Gli Ultimi Articoli

Il “pane” spezzato

No comments

“ Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”

La domenica successiva alla Solennità della SS. Trinità si celebra la festa del Corpo e del Sangue del Signore. Prima della riforma liturgica era nota come festa del Corpus Domini (distinta dalla festa del Sanguis Christi celebrata in luglio). La festa del Corpus Domini trova le sue origini nella ambiente fervoroso della Gallia belgica – che San Francesco chiamava “amica Corporis Domini”. Solitamente in giugno, si tiene a Bolsena la festa del Corpus Domini a ricordo del miracolo eucaristico avvenuto nel 1263. Un prete boemo, in pellegrinaggio verso Roma, si fermò a dir messa a Bolsena ed al momento dell’Eucarestia, nello spezzare l’ostia consacrata, fu pervaso dal dubbio che essa contenesse veramente il corpo di Cristo. A fugare i suoi dubbi, dall’ostia uscirono allora alcune gocce di sangue che macchiarono il corporale (attualmente conservato nel Duomo di Orvieto) e alcune pietre dell’altare tuttora custodite in preziose teche presso la basilica di Santa Cristina in Bolsena. La solennità cattolica del Corpus Domini (Corpo del Signore) chiude il ciclo delle feste del dopo Pasqua e vuole celebrare il mistero dell’Eucaristia.

 “ Per la vita del mondo”: questa parola evangelica deve pulsare dentro di noi, come pulsava nel cuore di Gesù.

Chi si nutre del pane eucaristico diviene presenza discreta, è un credente, che si ricorda di fare del bene, cioè di dare tutto, ma nello stile di Gesù lasciandosi plasmare da Lui. E’ capace anche di silenzio, di ascolto; di quel silenzio che rende possibile l’ascolto e l’accoglienza delle parole di chi ci vive accanto, delle parole della fragilità e della debolezza, della malattia di chi ci vive accanto, della sofferenza e della morte, ma anche le parole dal significato alto.

E’ un credente capace di gratuità, la cui gioia non sta tanto nell’affermazione di sé ma nel portare “ vita” al mondo, nel testimoniare Gesù,  vita per l’uomo.

Chi si nutre del pane eucaristico è messo in grado di volere il bene dell’altro e di promuoverlo, sapendo che questo “pane” verrà a lui di ritorno…

 Dal mio percorso di vita…

Anch’io ho spezzato quotidianamente un pane al capezzale del mio sposo affetto da un male incurabile, cercando per lui  “amore incondizionato e perfetto”, “tenendolo curato oltre ogni sforzo perché non perdesse in dignità”

Nella mia ricerca di conferme mi viene inviato questo scritto:

…Ecco, voglio dirti semplicemente questo: il pane che hai spezzato per il tuo compagno, ritorna a te in questo tempo.

Ascolta cosa scrive Erri De Luca: “Valencia è una città spagnola sul Mare Mediterraneo. Una volta aveva un fiume che l’attraversava, il Guadalaviar, ma ora il suo corso è stato deviato. E’ l’unica città del mondo, che io sappia, che si sia sbarazzata di un fiume. Ci sono stato l’anno scorso in ferie, invitato da un editore che aveva tradotto un mio libro nella bella lingua del posto, la catalana. Ho percorso la città a piedi, la sola unità di misura che possiedo per conoscere i posti altrui. Ho visto mercatini puliti e lotterie, mura romane e lavori in corso, ma cercavo il fiume che non c’era più. Infine l’ho trovato, il letto vuoto, i ponti su di lui come se ci fosse ancora.

Al posto di una corrente che già sente il mare vicino, hanno piantato palme e costruito un lungo stagno con pesci rossi. Dall’alto del ponte vedevo quel parco sotto di me, dubitando del senno dei cittadini di Valencia. Presso la riva dello stagno un uomo anziano con un cane forse ancora più anziano passeggiava. Lo vidi avvicinarsi al bordo dell’acqua e cavare dalla sacca delle pagnotte vecchie. Pezzo a pezzo le gettò ai pesci. Restai a guardarlo, affascinato dalla monotonia dei suoi gesti. Non durò poco. Solo alla fine della provvista capii che stavo guardando il verso uno del capitolo undici di Kohèlet. “Manda il tuo pane sul volto delle acque.” Un uomo anziano nell’autunno del ’93 in una città spagnola eseguiva alla lettera l’invito, dando al verso il suo unico verso.

Compiva quel gesto di offerta tra sé e i pesci da molto tempo, ma quel giorno lo compiva anche per un muratore italiano pieno di Bibbia. Lo compiva perché potessi capire: potevo ben azzardarmi a cambiare la traduzione di un verso sacro, potevo pure avere ragione di farlo e di leggere: “in molti giorni lo ritroverai”, anziché “dopo”, purchè ricordassi che chi aveva letto quel verso altrimenti era stato ugualmente felice della sua lettura e di certo aveva offerto più pane di me. Così un uomo di una città remota, accompagnato da un cane e vicino a un fiume prosciugato, era un verso dell’Antico Testamento, lontano molte mattine, che tornava dopo molti giorni.

Per un gioco delle correnti il pane spezzato si allontanava dal lanciatore in direzione della sponda opposta, verso il mare, seguendo un fiume che non c’era più, secondo il suo verso”.

 “ G r a z i e !!!”

