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La dinamica di vita e morte

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La dinamica di vita e morte 


LA VITA È POSSIBILE GRAZIE ALLA MORTE.

(da Vito Mancuso).

 

Il motore della vita


Ogni giorno nel corpo umano muoiono circa cento miliardi di cellule, sostituite da un processo rigenerativo che lavora a una velocità di un milione di nuove cellule al secondo. Questo avviene per quasi tutte le componenti del corpo, dalla pelle al sangue, dal sistema immunitario al cuore. Ogni essere umano viene continuamente rinnovato, il suo corpo non è mai lo stesso.
Questa dinamica di vita e di morte, di vita dalla morte, è la struttura di fondo che muove l’organismo umano, così come ogni altro organismo vivente.
Ma se si guarda più da vicino questo processo, come ha fatto l’immunologo francese Jean-Claude Ameisen, se ne scopre la sorprendente dinamica interna: ciò che avviene in continuazione nel corpo sembra contrastare col movimento fondamentale della vita quale viene percepita dalla coscienza comune, la vita come volontà di sé, come volontà di potenza.

A un certo punto, senza che si possa registrare alcuna costrizione esterna, la cellula mette in circolo delle proteine con il compito di distruggere il filamento di DNA racchiuso nel suo nucleo. Le proteine killer eseguono il loro lavoro e la cellula finisce per frammentarsi in una miriade di pezzettini. Nel contempo la stessa cellula rende attive altre proteine che segnalano quanto sta avvenendo alle cellule vicine, le quali, captato il messaggio, si stringono alla membrana della cellula e la divorano.
Ameisen usa al riguardo l’espressione di «suicidio cellulare». Questa morte volontaria della cellula che si dà in pasto alle altre cellule (fenomeno contrassegnato dai biologi col nome di apoptosi, che nel greco antico indica la caduta delle foglie) avviene in continuazione nel singolo organismo, milioni e milioni di volte ogni giorno, ed è alla base della vita.
Accompagna la vita dell’uomo in tutte le sue fasi. Già nell’utero materno l’embrione ottiene la forma definitiva del suo corpo grazie a questa «morte creatrice»: è il suicidio delle cellule, dice Ameisen, che «scolpisce» gli organi.

Ogni organismo è un frenetico mutare, non c’è nulla di statico; anche quando si pensa, nei momenti di contemplazione, di essere immobili e di uscire con lo spirito dal flusso della natura e della storia, in realtà nel corpo avvengono continue trasformazioni, e alcune cellule stanno divorando altre cellule. Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, non solo perché muta il fiume, come diceva Eraclito, ma anche perché continuamente muta chi vi si immerge.
L’apoptosi è così radicalmente connessa con l’evolversi della vita che quando si blocca, perché le cellule si rifiutano di morire e tendono a immortalizzarsi, ha origine il cancro. La volontà di potenza della singola cellula equivale alla morte dell’intero organismo; il lasciarsi morire della singola cellula equivale alla vita dell’intero organismo.
Ma questa stessa dinamica di suicidio cellulare, così come costituisce il processo vitale, è anche all’origine delle malattie e della morte. Il prezzo della riproduzione si paga con l’invecchiamento e con la morte, in quanto le cellule germinali emettono segnali che accelerano l’arrivo della vecchiaia:

«Ciò che fa invecchiare e scomparire è forse la stessa cosa che ha permesso ai nostri antenati di farci nascere, e che consente anche a noi di avere dei figli … Nel mondo vivente tutti i fenomeni di riproduzione si accompagnano a una forma di invecchiamento».

La legge della vita è strettamente connessa a quella della morte. La legge della vita è la legge della morte.
A partire dai vegetali, la vita si produce, si alimenta, solo a scapito di altri. La vita è lotta. «Pélemos è il padre di tutte le cose» diceva un tempo Eraclito; “Struggle for life” dice oggi Darwin. La vita può vivere solo grazie alla sofferenza e alla morte. Ma ciò significa che l’essenza stessa della vita è impastata di morte. Che l’una senza l’altra non stanno, non possono esistere. E chiaro che la morte, per esistere, presuppone la vita, ma risulta altrettanto chiaro che anche la vita ha bisogno della morte, della morte altrui per procacciarsi il nutrimento, e della morte propria per generare figli e lasciare lo spazio vitale alle generazioni future. Si tratta di un processo scritto nella nostra stessa carne.

Si tratta di un processo scritto, ancora più radicalmente, dentro la carne dell’universo. Secondo le leggi di crescita dell’entropia, sarebbe molto più probabile per l’universo essere un semplice gas in equilibrio termico, ben lontano dalla complessa organizzazione attuale che rende possibile la vita.
Se il mondo ospita la vita è perché nell’universo ci sono sorgenti di luce e di calore che sono le stelle. L’esistenza delle stelle spiega l’esistenza della vita; o meglio, la morte delle stelle genera la possibilità della vita. Sono le stelle che, esplodendo a conclusione del loro ciclo evolutivo (quando viene dato loro il nome di novae, supernovae ò, recentemente, di ipernovae), immettono nell’universo enormi quantità di energia da cui scaturiscono gli elementi chimici necessari alla vita, il primo dei quali è il carbonio. La vita, già a livello degli elementi fondamentali, è possibile grazie alla morte.

Vita e morte non entrano solo in duello, come cantavano i medievali (mors et vita duello conflixere mirando), ma celebrano anche un fecondo matrimonio che è il theatrum mundi, la scena di questo mondo. C’è chi, guardando a tutto ciò, sente nascere dentro di sé un senso di meraviglia, meraviglia che ci sia qualcosa e non il nulla, che dal freddo glaciale degli spazi cosmici sia potuta arrivare l’energia necessaria alla vita, e che questa abbia preso una forma via via sempre più organizzata, fino alla complessità, che ha dell’incredibile, del cervello o dell’occhio umani. Già Aristotele scriveva che la filosofia nasce dalla meraviglia, e su questa strada è stato seguito da molti, tra cui Leibniz e Heidegger, che a loro volta hanno posto a fondamento del proprio pensare la domanda sul perché esista qualcosa e non il nulla.

In questa prospettiva George Coyne e Alessandro Omizzolo, sacerdoti cattolici e astronomi, scrivono: «L’immensa ricchezza del cosmo, dal microcosmo al macrocosmo … può condurci a una sorgente che trascende la nostra comprensione e alla quale ci si avvicina meglio pensandola come amore. Questo amore si autorivela in tutte le pieghe della creazione».

Vi sono però anche coloro i quali, guardando alla vita sulla terra, ben più che dalla meraviglia vengono presi da un sentimento del nulla, quando non dall’orrore: «Quanto più l’universo ci appare comprensibile, tanto più ci appare senza scopo», così Steven Weinberg, premio Nobel per la fisica nel 1979, conclude il suo celebre saggio sull’origine dell’universo Darwin ha individuato nella selezione naturale il meccanismo che regola l’avanzare della vita, e selezione naturale significa lotta, significa sangue. La natura, che si declina sulla terra in oceani, foreste, deserti, montagne, e può apparire bucolica solo a chi non vi è esposto, è il teatro di una lotta spietata che a ogni istante esige il suo tributo di sangue. Ne fece esperienza anche un grande cristiano come Blaise Pascal: «La natura è tale che dovunque attesta un Dio perduto, sia nell’uomo, sia fuori dell’uomo, e una natura corrotta».

