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Fiori: speranze esaudite

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Fra ricorrenze e Santi: ripropongo ogni anno…

I fiori sono le speranze esaudite della terra

(Pam Brown)

E’ ancora  il 22 Maggio e il mio giardino è esploso ancora una volta in tutta la sua bellezza…con il ricordo e l’incanto del linguaggio dei fiori:

 

…poche cose vorrei da te soltanto

zampilli di fresche parole

che, come acqua di fiume,

scorressero verso me…

 

 

Abbiamo registrato la nostra Associazione come Promozione Culturale e abbiamo finalmente un’immagine ufficiale… quella che con il profumo dei fiori, ho sempre cercato di trasmettere…

 

E’ tornata la festa di Santa Rita e non posso fare a meno di aggiornare questo articolo che ha testimoniato tante mie esperienze e la bellezza della comunicazione con i miei diletti che sempre mi accompagnano. Questo dialogo è stato condiviso da tanti cari amici a da alcune Mamme in particolare … sulla cui bacheca avevo postato questa ricorrenza.

Fra queste menziono Laura, la Mamma di Marian… divenuta una “Madre Coraggio” testimone a Roma all’udienza dal Papa per le Vittime della strada:

“S.RITA era la mia protettrice e di seguito quella di mia figlia… Anche io adoro i fiori ,il giardino e di seguito anche mia figlia… lavorava presso un vivaio e studiava i giardini e gli insetti… mi ha colpito proprio il sito …è tutto ciò che ero io ed era mia figlia… lei amava tanto S. RITA tanto che a sua figlia ha dato il suo nome… era anche una devota moglie (si sarebbe sposata quest’anno) ma più che altro ha nel suo breve tempo cercato di cambiare le idee di un ragazzo sfortunato sacrificandosi nella rinuncia… di questi tempi trovare ragazze così non è facile anzi son criticate …non è che ne voglia fare un’eroina ma è così che mi hanno detto coloro che  l’hanno conosciuta ….come S. RITA io i segni non li so….ma questo è già uno… anche se la rabbia è ancora tanta e tantissimo il dolore ….in casa sua non c’erano riviste …ma solo immagini …e statue e la sua adorata S. RITA…vorrei tanto saper come andare avanti e farmene una ragione …è tutto un mosaico la mia vita e non riesco ancora ad assemblarla… grazie!”

Il ventidue maggio, nel calendario dei santi si ricorda S.Rita da Cascia. Di questa grande Santa si raccontano eventi straordinari che io ho cominciato a comprendere fin da bambina. Nella chiesa parrocchiale vicina alla mia abitazione, vi era un altare con una statua a lei dedicato ed ogni devoto che entrava, si inginocchiava per rivolgere una preghiera. La Santa infatti viene definita “la Santa degli impossibili” per le grandi sciagure che avevano devastato la sua vita: la morte del marito prima e dei tre figli poi e la Sua grande Fede nel superarle. Nella mia città, quando ero bambina si facevano ancora le “processioni” con le statue dei Santi; il 22 maggio mio padre addobbava il portone d’ingresso e la mamma stendeva sulle finestre le più belle coperte di seta. Poi al passaggio della Santa si lasciavano cadere sul corteo petali di rosa multicolori raccolti dai giardini delle case.

Questo atto di devozione è legato al trapasso di Rita, quando una parente le fece visita in un giorno di inverno e la Santa disse che avrebbe desiderato una rosa.  La parente si recò nell’orticello e grande fu la meraviglia quando vide una bellissima rosa sbocciata che colse e portò a Rita. Essa disse: “ Quando me ne andrò farò cadere dal cielo una pioggia di rose”. Cosi S. Rita divenne la Santa della “Spina” e la Santa della “Rosa”. Era il 22 Maggio del 1447. S. Rita prima di chiudere gli occhi per sempre, ebbe la visione di Gesù e della Vergine Maria che la invitavano in Paradiso. Una sua consorella vide la sua anima salire al cielo accompagnata dagli Angeli e contemporaneamente le campane della chiesa si misero a suonare da sole, mentre un profumo soavissimo si spanse per tutto il Monastero e dalla sua camera si vide risplendere una luce luminosa come se vi fosse entrato il Sole.



La grande devozione a questa Santa, devota Sposa e Madre,  a cui mi sono da sempre affidata, ha riempito il mio cuore di tenerezza per tutta la mattinata di sabato, anche quando sono andata a portare le rose in cimitero.
Ho posato il capo sulla pietra nuda della cappella dove abbiamo composto le splendide spoglie del nostro adorato figlio Andrea ed ho avvertito che emanava un debole vapore. Ho azzardato una carezza ed un alito di vento mi ha accarezzato il volto, i capelli. Ho pensato: “Mancava questo soffio! Dio è qui!” Sulla mensola a fianco ho posto un cero, simbolo del  fuoco e sul ritratto ho appeso una colombina bianca. Ho pensato che l’indomani sarebbe stata la V Domenica di Pasqua ed ho avvertito una grande pace interiore. 

«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me.
Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto;
quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io.
E del luogo dove io vado, voi conoscete la via».


Giovedì in serata sono venuti a casa mia alcuni amici della nostra associazione con i quali ci eravamo dati appuntamento per scambiare liberamente, fra noi, commenti ed esperienze. E’ la prima volta che questo accade da quando sono rimasta sola e Mentore non è in mia compagnia, per cui si è trattato di una circostanza veramente speciale. La mia casa ha le pareti “benedette” perchè vi si respira un’aria fatta di mistiche presenze; per questo ne amo i colori e le mille piccole cose di cui è ricolma, anche se si tratta di oggetti senza valore, ma con il dolce sapore dei “ricordi”.

Ciò che però colpisce nell’entrare dal cancello è l’immensa fioritura multicolore che fa somigliare il mio giardino ad un piccolo paradiso. In esso vi sono piante fiorite di tutte le dimensioni e colore e alberi da frutto. Fin qui non vi sarebbe nulla di speciale, ma, da quando è mancata la mia mamma, l’inverno scorso, ogni anniversario o data importante viene accompagnata da una nuova scoperta. La mia mamma amava tanto i fiori e quando era mia ospite le compravo sempre una piantina di piccole rose che ponevo sul davanzale della sua finestra; poi, quando se ne andava, la interravo in un angolo del giardino. Ora tutte quelle pianticelle sono diventate roseti che mi regalano boccioli lungo tutto il corso dell’anno e quando apro le finestre al mattino sono curiosa nello scoprire quale sorpresa mi sia stata data.

Questa è la più bella ed è sbocciata il giorno della festa della Mamma

Questa bellissima orchidea è sbocciata per la seconda volta nell’anniversario della sua dipartita.

La mia piccola palma, regalatami dalle mie insegnanti qualche anno fa, è fiorita per la prima volta, il giorno di Pasqua!

Dovrei, ora creare un album fotografico per raccontare le mille esperienze vissute nel mio giardino incantato, ma esse fanno parte di quel linguaggio nascosto che accompagna le mie giornate, così dense di impegni, impregnate di sofferenza, ma calde di affetti silenziosi che parlano nel profondo del mio cuore. Per questo, cari amici volevo mettervene a conoscenza… perchè i segni sono tanti che il Signore ci dà a nostro conforto… basta saperli cogliere!

  Un saluto “fiorito” da un angolo della mia casa, con un grande abbraccio di Luce!

Edda CattaniFiori: speranze esaudite
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Abbandono al Padre e “Affido a Maria”

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Abbandoniamoci al Padre

In questi giorni di maggio, fra mille notizie poco rassicuranti passate attraverso i media, ho sentito vivo in me il desiderio di “pace” e di un’unione interiore con il Padre, attraverso Maria. Nella mia precarietà quotidiana molti sono i momenti di sconcerto ed ho bene accettato il suggerimento, di “ritirarmi un po’ nel deserto” per uscire da quest’amara, rabbiosa confusione e capire meglio…tante cose…tante realtà diverse da quelle ben organizzate nelle quali si ha la fortuna di vivere… Ho riletto con attenzione il messaggio di un amico, che mi ha inviato in allegato la locuzione interiore ricevuta da un sacerdote napoletano in odore di santità, don Dolindo Ruotolo e l’ho fatta mia, trasmettendola anche alle mamme di FB:  Angela,  Vera, Maria Grazia..… perché la condivisione portasse realmente frutto.

amore

“Passate il vostro tempo libero nella preghiera di abbandono e di lode. Purché questa preghiera non sia per forza solo secondo le formule, e se le formule scompaiono, non pensate che anche la preghiera di abbandono scompare. Voi potete per esempio dire una preghiera orale, una formula, un salmo, se questo vi aiuta a stare in unione con Dio, nella sua presenza, che sia percepita o no, ma non mettetevi a ripetere la formula… è questa la via dell’abbandono alla sua azione che non possiamo definire né prolungare, ma alla quale dobbiamo abbandonarci. Abbandonatevi dunque tra le sue mani non solo nelle situazioni prevedibili ma anche in ciò che rimane nascosto in Dio, dietro tutto ciò che può o deve capitarci. Vivete l’abbandono all’azione di Dio in noi, questo Dio da cui di continuo riceviamo l’essere, il movimento, la vita”   

“Abbandonandoci al Padre”

Gesù è l’Uomo rivelato a se stesso !

 Padre mio,

io mi abbandono a Te,

fa’ di me ciò che ti piace;

qualunque cosa tu faccia di me,

Ti ringrazio.

 

Sono pronto a tutto, accetto tutto,

purché la Tua volontà si compia in me

e in tutte le Tue creature :

non desidero altro, mio Dio.

 

Rimetto la mia anima nelle tue mani,

Te la dono, mio Dio,

con tutto l’amore del mio cuore,

perché Ti amo.

 

Ed è per me una esigenza d’amore

Il donarmi,

il rimettermi nelle Tue Mani,

senza misura,

con una confidenza infinita,

poiché Tu sei il Padre mio.

Per questa intima unione, un grande monito ci viene dato:

 il Santo Padre  ha affidato il Paese alla Madonna

“Mater Unitatis” 

rievocando i 150 anni dall’Unità d’Italia.

Secondo il sussidio liturgico diffuso dalla Cei a tutte le diocesi per la celebrazione del rosario, l’appellativo con cui ci si rivolgerà alla Madonna sarà quello di «Mater Unitatis». «Fratelli e sorelle, – si legge nel sussidio della Conferenza episcopale italiana – in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, la Chiesa desidera affidare a Maria, che invochiamo con il titolo di Mater Unitatis, tutto il popolo italiano. In comunione con le altre comunità cristiane, celebreremo i misteri della luce».

mater unitinitas

 «Nel seno di Maria lo Spirito ha reso possibile l’incontro tra il cielo e la terra, tra la Gloria e il fango. E’ avvenuto uno scambio ammirevole. La venuta dello Spirito ha prodotto un essere umano, nel quale ogni essere umano può dire: “sono io” e in cui Dio dice: ”sono io”. In questo essere umano l’umanità futura ha cominciato ad esistere.”