 

Edda CattaniIl “pane” spezzato
Leggi Tutto

O Croce di Cristo!

No comments

O Croce di Cristo!

 

 

Papa Francesco, preghiera-invettiva alla via crucis 2016. Contro preti pedofili, terroristi, corrotti, indifferenti…

 

Una dura denuncia in “O Croce di Cristo!”, l’orazione scritta da Bergoglio per il Venerdì Santo al Colosseo. Rivolta a “ministri infedeli che spogliano gli innocenti della propria dignità”. Alle “coscienze insensibili e narcotizzate” di fronte al “cimitero del Mediterraneo”. A chi si vende “nel misero mercato dell’immoralità”. E al “silenzio vigliacco” sul massacro dei cristiani “Vediamo la croce di Cristo nei preti pedofili, nel cimitero insaziabile del Mar Mediterraneo, nei profughi, nei terroristi e nei corrotti”.

È la forte denuncia che Papa Francesco ha rivolto in “O Croce di Cristo!”, una lunga e struggente preghiera scritta e letta al termine della via crucis del Giubileo che si è svolta come ogni venerdì santo al Colosseo (leggi il testo integrale della preghiera). Dopo aver ascoltato in silenzio sul Colle Palatino le meditazioni delle 14 stazioni, scritte quest’anno dal cardinale di Perugia Gualtiero Bassetti, Bergoglio ha condannato con forza i mali che attualmente affliggono l’umanità. Ed è partito dalla pedofilia del clero proprio come aveva fatto l’allora cardinale Joseph Ratzinger nel venerdì santo del 2005, poche settimane prima di essere eletto vescovo di Roma, con Wojtyla che lentamente andava spegnendosi.

 “Quanta sporcizia – aveva affermato in quella occasione il futuro Papa tedesco – c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui”. “O Croce di Cristo, – ha affermato dopo 11 anni Bergoglio – ancora oggi ti vediamo nei ministri infedeli che invece di spogliarsi delle proprie vane ambizioni spogliano perfino gli innocenti della propria dignità”. Francesco ha puntato il dito contro “l’odio che spadroneggia e acceca i cuori e le menti di coloro che preferiscono le tenebre alla luce”. Con una nuova forte denuncia dei tanti migranti morti in mare nei loro viaggi della speranza nel Mediterraneo e nell’Egeo “divenuti un insaziabile cimitero, immagine della nostra coscienza insensibile e narcotizzata”. Una nuova condanna della “globalizzazione dell’indifferenza” che Francesco aveva fatto a Lampedusa, primo viaggio del suo pontificato. 

Per Bergoglio oggi la croce di Cristo rivive “nelle nostre sorelle e nei nostri fratelli uccisi, bruciati vivi, sgozzati e decapitati con le spade barbariche e con il silenzio vigliacco”, “nei volti dei bambini, delle donne e delle persone, sfiniti e impauriti che fuggono dalle guerre e dalle violenze e spesso non trovano che la morte e tanti Pilato con le mani lavate”. Denuncia che Francesco ha fatto anche aprendo la settimana santa del Giubileo straordinario della misericordia. Dopo gli attentati di Bruxelles, dietro i quali per il Papa ci sono i “fabbricatori e i trafficanti di armi”, Bergoglio ha sottolineato che vediamo la croce di Cristo “nei fondamentalismi e nel terrorismo dei seguaci di qualche religione che profanano il nome di Dio e lo utilizzano per giustificare le loro inaudite violenze”.

Ma le parole di Francesco si sono rivolte anche contro i “potenti e i venditori di armi che alimentano la fornace delle guerre con il sangue innocente dei fratelli”; per i “traditori che per trenta denari consegnano alla morte chiunque”; per i “ladroni e i corrotti che invece di salvaguardare il bene comune e l’etica si vendono nel misero mercato dell’immoralità” e per i “distruttori della nostra ‘casa comune’ che con egoismo rovinano il futuro delle prossime generazioni”. Il Papa ha lodato anche tanto bene presente nei “ministri fedeli” della Chiesa, “nelle famiglie che vivono con fedeltà e fecondità la loro vocazione matrimoniale” e ha invitato a non abbandonare “gli anziani, i disabili, i bambini denutriti e scartati dalla nostra egoista e ipocrita società”.

Durante le meditazioni della via crucis, mentre la croce veniva portata anche da persone provenienti dalla Cina, dalla Russia, dalla Siria, dal Kenya, dall’Uganda e dalla Repubblica Centrafricana, al Colosseo si era pregato per i profughi e per i divorziati: “Dov’è Dio nei campi di sterminio? Dov’è Dio nelle miniere e nelle fabbriche dove lavorano come schiavi i bambini? Dov’è Dio nelle carrette del mare che affondano nel Mediterraneo?”. “Come non vedere il volto del Signore – era stata la riflessione della sesta stazione – in quello dei milioni di profughi, rifugiati e sfollati che fuggono disperatamente dall’orrore delle guerre, delle persecuzioni e delle dittature? Per ognuno di loro, con il suo volto irripetibile, Dio si manifesta sempre come un soccorritore coraggioso”. Mentre la pedofilia era stata al centro della decima stazione con “le piaghe dei bambini profanati nella loro intimità”.