Chi ha ragione? Ha ragione chi, osservando la natura, giunge alla meraviglia perché intravede un disegno, uno scopo, un senso, oppure chi è preso dal senso del nulla, dall’orrore, dalla nausea?
Entrambi, e nessuno. A chi sa fissare in tutti i suoi particolari lo spettacolo, ora nobile ora osceno, del theatrum mundi, ciò che appare regnare è la libertà, mostro a due teste che può generare oppressione e delitto, e insieme commuovere per purezza e amore. Certo, esiste l’amore, ma è solo una delle possibilità, peraltro di continuo negata, che emerge dalle «pieghe della creazione» (l’amore bisogna volerlo perché ci sia, non è un fatto naturale, è un evento spirituale).

La natura scaturisce dal matrimonio tra la morte e la vita, il cui figlio primogenito è la sofferenza. La natura è sofferenza. Si soffre perché si è vivi, perché si è fatti per un progetto che contrasta altri progetti, e quanto più si sale nella scala dell’essere tanto più si soffre; l’uomo è il sofferente per eccellenza.
La scena di questo mondo, scaturita dal matrimonio tra la morte e la vita, anche già solo a livello naturale appare come l’epifania, l’apoteosi della contraddizione.
Quando il pensiero contempla la natura, ben lungi dall’ascendere a Dio come voleva Tommaso d’Aquino nelle celebri cinque vie che aprono la Summa Theologiae, viene inchiodato all’antinomia.
Ma dalla vita delle cellule e delle stelle si devono trarre orientamenti decisivi anche per la vita dello spirito.

Occorre tornare a pensare insieme la scienza e le discipline spirituali, visto che lo spirito non può non avere le stesse leggi della materia, essendo tutto, sia lo spirito sia la materia, ultimamente energia (lo spirito, energia allo stato puro; la materia, energia solidificata come massa).

(da V. Mancuso, Il dolore innocente, pp. 163-167)

Edda CattaniLa dinamica di vita e morte
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Morte e vita

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…e dopo l’evento che ha coinvolto tanti di noi per la dipartita di nostri cari e amici…penso possa far bene la riflessione di Padre Alberto.

MORTE E VITA
(Alberto Maggi)

 

La morte è il momento essenziale della vita di ognuno quello conclusivo dopo il quale ci aspetterà una trasformazione, che però avviene già durante la vita terrena. Tutti infatti ci accorgiamo che avviene in noi una continua trasformazione del corpo e non solo, anche dell’anima fino alla parte spirituale. Mentre però per la parte biologica dopo il periodo dell’accrescimento inizia un lento declino che ci conduce al totale disfacimento, invece ci accorgiamo che al degrado inesorabile del corpo non corrisponde uno eguale dell’animo, che la nostra parte spirituale, la parte più preziosa dell’anima, si “rinnova di giorno in giorno” (Cor 4,16). La morte è quindi la distruzione del bios ma non dell’anima. Il vangelo parla di questa trasformazione nel versetto del chicco di grano (“se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” Gv 12,24) col quale Gesù ci dice che la morte non è altro che la condizione affinché si liberi tutta l’energia vitale che ognuno di noi contiene in sè. Noi siamo come il chicco di grano, con la nostra ricchezza che deve essere liberata, una pienezza di vita, che non si manifesta fintanto siamo in questa terra. Solo la morte ne permette la liberazione. La vita dello spirito in ognuno di noi risplenderà in una forma nuova. Altra immagine che ci dà il vangelo è quella del dormire, la morte è quella pausa necessaria nell’esistenza per riprendere la vita con maggiore intensità, un momento positivo che consente all’individuo di liberare tutta l’energia che ha dentro. Ma ciò non è per tutti, è necessario che questa ricchezza ci sia, è necessario che abbiamo costruito qualcosa. E si costruisce durante la vita. Basta seguire Gesù, vivere non ripiegati su di sé, vivere comunicando agli altri vita, facendoci pane per gli altri. Così costruiamo forme di umanità sempre più ampie e ciò ci impedisce di cadere nella “morte seconda”. Il vangelo parla di questa morte definitiva, che possiamo procurarla solo noi. E Gesù è ancora più chiaro su questa morte seconda, perché parla dei pericoli che corrono le persone che fanno il bene. Ed aggiunge che si potrà scalfire la nostra parte biologica, ma non la ricchezza dell’anima. Gesù insomma ci avvisa che se ci opponiamo ai valori di una società ingiusta possiamo essere oggetti di persecuzione, forse anche perdere la vita fisica, ma non quella dello spirito. E ci dice anche che l’adesione ai valori di questo sistema di potere, di ricchezza e di successo, che nella Bibbia viene rappresentato da “mammona”, causa la morte definitiva. Solo il Dio di Gesù, il Padre che comunica vita, può salvarci. Il messaggio di Gesù è pienamente positivo: “chi accoglie il mio messaggio ha una vita di una qualità tale che è quella indistruttibile ed eterna; chi rifiuta sistematicamente ogni stimolo di vita, ogni scelta in favore degli altri, va incontro all’annientamento totale.

 

 

Edda CattaniMorte e vita
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Miracoli e guarigioni

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Miracoli e guarigioni

A seguito di ripetuti interventi reputo interessante proporre:

Parlare di guarigioni, di preghiere di guarigione, di guarigioni miracolose ci porta ad affrontare una tematica legata principalmente alla Fede. Tempo fa abbiamo trattato l’argomento “Medianità e Carismi” , ed è stato postato un Pdf “Miracoli” che vi invito a rivedere in quanto abbiamo considerato anche l’aspetto delle scienze umane e della parapsicologia. Oggi per parlarne compiutamente, vogliamo portare la nostra attenzione su una figura rappresentativa nel mondo ecclesiatico che ha dedicato la propria vita all’opera di guarigione, segno di amore per la vita eterna .

P. Emiliano Tardif, padre spirituale del Rinnovamento Carismatico Cattolico Servi di Cristo Vivo e fondatore delle comunità omonime, è mancato l’8 giugno 1999 ma anche se “É ormai assorbito dall’immensità di Dio, nella sua sconfinata bellezza…” egli continua la sua instancabile intercessione per tutti i bisognosi e gli ammalati per i quali ha sempre mostrato una grande compassione.

Un Santo non muore! Dai Santi, e prima da Cristo, deriva la vita che non muore. Morì Gesù e dal suo sepolcro fiorì il cristianesimo.

“Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.” (Gv 12,24). Quanto vera è questa parola se pensiamo ai grandi Santi come S. Benedetto, S. Francesco, P. Pio…, quanti frutti dopo la loro morte!

Che splendido sacerdozio! Quale fecondità nel suo ministero; così come S. Paolo, anche padre Emiliano si è fatto strumento nelle mani del Signore per partorire alla fede migliaia di figli di Dio.

Di certo il SIgnore nel riceverlo presso il suo trono gli avrà detto: “Bene servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco ti darò autorità su molto, prendi parte alla gioia del tuo Signore” (Mt 25,21). Del resto anche qui sulla terra egli è vissuto, con la semplicità di un fanciullo, nella gioia dei salvati ed in essa ha trascinato il gregge che di volta in volta, in ogni angolo della terra, il Padre gli affidava.

Durante il convegno naz. del RnS a Rimini, Padre Emiliano Tardif ha confidato il suo itinerario spirituale e l’esperienza straordinaria dei doni ricevuti dal SIgnore.