( Brani Tratti da “Sulle orme di Fratel Carlo… Esercizi Spirituali Jesus-Caritas – Nov.2003”)

Edda CattaniAbbandono al Padre e “Affido a Maria”
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Il terzo segreto di Fatima

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IL MESSAGGIO DI FATIMA 

(Episodi a seguito delle apparizioni)

 A lato una copia fotostatica  della rivista “Ilustração Portuguesa

del 29 ottobre 1917 ritraente la folla che osserva il ‘miracolo del sole’.

Stanzione Don Marcello

L’angelo a Fatima si manifesta sotto la figura di un giovane di 14-15 anni, più bianco della neve che il sole faceva diventare trasparente come se fosse di cristallo, e di una grande bellezza come dichiara Lucia. La novità dell’apparizione angelica di Fatima sta nel gesto dello spirito celeste di offrire l’ostia e il calice del sangue eucaristico ai tre pastorelli affinchè facciano la santa Comunione. Una tale gesto angelico non è contenuto nei Vangeli e da diversi teologi è considerato “assai misterioso” ma Don Marcello Stanzione ne offre una esauriente spiegazione.

Don Marcello Stanzione è l’autore di due libri molto facili da leggere, sulla storia di Natuzza Evolo che si trova in “mistica e guarigioni”.

(v.anche biografia di Don Marcello in “Natuzza Evolo”)

FATIMA (Portogallo) – La “principale preoccupazione” di ogni sacerdote dev’essere la “fedeltà” e la “lealtà” verso la propria “vocazione”. E’ il richiamo pronunciato da Benedetto XVI nella cerimonia dei Vespri celebrata con il clero portoghese nella chiesa della Santissima Trinità, a Fatima, dove Ratzinger è stato accolto da circa diecimila fedeli e dalle campane che suonavano a distesa.

“Permettetemi di aprirvi il cuore – ha detto il Papa – per dirvi che la principale preoccupazione di ogni cristiano, specialmente della persona consacrata del ministro dell’Altare, dev’essere la fedeltà, la lealtà alla propria vocazione, come discepolo che vuole seguire il Signore”.

Il monito di Benedetto XVI a non tradire la missione sacerdotale arriva all’indomani delle parole con cui il Pontefice ha fatto presente che la più grande “persecuzione” contro la Chiesa oggi viene non dall’esterno ma dai “peccati” che esistono al suo interno.

“In quest’anno sacerdotale che volge al termine – ha aggiunto Ratzinger durante la cerimonia dei Vespri – scenda su tutti voi una grazia abbondante perché viviate la gioia della consacrazione e testimoniate la fedeltà sacerdotale fondata sulla fedeltà di Cristo”. E ancora:  “Guai al Pastore che rimane zitto vedendo Dio oltraggiato e le anime perdersi”.

“TERZO SEGRETO DI FATIMA”

Moltissimo si è ipotizzato, per ben più di mezzo secolo, sul famoso “Terzo segreto di Fatima”, cioè su quella parte del discorso della Madonna, alla sua terza apparizione, che Lucia non riporta nel proprio racconto in quanto la stessa Santissima Vergine le disse: «Questo non lo dite a nessuno. A Francesco sì, potete dirlo».Le prime due parti – se si vuole “i primi due segreti” del messaggio di Fatima, riguardanti la predizione della Seconda Guerra Mondiale e l’ascesa e il crollo del comunismo in Russia – furono messe per iscritto da suor Lucia nel 1941, su ordine del Vescovo di Leiria e le abbiamo lette prima. Nel 1944, suor Lucia mise per iscritto anche il Terzo segreto e, prima di consegnare all’allora Vescovo di Leiria-Fatima la busta sigillata contenente questa parte del messaggio della Madonna, scrisse sulla busta esterna che poteva essere aperta solo dopo il 1960 o dal Patriarca di Lisbona o dal Vescovo di Leiria.

 

Alla domanda molto diretta posta nel 2000 a suor Lucia dal Mons. Tarcisio Bertone «Perché la scadenza del 1960? È stata la Madonna ad indicare quella data?», suor Lucia aveva risposto: «Non è stata la Signora, ma sono stata io a mettere la data del 1960 perché, secondo la mia intuizione, prima del 1960 non si sarebbe capito: si sarebbe capito solo dopo».

La busta contenente il Terzo segreto di Fatima fu invece aperta, nel 1959, da Papa Giovanni XXIII, che dopo aver letto il segreto decise di rinviare la busta sigillata al Sant’Uffizio e di non rivelarlo. Papa Paolo VI lesse il contenuto nel 1965 e anch’egli si comportò come il suo predecessore. Papa Wojtyla, dopo l’attentato subito il 13 maggio 1981, richiese la busta, di cui lesse il contenuto il 18 luglio 1981, ma lo ha rivelato solo nel 2000, in occasione del passaggio dal Secondo al Terzo millennio (e quando già la sua salute era minata dal Parkinson).

 

Il testo del Terzo segreto, rivelato a Lucia il 13 luglio 1917 nella Cova di Iria a Fatima, secondo quanto divulgato con un documento ufficiale dal Vaticano il 26 giugno del 2000, è il seguente:

«Scrivo in atto di obbedienza a Voi mio Dio, che me lo comandate per mezzo di sua Ecc.za Rev.ma il Signor Vescovo di Leiria e della Vostra e mia Santissima Madre.
Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo, indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: “qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti” un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”. Vari altri Vescovi, Sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c’era una grande Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi Sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della Croce c’erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio». Tuy, 3-1-1944

Indubbiamente il Terzo Segreto si riferisce principalmente a un castigo spirituale. Di gran lunga peggiore, ancora più spaventoso delle carestie, delle guerre e delle persecuzioni, perché riguarda le anime, la loro salvezza o la loro eterna dannazione. Il defunto Padre Alonso, nominato nel 1966 archivista ufficiale di Fatima dal Vescovo Venancio, ha dimostrato che ciò è quanto contiene il Terzo Segreto.
.. Il 10 settembre 1984, il Vescovo Cosme do Amaral, attuale Vescovo di Leiria e Fatima, nell’Aula Magna dell’Università della Tecnica di Vienna, dichiarò ..: “Il Terzo Segreto di Fatima non parla né di bombe atomiche né di testate nucleari, né di missili SS20. Il suo contenuto”, ha aggiunto “riguarda solamente la nostra Fede. Identificare il Segreto con annunci catastrofici o con un olocausto nucleare vuol dire distorcere il significato del Messaggio. La perdita della Fede di un continente è cosa peggiore dell’annientamento di una nazione; ed è vero che, in Europa, la Fede è in continua diminuzione” [Il Vescovo poteva fare questa affermazione così grave perché è un dogma della Chiesa Cattolica che per essere salvato dalle fiamme eterne dell’inferno ogni Cattolico non deve perdere la Fede. Ovviamente l’annientamento fisico non è un male così grave come la perdita eterna delle anime nell’inferno. Ecco perché questa punizione proclamata nel Terzo Segreto è peggiore della guerra e della morte.]. .. Ciò significa che la tesi di Padre Alonso è ora confermata pubblicamente dal Vescovo di Fatima: concerne la terribile crisi all’interno della Chiesa. Si tratta della perdita della Fede nella nostra era predetta dall’Immacolata Vergine ..
.. “In Portogallo il dogma della Fede sarà sempre custodito, ecc.”. Questa breve frase che la veggente aggiunse intenzionalmente e con sicurezza quando scrisse per la seconda volta .. la conclusione del [terzo] Segreto nelle sue Memorie .. ci fornisce in modo molto discreto la chiave del Terzo Segreto. Ecco il ragionevole commento di Padre Alonso: “In Portogallo il dogma della fede sarà sempre custodito”. Questa frase implica in tutta chiarezza lo stato di crisi della Fede che avverrà nelle altre nazioni. Vi sarà quindi una crisi della Fede, mentre il Portogallo la salverà. .. Se ‘In Portogallo i dogmi della Fede saranno sempre custoditi’ si può dedurre con assoluta chiarezza che in altre parti della Chiesa questi dogmi stanno diventando oscuri o potranno persino andare perduti”.
.. Aggiungeremo che il Cardinale Ratzinger stesso ha parlato in tal senso a Vittorio Messori, affermando che il Terzo Segreto riguarda “i pericoli che minacciano la Fede e la vita dei Cristiani”.
.. il Terzo Segreto insiste sulle pesanti responsabilità delle anime consacrate, dei preti e persino degli stessi Vescovi in questa crisi della Fede senza precedenti che da 25 anni ha colpito la Chiesa. [Per] citare Padre Alonso: “E’ quindi assolutamente probabile che il testo del Terzo Segreto faccia allusioni concrete alla crisi della fede nella Chiesa e alla negligenza degli stessi pastori”. Egli parla inoltre di “lotte interne proprio in seno alla Chiesa e di gravi negligenze pastorali da parte delle alte gerarchie”, e di “deficienze da parte della più alta gerarchia della Chiesa”. [Questo..] spiega infine perché i Papi, fin dall’ottimista Giovanni XXIII, hanno esitato, ritardato e incessantemente rimandato la sua pubblicazione, cercando a ogni costo di tenerlo nascosto.


 

Edda CattaniIl terzo segreto di Fatima
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“Non abbiate paura…”

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Aprire un varco alla speranza. “Non abbiate paura…”

(dall’album dei ricordi)

 

 Mentre respiro ancora l’aria di questo periodo postpasquale, allietato dalla beatificazione del nostro amato Santo Padre Karol Wojtyla ma anche funestato da notizie di guerra, di omicidi efferati, di violenza e … ancora di morte per le strade … viene da chiedersi il perché di tanto male, di tanta malvagità quando un Dio mite si è sacrificato per noi sulla croce donandoci gratuitamente un grande messaggio di redenzione!

 

E’ iniziata per tanti genitori la ricerca disperata del “perché” che noi, Mamme della Speranza, ben conosciamo e l’inizio di un percorso che è alle origini dell’arte e della storia. Per l’uomo moderno la morte è tabù, a meno che non vada in televisione, ma ignorarla è quasi impossibile perché è strettamente legata con la natura e con la nostra vita. La fede stessa nell’aldilà non esisterebbe se non ci fosse la morte e, secondo alcune interpretazioni, le religioni nascono proprio dalla paura della morte. In natura la morte è normalità: muoiono le stelle nell’universo, ma muoiono anche i cosmonauti che hanno tentato di studiarle. Sulla terra muoiono i biosistemi, le specie e gli individui.

 

Morire vecchi e di morte naturale non fa notizia perché rispecchia un processo evolutivo, ma morire giovani, per incidenti, malattie o suicidi pone angosciose domande che sfociano nella ricerca di un contatto: dalla preistoria ad oggi.

In questi giorni è caduta anche la “festa della mamma”; un evento commerciale senza dubbio, ma che ha acutizzato i ricordi nelle numerose madri che scrivono su FB le loro angosce: mi sono allora affrettata a trasmettere il programma di Cattolica per rinnovare quella speranza che per noi tutti è fonte di conforto per l’anima e nuova Luce che compare all’orizzonte.