Edda CattaniO Croce di Cristo!
Leggi Tutto

“Amare” e “Voler bene”

No comments

Amare e Voler bene

 

…benedetto Padre Alberto che mi tiri le orecchie ogni qual volta sono “alle strette” e mi trovo “alle corde”! Ed è proprio la splendida pagina del vangelo di domenica prossima spiegata questa sera, che trova riscontro alle mie eterne perplessità…

 

Vediamo un po’:

 

Gv 13,31-33a. 34-35

“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri…come io ho amato voi…

 

Nel vangelo di Giovanni l’unica volta che Gesù comanda qualcosa ai suoi, comanda quello che non è possibile comandare: l’amore. Si può comandare all’uomo di obbedire, di servire, ma non l’amore.

 

E Gesù comanda proprio di amare dicendo:  “Vi do un comandamento nuovo”. Gesù non dice “Vi do un nuovo comandamento”, cioè un comandamento che va ad aggiungersi a quelli della legge di Mosè… C’è una nuova relazione con Dio; il termine greco “nuovo” indica una qualità migliore, che supera e toglie tutto il resto..

 

“Che vi amiate gli uni gli altri come ..” Questo “come” non indica il modo, ma è la motivazione, il perché. “Come io ho amato voi”. Gesù non dice “come io vi amerò”, non sta parlando dell’amore, del dono totale che poi manifesterà morendo in croce, ma è al passato “come io ho amato voi”.

 

Quindi questo “amato” ha due significati: il servizio, che rende le persone libere, piene della loro dignità, e un amore che viene dato in risposta all’odio, un amore che non si scoraggia.

 

Questa la lettura “teologica” fatta da Padre Alberto e da questo dobbiamo partire per la nostra riflessione. Qualcuno, infatti, nella chat gli ha chiesto: “Ma allora c’é differenza fra “amare” e “volere bene”? E la risposta è stata di un certo tipo … Ne ho fatto una ricerca, questa:

 

Nel Nuovo Testamento l’azione di “amare” è espressa dai verbi : agapáô e philéô.

agapáô significa “amare” nel senso di “avere caro, tenere in gran conto, preferire, prediligere”: è l’amore incondizionato … usato verso Dio, la giustizia o il prossimo In sostanza “Agape” è una permanente attitudine di benevolenza verso Dio e verso gli altri, senza nessuna condizione, che scaturisce liberamente dall’Amore che Dio ha messo nel cuore dei Suoi soggetti. È amore disinteressato, che non si aspetta nulla in ritorno.

philéô significa “amare” nel senso di “volersi bene, avere caro, trattare con affetto, accogliere amichevolmente un ospite Esprime solo l’amore di affetto personale, o di piacere, includendo anche le passioni dove il contenuto lo richiede, senza coinvolgere intelligenza o alti proponimenti, questo concetto piazza il verbo “amare (phileo)” ad un livello inferiore di Agape. È un sentimento che trova attrazione nell’altra persona e che si aspetta un ritorno.

Da queste spiegazioni potremmo trarre tante considerazioni!!!

Quante volte abbiamo detto “Ti amo” o ci è stato detto “Ti voglio bene” e poi siamo rimasti profondamente delusi nel non avere trovato riscontro alla nostra esigenza, al nostro desiderio di amore “totalizzante” di amore vero, perenne, incondizionato?…

Ma passiamo ad una lettura diversa: “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry.

Chi di voi l’ha letto, ricorderà molto bene che le parole messe in bocca al protagonista del racconto sono vere e proprie perle di saggezza che ci vengono trasmesse dai dialoghi tra il bambino venuto da un asteroide lontano e i vari personaggi che egli incontra nel corso del suo viaggio.

 

Vediamone un tratto: le parole che scambia col mercante di pillole che calmano la sete

 

– “Perché vendi questa roba?” disse il piccolo principe.

È una grossa economia di tempo”, disse il mercante, “Gli esperti hanno fatto dei calcoli. Si risparmiano 53 minuti a settimana”.

– “E cosa se ne fa di questi 53 minuti?”

– “Se ne fa quel che si vuole…”

– “Io”, disse il piccolo principe, “se avessi 53 minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana…“

 

Dunque le pillole perfezionate calmavano la sete e se se ne inghiottiva una alla settimana non si sentiva più il bisogno di bere. Così è la nostra ricerca d’amore … che dura tutta la vita … Si nasce e già dal grembo materno si cerca di suggere il latte che risponderà in parte alle nostre esigenze primarie … poi  via via abbandoneremo la mano della madre e percorreremo nuovi sentieri … In seguito i primi palpiti, i primi tormenti … alla ricerca di quella perfezione “amorosa” che non ci sazierà mai …

 

Succede come una rosa chiusa che si vorrebbe sempre vedere sbocciare per assaporarne il profumo … ma quanto dura questa bellezza se poi la rosa muore prima del previsto?

 

Ricordate il film “I passi dell’amore”? I due protagonisti si inseguono non senza fatica e avranno tanti ostacoli per essere uniti per sempre. Ciascuno di noi è portato a sognare un amore grande, perché questo aiuta a riservare le giuste manifestazioni dell’amore nel superare le diverse tappe della nostra storia. Così anche la rosa, ha un suo tempo giusto per sbocciare, dare il suo profumo e poi morire.