(fonte:Padre Emiliano Tardif “Cristo Gesù è vivo”

Edizioni Dehoniane Roma pag. 73-81)

Non tutte le guarigioni sono miracoli del Signore. Ci sono delle guarigioni, ottenute con la preghiera, che non devono essere catalogate come miracoli. Parliamo di miracolo quando si tratta di una guarigione che nessuna scienza medica potrebbe operare e che Dio invece realizza. Nei casi in cui il Signore accelera un processo di guarigione, che si sarebbe potuto ottenere con un’operazione, col riposo o altro mezzo, diciamo semplicemente « guarigione ». Per questo non tutte le guarigioni ottenute con la preghiera si possono dire miracolose. A Lourdes, fra tutte le guarigioni ottenute durante un secolo, molto poche sono state dichiarate miracolose, come lo indica la statistica seguente:

« Da Caterina Latapie, guarita nel marzo 1858, fino a Sergio Perrin, guarito nel 1978, solo sessantaquattro guarigioni furono riconosciute ufficialmente come miracolose dalla Chiesa. Ma non si deve dimenticare che solo nell’anno 1972 sono stati annotati negli archivi ben cinquemilaquattrocentotrentadue casi di guarigione »’.

Una guarigione miracolosa fu quella di Anita Siu de Sheffer. Qui il Signore fece ciò che la scienza medica non avrebbe potuto fare. In occasione di un’incidente automobilistico, avvenuto dieci anni prima a Santiago del Cile, una lesione cerebrale le aveva fatto perdere completamente il gusto e l’odorato. Appartenendo a un ceto sociale elevato, fu curata nei migliori ospedali degli Stati Uniti con speranza di ricuperare la salute. Dopo esami e terapie, i medici le dissero dell’impossibilità di un’intervento perché le fibre di trasmissione di queste funzioni sono più sottili di un capello. Testualmente le avevano detto che « solo un miracolo » le poteva far ricuperare i due sensi. Ella aveva perso la speranza di poter gustare i sapori e di sentire profumi e fiori.

Durante la Messa di guarigione per i malati a Panama, il Signore ci diede diverse parole di conoscenza di ciò che stava compiendo nell’assemblea. Una di esse diceva così.

« C’è qui una signora che soffre d’una malattia molto seria. Sarà guarita nel corso della notte e domani stesso ci darà testimonianza della sua totale guarigione ».

Il giorno seguente. Anita si rese conto che aveva riacquistato il suo odorato. Si svegliò col soave odore di rose che stavano presso la finestra e l’aroma del caffè della cucina. Saltò dal letto e raccontò l’avvenimento meraviglioso a suo marito. Fece colazione con le lacrime agli occhi e si rese subito conto che per la prima volta dopo l’incidente potava gustare gli alimenti. Quello che non poteva fare nessun medico di questo mondo, l’aveva fatto il Signore Gesù, padrone dell’impossibile!

Poi, piangendo di gioia, disse a tutta l’assemblea:

« Io ho due bambini, ma non avevo mai potuto sentire il loro odore. Voi mamme, voi, lo sapete cosa significhi sentir l’odore del proprio bambino. Ebbene, questa mattina, io mi sono avvicinata a loro, li ho abbracciati e ho cominciato a sentire dolcemente il loro odore ».

Un’altra bellissima testimonianza di guarigione miracolosa fu resa dalla persona stessa guarita, in una sua lettera del 25 agosto 1981.

« Soffrivo di artrite reumatoide che cominciò nell’ottobre scorso, con forti dolori ai malleoli, alle ginocchia e ai polsi e una stanchezza generale. È una malattia che non si deve confondere con l’artrite o il reumatismo, mali di persone di una certa età, senza gravi conseguenze. L’artrite reumatoide non si sa da dove proviene e come si possa curare. Attacca le articolazioni producendo un dolore terribile e l’organismo s’irrigidisce; il corpo si va indurendo, deformando e, generalmente, si finisce su una sedie a rotelle. Non pensando a niente di grave, ricorsi al medico il quale mi fece fare delle analisi, che diedero come risultato « artrite positiva », artritest era la causa del mio male.

La dottoressa che mi aveva fatto le analisi mi raccomandò di andare negli Stati Uniti per un trattamento. Nel centro artritico dove fui curata, rimasi impressionata alla vista delle persone che si trovavano nelle diverse fasi della malattia. Il dott. Alfonso Portuondo, uno specialista, confermò la diagnosi e mi disse che questa malattia era incurabile. L’unica cosa che si poteva fare era di renderla stazionaria, con sali d’oro. Questo rimedio comporta delle conseguenze negative che non tardarono a farsi sentire: ebbi gonfiori per tutto il corpo persi i capelli e le unghie dei piedi. Mi diminuirono le piastrine e i globuli bianchi. In quel tempo quando il medicamento mi stava recando danni venne in Paraguay il p. Emiliano Tardif. Lo ascoltai la prima volta nella chiesa di sant’Alfonso. Al momento della guarigione, sentii che il mio cuore esplodeva; batteva così forte che ne sentivo i palpiti. La seconda volta fu nella chiesa di Coronel Oviedo.

Di nuovo, al momento della preghiera di guarigione, sentii un tremito per tutto il corpo. Il padre disse che in quel momento due donne affette da artrite stavano guarendo e le invitò a inginocchiarsi. In verità io non ebbi il coraggio di farlo, perché non ero convinta che si trattasse di me e non credevo a questo tipo di guarigioni, forse per mancanza di fede.

Andai ad una terza messa. Allora i miei dolori erano spariti e non prendevo più medicine. Lo costatò mia madre e sr. Margherita Prince il giorno della partenza del p. Emiliano; e di nuovo all’aeroporto, assieme al p. Andrea Car, fece una preghiera di guarigione su di me. Terminando mi disse: « Non dire più: — ho l’artrite —, ma: — l’avevo —, perché sei guarita ». I dolori sparirono e non presi più medicine (prima ero arrivata a prendere dodici ascriptin al giorno e a subire iniezioni settimanali di sali di oro). Rifeci le analisi e costatai che ero realmente guarita. Il dott. Nicola Breuer, molto credente, che si occupava di me ad Asunciòn, mi disse: « Bisogna ammettere che oltre la scienza, esiste Qualcuno più in alto a cui niente è impossibile ».

Come mi hanno spiegato i medici, la persona che soffre di questa malattia, anche nell’ipotesi della sua guarigione non perde mai l’artritest: è come un marchio che le rimane per tutta la vita. È come il malato che ha avuto un infarto: gli resta la cicatrice nel cuore. Tuttavia, confrontando le analisi che mi hanno fatto, si può vedere che sono guarita e che sono sparite le tracce dell’artritest. La sola spiegazione che si può dare di tutto questo è che si tratti d’un miracolo di Dio ».

Maria Teresa Galeano de Baez

Quelli che pensano che le guarigioni sono qualcosa di superficiale e di accidentale nel ministero di Gesù, si sbagliano completamente. Quelli che credono che oggi non c’è più bisogno di guarigioni e che l’essenziale sia di annunziare il vangelo, dimenticano il metodo pastorale di Gesù. Noi progettiamo e tentiamo mille metodi per attrarre gente che viene sempre di meno in chiesa. Organizziamo feste, concerti, convivenze, ecc. e i risultati sono sempre molto poveri. Gesù, invece, guariva i malati e la gente accorreva in massa. Erano tanti che qualche volta si doveva far passare i paralitici per il tetto della casa di Pietro, perché non era possibile introdursi in mezzo alla folla. Oggi capita la stessa cosa. Quando Gesù guarisce i malati, si riuniscono moltitudini che non riescono a stare nemmeno negli stadi e allora annunziamo loro il regno di Dio. Le conseguenze sono assai più grandi che non le semplici guarigioni fisiche.

Che i segni della potenza di Dio non siano solo uno spettacolo ma aiutino efficacemente il rinnovamento della vita di fede, lo dice espressamente l’arcivescovo di Tahiti al mio superiore provinciale in una lettera cui trascriviamo integralmente la prima parte.

Papeete, 30 novembre 1982

Reverendissimo Padre,

ero assente mentre il p. Tardif ha predicato in mezzo a noi, dal 21 ottobre al 14 novembre. Tuttavia al mio ritorno ho potuto costatare il cambiamento dovuto alla sua predicazione.

