chiamato Gemma per chiedermi di tenere una relazione a Taranto … A Taranto? Per me è in capo al mondo … L’aereo? Non l’ho mai preso … in cielo preferisco andarci quando non mi trascinerò più addosso questo corpo malandato … Ma intanto che parlavamo, a lei che è dotata di carismi particolari, è apparso qualcosa: “A tuo marito piacevano i cavalli?” “Certo, ne ho una coppia dipinta da lui che ho messo in bacheca su FB!” “Ecco lo vedo che sta bene, anzi, ora cavalca quei cavalli!” Quel quadro rappresenta un po’ la nostra storia; Mentore l’aveva dipinto in tempi non sospetti, quando eravamo ancora attraversati dalla completezza della nostra famiglia, con il lavoro a tempo pieno, i bambini da accudire, le nostre forze ed energie ancora fresche!

Li aveva chiamati “Nella bufera”, ma né lui né io avremmo mai immaginato che saremmo poi stati attraversati da una marea di eventi tanto sconcertanti! “Ora cavalca…”

 

Crederci o no per me in questi giorni di malinconia è un conforto del cuore che mi fa sentire meno sola… “… la malinconia è della bellezza, per così dire, la nobile compagna, al punto che non so concepire un tipo di bellezza che non abbia in sé il dolore. (C.Baudelaire-da Opere postume)… ed è così!

 

Ed ecco il ritrovarmi dunque in questo luogo di culto, di ricordi … tenerezze … sospiri … Altrove non mi è permesso … ma qui sì … Posso asciugarmi in pace una lacrima, posso addolcire il cuore abbracciandomi, e dicendo loro: “Statemi accanto, perché non ho più nessuno che mi accarezza!” … e ne ho necessità!

 

E ricordo ancora… come ricordo… Desidero riproporre il tempo di quando ancora speravo in una guarigione e portavo Mentore ogni giorno al diurno di Casa Madre Teresa…

 

“Ti regalerò una rosa”

 

 

Torniamo a casa da “Madre Teresa” e al semaforo c’è il solito ragazzo che offre un mazzo di rose agli automobilisti. M. lo guarda e poi sussurra: “… oggi è San Valentino…”  Capisco al volo, ma non c’è tempo, ormai è già verde e bisogna correre. Gli dico: “Vuoi regalarmi una rosa?” “Sì”. “Bene andiamo a comprarla, come tutti gli anni sarai tu a regalarmela.” E mi torna in mente la canzone di Simone Cristicchi:

Ti regalerò una rosa
Una rosa rossa per dipingere ogni cosa
Una rosa per ogni tua lacrima da consolare
E una rosa per poterti amare
…Dei miei ricordi sarai l’ultimo a sfumare…

Non sono ancora scomparse le abitudini e gli affettuosi ricordi e mi chiedo quanto ancora potranno durare le tue delicate tenerezze. Andiamo avanti e continua la nostra conversazione che è quasi un monologo:”Com’è andata la giornata?” “Bene” “E cosa hai fatto oggi con i tuoi amici?”  “Abbiamo letto” E’ un po’ difficile per lui sapermi dire cosa esattamente abbia recepito, ma mi basta qualcosa che l’ha interessato, che l’ha coinvolto, che gli è rimasto nella mente. “Raccontami su… avete letto il quotidiano?”     “ Siì “  “…e di cosa avete parlato?”  “…di tante cose!” Ci risiamo, è più furbo di me. Vediamo un po’… “ Ma ti diverti quando leggete le notizie?” “No, perché dicono che il pane costa tanto.” Ecco, ci siamo. Allora possiamo fare un ragionamento. Infatti dopo un certo periodo mi dice: “Dobbiamo pensare anche all’avvenire dei nostri bambini!” Povero caro, debbo pur ricordargli che i nostri bambini sono ormai grandi e anzi abbiamo i nipotini che hanno bisogno di noi, che vogliono vedere il nonno star bene, che sono cresciuti e vanno alla scuola materna.