 

L’amore è il desiderio che attrae e unisce gli esseri viventi e coscienti in vista di un reciproco bisogno di completamento. La sua natura è paradossale. Nell’amato infatti si cerca contemporaneamente l’identico e il differente, l’altro se stesso e l’individuo diverso da sé, la fusione senza residui e il rafforzamento della propria personalità. Se l’altro non mi somigliasse, se non potessi rispecchiarmi in lui e riconoscere nei suoi pensieri e sentimenti il riflesso dei miei, l’amore non sorgerebbe, ma non potrei amarlo neppure se mi somigliasse troppo, se fosse un mero duplicato, un’eco monotona e ripetitiva di me stesso.

 

L‘amore deve rimanere incessantemente in bilico su un pericoloso crinale, rinnovare gli stati di equilibrio. Esso costituisce una delle passioni più potenti e sconvolgenti. E’ gioia incostante, che ha bisogno di continue rassicurazioni, espansione di se stessi oltre i vincoli della mortificante quotidianità. Sensazione di crescita, di arricchimento e di liberazione dalla chiusura nel proprio io rattrappito.

 

Insieme però, se non adeguatamente ricambiato, rappresenta anche un tragico fattore di distruzione e di autodistruzione. In rapporto al piacere sessuale, assume il carattere dell’eros, che si manifesta in un mobile gioco, in cui ci si sottrae per concedersi e ci si concede per sottrarsi.

 

In termini religiosi infine il cristianesimo ha fatto dell’amore unilaterale e gratuito di Dio per l’uomo, di Gesù che sacrifica la propria vita per la salvezza dell’umanità, la base della fede e, nell’amore dell’uomo per il proprio prossimo, compreso il nemico, il comandamento più grande.

 

Qui ci ha portato la nostra ricerca sull’amore e non posso non ritrovarmi in Fra Benito (altro religioso servita) quando afferma:

 

“.. stamattina, pregando davanti all’icona del volto di Cristo di padre Bruno Quercetti, con parole di carne e di sangue, parole misere, mi sono chiesto in quale guaio si è cacciato Dio innamorandosi dell’uomo, fino a sciogliere addirittura la sua onnipotenza alla nostra libertà, e tenendo per sé solo l’onnipotenza dell’amore .. perché non ha fatto il contrario? .. la risposta mi sembra sempre questa: perché la libertà è necessaria all’amore .. è un preliminare dell’Amore .. ma non rinuncerò a cercare altre risposte .. ci deve essere qualcosa di più, che non so, che non capisco .. che attendo ..”

 

E anch’io la penso esattamente così!

 

 

 

Edda Cattani“Amare” e “Voler bene”
Leggi Tutto

Mente amica

No comments

Mente amica

 

Nessun uomo è un’isola. Insieme siamo interconnessi e interdipendenti. Siamo quello che siamo per merito di ciò che siamo insieme nelle collaborazioni quotidiane (Ubuntu).

La vita è una scuola continua, stai imparando dalle occasioni e dalle provocazioni.
Il cervello è plastico, i pensieri modellano la mente, quando apprendi qualcosa di nuovo o fai nuove esperienze il cervello cresce.
Continua a far palestra con la mente costruendo bozze, schemi, collegamenti, formule brevi per aiutarla a ricordare.

La scrittura può aiutarti a chiarire pensieri ed emozioni e a guardarti dentro con sincerità.
Scrivere può aiutarti a comprendere te stesso e a guarirti.

La mente è la tua migliore amica se sai come governarla.

Scrivo per chiarirmi, per farmi compagnia, per abitare con i miei pensieri e allargare la consapevolezza delle mie risorse. Scrivo per trovare i fili conduttori nel labirinto intricato delle esperienze. A volte sono visitato da pensieri che illuminano, parlano, toccano… li accolgo con diligenza, li deposito sulla carta per poterli ri-trovare e perfezionare. Trasformo pensieri improvvisi in scritture spontanee. Scrivo a me con benevolenza, contemplo ciò che scrivo per comunicare bene con me e con gli altri. In questo modo riesco a stabilire un contatto più intimo con ciò che realmente sento e penso“.

La pratica della lettura-scrittura collettiva di testi è una variante del racconto auto-biografico, che raccoglie la creatività dei partecipanti e rafforza relazioni significative.

Nell’era di internet c’è il pericolo di perdere la scrittura personale-manuale, tra varie tastiere. C’è il pericolo che il cervello diventi macchina e il cuore sia inaridito dall’intelligenza artificiale. Per prevenire tutto ciò, è bene dare importanza alla scrittura bio-grafica: scrivi per pensare, scrivendo vengono pensieri che svelano te a te, attivano la capacità contemplativa e fanno crescere la comunione con la gente e con l’ambiente.

(da La Scuola del Villaggio)

 

Edda CattaniMente amica
Leggi Tutto

L’ulivo, simbolo di pace

No comments

La domenica delle Palme

(dai ricordi)

Di ritorno dalla Santa Messa, con la palma in mano dono e simbolo di questa domenica, vi porgo i miei auguri con le parole di Papa Francesco. Sia pure con brandelli di pelle e a volte gocce di sangue, lasciate sul mio cammino, continuo a porgermi come testimone della salvezza. Dal messaggio del Santo Padre, vero grande dono dato a questi tempi di “crisi” d’identità possiamo recepire che tutto quanto facciamo è sempre e solo “servizio” dato ai fratelli e noi non siamo che uno strumento, con tutta la nostra precarietà e la nostra provvisorietà. Non contano le parole, la quantità delle preghiere, le lodi e gli inni recitati… Di tutto questo rimarrà solo l’amore che avremo donato.