1. Il numero dei partecipanti alla domenica è aumentato considerevolmente.

2. Si è instaurato un certo clima ecumenico.

3. Ovunque nasce o rinasce la vita spirituale.

4. Si sono avute grandi conversioni e le confessioni sono diventate molto frequenti.

5. Il clero, i religiosi e le religiose hanno apprezzato molto la predicazione del p. Tardif.

6. Un gran numero di coppie illegittime, si preparano per il matrimonio oltre che a un rinnovamento della vita familiare.

La diocesi non aveva mai sperimentato un tale slancio di fede. Abbiamo celebrato due sinodi, fatto una visita pastorale, ritiri predicati da eccellenti sacerdoti in questi ultimi quindici anni, abbiamo avuto delle grandi manifestazioni religiose, ma mai con risultati vasti e profondi paragonabili a questo.

+ Michel Coopenrath arcivescovo di Papeete

Basta un solo esempio, tra mille, di ciò che avvenne a Tahiti. Durante la messa per i malati, un cieco cominciò a piangere e alla fine cominciò a vedere. Incontrandosi con Gesù, luce del mondo, riebbe la luce dei suoi occhi. Questa guarigione impressionò molto Gabilou, celebre cantante del Pacifico che aveva ottenuto il secondo premio in eurovisione; egli si iscrisse per il secondo ritiro, durante il quale si pentì, si confessò e si comunicò. Durante la messa di chiusura, fece questa testimonianza:« Ci sono state qui molte guarigioni, ma la più grande è la mia, perché il Signore mi ha guarito spiritualmente. Erano sedici anni che stavo lontano dalla vita cristiana e dai sacramenti; ma durante questo ritiro Gesù mi ha incontrato ed ora non voglio più vivere né cantare se non per lui ».

Ripetè la sua testimonianza alla televisione e in seguito nello stadio dinanzi a ventimila persone. Oggi evangelizza con canti carismatici, interpellando i giovani. Gesù è il Signore anche di artisti e cantanti.

Le guarigioni hanno uno scopo molto chiaro di cui dobbiamo tener conto. L’arcivescovo di Brazzaville l’ha scritto in maniera molto bella in una lettera a tutte le comunità della sua diocesi:

Brazzaville, 7 ottobre, 1983

Siamo stati molto contenti della predicazione del p. Tardif che ha ripreso il tema del centenario dell’evangelizzazione del Congo: il rinnovamento della fede. Le sue prediche furono accompagnate spesso da guarigioni spirituali, morali e fisiche.

Lo spettacolo più straordinario era di vedere, durante la preghiera, i malati guarire, i paralitici camminare, i muti parlare … era un rivivere i tempi della chiesa primitiva con Gesù. Ma che nessuno dimentichi lo scopo di questi segni miracolosi di Gesù: sono una testimonianza per risvegliare la fede di chi non crede e per fortificare quella dei credenti.

Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono. In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l’udirono! (Mt 13,16-17).

Il p. Tardif ci ha predicato un vangelo di verità e non di menzogna. Aver visto questi segni e non credere, ecco quello che Gesù chiama « peccato contro lo Spirito Santo », perché si rifiuta di riconoscere la verità … e ciò è molto grave.

La predicazione accompagnata dal potere di guarigione, che noi abbiamo vissuto, lascerà una traccia profonda di cui le generazioni congolesi parleranno per molto tempo, come si parla ancora delle opere e delle parole di Gesù Cristo.

+ Mons. Barthélémy Batantu arcivescovo di Brazzaville

Credo che i testi biblici e anche le testimonianze dei santi siano molti nella vita della Chiesa, per cui non è affatto necessario giustificare o non è possibile contrastare le guarigioni. Ma la questione di fondo è un’altra: credo io che Dio mi può guarire? Ho fede nel potere di guarigione di Gesù che può passare attraverso la mia persona per guarirne altre?

Qualche volta temiamo le meraviglie di Dio per la semplice ragione che non le comprendiamo.

Il vescovo di Sangmelino nel Cameroun mi aveva invitato ad un ritiro sacerdotale. Vi chiamò tutti i suoi sacerdoti; ma uno di loro disse:

« Io non ci voglio andare, perché là non si parlerà che di miracoli e sempre di miracoli ».

Il vescovo gli rispose:

« Vai, non aver paura. Il tema del ritiro non è la guarigione, ma la preghiera ».

Il sacerdote ci andò, ma più per l’esortazione del vescovo che per propria convinzione. Così cominciò il ritiro, ma al terzo giorno si alzò davanti a tutti e disse:

« Soffrivo di un’artrite deformante alle mani che mi impediva persino di allacciarmi le scarpe. Di più debbo dire che non volevo partecipare a questo ritiro temendo che non si parlasse d’altro che di miracoli. Ma durante la messa di ieri, ho sentito come un grande caldo nelle mie mani. Voglio rendere gloria a Dio, perché sono perfettamente guarito. Posso muovere le mani … ».

Io aggiunsi ridendo:

« Non volevi sentir parlare di miracoli e ora sei tu che non cessi di proclamare le meraviglie del Signore ».

Tutti ridevano e lodavano Dio, mentre lui muoveva e mostrava le mani.

La nostra disposizione dovrebbe essere quella di un pieno abbandono nelle mani del Padre amoroso: egli ha un piano meraviglioso su di noi.

 

 

 

 PREGHIERA PER LA GUARIGIONE INTERIORE (p. TARDIF)

Padre di bontà, padre di amore, ti benedico ti lodo e ti ringrazio perché per amore ci hai dato
Gesù. Grazie Padre, perché alla luce del tuo Spirito comprendiamo che Lui è la luce, la verità,
il Buon Pastore, che è venuto perché noi abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza. Oggi, Padre,
mi voglio presentare davanti a te come tuo figlio. Tu mi conosci per nome. Volgi i tuoi occhi di
Padre amoroso sulla mia vita. Tu conosci il mio cuore e le ferite della mia vita. Tu conosci
tutto quello che avrei voluto fare e che non ho fatto; quello che ho compiuto io e il male che
mi hanno fatto gli altri. Tu conosci i miei limiti, i miei errori e il mio peccato.
Conosci i traumi e i complessi della mia vita. Oggi, Padre, ti chiedo, per l’amore verso il tuo
figlio Gesù Cristo, di effondere sopra di me il tuo Santo Spirito, perché il calore del tuo
amore salvifico penetri nel più intimo del mio cuore. Tu che sani i cuori affranti e fasci le
ferite, guarisci qui ed ora la mia anima, la mia mente, la mia memoria e tutto il mio spirito.
Entra in me, Signore Gesù, come entrasti in quella casa, dove stavano i tuoi discepoli pieni
di paura. Tu apparisti in mezzo a loro e dicesti: “Pace a voi”. Entra nel mio cuore e donami
la pace; riempimi d’amore. Noi sappiamo che l’amore scaccia il timore. Passa nella mia vita
e guarisci il mio cuore. Sappiamo, Signore Gesù, che tu lo fai sempre, quando te lo chiediamo;
ed io lo sto chiedendo con Maria, nostra Madre, che era alle nozze di Cana quando non c’era
più vino e tu rispondesti al suo desiderio cambiando l’acqua in vino. Cambia il mio cuore e
dammi un cuore generoso un cuore affabile, pieno di bontà, un cuore nuovo. Fa spuntare in me
i frutti della tua presenza. Donami i frutti del tuo Spirito che sono amore, pace e gioia.
Che scenda su di me lo spirito delle beatitudini, perché possa gustare e cercare Dio ogni giorno,
vivendo senza complessi e senza traumi insieme agli altri, alla mia famiglia, ai miei fratelli.
Ti rendo grazie, o Padre, per quello che oggi stai compiendo nella mia vita. Ti ringrazio con
tutto il cuore, perché mi guarisci, perché mi liberi, perché spezzi le mie catene e mi doni la
libertà. Grazie, Signore Gesù, perché sono tempio del tuo Spirito e questo tempio non si può
distruggere, perché è la casa di Dio. Ti ringrazio, Spirito Santo, per la fede, per l’amore che
hai messo nel mio cuore. Come sei grande, Signore, Dio Trino ed Uno! Che Tu sia benedetto e
lodato, o Signore! AMEN.