 

Mentre mi stavo occupando di confortare i partecipanti al gruppo del sabato sono stata raggiunta da lettere di madri della nostra A.C.S.S.S. che mi esponevano le loro incertezze sul nostro rapporto con la Chiesa Cattolica. Guardiamo ad esp. il documento del Pontificio Consiglio Della Cultura “Una riflessione cristiana sul NEW AGE” di non tanto recente pubblicazione. Nel testo, se lo si è letto correttamente, si trova un po’ di tutto: dal confronto con la chiesa  cattolica, ai temi centrali sulla persona umana, Dio e il mondo e non mancano le affermazioni sui medium e i contatti paranormali. Fughiamo ogni perplessità, in quanto già nella presentazione del documento, fatta da S.E.MONS. Michael L.Fitzgerald del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso si  afferma “Questo studio intende essere uno strumento di scambio … con i centri di formazione e di cultura … per cercare nuove forme di dialogo e di testimonianza”; nulla accomuna il Movimento della Speranza a quanto viene dichiarato sul NEW AGE.

 

Nel frattempo ho ricevuto pochi giorni fa una mail dopo che avevo spedito le news con il programma di Cattolica, in cui un lettore mi scrive:

“… questi convegni sono la fotocopia l’uno
dell’altro, con il solo scopo di lucrare sul dolore della gente, gente
purtroppo debole e in balia di farneticanti personaggi pronti a sparare
baggianate ridicole, una vera vergogna!!!”

 

         Quest’ultimo commento mi ha particolarmente addolorata e pensavo proprio a questo genitore al ritorno da Casa Madre Teresa, dove il mio amato sposo ha avuto l’ennesimo arresto cardiaco. Pensavo alle mie rette intenzioni nel cercare di aiutare chi è stato colpito da un lutto come il nostro. Pensavo a questo Cristo vivente che andava nelle case dove erano morti i figli per dire: “… sono un papà anch’io… vostro figlio non è morto… ma è vivo… ” Guardavo quelle membra martoriate, ormai non più coperte da umano pudore, esposte ad essere rivoltate, trafitte, ripulite e riavvolte in un sudario. Ho salutato il mio amato recitando:

“io mi parto da te, parto da questo altar,

 vieni Gesù con me, sola non mi lasciar ….”

 

Ed ho pensato che la sofferenza, ogni sofferenza, non merita inganni, perché di per sé è già troppo lacerante e che è ora di far chiarezza, ancora una volta, prima di partire per Cattolica con dubbi o incertezze…

 

Il Dr. Mario Mancigotti che mi ha preceduta nel coordinamento dei Congressi ha precisato più volte le finalità che si perseguono, ma anche l’Associazione che presiedo a Padova ed il cui spirito intendo aggiungere al lavoro svolto finora, ha precise connotazioni e formula definizioni che mi permetto di trascrivere:

 

·     SCIENZA E FEDE procedono in parallelo, con studio rigoroso ed obiettivo, senza ideologie pregiudiziali, ma con disponibilità verso tutte le ipotesi, verso un mondo nuovo che questi studi legittimano e ci spalancano davanti. La sopravvivenza è tra queste cose, non per scelta a priori, ma perché tante fenomenologie paranormali indicano ad essa; deriva da ciò lo stretto rapporto con la parapsicologia.

 

·        Il far conoscere a tante Madri, a tutte le persone provate da lutti gravi, che “la morte non è un atto finale e la Vita prosegue”. Qui il parapsicologo si ferma, ma dice “in cammino verso l’Infinito”, verso cioè una sempre maggiore comprensione della Realtà e dell’Essere, una espansione cosmica di cui sono inimmaginabili vertici raggiungibili.

·     Vi è necessità di un Movimento di rinascita, cioè la conversione alla nuova Realtà che diviene consapevolezza, studio attento, percezione di tanti piccoli segni, nuovi e veri di cui comprenderemo il valore. Perciò la Scienza, con i suoi studi e le sue riflessioni, fa assurgere la “Parapsicologia” non a divinazione di maghi e streghette che evocano l’aldilà per acquisire poteri sull’aldiqua, ma allo studio serio dei fenomeni parapsicologici.

·      Piena adesione sui grandi temi della Rivelazione con la Chiesa Cattolica e con la gerarchia che la rappresenta, con Teologi, con personalità degli Ordini Religiosi che, come riconoscono le fenomenologie religiose e paramistiche, riportate dall’agiografia e inconfutabili, non possono disconoscere le fenomenologie paranormali, anche se di origine diversa (spirituale per le prime, psichica per le seconde) che sono del tutto analoghe e corrispondenti.

 

                      

       Tutto questo serve ad affermare che il mondo e l’ umanità hanno iniziato il terzo millennio con il carico che si preannuncia pieno di promesse, ma anche di grandi timori e di mistero.

       Il nuovo millennio, è sorto sotto gli auspici del rinnovamento spirituale e di rinascita dell’ uomo. Rinascita nel segno dell’ amore e dell’ approfondimento dell’ interiorità, della scoperta e del viaggio verso lo studio dell’ altra dimensione, delle infinite altre dimensioni che sono intorno a noi e che sono tutte dentro di noi. Ci siamo accorti che non siamo soli e che non ci sono solo le cose e la vita di questo mondo materiale. Ci sono tanti altri esseri che, invisibili agli occhi del corpo,  si fanno presenti a quelli della mente, all’ intuizione e alla sensibilità del cuore e dell’ anima. Ci sono tante altre condizioni esistenziali, un numero incredibili di altre realtà che conosciamo con gli occhi dello spirito quando scendiamo dentro di noi. E’ l’ avanzare di queste, il loro rendersi evidenti e volersi far conoscere che caratterizza questo scorcio di secolo e di millennio e che dà impronta al nuovo.

 

         I segni di questa rinascita, di questa scoperta, di questo avanzare, di questo nuovo interesse per quest’ altra dimensione dell’ Essere ci sono tutti. La transcomunicazione strumentale – con le sue novità sempre più incalzanti: prima una psicofonia appena balbettante, poi, in un crescendo incontenibile, la metavisione, le telefonate dall’ aldilà, i colloqui e i messaggi al computer – sono la grande scoperta di questi anni e, con essa, lo sconvolgente, incredibile colloquio con coloro che sono passati dall’ altra parte e che credevamo e piangevamo come perduti è divenuto, o può diventare, quotidiano, continuo.

 

        Ma pensiamoci un po’! Sono stati considerati perduti, finiti per sempre i nostri morti, perché, ci era stato detto che tutto finisce con la morte e invece oggi sappiamo che non è così; i nostri Cari ci sono sempre e possiamo parlare con loro; una cosa incredibile! Il Movimento della Speranza, che è sorto e dilagato inarrestabile in questi anni, è un altro dei segni del trascendente che scende tra di noi, ma, nel nuovo millennio, tanti sono questi segni e si moltiplicano sempre più: apparizioni, Madonne che lacrimano, estasi visionarie…; e l’ interesse, sempre maggiore, per le discipline che studiano questi fenomeni.

 

   Non importa se tanta gente non ci crede e ci sbeffeggia, perduta dietro a certi programmi televisivi assordanti nei loro giochi, nel loro rumore, nei loro belletti e nel loro vuoto di ogni interiorità. E’ l’ ultimo grido di un mondo che muore, di un materialismo che non si rassegna alla propria fine.

 

  Il nuovo millennio è qui; folle sempre maggiori ricercano la spiritualità, per tante vie, si interessano della propria interiorità, si sono accorte del proprio Sé e lo cercano. Ne sono testimonianza, non ultima, certi immensi raduni di giovani, che si danno appuntamento, che pregano, che ballano e cantano assieme, che discutono, che cercano, che aiutano nel volontariato, che sempre più si diffonde, insoddisfatti del consumismo, dell’ edonismo, del sesso facile e vuoto e che guardano all’ Amore, al Prossimo, alla Vita.  La Vita e l’ Essere :  la riscoperta del loro significato è il segno della potenza  e del vento impetuoso del Sacro che avanza e ci investe.

 

     Ne sono il segno anche certi aspetti negativi che, purtroppo, vediamo nel mondo, con la loro cattiva e contorta interpretazione della spiritualità  e dei valori spirituali, della parola di Dio e del soffio di Lui che ci arriva nel cuore : gli integralismi e i fanatismi religiosi che uccidono nel nome di Dio – che invece vuole la vita; sette esoteriche che plagiano e rendono schiavi gli adepti – mentre l’ essenza dello spirito è la sua libertà, il suo libero arbitrio la piena disponibilità della propria decisione; droghe e allucinogeni; la ricerca di sensazioni forti e di contatti occulti, cose fatte solo per morbosità o con ambizione.

 

      Anche questi sono segni di uno spirituale che spinge nel fondo, che ci prende, che ci attrae, ma noi siamo Spiriti dotati di libertà e capaci di decidere, intelligenti e capaci di capire, che dobbiamo scegliere fra il Bene e il Male e dare il giusto indirizzo a questo soffio del Sacro che sentiamo dentro di noi. In questo sta la nostra responsabilità.

     L’ albero si riconosce dai frutti e noi dobbiamo saper trovare lo sbocco giusto alla nostra spinta interiore.

 

Cari amici, come dice il Santo Padre, il Beato Giovanni Paolo II° apriamo un varco alla speranza, non abbiamo paura di quanto si può dire di questo e di quello; cerchiamo con retta coscienza il bene innanzitutto, quel bene che i nostri Cari Figli ci insegnano attraverso le molteplici comunicazioni che ci raggiungono, direttamente o attraverso quei “segni” della cui veridicità non abbiamo alcun dubbio. Sgombriamo il campo dal loglio e affidiamoci alla misericordia del Padre che, anche in questo momento di forti decisioni per il destino dell’umanità, saprà far scegliere ai governanti il meglio per assisterci e guidarci.

 

Avanti, ancora una volta… quanto viene dichiarato non ci riguarda. Noi lo sappiamo e vogliamo meritare la fiducia che i nostri Cari ci offrono dall’oltre. C’è il Santo Padre che instancabilmente ricorda a tutti la sacralità, la bellezza e l’intangibilità della vita che ci è data come “dono”.  Ben sappiamo che “la goccia scava la roccia”. Spetta ad ognuno di noi, ad ogni genitore, ad ogni mamma, impegnarsi anche nel proprio piccolo ad una cultura della solidarietà e della speranza cristiana.

 

Lo dobbiamo a tante persone che non hanno ricevuto i nostri carismi, i nostri affettuosi messaggi d’amore e di pace; lo dobbiamo ai nostri amati Figli che un giorno ci verranno incontro con la veste candida e, prendendoci per mano ci diranno: “Brava Mamma, vieni, ti aspettavo!”

 

Edda Cattani“Non abbiate paura…”
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Scavare il Cielo

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Scavare il Cielo

ascensione

Ascensione (Luca 24,46-53)“Il Cristo patirà e risorgerà il terzo giorno”. È vero, Signore, siamo figli del Terzo Giorno, figli di una promessa di Resurrezione, eppure facciamo davvero fatica a sentire vere le tue parole in queste nostre vite affaticate. Persi nel lungo cammino del primo giorno, dentro quel venerdì di dolore e di passione che sembra non finire mai, tempo di sogniarrestati, di tradite speranze, di vita che sbrana pezzi di carne da una colonna che continuiamo ad abbracciare per sfinimento. A volte invece ci sentiamo figli del secondo giorno, quel sabato di silenzio solo apparentemente meno violento: quello delle cose che non cambiano, quello del vuoto di futuro, camminiamo in un mondo che non volevamo così, tutto è fermo, niente cambia, noi, soprammobili lussuosi di uno sfondo nauseante. “Il Cristo patirà”, sì, lo sai bene, anche a noi è data la nostra parte di patimento. Nel cuore della Storia, cruda e spesso atroce, parlare di gioia diventa quasi fuori luogo. E mentre infastidisce certa retorica cattolica a buon mercato, rimaniamo ancora in ricerca di parole buone per osare dire quella speranza che in cuore nostro cerchiamo per arrivare al terzo giorno.