Da quando veniamo a “Madre Teresa” M. sa che questa è la sua “scuola”, così gliel’ho presentata quando ne abbiamo parlato e siamo venuti a visitarla, una scuola per i nonni, dove si imparano tante cose e dove si lavora e si sta insieme. Dopo le prime ore di diffidenza, forse più mia che sua, si è stabilita una muta arrendevolezza ed io per prima mi sono “lasciata andare” e mi sono avviata verso un percorso difficile ma accettabile. Quello che capita ai familiari di coloro che sono colpiti da questo male subdolo e tremendo è che ci si sente coinvolti in una situazione che non si conosce, in quanto la persona che avevi vicina, a poco a poco, si allontana e diviene quasi un soggetto da cui difendersi e, ad un tempo, da difendere. C’è uno stravolgimento del contesto in cui ci si trovava a vivere e spesso subentra una tendenza a rinchiudersi a riccio, a nascondere la propria disgrazia o a non volerla riconoscere; di qui l’abbattimento morale e psicologico. Non sei più padrone di controllare i tuoi tempi, il tuo aspetto, le tue cose, i tuoi interessi anche minimi, le amicizie mentre cerchi disperatamente di rincorrere quella mente amata che ti sfugge, che diviene sempre più evanescente… uno stillicidio continuo che distrugge tutti i legami familiari.

Ho cercato di andare alla ricerca delle cause, se pure ce ne possano essere state: so che il tempo è passato e quanto abbiamo vissuto insieme ci ha sempre tenuto uniti, ancor più in un comune dolore, quello della perdita del nostro ragazzo, mancato all’età di 22 anni. La nostra esperienza è confluita nel credo religioso della “comunione dei santi” convinti della presenza di nostro figlio accanto a noi e del suo aiuto. M. con A. aveva un colloquio privato particolarissimo e si dicevano cose che io non ho potuto condividere. Nel muto silenzio di entrambi sono celate tante verità che potrò conoscere solo un giorno quando tutti saremo uniti in paradiso.

Nel frattempo io ho continuato il lavoro e ho lasciato M. nella sua solitudine coi suoi pensieri, con le sue letture e i suoi impegni, in casa con il gattino Max che lui accudiva con tanto amore. Ogni mattina mi portava la cartella in macchina e mi aspettava sorridente la sera con la cena pronta chiedendomi: “Com’è andata, stella?”. Poi c’è stata l’encefalite del nipotino a cui è seguito il necessario abbandono del mio lavoro.

Quando tutto si è risolto e finalmente ho potuto fermarmi e mi sono guardata intorno ho visto che in casa c’era il vuoto… M. parlava sempre meno e Max ormai beveva solo acqua e rimaneva a dormire troppo a lungo. Fui costretta a portare quell’esserino pelle e ossa in clinica  il mattino presto e a lasciarlo perché non c’era più niente da fare. M. non mi disse, né chiese nulla; ora che il suo caro amico non c’era più cominciarono ad accentuarsi i motivi di disinteresse e di assenza… solo una sera l’ho sentito mormorare: “A. sta bene, è in cielo che gioca con il suo gattino”.

 

Allora ho cominciato ad osservare il ripetersi di quei comportamenti nel lasciarsi andare, nel non partecipare, non interessarsi… a cui i medici non avevano saputo dare risposte… si parlava di depressione, di crisi dell’età, di bisogno di compagnia… Quante porte ho bussato, senza alcun risultato! E’ terribile quando non si ha una diagnosi, quando non hai mai sentito parlare di una malattia che distrugge il cervello… lui che aveva una risposta e una soluzione per tutto, che mi era stato maestro e guida, angelo consolatore… E quando non ne puoi più e anziché abbracciare la croce, come Cristo, ti ci sdrai sopra, ancora una volta una luce viene dall’alto e c’è qualcuno che giunge quando ormai non ti aspetti più nulla da nessuno.

 

Avevo sentito parlare di “Madre Teresa” ma non ne sapevo abbastanza per metterla in conto… poi ho preso il coraggio a quattro mani e sono andata… Così ho saputo che sì, ci sono altri come il mio M. che non vengono lasciati soli, ma che hanno lo stesso male e pur non potendo essere curati, perché ciò è impossibile, sono accolti e seguiti da personale preparato e disponibile che inizia con loro un programma. Gli “ospiti” con i loro operatori svolgono delle attività che li fanno sentire ancora utili e vitali; insieme vivono la giornata in un clima di serena festosità .

 

All’inizio mi sembrava  di dover “parcheggiare” quella creatura a me tanto cara, che accarezzavo come un bambino e riempivo di baci, vedendolo così debole e indifeso, temendo che si potesse deriderlo, non comprenderlo e mi raccomandavo: “…anche se non parla, capisce tutto, poi me lo dice…”

Quante lacrime i primi giorni, fra casa e Madre Teresa…. mi fermavo nell’atrio e trovavo tante anime caritatevoli che mi aiutavano nel mio difficile percorso: “Vedrà che poi ne avrà sollievo… che sarà più serena… che anche M: verrà volentieri….”