PREGHIERA PER LA GUARIGIONE FISICA (p. TARDIF)

Signore Gesù, credo che sei vivo e risorto. Credo che sei presente realmente nel Santissimo
Sacramento dell’altare e in ciascuno di noi che crediamo in te. Ti lodo e ti adoro.
Ti rendo grazie, Signore, per essere venuto da me, come Pane vivo disceso dal cielo.
Tu sei la pienezza della vita, tu sei la risurrezione e la vita, tu Signore, sei la salute
dei malati. Oggi ti voglio presentare tutti i miei mali, perché tu sei uguale ieri,
oggi e sempre e tu stesso mi raggiungi dove mi trovo. Tu sei l’eterno presente e mi conosci.
Ora, Signore, ti chiedo d’aver compassione di me. Visitami per il tuo vangelo,
affinché tutti riconoscano che tu sei vivo, nella tua Chiesa, oggi; e che si rinnovi la mia
fede e la mia anima. Abbi compassione delle sofferenze del mio corpo, del mio cuore e della
mia anima. Abbi compassione di me, Signore, benedicimi e fa che possa riacquistare la salute.
Che cresca la mia fede e che mi apra alle meraviglie del tuo amore, perché sia anche testimone
della tua potenza e della tua compassione. Te lo chiedo, Gesù, per il potere delle tue sante
piaghe per la tua santa Croce e per il tuo Preziosissimo Sangue. Guariscimi, Signore!
Guariscimi nel corpo, guariscimi nel cuore, guariscimi nell’anima. Dammi la vita, la vita
in abbondanza. Te lo chiedo per l’intercessione di Maria Santissima, tua Madre, la vergine
dei dolori, che era presente, in piedi, presso la tua croce; che fu la prima a contemplare
le tue sante piaghe, e che ci hai dato per Madre. Tu ci hai rivelato d’aver preso su di te
i nostri dolori e per le tue sante piaghe siamo stati guariti. Oggi, Signore, ti presento con
fede tutti i miei mali e ti chiedo di guarirmi completamente. Ti chiedo, per la gloria del
Padre del cielo, di guarire anche i mali della mia famiglia e i miei amici.
Fa che crescano nella fede, nella speranza e che riacquistino la salute per la gloria
del tuo nome. Perché il tuo regno continui ad estendersi sempre più nei cuori attraverso
i segni e i prodigi del tuo amore. Tutto questo, Gesù, te lo chiedo perché sei Gesù.
Tu sei il Buon Pastore e noi siamo le pecorelle del tuo gregge. Sono così sicuro del tuo amore,
che prima ancora di conoscere il risultato della mia preghiera, ti dico con fede:
grazie, Gesù, per tutto quello che farai per me e per ciascuno di loro.
Grazie per i malati che stai guarendo ora, grazie per quelli che stai visitando con la
tua Misericordia.


Edda CattaniMiracoli e guarigioni
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“Si è fatto sempre così”

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Papa Francesco \ Messa a Santa Marta

Idolatri e ribelli i cristiani fermi al

“si è fatto sempre così”

 

Papa

I cristiani fermi al “si è fatto sempre così” hanno un cuore chiuso alle sorprese dello Spirito Santo e non arriveranno mai alla pienezza della verità perché sono idolatri e ribelli: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta.

Aprire il cuore alla novità dello Spirito Santo
Nella prima lettura Saul viene rigettato da Dio come re d’Israele perché preferisce ascoltare il popolo più che la volontà del Signore e disobbedisce. Il popolo, dopo una vittoria in battaglia, voleva compiere un sacrificio a Dio con i migliori capi di bestiame perché, dice, “sempre si è fatto così”. Ma Dio, stavolta, non voleva. Il profeta Samuele rimprovera Saul: “Il Signore gradisce, forse, gli olocausti e i sacrifici quanto l’obbedienza alla voce del Signore?”. “Lo stesso – osserva Papa Francesco – ci insegna Gesù nel Vangelo”: i dottori della legge gli rimproverano che i suoi discepoli non digiunano come finora si era sempre fatto. E Gesù risponde “con questo principio di vita”: “Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore; e nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!”.

“Cosa significa questo? Che cambia la legge? No! Che la legge è al servizio dell’uomo che è al servizio di Dio e per questo l’uomo deve avere il cuore aperto. Il ‘sempre è stato fatto così’ è cuore chiuso e Gesù ci ha detto: ‘Vi invierò lo Spirito Santo e Lui vi condurrà fino alla piena verità’. Se tu hai il cuore chiuso alla novità dello Spirito, mai arriverai alla piena verità! E la tua vita cristiana sarà una vita metà e metà, una vita rattoppata, rammendata di cose nuove, ma su una struttura che non è aperta alla voce del Signore.  Un cuore chiuso, perché non sei capace di cambiare gli otri”.

Cristiani ostinati e ribelli
“Questo – sottolinea il Papa – è stato il peccato del re Saul, per il quale è stato rigettato. E’ il peccato di tanti cristiani che si aggrappano a quello che sempre è stato fatto e non lasciano cambiare gli otri. E finiscono con una vita a metà, rattoppata, rammendata, senza senso”. Il peccato “è un cuore chiuso” che “non ascolta la voce del Signore, che non è aperto alla novità del Signore, allo Spirito che sempre ci sorprende”. La ribellione – dice Samuele – è “peccato di divinazione” l’ostinazione è idolatria:

“I cristiani ostinati nel ‘sempre è stato fatto così’, ‘questo è il cammino, questa è la strada’, peccano: peccano di divinazione. E’ come se andassero dalla indovina: ‘E’ più importante quello che è stato detto e che non cambia; quello che sento io – da me e dal mio cuore chiuso – che la Parola del Signore’. E’ anche peccato di idolatria l’ostinazione: il cristiano che si ostina, pecca! Pecca di idolatria. ‘E qual è la strada, Padre?’: aprire il cuore allo Spirito Santo, discernere qual è la volontà di Dio”.

Abitudini che devono rinnovarsi
“Era abitudine al tempo di Gesù – afferma ancora il Papa – che i bravi israeliti digiunassero. Ma c’è un’altra realtà: c’è lo Spirito Santo che ci conduce alla verità piena. E per questo Lui ha bisogno di cuori aperti, di cuori che non siano ostinati nel peccato di idolatria di se stessi, perché è più importante quello che io penso che quella sorpresa dello Spirito Santo”:

“Questo è il messaggio che oggi ci dà la Chiesa. Questo è quello che Gesù dice tanto forte: ‘Vino nuovo in otri nuovi’. Alle novità dello Spirito, alle sorprese di Dio anche le abitudini devono rinnovarsi. Che il Signore ci dia la grazia di un cuore aperto, di un cuore aperto alla voce dello Spirito, che sappia discernere quello che non deve cambiare più, perché fondamento, da quello che deve cambiare per poter ricevere la novità dello Spirito Santo”.