Non resta che cercare tra il pudore delle parole evangeliche, pagina figlia del bisogno di sopravvivere nel cuore dei due giorni, parole disegnate per camminare, magari lentamente, ma per camminare incontro al giorno terzo. Cerchiamo nella grammatica biblica qualche appiglio possibile e forse lo troviamo in quella promessa che lasci scivolare tra le pareti del nostro cuore. Poi ci porterai a Betania, luogo del cuore, dell’intimità, dell’amore, ma prima ci chiedi di restare per lasciarci “rivestire di potenza dall’alto”, queste le tue parole. Se ci avessi portato subito a Betania il nostro cuore sarebbe andato in frantumi, non avremmo retto, avevamo bisogno di stare ancora in Gerusalemme, luogo di passione. È la pedagogia dei due giorni, tempo di sepolcro vuoto, scavato nella roccia. Con le lacrime agli occhi Signore ci pare di capire che noi possiamo essere riempiti di Te solo se sappiamo lasciarci scavare, come roccia, sepolcro nuovo nella nostra intimità. Il dolore del primo giorno, le carni strappate a violenza, l’umiliazione e il tradimento; il feroce silenzio del secondo giorno, quel niente che succede ad altro niente, sono passaggi che creano vuoto dentro di noi. Il nostro cuore deve essere svuotato a sepolcro. È la vita stessa che scava. Ed è un vuoto che deve essere mantenuto tale. Intravedo un barlume di buona notizia, un timido raggio di luce. Noi siamo figli dei giorni del divino svuotamento e la nostra storia non è altro che riconoscerci come un Vuoto aperto all’Infinito. Per diventare preghiera, per implorare questo terzo giorno che sembra non venire mai. Chiamati a vivere con questo vuoto nel cuore, questo Niente in attesa di una carezza, di una benedizione. E mi pare di cominciare a comprendere, e forse vorrei non fosse così. Testimone credibile è colui che cammina nel mondo con quel vuoto brutale inchiodato nel cuore, è consegnare al fratello un cuore scavato di bisogno d’amore, dolore e nostalgia. Un cuore ferito, ricucito, rattoppato, sempre affamato, delicato come un pulcino appena nato… solo così noi possiamo tentare di essere testimoni credibili di conversione e di perdono: “saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono”. Perché è solo il vuoto che ci portiamo dentro, questa eterna nostalgia da marinai dell’Infinito, questa paurosa inquietudine, questa dilaniante fame di vita a parlare, in modo credibile, di Te. Senza il Vuoto il Terzo giorno sarebbe solo facile retorica.

Occorre sostare nei due giorni che precedono il Terzo. Occorre non voler affrettare il finale. Un Vangelo che mette in guardia contro i cuori troppo pieni di buone intenzioni, di tante consolazioni, di eccessive sicurezze, persino troppo pieni di una idea di Dio che diventa giudicante. Solo un cuore affamato può provare ad accogliere la promessa di Gesù, quella “potenza dall’alto” che risulta, come ogni riga del Vangelo, paradossale. Paradossalmente potente è Betania, la casa dell’intimità e della tenerezza, potente è l’amicizia, quella che piange la morte di un amico; potente è la cura delle piccole cose: una casa accogliente, il pane spezzato, le parole scambiate alla luce di un fuoco; potente è l’amore, di chi siede ai tuoi piedi e vive di Te. Potente, paradossalmente potente, è Betania, la casa degli affetti, casa di cuori innamorati. E non c’è niente di più affamato di un cuore innamorato, la potenza paradossale del Vangelo è imparare questa fame: vuoti a implorare una pienezza che solo un giorno sarà, nel Terzo tempo di questa storia che chiamiamo vita.
Solo un cuore affamato può accogliere la paradossale potenza dall’alto, che è una benedizione infinita sulla storia. Alla fine di tutto rimangono due mani ad accarezzare ogni spigolo di mondo. Gesù, benedicendo, tocca, dall’alto, ogni aspetto della vita, come a dire che ogni cosa rimanda a Lui. Ogni cosa canta o soffre o lamenta una fame d’Amore radicale. Da quel giorno il mondo implora amore dall’Alto. Non resta che liberarci dalla tentazione di una resurrezione a buon mercato, siamo popolo da traversata, barca in mezzo al mare, gente di primo e secondo giorno, cuori scavati dalla vita, come sepolcri in attesa di essere Oltre-passati dal Sacro Vuoto che lascia nostalgia d’Amore.

Signore, come ai discepoli della prima ora concedi anche a noi di lasciarci “condurre fuori”, primo movimento necessario del cuore affamato. Docilità di chi non basta a se stesso. Conduci fuori da noi stessi il nostro baricentro Signore, scavaci dentro il vuoto che parla del fratello, solo un cuore svuotato dal nostro egoismo può riscoprire l’inquietudine della fame. E sarà elogio del cammino.
“Mentre li benediceva si staccò da loro e veniva portato su, in cielo”. C’è un Vuoto grande sopra le nostre teste, un respiro infinito, e noi viviamo respirando da quel Grande Spazio. Dacci il coraggio di lasciare entrare Infinito dalle nostre pupille affaticate. Elogio del Cielo.
“Ed essi si prostrarono davanti a lui”, un grande definitivo inchino, elogio della terra, a baciare il visibile. A baciare questo amore che chiede carne per potersi raccontare. Ad evitare di fuggire il mondo, ad abitarlo e ad amarlo con tutte le sue tensioni.
Elogio del presente: “poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia”. Elogio sofferto di una vita che sarà scavo, scavo doloroso, che sarà ripetersi di primo e secondo giorno. La gioia è saper intravedere benedizione dentro le lacrime. Vorrei avere il coraggio di chiederti anche questo dono.

 

Edda CattaniScavare il Cielo
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Madre per sempre

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Una bella “rivisitazione”

Ho ricevuto tempo fa, da un gentile amico “navigatore” questa splendida pagina che desidero condividere con tutti voi: si tratta di due storie ugualmente avvincenti

Madre per sempre

Non c’è gloria sotto terra

 

Madre per sempre,

nella stagione che stagioni non sente.

Nostro figlio Lorenzo.

 

Francesca e Riccardo Pesaresi

“Femmina un giorno e poi madre per sempre, nella stagione che stagioni non sente”.

 Ho ancora nelle orecchie quel canto di De Andrè per Maria, perché è in quegli anni che Lorenzo venne al mondo, figlio, come tanti allora, di Ogino-Knaus, ossia di uno dei pochissimi incontri felici sfuggiti alla rigida disciplina del controllo naturale delle nascite. Insomma, teoricamente potevamo far l’amore quel giorno senz’altro pensiero che la vicendevole gratitudine, e invece rimasi incinta, con qualche domanda in più rispetto alle altre volte.

Di figli ne avevamo già tre e ci eravamo appena trasferiti da lontano: ero davvero una vittima del potere fallocratico, come mi definì sbrigativamente una femminista incontrata per caso? Oppure quella prova avrebbe più compiutamente dato alla mia femminilità il caro nome di madre? Ora soltanto posso rispondere, alla maniera dolorosa però del “mio” santo Francesco che disse: “Ora sono certo di avere dei frati” quando alcuni gliene morirono martiri.

Ecco, ora anch’io sono certa di essere madre, perché Lorenzo, dopo vent’anni di vita sempre più precaria e difficile, già da tre riposa al riparo da ogni male e da ogni pericolo, ha varcato prima di noi il confine dell’umana conoscenza. E’ nella gloria, come afferma risolutamente la Chiesa? Io vedo solo quel fazzoletto di terra che mi ingegno di tenere decoroso e fiorito; il babbo sente quasi un po’ di fastidio anche per questa incombenza. Il corpo morto è per lui qualcosa di inutile da buttare, per me è invece l’ultima domanda, la più radicale di tutte, che questo figlio ci ha ben posto fin dal principio.

Forse un figlio è per un padre il naturale prolungamento del suo vigore ed è difficile doverlo accudire quando ormai è adulto e cominciano a mancare le forze. Per la madre invece un figlio è l’altro che nello stesso tempo è te, qualcuno che ti lega al mistero della vita e dell’amore al di là di ogni ragionamento ed istinto, di ogni parola che possa essere detta. Non è possibile dimenticarsi di lui, cercare dei propri spazi per non vederlo soffrire, allontanarsi dalla croce se lui ci è sopra. E’ questa la stagione che stagioni non sente. Né ragioni, forse. Mi rendo conto di aver privilegiato nel tempo il figlio rispetto al padre, ma non ho saputo fare di meglio e in fondo siamo fieri di ricordare Lorenzo capace di autoironia e perfino curioso di esplorare gli aridi spazi della solitudine e degli impedimenti in cui si trovava, una persona compiuta insomma, nonostante tutto.

E poi c’è il discorso della fede. Proprio nei giorni del parto, mentre ancora in ospedale tentavo di decifrare lo sconcertante sguardo interrogativo del mio piccolo nuovo, intercettai pure lo sguardo altrettanto misterioso e sconosciuto di chi semplicemente portava la comunione a una vicina di letto. Invidiai senza ritegno quella semplice fede in un gesto che mi era sì familiare da tempo, ma come dovere domenicale, non certo come felice gioia in cui tuffare liberamente ogni preoccupazione, opportunità offerta con amore e discrezione infinita, senza condizioni. Un campanellino suonato appena in una corsia di ospedale rimise in moto la mia tiepida fede, di quelle da vomitare per intenderci, anche se già allenata in qualche modo a resistere agli assalti del nulla. Improvvisamente mi divenne desiderabile e necessario ciò che avevo scartato come vecchio e bigotto. Dio solo sa quanto sia cresciuto da allora il mio bisogno di essere amata e perdonata nella mia singolarità ma insieme a tutti gli altri, resa così capace, a mia volta, di amare specialmente quella creatura segnata dalla sofferenza innocente che io stessa avevo messo al mondo.

Da Lorenzo ho imparato perfino la necessità di farmi perdonare la sollecitudine con cui l’ho accudito, mentre il babbo non conosce sollievo di preghiera. Forse è anche colpa mia che non ho saputo  capirlo e consolarlo fino in fondo e poi da troppo tempo non so ridere come Sara perché mi sento così vuota e consumata che mi sembra di avere mille anni.

Però ho l’inestimabile dono di guardare il mondo con occhi ormai trasparenti e puliti dal pianto, amo teneramente tutto ciò che è piccolo e buono, ed anche ciò che è grande e cattivo, spaventoso. E so segretamente che la fonte di questo amore benedetto e sempre nuovo è in quel piccolo boccone di pane bianco e insipido che raccoglie sull’altare tutta la pena del mondo per ridonarla trasfigurata in speranza rigogliosa a chiunque ne voglia.