E’ vero, M. è sempre andato volentieri, fin dall’inizio, perchè da tutti abbiamo ricevuto aiuto: dall’ingresso con il buongiorno del mattino, al ritorno e al saluto della sera quando lo vado a riprendere, non già da un “parcheggio” ma da un luogo ove lui è stato bene e ha vissuto una giornata serena e in armonia.

Non so cosa stia accadendo nella mente di mio marito, cosa realmente sia successo e cosa intuisca ora della sua trasformazione così repentina, del cambiamento di ciò che quotidianamente viviamo insieme. So che questa la sentiamo un po’ “casa nostra”, una casa in cui ci si ritrova con volti familiari, con persone con gli stessi problemi, dove si può versare una lacrima senza provare vergogna e dove il tuo caro è guardato con amore e rispetto e considerato una creatura unica e irripetibile, come è nella mente di Dio.

Dice W.GRIESINGER.
” A che servirebbe, se conoscessimo tutto ciò che accade nel cervello durante la sua attività, se potessimo penetrare tutti i processi chimici, elettrici e così via, fino all’ultimo dettaglio? Qualsiasi oscillazione e vibrazione, qualsiasi evento chimico e meccanico, non è mai uno stato d’animo, un’ idea. Comunque vadano le cose, quest’enigma resterà insoluto fino alla fine dei tempi, e io credo che se oggi venisse un angelo dal cielo e ci spiegasse tutto, il nostro intelletto non sarebbe nemmeno capace di comprenderlo “

                                                                                                  E. C.

 

 

 

 

 

 

Edda CattaniLa rosa di San Valentino
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Papa Francesco: quaresima

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Quaresima: il Mercoledì delle Ceneri

(a ricordo della Quaresima 2016)

Papa Francesco manda messaggio su Telegram ai giovani

 

 

Il messaggio del Pontefice sui social: “Quando facciamo qualcosa di bene, a volte siamo tentati di essere apprezzati e di avere una ricompensa: la gloria umana. Ma si tratta di una ricompensa falsa perché ci proietta verso quello che gli altri pensano di noi”. La condanna del fenomeno dell’usura: “Tante famiglie ne sono vittima. È un grave peccato che porta ai suicidi”

 

Papa Francesco ha voluto iniziare la Quaresima del Giubileo in modo social inviando attraverso Telegram un audio messaggio ai giovani: “Quando facciamo qualcosa di bene, a volte siamo tentati di essere apprezzati e di avere una ricompensa: la gloria umana. Ma si tratta di una ricompensa falsa perché ci proietta verso quello che gli altri pensano di noi. Gesù ci chiede di fare il bene perché è bene”

“Tante famiglie sono vittime dell’usura. È un grave peccato che grida al cospetto di Dio e porta ai suicidi”. È il messaggio che Papa Francesco ha rivolto nell’udienza generale del mercoledì del ceneri con il quale la Chiesa cattolica inizia la Quaresima, i 40 giorni di preparazione alla Pasqua che ricordano il tempo che Gesù passò nel deserto prima di iniziare la sua predicazione pubblica. “Quante situazioni di usura siamo costretti a vedere – ha sottolineato Bergoglio – e quanta sofferenza e angoscia portano alle famiglie. E quanti uomini per la disperazione finiscono nel suicidio perché non ce la fanno, non hanno la speranza. Non hanno una mano tesa che li aiuta, ma soltanto la mano che chiede di pagare”. Francesco ha spiegato ai numerosi fedeli presenti in piazza San Pietro che “se il Giubileo non arriva nelle tasche non è autentico. E questo è nella Bibbia, non lo inventa questo Papa”. 

 

Edda CattaniPapa Francesco: quaresima
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Mercoledì delle Ceneri

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Mercoledì delle Ceneri

 

 Il giorno dopo Carnevale e martedì grasso è la data in cui cade il mercoledì delle Ceneri. 

Ecco cosa sono le Ceneri, significato religioso e teologico e frasi sulle Sacre Ceneri.

ll mercoledì delle Ceneri dell’astinenza e digiuno non è festa di precetto, pertanto ci si reca a lavoro e a scuola senza osservare alcun riposo. Questa data segna l’inizio della Quaresima, che è il periodo di meditazione e conversione al Vangelo che ciascun fedele deve osservare. Ecco cosa si festeggia durante le Sacre Ceneri e che cos’è la Quaresima.