Ed ora dalla bacheca di Fra Benito nella odierna ricorrenza: 

“.. Padre perdonali, perché io desidero che loro vivano ..” .. L’uomo ha vinto, lo dice la morte che ha ridotto il suo Dio nella vergogna e nell’infamia .. da ora Dio sarà solo un concetto o un dogma dispotico, comunque un’invenzione del potere, un inganno da somministrare agli umili, ai disperati, ai diversi, a tutti gli uomini … per chiamare poi ‘Dio’ quell’Uomo e continuare a uccidere in suo nome, e crederlo come un Dio che fa paura, staccato dall’uomo, che ascolta solo lodi e vespri … Il Dio degli sconfitti, degli incompresi, degli offesi è morto .. è stato ucciso in nome degli uomini pavidi e d ei comandamenti del potere .. rinasce così il Dio vendicativo e solenne che giustifica la liturgia umana di ogni potere e di ogni ipocrisia … Ma l’uomo del potere si illude: dove inizia la sua vittoria incomincia sempre il suo fallimento … perché quell’Uomo che muore e che sanguina in croce ha ancora una parola di suprema sfida: ‘Padre, perdonali perché io desidero che loro vivano, desidero la loro vita anche se io sto per perderla’ … Nessuno ferma l’Amore, niente ferma la giustizia amante, e niente ferma chi sa morire perdonando .. nessuno ferma chi perdona una croce fatta di peccati .. anche se fabbricata da poteri iniqui che crocifiggono innocenti … nessuno ferma l’Amore .. nessuno .. se stiamo vicini a Dio nella sua sofferenza .. Dio si ricorderà .. la Croce non ci è stata data per capirla, ma per abbracciarla .. e Dio ricorda ogni abbraccio ..”

Oggi è la domenica delle Palme… OSANNA AL FIGLIO DI DAVIDE! … ma non vedremo la Resurrezione se non saremo passati attraverso il crogiuolo della sofferenza… e noi ci siamo dentro… Tutto è compiuto…

Rendiamo omaggio ad Alda Merini con questa lirica

La pace

La pace che sgorga dal cuore
e a volte diventa sangue,
il tuo amore
che a volte mi tocca
e poi diventa tragedia
la morte qui sulle mie spalle,
come un bambino pieno di fame
che chiede luce e cammina.
Far camminare un bimbo è cosa semplice,
tremendo è portare gli uomini
verso la pace,
essi accontentano la morte
per ogni dove,
come fosse una bocca da sfamare.
Ma tu maestro che ascolti
i palpiti di tanti soldati,
sai che le bocche della morte
sono di cartapesta,
più sinuosi dei dolci
le labbra intoccabili
della donna che t’ama.

(a Enrico Baj)

 

Ecco io mando un angelo avanti a te,

perchè ti guidi durante il cammino

e ti conduca al luogo che ti ho preparato.

Rispetta la sua presenza e ascolta la sua voce

 

Il bambino e l’ulivo

 C’era una volta un bambino abbandonato dal mondo.

Il bambino abbandonato dal mondo si sentiva molto solo e infelice.

” Il mondo non mi vuole. Il mondo non mi vuole”

Ripeteva.

” Chi portà mai volermi?”

Il piccolo bambino passava le giornate sotto un grande ulivo a ripetersi:

“Nessuno mi vuole… Nessuno”.

Un giorno passò davanti all’ulivo un vecchio gnomo

che trascinava un grosso sacco.

” Vuoi aiuto?”

Chiese il bambino.

“Oh, te ne sarei molto grato”

rispose lo gnomo.

Così il bambino aiutò lo gnomo a trascinare il sacco.

Arrivarono a una cascata grandissima, dove sotto si vedeva la Terra.

Lo gnomo allora slacciò il sacco, e lo svuotò sulla cascata.

Dal sacco uscirono tantissime pietro grosse,

che dalla cascata finirono sulla terra.

“Perchè butti le pietre sul mondo?”

Ma lo gnomo non rispose.

Il secondo giorno passò davanti all’ulivo una graziosa fanciulla,

alta non più di un metro, con un vestito rosa pallido ,

un mantello lunghissimo e due piccole ali rosa-gialle.

“Mi aiuti a portare il mantello?”

disse l’allegra fanciulla

“Certo fatina”

Il bambino sollevò il mantello che le strisciava per terra

e proseguì dietro di lei.

Arrivarono sulle fronde dell’albero più alto che avesse mai visto.

Un albero che alle proprie radici stringeva la Terra.

La fanciulla allora si tolse il mantello

e ne fece scivolare il contenuto sul tronco dell’albero.

Dal mantello uscirono tantissimi fiori uno più bello dell’altro,

profumatissimi e coloratissimi.

ma intorno ai petali si ergevano delle spine orribili ed affilate.

Scivolando dal tronco finirono sulla radici e poi sulla Terra.

“Perchè fai cadere sul mondo quei fiori con quelle spine orribili?”

Disse il bambino.

Ma non ottenne risposta.

Il terzo giorno passò davanti all’ulivo un mendicante.

Era lacero, pieno di stracci.

” Bambino, vuoi aiutarmi?”