Lorenzo mi ha fatto un ultimo dono prezioso morendo all’alba del santo giorno della Trasfigurazione, una festa così nascosta nel cuore dell’estate eppure a me già da tempo carissima. Mi è sembrata come una carezza di perdono, un ultimo grazie per averlo accompagnato fin lì lasciandolo in pace. Nei tre giorni (il segno di Giona!) dell’agonia, ci avevano proposto di avviare su di lui le procedure di espianto. Inizialmente mi era sembrato di dover acconsentire, ma poi ho pensato che non avevamo il diritto di disporre del suo corpo senza potergliene chiedere permesso. O forse non ho avuto il coraggio di soffrire anche l’allontanamento tecnologico da lui proprio nel momento più sacro della vita dopo averne condiviso ogni minuto. Mi è rimasta un’ombra di rimorso su quell’ultima notte che passai sola con lui, come se l’avessi rubata ad altre vite, ma a questo prezzo ho potuto vederlo morire, silenzioso e sottomesso come la mia preghiera che continua ad essere piena di lui anche se non so cosa sia la risurrezione e la gloria. Forse lui lo sa ormai, e questo mi basta per tentare di nuovo ogni giorno di rendere degna di essere vissuta la povera vita che ci resta nella nostra vecchia casa in cui rischiamo di stare soli in due.

E poi ci sono i bambini, i figli degli altri figli che sempre ricordano lo zio Lorenzo con una fiducia così semplice e sicura che non può andare delusa. E i “miei” bambini del catechismo che quest’anno faranno la prima comunione. Quale onore partecipare così da vicino alla maternità della chiesa, quale consolazione condividere con altre madri la fatica di credere anche quando i figli sono fonte di dolore! Gioia e dolore hanno il confine incerto nella stagione che illumina il viso: è sempre De Andrè.

Vorrei tanto che tutti i predicatori del Vangelo sapessero tradurre per noi, povere pecore vecchie e stanche, la buona notizia del regno che viene con la leggerezza pensosa e poetica di una bella canzone. Forse così anche le vite nascoste e sempre in pericolo come quella di Lorenzo troverebbero il loro giusto posto nella comunità parrocchiale, darebbero sale alla preghiera di tutti ricevendone dolce consolazione.

in: “Servitium”, III 157 (2005).

 Ed ora vorrei condividere con chi passerà …

una pagina di Enrico Peyretti…. così come si condivide un po’ di pane…

 Non c’è gloria sotto terra. Mio fratello Pier Giorgio.

 

Il cimitero dei miei vecchi, e ora anche di mio fratello Pier Giorgio, più giovane di me di quattro anni, è alla periferia del nostro paese d’origine, nella piana a occidente della città. Vicino c’è il vecchio  aeroporto, ora campo di volo turistico, dove doveva atterrare il Grande Torino, quando si schiantò a Superga, la notte del 4 maggio 1949, durante un nubifragio.

Nel largo cielo ora volteggiano silenziosi gli alianti, dal grande corpo leggero, tutto ali. Il campo del sonno dei morti è incoronato dal  perfetto semicerchio delle Alpi, 180 gradi dal Monviso al Gran Paradiso. Lo guardi con rispetto. Ti senti osservato, come al centro di un’aula ad anfiteatro. Dai primi di novembre è una corona bianca, quasi la chioma rispettabile di una nonna che sei sicuro di trovare sempre in casa. Una corona merlata, regale nobiltà degli umili – e chi più umile dei morti, anche quelli dalle ricche tombe? Come se fosse costruita, la magnifica corona, attorno a questi poveri fuorusciti dalla vita, privati e liberati da ogni onore regale, se mai l’hanno avuto. Il Viso si erge  a sinistra, come un’idea. Il Gran Paradiso è una lontana calma altezza, che ha meritato il suo nome. Il tema che mi avete suggerito, “corpi gloriosi”, mi evoca questa gloria sopra il mio cimitero: tanta luce; un’immensa cupola azzurro aperta, senza fine; il volo dolce degli alianti in braccio al vento-spirito; la corona alpina che è un abbraccio, non un’insegna di potere. E qui la distesa dei corpi, nel seno della terra, seminati continuamente dalla vita, come il grano gettato dai contadini nei solchi aperti, in questo novembre, per quando sarà il tempo. Nessuna gloria nei poveri corpi, tutta una bellezza attorno a loro, sopra di loro, come per consolarli, curarli, rallegrarli. So come si lava e si riveste di un bell’abito un corpo morto.

“Corpi gloriosi” non è un’espressione che mi piaccia.

Non mi piace  la parola gloria. Lo so che è importante

nella Bibbia, ma non mi piace. Preferisco credere a Dio in intima vicinanza più che in sfolgorante  gloria. Un Dio gran vincitore non mi fa simpatia. La parola è troppo  inquinata – anche nella Bibbia – di vittoria e di trionfo, di una luce  che fa troppa ombra attorno, di una forza che umilia qualcuno.

Parola umana, troppo umana.

Ma stiamo pure al tema. I corpi – compreso il mio, e il vostro – per i quali spero una più grande vita, dopo questa precaria, non li penso “gloriosi”. Li penso trasformati, trasfigurati, liberati dalle mille condizioni che ora li stringono. Leggo volentieri Paolo, in Prima Corinzi 15, ma come capirlo e dirlo nel nostro linguaggio?

Oggi sappiamo che il corpo è un flusso di materia viva, in ricambio  continuo. Non abbiamo un solo corpo, dunque. Ma è sempre il nostro, è noi stessi, quando gode e quando soffre, quando fiorisce e quando si ripiega e muore. Non potremo riavere questo corpo,  ovviamente. Non sarà questo mirabile e mortale complesso di organi vivi, più geniali di qualsiasi tecnologia, destinati a morire e marcire, che possiamo sperare di veder risorgere, quando diciamo “aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”;  “credo … la resurrezione della carne”.

Non sarà questo corpo, caduco come le foglie che calpestiamo ogni autunno, ma sarà, sì, questo qualcosa  che si modella nella forma fisica unica e nell’espressione del nostro  volto personale, il tuo e il mio, volto che è vertice e luce di tutto il corpo, che ha l’infinito linguaggio degli occhi, volto che è la cosa di noi a cui più teniamo, che di più siamo; sarà questo qualcosa che  vivrà in modo nuovo. Saranno i volti cari che non vediamo più, se non in fotografia e nella faticosa memoria, che avranno nuova vita.

E come?

Paolo fa le sue legittime ispirate immaginazioni,che sono  metafore dell’indicibile. Anche noi possiamo osare le nostre immaginazioni. Immaginare è necessario per dire in qualche modo questa speranza, anzitutto a noi stessi.

Come potrà essere il corpo risorto? Potrà avere della materia?

Sarebbe di nuovo un luogo limitato  nello spazio-tempo, sarebbe di nuovo questa vita.

Permettetemi di riprendere un discorso già osato in

“Dall’albero dei giorni” (Servitium editrice, 1998). Forse risorgere potrebbe essere avere la materia come corpo (perché senza corpo non potremo stare), essere in tutto l’universo materiale, non come puri spiriti (non saremmo noi) ma viventi nella materia intera.

I nostri corpi, ora, sono tremendamente localizzati, distanti tra loro. Gran parte del nostro tempo e delle nostre energie va nel cercare di superare queste distanze: guardarci, parlare, viaggiare, scrivere,  radunarci. Ogni nostra espressione cerca di essere un ponte su tali distanze, cerca di comunicare.

L’amore è contrastato  dalla distanza. Ma anche vicini, i corpi ci separano. Questo corpo è una solitudine tesa.

La distanza dei nostri corpi è superata, per qualche momento, nell’amore sessuale, che è un simbolo di compenetrazione, profezia di qualcosa di più, una breve estasi (uscita da sé), dalla quale ricadiamo però presto nel perimetro concluso dei corpi separati. Più dell’unione sessuale è compenetrazione dei corpi la gestazione materna; dal lato attivo privilegio delle donne, per questo più inclini alla solidarietà  concreta, dal lato passivo esperienza originaria di tutti. Quella condizione di essere corpo in un corpo, ma sempre meno confusi, è nella prima memoria di noi tutti. Da quella unità beata siamo precipitati fuori in questa vita e forse ci parve di morire, mentre  invece andavamo a vivere di più, ma con uno strappo di cui portiamo nell’anima, e persino nel corpo, la ferita. Forse, dopo la profezia della vita intrauterina, dell’amore sessuale, delle aggregazioni sociali e geografiche, delle somiglianze somatiche, delle comunicazioni umane fisiche e spirituali, cioè dopo  la fragile ma tenace profezia della pace, arriveremo attraverso  la morte ad essere così liberi e universali da essere insieme  dappertutto, sempre “compresenti” (il termine tipico di Aldo Capitini)  e pienamente comunicanti, con la memoria cara dei tentativi che ora facciamo di anticipare quella comunione  piena dei volti e dei cuori.

Forse avremo per corpo l’universo rinnovato, corpo vivo di ciascuno e di tutti, e le nostre identità non avranno più bisogno di separarsi per distinguersi, ma anzi, in quella grande unità,  il volto di ciascuno sarà conservato e realizzato in tutta bellezza.  Essere un solo corpo senza perdere l’identità può essere  la speranza cristiana di somigliare chiaramente all’uni-trinità di Dio, persone non confuse ma perfettamente unite.

Realizzare in modo universale, con tutti, l’amore e l’amicizia che ora riusciamo ad anticipare solo su piccolo raggio, sarà possibile ai nostri corpi diventati senza limiti né distanze.

Mi piace pensare che così sono già i nostri morti (è difficile porre la resurrezione lontana nel tempo, là dove il tempo non c’è più): i nostri sensi non sanno vederli né udirli, ma sono qui con noi, attorno a noi, nelle cose tutte, e ci accompagnano nei nostri  tentativi di vivere.

Così è, in grado massimo, di Gesù, nella fede cristiana.

Così è anche, in modo iniziale, di noi se desideriamo e crediamo nel più grande orizzonte della vita.

In questa metafora mi pare di vedere la verità del linguaggio antico “andare in cielo”, e anche dell’idea tanto diffusa della reincarnazione. Il nostro corpo attuale sarebbe un tentativo, un esperimento, ma anche un vero inizio, un embrione, che non va perduto. Chi ha fatto la vita e l’ha riempita di desiderio sa custodirla e portarla a compimento.

Risorgere sarebbe come nascere, dopo il travaglio del morire, crescendo da questo corpo limitato al corpo-di-corpi, universale e comune. L’aldilà, allora, sarebbe veramente qua, dietro lo schermo che ferma l’occhio, ma non la fede e il pensiero. Il mondo acquisterebbe, starebbe acquistando, tutte le sue componenti, il suo valore compiuto come corpo vivo dello spirito che lo pervade. Un corpo da custodire e proteggere, da non lasciar violare e uccidere.

E’ solo una metafora, tra molte possibili, che dice e non dice ciò che tuttavia non possiamo non pensare.