Il significato del mercoledì delle Ceneri è spiegato all’inIterno della stessa Bibbia. Numerose sono le frasi e le immagini in cui l’uomo è associato alla cenere,e proprio in esse è possibile cogliere il senso di questo rito molto importante per la Chiesa.

Infatti in questa data inizia quel periodo di penitenza pubblica che culminerà con il perdono dei peccati di Giovedì Santo.

In molti si chiedono se durante il giorno delle Ceneri si mangia la carne. In realtà in questa data, che cambia ogni anno, bisogna astenersi non solo dal mangiare la carne, ma anche durante tutto il periodo della Quaresima bisogna rispettare il digiuno e la penitenza. In particolare ricordiamo che tutti i venerd’ di Quaresima non si mangia carne.

Nel Libro della Genesi compaiono queste parole che spiegano cosa sono le Sacre Ceneri e cosa si ricorda in questa data.“Ricordati uomo, che polvere sei e polvere ritornerai”. E’ con queste parole che Dio, dopo il peccato originale, caccia Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden, condannandolo alla fatica del lavoro e alla morte. “Con il sudore della fronte mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!”.

Il senso del mercoledì delle Ceneri e la sua storia risiedono proprio in queste due frasi. Da un lato si coglie tutto il senso di precarietà e caducità che avvolge la condizione umana. L’uomo è fragile, e per vivere nella gloria di Do deve fare penitenza e chiedere perdono dei propri peccati. Dall’altro lato partecipare al rito delle Sacre Ceneri, nonché fare digiuno e penitenza privatamente durante il periodo della Quaresima, è il primo passo della conversione. Non a caso, l’originaria formula con cui si versavano le ceneri sul capo dei fedeli è stata convertita dopo il Concilio del Vaticano II in “Convertitevi e credete al Vangelo”.

 (dal web)

Anche la cenere, intenso simbolo quaresimale, parla di un ritorno, un ritorno dell’uomo alla polvere da dove fu tratto, un ritorno alla consapevolezza della nostra mortalità. La cenere è però anche e il ritorno alla comprensione vera della nostra natura: noi siamo fuoco, bruciamo dello stesso fuoco d’amore che Gesù è venuto a portare sulla terra, la nostra vita non si disperderà come la cenere ma resterà, fuoco nel Fuoco. Resteranno in Dio le parole che hanno scaldato le nostre storie, resterà il fuoco che ha bruciato di passione per amore, resterà il fuoco che si è preso cura del freddo che oscurava nei cuori delle persone vicine. Il fuoco divino che brucia in noi, ogni gesto infuocato d’amore non va perso, rimane. E allora la Quaresima sia invito a bruciare d’amore, a bruciare ancora di più, a bruciare per più persone possibili.

La preghiera, il digiuno e l’elemosina diventano degli aiuti per riscoprire quale il vero pane, quale la vera parola che ci salva, il vero pane che ci nutre, il vero bene che ci riempie: il vero fuoco a cui tornare per scaldarci. Siano parole infuocate d’amore le nostre preghiere, il digiuno ci regali delle brucianti fami relazioni buone, l’elemosina sia calore condiviso.

Una strada illuminata dal fuoco dell’amore, una strada che ci riporta a casa, eco la Quaresima, strada per tornare al centro della nostra storia e riscoprirne il Senso profondo.

(A. Dehò)

Edda CattaniMercoledì delle Ceneri
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Sopravvivenza e vita eterna

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 Continua la mia testimonianza di fede e di speranza, nelle Associazioni di tutta Italia.

 

LA SOPRAVVIVENZA DOPO LA MORTE

 

(nei testi biblici)

 

Sopravvivenza dell’anima

 

1 Samuele 28,3-19: L’anima di Samuele, dopo la morte, parlò a Saul. Alcuni affermano che non si tratti di Samuele, ma del demonio che parla a Saul. Ora, il testo dice che è veramente Samuele. Le predizioni di Samuele si sono avverate, segno che non era un demone bugiardo.

Matteo 17,1-18: Mosè ed Elia apparvero a Gesù al momento della Trasfigurazione. E’ vero che, secondo la Bibbia, Elia non morì: egli fu rapito in cielo con il suo corpo (2 Re 2,1-13), Mosè, morì (Deuteronomio 34,5-7). E’ quindi l’anima di Mosè che apparve.