Il piccolo annuì.

“Porta una mano sul tuo cuore, stringila a pugno e seguimi senza aprirla”

Il bambino fece come da lui richiesto.

Cammina cammina, arrivarono sulla cima di una stella.

Sotto di loro vi era tutto l’universo, con i suoi pianeti, le sue stelle,

e la Terra.

Quando furono arrivati,

il mendicante si tolse gli stracci che aveva addosso,

rivelandosi in realtà un meraviglioso Angelo.

Sorridendo disse al bambino:

“Apri la tua mano piccolo”

Il bambino l’aprì, e da essa comparve una luce leggera.

L’Angelo aprì a sua volta la sua mano,

dalla quale uscì una luce immensa;

prese con se anche la luce del piccolo,

e la unì alla sua.

Quella luce si divise in tanti raggi,

tanti quante erano le stelle

e da esse si dipartirono altri raggi che andarono sulla Terra.

L’angelo disse:

“Lo gnomo ha buttato le pietre sulla Terra,

per ricordare agli uomini le Difficoltà che devono affrontare,

per liberarsi dalle loro catene”

“La fata vi ha fatto cadere i fiori con le spine,

per ricordare agli uomini quanto bella e temibile sia la Natura,

con chi non la rispetta”

“E io dono Luce a tutti quegli uomini che hanno ancora tempo per vedere le Stelle.

Dono loro Luce per far loro ricordare che con Essa niente è impossibile,

che anche la notte più buia,

ha la sua stella per quanto minuscola essa sia.”

Poi volgendosi al bambino con un sorriso disse:

“Che t’importa se il mondo non ti vuole?

Non vedi quanto bella è meravigliosa sia la Terra?

Le opinioni del mondo non sono importanti.

La Terra ti ha accolto dal momento stesso in cui vi sei nato.”

Da quel giorno in avanti,

il bambino non ripetè più che il mondo non lo voleva,

ma trovò finalmente il coraggio di staccarsi dall’ulivo,

e abbandonarsi all’abbraccio della Terra.

 

 

Edda CattaniL’ulivo, simbolo di pace
Leggi Tutto

L’umanizzazione di Dio

No comments

L’umanizzazione di Dio

 

Premetto che non trovo di meglio che richiamare alcuni dei concetti espressi in un recente volume del teologo José Marìa Castillo, “L’umanità di Dio”, che alla maniera dei testi dei grandi filosofi tedeschi dei secoli scorsi riesce a coniugare sociologia, filologia, speculazione e, appunto, teologia in una serena divulgazione per esperti e profani, laici e religiosi, credenti ed agnostici. Invito tutti a leggerlo!

Come parlare del sovrannaturale, dove cercarlo? Dal libro dell’Esodo al Vangelo di Giovanni è possibile trattare, quale fil rouge, il tema dell’assoluta inconoscibilità del (presunto? reale?) Essere superiore, perlomeno secondo i parametri sensibili o cognitivi propri dell’uomo. Ne consegue che qualunque “fatto” religioso, di per sé “trascendente”, è stato tradotto nella storia sempre e comunque secondo i codici culturali di un’epoca e di un luogo, quindi secondo caratteri meramente “immanenti”, che spesso ne facevano un evento “numinoso” (da “numen”), ossia “sacro”. Laddove quest’ultimo termine, in latino come in greco, come nella maggior parte delle lingue antiche, racchiudeva in sé idee di sublime e nel contempo di mostruoso, di puro ma anche di contaminato, comunque di “tabù” e di intoccabile. Se da un lato ciò è servito alle gerarchie religiose della storia per tenere facilmente imbrigliate le masse, dall’altro ha comportato, per chiunque sia dotato di un minimo di senso critico, grande imbarazzo per la trasformazione di un “concetto assoluto” in una “cosa”, ovvero della trascendenza nella quintessenza dell’immanenza. Anche io sono convinto che da questo derivi la crisi reale della religiosità di questo secolo, la “secolarizzazione” tanto temuta dai pensatori spirituali conservatori, e non tanto dal “relativismo imperante” o dalla degenerazione della condotta umana paventati da Benedetto XVI (persona degnissima, io credo, ma, me ne scuso, completamente disancorata alla realtà in cui è vissuta). Per farla breve: le chiese si sono svuotate, perché il ritrattino preconfezionato di Dio da parte dei preti è apparso (finalmente, aggiungo) veramente improponibile.
Ci hanno sempre venduto il Padreterno come onnipotente e di infinità bontà: due caratteristiche tra loro inconciliabili, e non serve pensare ad Auschwitz o alle catastrofi naturali. Basta vivere la vita di tutti i giorni. A ciò, per dirla con le parole di Congar, si è affiancata una vera e propria “mistica dell’obbedienza”, nella quale credere alla Chiesa significa credere in Dio, e viceversa, in un titanico vortice quasi idolatrico.