Ma dunque, il corpo che avremo sarà “glorioso”?

Chiamatelo così, se vi piace. Io esito. Immaginare è lecito, ma subito è necessario tenere a freno l’immaginazione. Si tratta di sperare la vita nonostante la morte, senza sapere come, senza vedere. Ma, se mi dite glorioso, io rischio di guardare

indietro, dove vedo, più che in avanti, dove non vedo.

Corpo glorioso è il corpo giovane, sano, forte.

Pier Giorgio era il più grande e forte di tutti noi. Gloriosa, se ha senso la parola, era la sua prestanza in montagna, il portare a spalla in discesa l’amico con due caviglie rotte, il reggere a due bivacchi nella bufera sulle Grandes  Jorasses, il gettarsi per primo in ogni fatica come nelle discussioni politiche e nell’abbraccio. Vivens homo gloria Dei. Non da morto, ma da vivo, l’uomo è una gloria di Dio. Quel suo corpo forte e generoso, io l’ho visto lungo tutto un anno roso inarrestabilmente dal tumore cerebrale, grande come un orecchio, incurabile. L’ho visto massacrato dal male, sconquassato come barca sfasciata dai marosi.

Ma quale gloria!…Nel cimitero luminoso, la gloria non è sotto terra, dove c’è solo buio.

Per sperare e attendere una vita più piena, di là dal buio, devo saper vedere la “gloria”, non la potenza, ma la forza e la bellezza di questa vita, che pure è un soffio. Devo difendere questo filo d’erba, assolutamente, perché chi uccide, noi tutti quando uccidiamo, uccidiamo l’universo – materia e spirito –

presente nella più piccola delle sue vite. Dio è il solo che non uccide, ma crea, cioè cura.

(in Servitium, III 157 (2005), 115-119).

 

Stamani ho incontrato queste parole del profeta Isaia:

“Io che apro il seno materno, non farò nascere?” dice il Signore;

“Oppure, chiuderò il seno io, che faccio nascere?” dice il tuo Dio.

Rallegratevi con Gerusalemme ed esultate con lei, voi tutti che

 l’amate; gioite con lei di vera gioia, voi tutti che portate il suo lutto,

 affinché succhiate, fino alla sazietà al seno delle sue consolazioni;

affinché beviate e vi dilettiate alle mammelle della sua gloria.

Poiché così dice il Signore: “Verserò su di lei, come un fiume,

la pace e, come un torrente in piena, la gloria delle nazioni.

I suoi piccoli saranno portati in braccio ed accarezzati sulle ginocchia.

Come una madre consola suo figlio, così io consolerò voi,

 e sarete lieti in Gerusalemme. Quando vedrete queste cose,

i vostri cuori saranno nelle gioia e le vostre ossa, come erba,

riprenderanno vigore”.

Ave Maria (testo – F.De Andrè)

 

E te ne vai, Maria, fra l’altra gente
che si raccoglie intorno al tuo passare,
siepe di sguardi che non fanno male
nella stagione di essere madre.

Sai che fra un’ora forse piangerai
poi la tua mano nasconderà un sorriso:
gioia e dolore hanno il confine incerto
nella stagione che illumina il viso.

Ave Maria, adesso che sei donna,
ave alle donne come te, Maria,
femmine un giorno per un nuovo amore
povero o ricco, umile o Messia.

Femmine un giorno e poi madri per sempre
nella stagione che stagioni non sente.

 


Edda CattaniMadre per sempre
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La perdita della madre

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Oggi anniversario di Maggiolina

(Per ricordare)

Oggi è l’anniversario di una Mamma particolare, come siamo tutte noi e ancora oggi vogliamo ricordarla come il figlio Padre Alberto Maggi ne sta parlando:

“Quando mamma è nata è stata accolta da lacrime di gioia, e quando, due anni fa è morta, è stata accompagnata da lacrime di dolore. Ma poi le due lacrime si mescolano e fondono, perché non si muore mai ma si nasce due volte e la seconda è per sempre, e al dolore per la morte si accompagna la felicità della nuova e definitiva nascita.” 

Da “Chi non muore si rivede”

La perdita della madre

Ho scritto a P.Maggi: “Caro Padre Alberto, lo scorso anno, in questi giorni, lei era in “corsia” e se ne andava la sua cara Mamma Maggiolina. In occasione della Festa della Mamma pubblicai questo articolo. Oggi, a distanza di un anno, ci uniamo a lei nel ricordarla, ringraziando Dio per la sua salute recuperata!”

 E mi ha risposto: “Edda carissima grazie! mi hai fatto un bel regalo e una graditissima sorpresa, grazie! Sì, un anno fa, il giorno in cui per la prima volta la fisioterapista mi metteva in piedi, mia madre moriva, come se avesse completato la sua missione. Grazie per questo ricordo che hai voluto fare, il mio pudore me lo impediva, ma tu mi hai fatto un regalo, grazie!”

… e sotto, nei commenti, cosa scrivono gli amici in bacheca…

 

Se n’è andata Maggiolina, Mamma di Alberto Maggi. Proprio nel momento in cui il figlio era più fragile perché operato al cuore, mentre tanti amici lo circondavano d’affetto e gli porgevano messaggi di incoraggiamento a cui egli rispondeva con il suo immutato umorismo, una nota di malinconia ha velato la sua bacheca su FB… non si sapeva cosa dire ad un figlio che era divenuto Padre per la sua splendida Mamma ultranovantenne che ricordava agli amici ad ogni incontro, con immutata tenerezza ed affetto.

FESTA DELLA MAMMA .A tutte le mamme l’augurio che la loro vita sia un lungo interminabile valzer di amore con i loro figli.

Ci arrivano da FB gli auguri e le immagini di un video del Capodanno 2012

in cui P.Alberto Maggi danza con Mamma sua.

Come può parlare un prete della madre e della sua vocazione?

Dietro ogni prete c’è la preghiera della madre. Della mia no.

Avevo 22 anni quando annunciai ai miei la decisione di entrare nell’Ordine dei Servi di Maria, e ricordo ancora le parole di mamma: Proprio a noi questa disgrazia! E quando mai ci hai visto pregare in questa casa, quando mai hai visto un segno della croce o …sentito un’ave Maria!!

È vero, i miei non erano religiosi e non mi avevano trasmesso un’educazione religiosa. Persone intelligenti e libere abituate a ragionare con la propria testa non potevano credere alle infantili dottrine religiose del tempo.

Risposi: Mamma, il primo nitido ricordo che ho di te, è quando di sera, dopo cena, ti vengono a chiedere di fare una iniezione a qualche parente o conoscente malato. E tu preparavi sul fornello a gas il contenitore metallico con la siringa di vetro (enorme), e partivi, a qualunque ora.

E di te papà mi ricordo di quel giorno in cui mamma portò in tavola una fiamminga di gnocchi e li mise nei nostri piatti. E tu papà prendesti la fiamminga, e prima ancora di pranzare sei andato a portare i gnocchi a un conoscente che quel giorno sapevi avrebbe saltato il pranzo con la sua famiglia.

No non mi avete insegnato a credere in Dio, ma ad amare gli uomini, è per questo che mi faccio frate.

Ma può soffrire un sacerdote per la perdita della Mamma?

C’è qualcosa di inspiegabile in tutto questo, qualcosa che non capisco ma che non rifiuto perché che sento far parte di un unico grande disegno d’amore.

Ricardo sta per iniziare l’eucaristia funebre per mamma, e io sono qui… Ho celebrato i funerali di tutte le sue cinque sorelle (mamma era la più piccola) e ora… Sì è un disegno di amore.

Mamma è diventata anziana ma senza invecchiare, piena di… tanti interessi per tutto. Voglio qui ricordarla con tre grandi lezioni di vita che mi ha regalato.

Donna libera e per questo liberatrice, mamma non è mai stata una chioccia, ma sempre ci ha sospinto fuori, liberi.

È il 1980, Juan Mateos, grandissimo biblista mi accoglie nella sua equipe. Tocco il cielo con un dito, è una delle tante grazie avute nella vita. La partenza per Granada è fissata per il 10 gennaio. Mamma ha problemi agli occhi e l’oculista le annuncia per metà febbraio l’intervento di catarrata a entrambi gli occhi.

Le dico: mamma, rimando la partenza. E lei: perché se tu stai qui l’intervento viene meglio? Tu bada a fare quel che devi fare, agli occhi ci pensa l’oculista. Parto.

Mamma non ha mai guardato al passato, ma sempre è vissuta nel presente.

È il giorno anniversario della morte di papà. È febbraio, giorno triste, grigio, con tanta nebbia, penso a mamma, la immagino triste, le telefono: Mamma che fai? E lei: e chissà che faccio? le castagnole, è carnevale! Per lei non era l’anniversario del marito, ma carnevale e friggeva i dolci tipici per i nipoti!

Mamma si ostina a vivere da sola (se mi mettete una donna la butto dalla finestra!). La vista ormai è sempre di meno. Una notte cade in bagno e si spacca la testa sul bidet…sette punti di sutura. Quando mia sorella mi avverte sono al pronto soccorso. Mi precipito… Arrivo e mamma ha il volto tumefatto e una grande fasciatura in testa… Appena la vedo esclamo: Mamma! E lei: beh, che c’è ? È martedì grasso e mi sono mascherata anche io…!

Non si è mai pianta addosso, mai lamentata, ma vedeva il positivo in tutto!

Quando mamma è nata è stata accolta da lacrime di gioia, oggi sono lacrime di dolore per la sua morte… Ma queste lacrime si mescolano… La morte non è contrapposta alla vita, ma entrambe fanno parte del ciclo vitale. Per cui le lacrime per la morte di mamma si trasformano in lacrime di gioia per sua definitiva nascita… Grazie maggiolina mia!

Cosa scrivono gli amici presenti alla cerimonia funebre

Caro Alberto,

forse Ricardo ha proprio ragione, Maggiolina ha voluto lasciarti tranquillo, doveva essere così. Sorridendo, come si fa quando si ‘nasce’ per la seconda volta, Maggiolina avrà detto che dopo averti sentito cinque volte al saluto delle sorelle, oggi voleva sentire Ricardo. Anche se eri un po’ lontano Ricardo l’hai sentito anche tu, anzi penso che l’avrai anche ispirato. Stamattina, accanto a don Fausto, don Pio e altri confratelli, Ricardo ‘volava’: una tenerezza e una gioia che sembrava essere tutti sulla strada di quella Casa del Padre che – ci dici sempre – è nel cuore di tutti noi.

Ricardo ha dipinto un affresco realizzato in trent’anni di conoscenza, come lui ha detto, quasi filiale… penso che soprattutto a lui mancherà la complicità che vedeva lui e tua madre complici di quelle iniziative sulle quali era meglio.. non preavvertirti.