Il servizio di Sergio Centofanti: da Radio Vaticana

 

Edda Cattani“Si è fatto sempre così”
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…Lene continua…

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…e Lene continua

 

Vi siete mai chiesti come si fa a sapere quando una canzone, un’opera, un quadro, una storia, un racconto, sia finito? Non ci sono regole… te lo senti dentro nello stomaco.. senti volare le farfalle nello stomaco e volano fino alla fine del corpo, ti fanno arricciare le dita dei piedi fino quando qualcosa a cui ti sei dedicato con amore e con passione non sia completato. Noi due stiamo costruendo insieme il nostro capolavoro. Qualcosa che è iniziato proprio nel momento in cui sei morta. inutile addolcire la pillola, la verità è questa. ora siamo a metà tra la fine e l’inizio, tra la vita e la morte.. come in un brodo primordiale di emozioni. Il nostro corpo è una perfetta combinazione di alta ingegneria informatica con interazioni meccaniche ed idrauliche e queste perfette combinazioni ci consentono di PENSARE. Ecco, io e te insieme stiamo costruendo qualcosa di geniale.. di unico, stiamo mostrando al mondo cosa significa abbattere le barriere della morte e attraversarle, renderle superflue. Noi stiamo attraversando i confini del tempo.. stiamo costruendo qualcosa di unico.. stiamo trasformando l’ordinario in straordinario. Nella definizione di genio si legge: Il genio è «chi supera gli schemi e proietta il pensiero oltre i limiti del possibile»; è «colui che ha capito tutto, o quasi, della vita. E… nonostante ciò continua ad amarla». Il genio «anche da grande rimane un bambino malinconico» ed è «chi ti porta dove non sei mai stato». E nonostante ciò continua ad amarla… è quello il punto essenziale. Qualcuno ha scritto che errare è umano e perseverare è diabolico. Io voglio preservare nel tuo esistere attraverso me. Mi accosto alla definizione che i Romani hanno dato di genio, per loro era il demone buono, l’angelo custode, colui che guidava e accompagnava l’uomo durante il suo cammino su questa terra e fino alla morte donava le proprie capacità cognitive al suo protetto al fine di trasformare, modificare e ricreare la realtà. Alla morte poi il “genio” si perdeva nell’oceano dell’immateriale per volare in questo cosmo di imperfezioni.. tu sei il mio genio…. per te e per tua siurel… questa canzone.. non so se ho scelto la canzone giusta per trasformare il mio dolore in gioia, ne tantomeno conosco la differenza tra il vero ed il falso, non chiedetemi se ci siano differenze sostanziali negli esseri umani, per me siam tutti uguali… non riesco ad afferrare le sfumature di colore che si annidano dietro ad ogni pensiero.. che sia esso portato in musica o in immagini.. ma so.. che questa è la nostra forma espressiva migliore.. non la più alta.. la migliore.. poi un giorno guarderemo il mondo dalla nostra stella e scopriremo che abbiamo fatto qualcosa di talmente piccolo ed inutile che ci ha permesso di cambiarlo per renderlo migliore, l’importante è… non fermarsi mai di giocare con la vita. Il tuo papà

 

Edda Cattani…Lene continua…
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Ma si può perdonare?

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Ma si può perdonare?

Non possiamo dimenticare… è il simbolo della violenza sui bambini.

 

Disponiamoci con la lettura della riflessione odierna di fra Benito:

“.. ci sono umiltà che ingrandiscono un uomo .. e poteri che lo rimpiccioliscono .. e penso a quanto diceva l’Abbé Pierre a una Comunità che amo: “.. preoccupatevi di avere sempre nella vostra fraternità un vetro rotto ..” .. sì, perché se si conserva un vetro rotto, segno di inadeguatezza, e non si teme di mostrarlo, chi ci passerà accanto non ci sentirà chiusi in un’isola di perfezione .. e magari sentirà di poter essere accolto ..

.. dedicato alla parrocchia e al paese in cui vivo .. e ai bambini che rompono i vetri dell’oratorio o di case per ricordarci quanto siamo inadeguati .. e aprire così un pertugio per chi da fuori può portarci qualcosa di nuovo ..”

Beato fra Benito che si diletta ad accarezzare questi piccoli monelli “inadeguati” che rompono i vetri e che noi continuiamo ad amare perché sappiamo che non possiamo inquadrarli in uno sterile manuale di regole.

Purtroppo nella società di oggi, presa dai suoi mille problemi, dai suoi ritmi frenetici non sempre si usa tale delicatezza parlando dei minori e molti sono coloro che hanno tralasciato o forse non hanno voluto vedere cose che lasciano segni e ferite non solo nel corpo ma anche nell’anima.

La violenza è una cosa che nessuno dovrebbe provare o vedere né tanto meno negli occhi di giovani innocenti senza colpa, ma se ancora non abbiamo, non abbiamo imparato a rispettare i nostri simili, ancor più questa ignoranza diventa grave quando si oltrepassano i diritti dei piccoli innocenti.

Ci raggiunge oggi la notizia che è mancato, dopo un lungo periodo di disabilità e sofferenza, il papà del piccolo Tommaso Onofri una delle tante indimenticabili vittime di un terribile episodio di violenza, giunta alla cronaca e alle nostre famiglie, esterrefatte per la brutalità dell’evento.

Viene da chiedersi se meriti di essere chiamato “uomo” colui che ha commesso un atto di tale efferatezza e se chi ha compiuto tale gesto meriti di essere dimenticato o quanto meno “perdonato”…

Contrariamente alla via del mondo, non c’è perdono senza pentimento, e sta a ragione, perché se non c’è ammissione di aver sbagliato, allora non ci può essere perdono perché la risposta ricevuta sarà: “Per cosa?”

Eppure il Signore richiede che noi perdoniamo chi ha trasgredito contro di noi. Come può questo essere riconciliato con il riconoscimento di torto e la giusta retribuzione per quel peccato?

Ciò nonostante spesso i nostri bambini devono sopportare quotidianamente abusi dagli adulti che il più delle volte sono loro parenti stretti, vicini, amici, persone quindi insospettabili che si celano dietro una maschera crudele e divengono indifese vittime di irresponsabili assassini.

Bisogna abbandonare quindi l’idea che ad abusare dei minori siano degli sconosciuti grandi e grossi che incutono paura. Alle volte la violenza viene perpetrata nelle scuole, addirittura negli asili nido e da parte di coloro a cui i piccoli sono stati affidati da genitori che li ritenevano tutelati.

Spesso, oltre le ferite fisiche queste atrocità possono lasciare segni ben più gravi, che sono quelle che lasciano nelle menti dei ragazzi.

Non so quanto si potrà porre rimedio a queste piaga della società; è da ingenui però pensare che le leggi o la tanta declamata “giustizia” basti per offrire ai bambini una protezione perché sono state emanate tante leggi ma il problema persiste tuttora.

Ed ecco perché oggi dedichiamo questa pagina web al piccolo Tommy e al suo Papà che non ha saputo perdonarsi di non avere riconosciuto in un amico, collaboratore entrato nella sua casa, il volto dell’assassino!

 

Vola Tommy ora, vola in alto con il tuo Papà… liberi finalmente entrambi!!!

Edda CattaniMa si può perdonare?
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Verso di me

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Verso di me

albero
(Giovanni 1,29-34)
II Tempo Ordinario 

Alessandro Dehò

E poi Giovanni lo vede arrivare e il mondo attorno è come se cessasse di essere. Solo lui e quel Dio che cammina al contrario, solo il Battista e questo Messia che fa quasi paura. Perché sta camminando verso l’uomo? Perché non si ferma? Perché è proprio verso di me che sta camminando? Perché l’ho aspettato da una vita e ora vorrei fermarlo? Giovanni parla di Gesù e noi sentiamo, con lui, la densità delle domande contenute in quel pugno di parole: “Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui”. Quel cammino è disarmante, segno di una storia che, se la lasci arrivare, poi è difficile fermare. Quello che aveva preparato il Battista era lo spazio, il vuoto: il battesimo e il suo profetico vivere avevano liberato la scena da idoli, da feticci, da indebite attese, da immagini infantili di Dio ma adesso. Adesso la scena veniva presa da questo Gesù e non se,brava esserci nulla in grado di fermarlo e il timore saliva perchè il Battista capiva che quello che stava succedendo era definitivo.