Parlando continuamente di Misericordia, quasi come leitmotiv, papa Francesco, nel pieno rispetto della tradizione e senza atti eclatanti, ricorda semplicemente, a cristiani e non, che il fondamento del Cristianesimo non è l’ennesimo Libro ispirato, non è l’ennesima religione, l’ennesimo insieme di riti e rituali. È la vita di un uomo che calcò la sabbia di una delle terre, duemila anni fa come oggi, più vessate del mondo. Dire che il nucleo del Cristianesimo non è un’idea di Dio, ma la storia di un uomo, significa che il centro della fede non può essere il divino, dev’essere necessariamente l’umano. Non è forse la kénosis, la “spoliazione”, il senso ultimo della lettera ai Filippesi? È come dire, traslando, che acquisisce dignità divina chi si spoglia di se stesso, chi si riduce a servo, chi si fa realmente uomo, rinunciando ad ogni forma di potere. La trascendenza, non potendosi realmente “spiegare” attraverso l’immanenza, si rende visibile in essa. “E si compiacque di tenere nascoste queste cose ai sapienti, per rivelarle ai piccoli”.

Eleggere la Misericordia a parametro di giudizio significa conoscere fino in fondo la finitezza umana e renderla parametro unico di misura. In questo modo elemento determinante per la salvezza non diviene il sacro, ma l’umano; elemento centrale di ogni credo religioso non diviene una presunta fede, ma l’etica universale al servizio della Misericordia, ben più importante di ogni singola morale bigotta. Non vi sarà alcun giudizio su quanto correttamente avremo seguito un rito o una regola, su quanto avremo obbedito o meno ad una indicazione morale o religiosa. Probabilmente l’eterno condono sarà solo accompagnato dalla timorosa domanda: hai dato da mangiare? hai dato da bere? hai fornito cura e vestiti? hai accolto lo straniero, vestito il carcerato? In altre parole: ti sei preso cura dell’uomo, anziché pensare a pinnacoli, turiboli e preghiere, anziché omaggiare spazi (il tempio) o tempi sacri (il sabato)? “Dio risplende, nel suo significato più positivo, per la sua assenza” ha detto il teologo Martìn Velasco.

Parlando di Misericordia, Jorge Bergoglio è realmente cattolico, cioè inserito nella pienezza della grande tradizione, ossessivamente ricercata dai farisei dei giorni nostri. Perché non fa altro che usare parole e idee di meister Eckhart, che diceva “Chiedo a Dio che mi liberi di Dio, perché il mio essere essenziale sta sopra a Dio, se consideriamo Dio quale inizio di ogni creatura”. Di san Giovanni della Croce, col suo “Non ti trovavo, Signore, di fuori, perché fuori cercavo male te che stavi dentro”. Di Dietrich Bonhoeffer: “E’ al centro della nostra vita che Dio è aldilà”.

Parlando di Misericordia, il papa torna a dare finalmente voce ai grandi teologi del Novecento, padri diretti o indiretti del Concilio: von Balthasar, Congar, Chenu, De Loubac, Bouillard, Daniélou, Kung, Schillebeecks, e soprattutto Karl Rahner: “Ogni uomo, realmente e radicalmente ogni uomo, va visto come l’evento di un’autocomunicazione di Dio”.

Parlando di Misericordia, fa sì che d’un colpo la Chiesa la smetta di parlare di espiazione e di colpa, di sacrificio e di redenzione, “arrivando a volte fino al mostruoso sproposito di avvalersi di non so quali presunti diritti divini per finire di annulare o mutilare i diritti umani delle persone”.

Solo così la Chiesa diviene realmente “cattolica”. Solo così diviene patrimonio dell’umanità la vita di un uomo che, Dio o non Dio (a seconda di chi crede e chi no), fu la realizzazione di ciò che è profondamente umano, al di là delle culture, delle tradizioni e delle convinzioni religiose dei singoli.

(Michele Meschi – da FB)


Edda CattaniL’umanizzazione di Dio
Leggi Tutto

La battaglia di Francesco

No comments

La battaglia di Francesco

tra potere e misericordia

(sempre attuale)

di Vito Mancuso

in “la Repubblica” del 13 marzo 2015

 