E l’immagine del valzer di Capodanno è veramente bellissima, come di Maggiolina che a 90 anni suonati apparteneva alle generazioni ‘multitasking’, con giornale, tv, radio contemporaneamente in azione. Non usava il computer, peccato, altrimenti avrebbe fatto bingo

Finalmente un ‘saluto’ non triste, coerente con il messaggio di salvezza… finalmente gioia e serenità… Ricardo si è fermato soltanto perché Maggiolina si era stufata di starlo a sentire: lui le ha detto dall’altare: ‘tranquilla, Anna, mi fermo, non scalpitare…’

E anche tu Alberto non ti preoccupare: mamma ha aspettato davvero che ti rimettessi in piedi per salutare te e tutti noi, ma, come tu dici, è ancora più vicina di prima… (Vincenzo Varagona )

Edda CattaniLa perdita della madre
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Madre come Maria

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Madre come Maria

maternita

Possiamo parlare di una sorta di “mal di madre” che si instaura nella  relazione e che coinvolge la donna e la sua creatura. Già al momento del concepimento inizia una interazione nell’ambiente intrauterino che continuerà in tutte le età successive.   I primi scambi avranno, pertanto, un peso decisivo nel formarsi della personalità che avverrà attraverso varie tappe e che sarà condizionata dalle scelte fatte.

 

Maria, Madre di Dio, è il fulgido esempio del dialogo esistente con quel Figlio nato anche per opera delle Sue carni. E’ la madre per eccellenza, Colei per la quale Cristo Gesù giunge a “trasgredire” nel compito affidatogli dal Padre e sui tempi stabiliti, compiendo, il primo miracolo della Sua missione terrena.

 

 Ricordiamo la supplica alle nozze di Cana: “Figlio, non hanno più vino”.   Questo amore porta Maria ai piedi della croce, sul Golgota. Quale colloquio si intreccia tra Maria e Gesù sull’altare del dolore? Quella profondità di amore vissuto nel dialogo di nove mesi di attesa, prima della nascita, ora ritorna con intensità. Da questa comunione dolcissima nascono le parole di Gesù a Giovanni: “Donna, ecco tuo figlio!”.   E’ il riconoscimento alla Madre Sua di un ruolo fondamentale nell’opera di salvezza; la proclamazione della maternità universale di Maria che termina con la consegna a Giovanni: “Figlio, ecco tua madre”!  

 

Nella madre, se il presente viene vissuto quale un completamento corporale di cui lei possiede l’attitudine, il futuro è legato all’ indeterminatezza dell’immagine del figlio.   E’ questo, per lei, motivo di una profonda debolezza che avverte di fronte alla difficoltà di “prevedere”, perciò di anticipare, con qualche precisione, quale sarà il corso della vita.  

 

Ed ecco allora, l’ineluttabile che quando giunge improvviso ed imprevisto spezza, in maniera dirompente, questa armonia, questo amplesso fatto di parole e di gesti, di sensazioni e di stati d’animo, di silenziose complicità di amorevolezza infinita.   Parlo della morte e di come la madre vive l’evento che la spezza perché a differenza di altre sofferenze, questa porta con sé la nebbia del mistero, perché invade un campo che è oscuro ed insieme sacro e solenne.   Di fronte a questo accadimento essa non trova risposta alla domanda: “Quale sorte è toccata al figlio che ho generato, che ho creduto fosse di mia proprietà  Dov’è andato quel soffio, quell’energia vitale?”  

 

La madre è attonita davanti al fatto che la coinvolge e si rende conto della caduta di tutte le certezze: cambia il modo di essere, di pensare, di vivere la quotidianità dell’ esistenza che, inesorabilmente, momento per momento, vede trascorrere e rinnovarsi, in tutte le sue forme.   Nasce in lei la lotta con il tempo della memoria che sembra voler coprire di un velo pietoso il mondo degli oggetti e delle immagini ad esso collegati, in una lacerazione che richiama il concetto junghiano di complesso nella connessione tra vissuto e simbolo.   Le situazioni, legate agli affetti, si caricano di un’emotività a volte esasperata, che si fa defluire nelle sfere della vita quotidiana svuotata di ogni senso, fino alla messa in dubbio cosmica del reale.  

 

Eppure una creatura tanto amata non può venire vissuta nelle forme e nelle rappresentazioni legate ad un’esperienza ormai perduta, contraffatta, che non si vuol dimenticare; l’io che si adopera per creare situazioni in cui ritrovare le immagini non rimane soddisfatto da ciò che lo porta a rivivere l’antica ferita.  

 

 Quando tutto sembra irrimediabilmente perduto, nella palude dove ci si trova invischiati, non rimane che appellarsi alla fede e al messaggio presente nella rivelazione che ci conforta e ci richiama alle radici profonde del nostro vivere e dell’esistenza che può e deve essere ancora vissuta in tutta la sua pienezza.  

 

E’ la disponibilità della madre che soffre qui, ma sa di essere davanti agli occhi del suo Dio, che fa pensare a Maria, Madre dei dolori di tutti gli uomini.   La preghiera assidua rigenera, allora, la vera immagine di Dio, a dispetto del male  che ci tocca sperimentare, perché quel Dio che ci è apparso come il nemico che ha distrutto la nostra esistenza, non può volere il male, altrimenti non sarebbe Dio. Egli può solo permetterlo sì senza alzare un dito.   Percepire   Dio   come  un  miraggio  inaffidabile ed attribuirgli la causa dei nostri mali ci darebbe l’immagine di un Dio infido la cui promessa sarebbe frustrante. 

 

Ed ecco allora che nella solitudine dell’attesa fiduciosa può accadere che la madre, io madre, nella profondità del mio essere, avverta una voce che mi parla e mi invita a procedere, ad andare avanti, perché quella creatura che credevo perduta per sempre non è mai partita e la ritrovo partecipe della mia vita nella “comunione dei Santi” che si estrinseca nel Corpo mistico di Cristo.  

 

Dall’esperienza quotidiana traggo elementi per testimoniare che avverto parole e ricevo segni di presenza inconfondibili: quel figlio, carne della mia carne e spirito tanto simile a me per affinità affettiva, quel figlio che ho tanto amato, giunge a me attraverso sensazioni profonde e strumenti, diciamo inconsueti, ma certamente reali.   Come io ho parlato a lui quando lo portavo in grembo, pur non vedendolo, ora ne percepisco la presenza in un’ampiezza di sfumature planetarie che si rapporta e si completa in un abbraccio universale che non teme, questo sì veramente, né rotture né limiti. 

 

Ho visto Andrea, pochi giorni dopo la sua dipartita, al mio fianco, nel dormiveglia, ai piedi del mio letto. Mi ha guardato sorridente e mi ha detto: “Sono partito per una missione di pace. Ho tanti incarichi da svolgere”.   Lui, ufficiale dell’Esercito Italiano, amava profondamente la sua missione e aveva pregato: “Signore che hai costituito di tanti popoli l’umana famiglia, guarda benigno a noi che abbiamo lasciato le nostre case per servire l’Italia” .   Anch’io ora procedo con questo obiettivo, al suo fianco, implorando Dio, creatore con me della mia creatura, secondo quanto ho dichiarato subito, la sera stessa dell’incidente mortale:  

 

“Ecco Signore, questo figlio che mi hai donato per ben 22 anni io te lo offro, ma servitene, come meglio vuoi, come tu sai. Lui è capace; l’ho educato buono e generoso. Ora è uno strumento nelle tue mani”.

 

 

 

 

Così quel Dio di amore, nella Sua grande misericordia ha permesso che il dialogo continuasse, perché l’amore non ha limiti o confini.   La mia vita perciò continua, in Dio e per Dio, al di là delle barriere spazio-temporali ed il lamento si è tramutato in fiduciosa attesa.   Vivo come realtà la presenza di mio figlio, visibilmente trapassato, che conserva verso di me le stesse premurose attenzioni, mi indica la strada da percorrere, mi protegge con indicazioni che sono peculiari del suo modo di essere e della sua personalità.   C’è  una  premura  costante,   nel  fare   appello  alla mia sensibilità e al  mio intuito, per farsi capire e comunicarmi messaggi indicativi di una  realtà parallela a noi molto vicina, anche se difficilmente immaginabile, di cui non possiamo avere più di tanti chiarimenti. Altrimenti perché la fede?  

Il  mio tormento  e la mia  caduta di senso vengono a trovare pace: attraverso il figlio giungo a percepire una Presenza benefica che mi offre un solido aiuto; che si interessa a me, nonostante  i miei fallimenti; una Presenza che non è una persona qualsiasi, ma la Persona di Dio al quale posso affidarmi totalmente, perché Egli è capace di soddisfare tutte le mie esigenze di verità e di amore.  

 

Trovo conferma di questa infinitezza, di questo stato di grazia, di completezza, di dinamicità in cui mio figlio vive nelle visioni descritte dai mistici contemporanei e, nella consapevolezza che ogni espressione è parziale, desidero leggere una comunicazione attribuita ad uno spirito elevato:     

“Come  descriverti lo  splendore della Via,  la Luce crescente ove gli astri perdono il  loro fulgore,  questo incendio fatto di tutti i soli, ma soprattutto di tutti gli splendori e di tutte le fiamme? Che termini adoperare per tradurti gli  accordi dell’Infinito; perché tutto brilla,  tutto  vibra,  tutto risplende  e risuona, tutto si  irradia e canta?  Le  parole umane servono  per le cose umane e la  parola muore dove comincia  l’Infinito…Ogni dolore, ogni  sforzo,  sono un passo fuori dall’ombra  a vantaggio della Luce…Io vedo dappertutto  sforzo  ed  equilibrio,  tutto segue immutabilmente   l’ordine   eterno.   L’Illimitato   non  è un condizionale.  L’Assoluto non sa che farsene  del relativo… No, qui non ci sono né dimensioni, né calcoli. L’algebra crolla sulla soglia  dell’Incalcolabile. L’Infinito si  aggiunge all’Immenso, l’Immenso all’Insondabile,  l’Insondabile  all’Assoluto,  ed  il totale di questa enorme addizione forma il piedistallo di Dio.”

 

( Brano tratto da M.C. e J.L.Victor “L’Appel des Etoiles”, Ed. du Phare, Cahors, Francia, 1967).                                 

Edda CattaniMadre come Maria
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La mia Mamma tra gli Angeli

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Ripropongo ora più che mai… 

La mia Mamma è nata il 2 ottobre – Festa degli Angeli Custodi

La mia Mamma è mancata il 21 febbraio 2010

Mi fratello mi scrive: ” Sono anni che se n’è andata una parte di me!

Gli ho risposto: ” Ora più che mai, da che sono rimasta sola, la vivo presente… le parlo, le chiedo di aiutarmi anche nelle piccole cose di ogni giorno e so che lei mi capisce… ora sì… più che mai!