Anche noi vorremmo scappare quando ci accorgiamo di essere davanti a una scena così. Succede quando riusciamo a renderci disponibili alla vita, quando levighiamo a sufficienza le nostre resistenze e paure e riusciamo ad alzare gli occhi contro il fluire della vita stessa, quando decidiamo di vivere fino in fondo, quando ci sentiamo pronti a reggerne l’urto. Succede quando ci liberiamo dalle illusioni e dalle pretese e ci sentiamo pronti ad accogliere la nostra storia con coraggio e disponibilità. Lo decidiamo, solo che poi il Signore ci cammina davvero incontro a dirci che è proprio dove siamo che possiamo fare esperienza di Lui. Che la vita di morte e rinascita è possibile proprio a partire da quella mediocrità che ci troviamo intorno e dentro. Che amare non dipende dal contesto ma dal nostro coraggio. E allora vorremmo scappare. E ci chiediamo cosa significhi davvero amare. E vorremmo che lui la smettesse di venirci incontro.

“Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”. A chi stava parlando Giovanni? A se stesso. Perché intorno non c’era nessuno. Era a se stesso che stava regalando immagini buone a giustificare il lasciarsi invadere dalla forza del vangelo. In cosa l’avrebbe cambiato? Come sarebbe diventato il Battista dopo il cammino di Gesù dentro la sua vita? In agnello sacrificale. Perché agnello era proprio Gesù. L’agnello di Isaia, muto e obbediente, condotto al macello, resistenza di umanità in un mondo di disumanità. L’agnello, che con Gesù cambierà profondamente di significato. Non più un uomo che sacrifica a Dio delle vittime innocenti ma un Dio che diventa vittima innocente e sacrificio per l’uomo. Perché sacrificare è rendere sacra la vita e la vita la rendi sacra solo amando, solo rimanendo umano, solo smettendo di cercare colpevoli e accettando l’arte del perdono. È la vita di Gesù, è quello stile che sta camminando incontro al Battista, incontro a ciascuno di noi quando ci illudiamo di essere pronti.

Gesù viene ancora, viene oggi, viene ad ogni istante, non è il capro espiatorio lasciato andare nel deserto a portarsi vie le nostre responsabilità ma è agnello che viene a portarci la responsabilità di scegliere una vita mite e umile, una vita umana anche dentro gli spazi disumani della violenza e della morte.
Fa paura questo Messia che ci cammina incontro perché se hai fatto spazio, e il Battista era una vita intera che preparava questo momento, il Messia non lo fermi e la vita rischia davvero di essere travolta.

Noi preferiamo andare verso Dio. Perché scegliamo noi quando e come e perché. Andare verso il Messia solo quando serve e a determinate condizioni. Quando Giovanni alza lo sguardo e vede quel cammino comprende che l’unica condizione rimasta è quella della resa totale o della fuga. Della resa incondizionata o della strenua difesa. Lasciarlo entrare sarebbe stato inaugurare un nuovo definitivo inizio.

“Io non lo conoscevo”, Giovanni sembra piangere. Capisce che le parole che aveva speso per preparare l’incontro, parole che sembravano così definitive e chiare in verità erano acerbe. Gridavano insicurezze e bisogni di rivalsa sul mondo. Che la grandezza non è la forza, la grandezza vera di questo Messia si scopre nella sua radicale umanità, nel suo restare umano anche quando il tradimento, la violenza e la morte sono scagliate con rabbia contro di lui. Quando lui non fuggirà e lascerà che il mondo gli cammini dentro. Che paradosso, la grandezza di Dio si scopre nella Sua fedeltà all’umano.

Giovanni capisce che non lo conosce ancora. Che credeva di aver capito tutto del Messia e invece non aveva capito niente. E deve decidere se scappare o restare, sapendo che restare significa sentire il peso del Suo cammino dentro il cuore, significa provare a diventare come lui.

Credo ci siano dei momenti nella vita in cui questa scelta brucia forte, rischiosa e drammatica. Restare fedeli all’umano oppure adeguarsi e impedire al Vangelo di camminare dentro le nostre storie? Credo ci siano dei momenti anche molto feriali: quando parlano male di noi, davanti all’odio di un amico… mi adeguo e attacco, disumanizzandomi o provo a far camminare il Vangelo dentro la mia storia scegliendo, comunque di custodire la mia e altrui umanità?

“Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo”. Sta parlando a se stesso Giovanni, sta provando a credere che quella resistenza ad alto prezzo, quella fedeltà all’umano che Gesù sta raccontando, è come colomba che scende dal cielo a rimanere in terra. Come il volo dello Spirito in Genesi prima di posarsi sulla Creazione. Come il volo della colomba di Noè prima di posarsi su un mondo riemerso. È sempre questione di battesimo, pensa. Sia il mondo che l’uomo si sono immersi nelle acque e sono riemersi, ora la colomba cerca vite su cui restare.

Il Vangelo di oggi non parla del battesimo di Gesù, parla del Battesimo definitivo di Giovanni e dell’uomo. E che sia un canto alla libertà lo si capisce dal finale. “Io ho visto e ho testimoniato che questi è il figlio di Dio”. Nessuna voce qui ad aprire i cieli, nessuna voce a scendere dall’alto accompagnata da ali di colomba, nessun Dio a confermare la divinità del Messia, in Giovanni la voce è umana, è la voce dei testimoni. La scelta di restare, per Giovanni, non è altro il tentativo di diventare testimone.

Ho visto un mondo violento e incostante, inospitale e ingiusto ma ho scelto di testimoniare che può esserci ancora un pezzo di terra, un pezzo di umanità che può essere casa per lo Spirito. E allora rimango e lascio che lui, la vera Colomba, si posi su di me.

 

Edda CattaniVerso di me
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Canto il sogno del mondo

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Canto il sogno del mondo

Sono andata alla messa; silenziosa come sempre, mi sono nascosta dietro a una colonna per manifestare a Dio il mio sconforto e la mia delusione. Abano è una cittadina turistica e intorno a me sfilavano persone in abiti eleganti, anche se di tutte le estrazioni sociali. Fra me e me pensavo: “Povero Signore, non è cambiato nulla attraverso gli anni… la messa è un dovere e una passerella, ma chi veramente sta parlando con te? E tu qui aspetti e ci guardi con tenera dolcezza…”

Nel fare la comunione non avevo nulla da dichiarare né da chiedere che Lui già non sapesse e me ne sono uscita, portandolo con me dentro al cuore. Ho passeggiato a lungo in una cittadina deserta, perché a quell’ora la gente è a tavola, mentre io non sono attesa da alcuno nella mia casa. L’aria era gelida, sferzante… eppure, davanti alla fontana della piazza centrale c’era un anziano che suonava una melodia con il cappello delle offerte in  terra. Mi è venuto di getto di lasciar scivolare una carta in quella manifesta indigenza e sono passata oltre. L’uomo mi ha richiamata costringendomi a tornare sui miei passi… mi voleva dare un’immaginetta. Ecco, questa è stata la mia comunione, le mie povere briciole di pane che ho condiviso e che hanno dato un sorriso alla mia domenica.

Allora con Padre Turoldo:

 

Canto il sogno del mondo

Ama
saluta la gente
dona
perdona
ama ancora e saluta.