A un amico argentino Bergoglio avrebbe confidato di «non essere sicuro di farcela», intendendo evidentemente rimandare al processo di riforma iniziato due anni fa quando venne eletto e tra la sorpresa generale scelse di chiamarsi Francesco. Allora la mente di molti corse all’affresco di Giotto nella Basilica superiore di Assisi con papa Innocenzo III che vede in sogno un frate che sorregge una chiesa che sta per crollare.
Due anni fa la Chiesa era in quelle condizioni, come certificarono le coraggiose dimissioni di Benedetto XVI: travolta dagli scandali, al minimo della credibilità morale, sempre più priva del favore popolare. E in quel contesto si profilò un nuovo Francesco a sobbarcarsi il compito di sorreggere l’edificio pericolante, questa volta non più semplice frate ma Pontefice massimo. A distanza di due anni, che ne è di quell’intento riformatore?
Oggi assistiamo a un fenomeno paradossale.
Assistiamo alla crescita continua del favore popolare verso papa Francesco e contestualmente alla crescita altrettanto continua dell’opposizione interna verso di lui, particolarmente dura tra i cardinali, la Curia romana e alcuni episcopati.
Il che è la perfetta radiografia dello scollamento di buona parte della gerarchia ecclesiastica rispetto alla vita reale, quello scollamento di cui il cardinal Martini parlava dicendo «la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni». Nel primo anno Francesco forse credeva di poter convertire la mente dei prelati mostrando con il suo stile cosa significa essere autorità nella Chiesa. Nel secondo anno però
ha dovuto prendere atto che ci vuole altro, perché mentre lui vive in una settantina di metri quadrati vi sono cardinali che non hanno rinunciato per nulla al lusso e soprattutto ve ne sono molti del tutto contrari a seguirlo nelle riforme. Si spiega così il suo insistere contro i vizi del clericalismo, culminato nella predica alla Curia del 22 dicembre scorso con la denuncia dei quindici mali della burocrazia vaticana, riassumibili in uno solo: l’identificazione con il potere. La battaglia infatti è tra misericordia e potere, tra Chiesa “ospedale di campo” funzionale ai bisogni della gente e Chiesa somma autorità cui la gente deve obbedire, tra Chiesa dei poveri e Chiesa potente tra i potenti.
Nessuno sa come finirà questa battaglia iniziata due anni fa, ma di certo i cardinali e i curiali che si oppongono a Francesco sono l’espressione di ciò che per secoli è stato il papato, sicché riformare la loro mentalità significa riformare il papato come potere assoluto.
Ora però quel potere assoluto è nelle mani di Francesco e se lui volesse potrebbe utilizzarlo proprio per decretarne la riconversione: basterebbe una sua firma infatti per rimandare nelle rispettive parrocchie di origine i prelati che maggiormente si oppongono alla sua azione riformatrice e sceglierne altri più in linea con lo stile evangelico. Perché non agire così, visto che la posta in gioco è enorme?
Essa consiste nel diritto dei battezzati di avere una Chiesa di cui fidarsi, dove i vescovi vengano scelti per effettive qualità e non per giochi di potere e siano sobri come gli apostoli e non opulenti come i magnati, dove la banca vaticana dello Ior sia per lo meno al livello etico di una banca ordinaria, dove non vi sia la sporcizia a suo tempo denunciata da Benedetto XVI, dove gli uomini e le donne di oggi si sentano a casa perché capiti anche nei loro errori e non giudicati da una mentalità freddamente dottrinale, dove gli scandali di pedofilia non siano insabbiati e i colpevoli coperti. La posta in gioco è una Chiesa degna della passione dei numerosi sacerdoti onesti che le hanno dedicato la vita. È per una Chiesa di questo tipo che lavora papa Francesco insistendo sul primato della coscienza, l’apertura alla modernità, la consultazione dei fedeli sui temi della morale,
il riaccredito della teologia della liberazione, la preferenza verso i poveri, un linguaggio in grado di arrivare a tutti. Bergoglio sa che il primo passo della Chiesa è tornare a credere al Vangelo anzitutto ai suoi vertici, sa cioè che l’evangelizzazione riguarda la gerarchia ecclesiastica, ben prima del mondo.
Oltre all’enorme favore popolare, papa Francesco in questi due anni ha conseguito altre notevoli acquisizioni. Penso al processo sinodale che culminerà nel prossimo ottobre con la seconda puntata del Sinodo sulla famiglia, l’aver scongiurato l’intervento militare occidentale in Siria e l’aver favorito la storica riconciliazione tra Cuba e Usa, i passi di avvicinamento alla Cina, l’essere diventato un faro per il Sud del mondo e per i poveri.
Ma come ho detto all’inizio, sembra che egli abbia confidato a un amico di non essere sicuro di farcela a causa della crescente opposizione interna. Occorre quindi chiedersi cosa succederebbe se Francesco fallisse. Io penso che per il cattolicesimo sarebbe un colpo terribile, perché le enormi speranze che questo Papa sta suscitando si rivolgerebbero in un’altrettanto enorme delusione e il contraccolpo sulla credibilità della Chiesa potrebbe essere devastante, se non letale. Non morirebbe la spiritualità, che è radicata da sempre nel cuore umano, ben prima della nascita del cristianesimo.
Non morirebbe neppure il cristianesimo, che troverebbe altre forme per esprimersi, come ha fatto in altri luoghi del mondo. Si avvierebbe invece irreversibilmente alla morte la Chiesa cattolica gerarchica così come la conosciamo, perché nessuno potrà e vorrà avere più fiducia in una struttura dimostratasi restia a seguire un cristiano sincero e un uomo buono come Jorge Mario Bergoglio. Il fallimento del Papa venuto dalla fine del mondo segnerebbe la fine della Chiesa gerarchica e istituzionale. Non so se è questo che vogliono i numerosi cardinali, vescovi e curiali che gli si oppongono, ma penso sia bene che lo sappiano.

Edda CattaniLa battaglia di Francesco
Leggi Tutto

Ti do’ la freschezza

No comments

Ti do’ la freschezza

 

Viene un momento nella vita in cui si abbandona ogni cosa e si cerca una sorgente di acqua pura.  Penso che basti sentirne il bisogno, noi siamo ciò che è il nostro cuore e non diversamente.(M. De Maio)

 

 

Ti dò la freschezza
dell’acqua che corre felice,
zampilla, si perde e poi
riprende il suo corso.
Vivi e dissetati alla mia
sorgente, mentre io mi disseto
anche della tua ombra.

 

“Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: “Dammi da bere”. I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me che sono una donna samaritana?” I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”.

Gli disse la donna: “Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?.

Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”.

 

Estratto dal Vangelo di Giovanni 4, 6-14

Edda CattaniTi do’ la freschezza
Leggi Tutto

Auguri Papa Francesco!

No comments
Edda CattaniAuguri Papa Francesco!
Leggi Tutto