Luca 16,19-31: Le anime d’Abramo, del povero Lazzaro e del ricco malvagio esistono dopo la loro morte.

Luca 23,43: “In verità, ti dico, oggi sarai con me in paradiso”, disse Gesù al ladrone pentito sulla croce.

1 Pietro 3,18-20: L’anima di Gesù, tra la sua morte e la sua resurrezione, ha visitato le anime di coloro che morirono nel passato per annunciare la sua Venuta.

Apocalisse 6,9: Giovanni vede le anime dei martiri.

Resurrezione dei corpi

Matteo 27,52-53: I corpi di alcuni santi resuscitarono dai morti dopo la resurrezione di Gesù.

Luca 20,27-39: Gesù risponde ai sadducei, che non credevano nella resurrezione:

“Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti ma dei vivi”. Questo testo spiega la sopravvivenza dell’anima e la resurrezione del corpo.

Giovanni 5,28-29: La resurrezione dei morti rivelata da Gesù.

Giovanni 6,54: Gesù disse: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo resusciterò nell’ultimo giorno”.

1 Corinzi 15,12-57: “Come possono dire alcuni tra voi che non esiste la resurrezione dei morti! …etc”. Paolo spiega la resurrezione del corpo e biasima coloro che non ci credono.

Malgrado queste evidenti conferme bibliche sulla sopravvivenza dell’anima e sulla resurrezione del corpo, dopo la morte, alcuni che si dicono credenti, non ci credono. Le loro motivazioni sono un tessuto d’incoerenza.  

La nostra A.C.S.S.S.  

Con questo sito, oltre a rendere noto il nostro percorso, vuole far conoscere a tante Madri, a tutte le persone provate da lutti gravi, che “la morte non è un atto finale e la Vita prosegue” “in cammino verso l’Infinito”, verso cioè una sempre maggiore comprensione della Realtà e dell’Essere, una espansione cosmica di cui sono inimmaginabili vertici raggiungibili.

Edda CattaniSopravvivenza e vita eterna
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Bernardette Soubirous

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Bernardette Soubirous

La più ignorante dei Pirenei

A proposito di Lourdes è stato detto – e a ragione – che “la prova migliore dell’apparizione è Bernadette stessa” . Bassa di statura (non arrivava neanche al metro e mezzo (m. 1,40), dalla testa troppo grande, analfabeta, tarda di comprendonio (non era stata ammessa alla prima comunione perché non riusciva ad imparare neanche la formule del catechismo, e “che ignorava “persino il mistero della santissima Trinità” ). Una ragazzina non più devota delle altre, ma tanto imbranata da non sapere neanche che età avesse (“tredici… o 14 anni)”, disprezzata, appartenente a famiglia emarginata, nota per l’enorme miseria economica e morale. Bernadette è nata infatti nella famiglia più povera di Lourdes, tanto misera da non avere neanche un’abitazione ed era costretta ad abitare in un autentico tugurio: l’ex prigione abbandonata perché insalubre. Con un padre arrestato nel 1857 sotto l’imputazione di furto aggravato. La moralità della madre non è meno dubbia. “È a tutti notorio che questa donna si abbandona all’ubriachezza…” (dal rapporto del Procuratore Imperiale Dutour).

Neanche i suoi parenti godono di buona fama: due sue zie erano state scacciate dalle “figlie di Maria” per essere rimaste incinta prima del matrimonio, cosa che a quei tempi era abbastanza riprovevole. A dispetto dei tanti ritrattini ascetici che le verranno costruiti addosso ancora vivente, Bernadette, ragazza normale che non disdegnava il vino (abitudine che probabilmente le era venuta quando da piccola serviva al bancone dell’osteria di sua zia Bernarde), verrà apostrofata come “ubriacona”, “sgualdrina”, dal Commissario Jacomet al suo primo interrogatorio. In Bernadette sembra trovare conferma il metodo di Dio, che per le sue azioni sceglie sempre ciò che agli occhi degli uomini non è degno di stima (1 Cor 1,27). “Se la santa Vergine ha scelto me, è perché ero la più ignorante. Se ne avesse trovata un’altra più ignorante, avrebbe scelto lei” affermava Bernadette.

 

(da Alberto Maggi)

Edda CattaniBernardette Soubirous
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