Ama
Dai la mano
aiuta
comprendi
dimentica
e ricorda
solo il bene.

E del bene degli altri
godi e fai godere.

Godi del nulla che hai
del poco che basta
giorno dopo giorno:
e pure quel poco
–se necessario-
dividi.

E vai, vai leggero
dietro il vento
e il sole
e canta.
vai di paese in paese
e saluta tutti
il nero, l’olivastro
e perfino il bianco.

Canta il sogno
del mondo
che tutti i paesi
si contendano
di averti generato.

David Maria Turoldo
“Il grande male”
Ed. Mondadori

 

 

 

Edda CattaniCanto il sogno del mondo
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Solo una madre

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SOLO UNA MADRE

Non si può dimenticare chi hai considerato “madre” anche se sono passati gli anni e tante situazioni sono mutate.

Anniversario 8 gennaio

Anche questa  pagina web vuole essere  un ricordo per te, Mamma Maria, che mi hai dato la possibilità di conoscerti , con il tuo esempio mi hai arricchito e che so, anche ora, continui a seguirmi… come tanti altri, in quel soffio d’aria che mi circonda, nel mio cercare di trasmettere, con il mio modesto modo di essere, la speranza necessaria, a tante Mamme come te!

La conoscevo da tempo e ne avevo ammirato, emozionata, l’abnegazione, la determinazione, l’accettazione della sofferenza, la dignità e il silenzio… immagini di una madre che ha perso una figlia bambina, agli albori della sua vita coniugale.

Sono stati lunghi anni nell’attesa di questa ricongiunzione, una comunione d’anime vissuta con quei pochi che non l’hanno abbandonata… eppure quel cordone ombelicale non si era mai spezzato… L’ho pensata tante volte simile alla madre di Cecilia del Manzoni, una figura esemplare di una sfera superiore, avvolta da un senso di spirituale regalità, riuscita a sottrarsi alla incalzante degradazione fisica. Anche lei, simile a  quell’immagine, scolpita nelle memorie fra i corpi ormai senza vita ammucchiati nei carri, ha voluto mostrare come la morte non si fa portatore di una totale vittoria quando viene contrastata dall’innocenza delle vittime e dalla pietà dei sopravvissuti.

Ho spesso pensato, guardando Mamma Maria,, ormai accartocciata nella sua poltrona, completamente disabile, a come,  avrà “tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio…” la sua piccola Carmela… Pur non disdegnando di fronte al male posto in ogni forma, penso che questa madre non si sia lasciata sopraffare, ma, che attraverso gli anni, pur passando da episodi tristi ad altri più lieti dell’esistenza, non abbia mai perso la speranza attendendo quel momento nella condizione di chi “s’affaccia a quella porta, entra sotto la volta e rimane un momento a mezzo del portico”.

 

Ho pensato ancora a Mamma Maria simile alla protagonista di un articolo ricevuto:

“Solo una madre.

Una donna, il cui destino si è incrociato con quello di altre donne, in un reparto di Oncologia Pediatrica, scrive…

E’ alle madri che ho incontrato, conosciuto, sfiorato con lo sguardo che voglio dedicare il mio pensiero. Vi ho incrociate tante volte quando arrivavo in ospedale, di corsa, come al solito, di buon mattino. Vi ho a malapena osservate in quelli che ora mi sembrano lontani giorni di ottobre e di novembre. Accecata da una gioia inaspettata, di cui ero gelosa e orgogliosa al tempo stesso, sono passata nei corridoi bianchi tante volte e non ho mai guardato i vostri occhi. Ma qual bianco d’ospedale è diventato poi per me, come per voi, un’attesa, uno spazio indefinito, una sospensione dell’anima. All’improvviso, nella mia vita, sono piombati frustrazione, dolore, angoscia; poi più nulla. E’ da quel momento che ho iniziato a vedere. I vostri gesti sicuri, dolci e precisi al tempo stesso. I vostri passi, che percorrono distanze brevissime, immense come galassie. I vostri corpi, forti come querce, piegati come canne al vento. Il vostro mondo è tutto lì, in quei corridoi. E la vostra felicità è il sorriso di una speranza che non osate chiedere. Il vostro amore è unico, inafferrabile, inesprimibile. E’ quello di cui solo una madre è capace e che finalmente conosco anche io.”

Edda CattaniSolo una madre
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I mercatini della Befana

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I mercatini della Befana


Giorno della Befana e, all’uscita dalla messa, faccio un giro intorno alla strada pedonale e trovo il mercatino con ogni sorta di oggetti. Mi viene spontaneo soffermarmi, ho bisogno di vedere, di scoprire, di distrarmi dai tanti impegni. C’è una tazzina con piatto decorata in oro e blu cobalto, simile a quella che ho ammirato qualche giorno fa a Villa Pignatelli a Napoli. Chissà … può essere anche questa appartenuta a una collezione di  nobile famiglia, perdutasi nei meandri delle tante storie o è semplicemente un “tarocco”?

Mi sovviene della vetrina della nonna, in legno vecchio, ma contenente il “suo” tesoro: calici di cristallo verdi decorati ai bordi con sfumature dorate, tazzine avorio con angioletti dipinti a deliziose gradazioni, bricchetti di tante e varie dimensioni e i piatti dei giorni della festa. Chissà che fine avranno fatto quelle piccole cose, forse scampate alle distruzioni della grande guerra, ormai residui in numero dispari e spaiate! Le guardavo allora con occhi stupiti e come le ho riviste a Napoli, le osservo ora e, con loro mi passano tante memorie, dolci pillole e ricordi che mi fanno star bene. 

Con questo sentire propongo una riflessione:

 “Le cose che contano di più non dovrebbero mai essere alla mercé delle cose che contano di meno” Goethe

 

Un professore di filosofia, in piedi davanti alla sua classe, prese un grosso vasetto di marmellata vuoto e cominciò a riempirlo con dei sassi, di circa 3 cm. di diametro. Una volta fatto chiese agli studenti se il contenitore fosse pieno ed essi risposero di sì. Allora il professore tirò fuori una scatola piena di piccoli sassi, li versò dentro il vasetto e lo scosse delicatamente. Ovviamente i sassolini si infilarono nei vuoti lasciati dai vari sassi grandi.

Ancora una volta il professore chiese agli studenti se il vasetto fosse pieno ed essi, ancora una volta, dissero di sì. Allora il Professore tirò fuori una scatola piena di sabbia e la versò dentro il vasetto. Ovviamente la sabbia riempì ogni interstizio.

“Ora” dice il professore “voglio che voi riconosciate che questa è la vostra vita. I sassi sono le cose importanti: se ogni altra cosa dovesse mancare, la vostra vita sarebbe comunque piena. I sassolini sono le altre cose che contano. La sabbia rappresenta le piccole cose. Se voi riempite il vaso prima con la sabbia non ci sarà piu’ spazio per i sassi più grandi né per i sassolini. Lo stesso è per la vita; se spendete tutto il tempo e le energie per le piccole cose non ci sarà spazio per le cose importanti. Fissate le vostre priorità il resto è solo sabbia”.

Alla fine il professore tirò fuori il suo bicchiere di the verde e lo versò dentro il vaso di vetro… Nonostante il recipiente fosse già pieno il the si infilò ovunque e riempì il vaso fino all’orlo. 

La morale di questa storia è quindi: “Non importa quanto piena sia la vostra vita, c’è sempre spazio per una gradevole tazza di the con i vostri amici”.

Questa è una storia che rispecchia bene il mio modo di vedere la vita. Non ci sono parole più belle e semplici per descriverla.


 

Edda CattaniI mercatini della Befana
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