La mia Mamma tra gli Angeli mi parla…

La mia Cara Mamma, Nonna Lina, “la Matriarca” di cui tante volte ho scritto sul “L’AURORA” ha chinato il capo mentre riceveva l’Eucarestia e si è addormentata per sempre. L’hanno vista così coloro che le erano intorno, piccolo pulcino ormai implume, vissuto troppo a lungo per continuare un percorso iniziato da tanto tempo. Ho parlato con lei versando tutte le mie lacrime nascoste quando per prima chiuse ogni rapporto con l’esterno e venne a casa nostra, a Padova, dopo la dipartita di Andrea. La “Nonna Sprint” aveva lasciato ogni attività, interessi e amicizie per condividere con noi dapprima il nostro lutto e successivamente le prime esperienze di comunicazione, giungendo a ricevere lei stessa precisi segnali di presenza che ci confortavano. La Nonna sembrava dotata di una certa sensitività e il rapporto affettivo con Andrea la favoriva di contatti particolari. La sua storia, fatta di deprivazioni e di grandi sofferenze fin da bambina, l’avevano non solo fortificata spiritualmente, ma dotata di un acume che andava oltre la normale ricezione  del messaggio, a cui sapeva dare la più semplice interpretazione. Aveva approntato un altarino con la foto di Andrea vestito con la tunica bianca, il giorno della prima comunione e ogni sera prima di andare a riposare gli dava la buonanotte. Ogni mattina la foto aveva fatto un giro di 180 gradi ed era girata dalla parte opposta. Lei era convinta che Andrea voleva salutarla in questo modo; ma raccontava non solo questo, ma di profumi, sogni e telefonate che ci lasciavano attoniti e contenti.

Nonna Lina era presente quando Mentore fece le prime registrazioni e quando noi non riuscivamo a decodificare le parole, lei, dotata di un udito finissimo sapeva darci la versione corretta delle parole incise. Posso dire che da allora la mia Mamma cambiò completamente le sue abitudini che furono rivolte a quello che sarebbe stato il suo arrivo nell’aldilà. Ripeteva sempre che non avrebbe avuto nessuna paura perché Andrea “il suo tenente” le sarebbe andato incontro e l’avrebbe presa in braccio. Si faceva presto a condividere queste aspettative considerando che le persone più care l’avevano preceduta innanzi tempo: la sua mamma mancata molto giovane, il suo papà, il figlio della sorella e tanti altri componenti di una larga parentela, primo fra tutti mio padre, il suo adorato sposo, mancato quando in casa mio fratello era appena undicenne. Eppure questa attesa si protrasse molto a lungo e molte vicende dovevano rendere più greve il suo già pesante fardello; la salute cagionevole e le ripetute crisi cardiache ci costrinsero a farla accogliere in una struttura dove, pur circondandola di efficienti cure, non le rendevano l’affetto di un clima familiare. Io, abitando in un’altra città e con gli impegni che mi hanno oberata oltre i normali ritmi giornalieri, non ho avuto la possibilità di vederla sovente e i nostri contatti sono avvenuti quasi quotidianamente per via telefonica. Quando si è ammalato Mentore poi, i miei orari non combinavano più con la disponibilità sua e pian piano ho sentito, con uno strazio indicibile, che non potevo più seguirla nel suo grande bisogno di calore e di vicinanza affettiva.

Si è consumata così, pian piano, la mia povera mamma, lucida fino all’ultimo, capace di farmi coraggio e dirmi sempre: “Prega, Edda, prega che il nostro Signore ti aiuta!” Quanta fede e quanta rassegnazione in una donna che aveva avuto in mano il comando di tutta una generazione, capace di sforzi e di grande energia psicologica: un esempio da tenere presente. Quante volte ho camminato qui in casa, nelle mie stanze vuote parlando con lei e magari scrivendole qualche poesia che poi le inviavo accompagnata da un mazzo di fiori “Bianchi o rosa pallido” come li voleva lei. Quando le giungeva questa sorpresa, chiedeva alla suora del residence di metterli in cappella, davanti alla Madonna, perché “..la  mia figliola ne ha tanto bisogno!…”

I primi giorni di febbraio ha avuto una grossa crisi e la sua condizione non lasciava ormai più speranza, ma nel momento del risveglio da uno stato di perdita della coscienza si è rivolta ai presenti dicendo: “Ora posso dirlo davvero: ESISTE L’ALDILA’ il Paradiso c’è!” Quando sono andata a vederla sembrava aver recuperato un po’ di energia ed ho potuto godere di due giorni interi della sua vicinanza e parlarle di tutte le cose che da tempo non ci eravamo dette. Le ho tenuto la mano fra le mie, entrambe tanto esili e bianche e l’ho baciata a lungo pensando che quei dolci istanti sarebbero stati gli ultimi che Dio mi concedeva. Ricordo che, prima di partire le ho detto: “Tu lo sai, mamma, cosa abbiamo vissuto insieme quando è mancato Andrea. Quando arriverai, ti raccomando, parlami subito, dimmi se lo vedi, dimmi con chi sei!” Lei mi guardo intensamente poi fissò lo sguardo verso la porta, si portò il dito indice alla bocca e mi sussurrò: “Ssss… sono già qui…” In quel momento ho capito che la mia mamma era ormai pronta per il grande viaggio e mi avrebbe dato sicuramente ragguagli sul suo percorso.

I giorni successivi li ho trascorsi con il cellulare in mano in attesa di una comunicazione e con un malessere diffuso che mi costringeva al riposo a letto. Il ventuno mattina alle dieci mi sono alzata improvvisamente con una sensazione di sollievo… in quel momento il telefono squillava: “… la mamma è mancata ora. Si è addormentata mentre riceveva la Comunione… ha reclinato il capo poco alla volta…” “Coraggio, Mamma, ora non ti perdo più, perché so che mi vedi e comprendi tutto di me”. Ho acceso il registratore ed ho sentito distintamente : “Mi sono risvegliata nella mente di Dio!” La conferma al nostro patto avveniva nel modo più naturale. La mia mamma parlava come se fosse stata presente, col solo tasto premuto della ricezione, con una voce tonica e precisa. Finalmente, Mamma cara, sono scomparsi tutti i miei sensi di colpa per non esserti stata vicina quando eri più debole e sola perché altri avevano bisogno della mia presenza ed ora tu capisci tutto questo e comprendi appieno la mia condizione!

Il dialogo con la mia cara Mamma, continua tuttora e lei mi dà contezza di quanto vive e quanto è bello l’aldilà; ma mi dona pure segni di presenza di cui vorrei almeno scriverne uno:

“Quando la Mamma era a casa mia, molti anni fa, mi chiedeva sempre di portare per lei, nella cappella di Andrea un’orchidea e di metterla in un vasetto che era solo per lei. Io raccoglievo poi i bulbi ormai sfioriti e li mettevo in un vaso in fondo al giardino. Da quelle piante rinsecchite non è più spuntato un fiore e anche il fogliame ormai sciupato e sterile manifestava l’aridità delle piante che hanno terminato la loro stagione. Eppure il giorno dell’anniversario ho trovato un ramo di orchidea gigante, dai petali color oro, spruzzati di color rosso, che tuttora sopravvive con una stabilità superiore a qualsiasi fiore del giardino”.

Non mi sento più sola e i profumi che sentiamo io, mia figlia e mio marito sono inconfondibili segni, fra i tanti, della presenza della Nonna Lina vicino a noi. So che Andrea le ha reso possibile questo contatto così rassicurante della presenza degli angeli nelle nostre case. 

Sono tornata da Cattolica con il cuore gonfio di commozione. Una signora presente che non sapeva nulla di me ha visualizzato Andrea e vicino a lui c’era una donnina, piccola e tutta raccolta… l’abbigliamento e il sorriso corrispondevano alla mia Cara Mamma che mi diceva: “Hai visto Edda, quasi non ci credevo quando dicevo che Andrea sarebbe venuto a prendermi… Proprio così! Ed ora mi porta con sè a visitare il Paradiso!” Agimus tibi gratias Omnipotens Deus pro universa beneficia tua!

Concludo con una frase di Auguste Valensin: “Non perché lo sogno Dio esiste, ma poiché esiste io lo sogno.”

Edda CattaniLa mia Mamma tra gli Angeli
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Donna del “terzo giorno”

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Santa Maria, donna del terzo giorno!

 

Ho trovato questa preghiera e la reputo la più adeguata per me, Vergine Santa. Sono anch’io una “donna del terzo giorno” … non come te, ma come una creatura che arriva sempre “in terza giornata”, come tante altre, con continui altalenare fra le mie gioie e le mie tristezze … con il mio camminare e incespicare, lamentarmi e sorridere … fra serenità e pianti … nello scandire delle mie difficili giornate.

 

Sono anch’io una donna del “dolore” perché tutti li ho provati, uniti a quelli della mia inadeguatezza, delle delusioni, dell’andare avanti con dignità stringendo le altrui mani per non sentire la callosità delle mie.

 

Sono una creatura con tutte le sofferenze fisiche, le notti insonni … Una donna che ha dispensato carezze non comprese, spesso sprecate … Lo sono con i miei affetti distrutti e con i tanti silenzi, colmi di amarezza …

 

Ma tu, donna nell’anima, anche se priva della colpa originale … comprenderai la mia inquietudine e mi aiuterai a superare anche questa parentesi in cui, ancora una volta, ho battuto la testa e fatico a rialzarmi …

 

 

 

Preghiera

(di Don Tonino Bello)

 

 

Santa Maria, donna del terzo giorno, destaci dal sonno della roccia. E l’annuncio che è Pasqua pure per noi, vieni a portarcelo tu, nel cuore della notte.

 

Non aspettare i chiarori dell’alba. Non attendere che le donne vengano con gli unguenti. Vieni prima tu, coi riflessi del Risorto negli occhi e con i profumi della tua testimonianza diretta.

 

Quando le altre Marie arriveranno nel giardino, con i piedi umidi di rugiada, ci trovino già desti e sappiano di essere state precedute da te, l’unica spettatrice del duello tra la vita e la morte. La nostra non è mancanza di fiducia nelle loro parole. Ma ci sentiamo così addosso i tentacoli della morte, che la loro testimonianza non ci basta. Esse hanno visto, sì, il trionfo del vincitore. Ma non hanno sperimentato la sconfitta dell’avversario. Solo tu ci puoi assicurare che la morte è stata uccisa davvero, perché l’hai vista esanime a terra.

 

Santa Maria, donna del terzo giorno, donaci la certezza che, nonostante tutto, la morte non avrà più presa su di noi. Che le ingiustizie dei popoli hanno i giorni contati. Che i bagliori delle guerre si stanno riducendo a luci crepuscolari. Che le sofferenze dei poveri sono giunte agli ultimi rantoli. Che la fame, il razzismo, la droga sono il riporto di vecchie contabilità fallimentari. Che la noia, la solitudine, la malattia sono gli arretrati dovuti ad antiche gestioni. E che, finalmente, le lacrime di tutte le vittime delle violenze e del dolore saranno presto prosciugate come la brina dal sole della primavera.

 

Santa Maria, donna del terzo giorno, strappaci dal volto il sudario della disperazione e arrotola per sempre, in un angolo, le bende del nostro peccato.

 

A dispetto della mancanza di lavoro, di case, di pane, confortaci col vino nuovo della gioia e con gli azimi pasquali della solidarietà.

 

Donaci un po’ di pace. Impediscici di intingere il boccone traditore nel piatto delle erbe amare. Liberaci dal bacio della vigliaccheria. Preservaci dall’egoismo.

 

E regalaci la speranza che, quando verrà il momento della sfida decisiva, anche per noi come per Gesù, tu possa essere l’arbitra che, il terzo giorno, omologherà finalmente la nostra vittoria.

 

 

 

Edda CattaniDonna del “terzo giorno”
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