Concetta Spagnolo, la mamma della piccola Sarah Scazzi, è una donna dal volto reso duro dalla sofferenza, criticata da tanti per il suo atteggiamento apparentemente freddo. L’assenza di emozioni nascondeva un dolore così forte da non riuscire a mostrarlo, mentre Michele e Sabrina Misseri si lasciavano andare alle lacrime e alla disperazione.
Nel corso della trasmissione “Matrix”l’annunciata lettera inviata da Concetta ha rotto un muro facendo trasparire tutto lo strazio di una madre a cui è stata strappata la sua bellissima bambina. Parole, ovviamente, forti nei confronti dei colpevoli che definisce miserabili, capaci di avere ucciso due volte una creatura che di loro si fidava. Le menzogne della famiglia Misseri sono il suo tormento, lei non invoca la vendetta ma non potrà esserci neanche il perdono.
Lo psichiatra Raffaele Morelli commenta : “Concetta ha preso in modo significativo le distanze, ognuno piange i suoi morti e i suoi omicidi”.
La lettera di BARBARA PALOMBELLI al TG5
Una lettera di scuse, forse diversa da come l’avremmo scritta noi tutti che, volenti o nolenti, abbiamo assistito a quest’assalto mediatico su un caso di omicidio, un caso in cui è stato spesso dimenticato il ruolo della vittima. Mentre l’attenzione mediatica è rivolta alla famiglia degli zii di Sarah, ci siamo dimenticati di lei. Lei, ragazzina innocente, è passata in secondo piano e ci dimentichiamo che, quando sulle pagine dei giornali viene descritto il suo assassinio, il collo attorno al quale l’orco stringeva la corda, aiutato dall’orchessa, sua figlia, era quello di Sarah.
Cara Sarah, con quell’acca in fondo al tuo nome che ti faceva sentire importante; la tua firma ripetuta nei profili di Facebook dove però andavi di nascosto, dalla biblioteca comunale. Ti eri inventata un’identità: Sarah Baffi, l’Ammazzavampiri. Ma non ce l’hai fatta contro di loro: loro, i vampiri, i tuoi parenti, non ce l’hanno fatta ad amarti. Eri e sei troppo diversa da loro, sembri scesa dal castello delle fate, bellissima principessa in un regno di orchi e di streghe.
Tu avevi solo quindici anni e la colpa di essere bionda, magra e carina come tutte le ragazzine vorrebbero essere e non ci riescono. Ti bastava poco per essere felice: un matrimonio, una gita a Roma, un buon gelato, un gioco, una foto da appendere alla parete. Tu, principessa che sei finita sfigurata e putrefatta dopo quaranta giorni in un pozzo, tanto che il professor Strada, che ti ha sezionato e analizzato, ti ha nascosto persino alla tua mamma, quella mamma impietrita, mamma Concetta che al tuo funerale guardava lontano.
Noi che, senza conoscerti, ti abbiamo incontrato nei telegiornali e sui giornali, ti abbiamo mangiata proprio come l’umidità di quel pozzo, un pezzettino al giorno, piano piano, senza sprecare nemmeno una briciola della tua tragica favola. Era troppo bella quella favola e la magia del tuo volto e del tuo sorriso è riuscita, come in un incantesimo, a far salire gli ascolti in tutte le trasmissioni.
Ora che stai uscendo di scena per lasciare spazio ai tuoi assassini e alla rivelazione del male, in cui hai vissuto forse senza saperlo oppure sì, ora che tutta l’Italia partecipa all’indagine nazionale su di te che non ci sei più, ora è proprio arrivato il momento di pregare, pregare per te e per noi, per il nostro lavoro, per voi che state vedendo queste immagini.
Oggi, martedì 21 Settembre, si celebra la 17° Giornata Mondiale dell’Alzeimer che quest’anno ha come titolo “E’ tempo di agire insieme" e ruoterà attorno alla ricerca di un percorso teso all’umanizzazione dell’ammalato di Alzheimer e alla tutela dei suoi diritti, tanto da conferire dignità anche alle voci dei familiari.
La Giornata Mondiale rappresenta in tutto il mondo un momento molto importante di conoscenza e divulgazione di una malattia in costante crescita. Ormai circa 25 milioni di persone nel mondo soffrono di questa forma di demenza (con 4,6 milioni di nuovi casi l’anno) e in Italia i malati sono più di 500.000; purtroppo si stima che le cifre raddoppieranno nei prossimi vent’anni.
La malattia di Alzheimer non ha una terapia risolutiva e, spesso, finisce per "segnare" anche i familiari dei pazienti, dal momento della diagnosi lungo tutto il decorso della malattia.
Dalla mia dolorosa esperienza… un giorno come tanti…
La domenica si fa festa anche a “Casa Madre Teresa”: gli ospiti vengono vestiti con i loro capi più convenienti, le signore con collane colorate e gli uomini anche in giacca e cravatta. Poi si va in giardino a fare merenda, a volte si canta e qualcuno, ancora in grado di farlo, azzarda un contenuto passo di danza. Naturalmente questo aspetto piacevole e ricreativo è un’offerta che la buona disponibilità organizzativa offre a chi ancora è in grado di riceverlo; per alcuni, come è il caso del mio amato sposo, si può a mala pena, avventurarsi in una breve passeggiata in carrozzina, raccogliendo qualche ramoscello per farne un mazzetto odoroso.
Domenica scorsa era una domenica come le altre, ma in giardino c’era un’aria umida e un po’ ventilata per cui gli ospiti se ne stavano quasi tutti all’interno. Io ho preparato il mio Mentore e sono uscita in passeggiata; avevo in testa ancora le parole dette la sera prima da S.E. Mons.Mattiazzo, venuto a celebrare la S.Messa vespertina anche per ricordare il centenario della nascita e l’anniversario della morte della Cara Madre Teresa a cui è dedicata l’opera della nostra Casa. Mi avevano colpito, nel discorso del Vescovo, quelle parole “HO SETE! I’m thirsty” che la piccola suora aveva udito per un giorno intero, mentre si trovava in India a svolgere la sua funzione di maestra come religiosaalbanese di fede cattolica. Il richiamo di Cristo a cui ella rispose aveva un significato: “Sto alla porta del tuo cuore, giorno e notte. Anche quando tu non stai ascoltando, anche quando tu dubiti che possa essere Io, Io sono lì. Aspetto anche il più piccolo segno di una tua risposta, anche l'invito sussurrato nel modo più lieve che mi permetta di entrare. Se ti senti senza importanza agli occhi del mondo, non importa affatto. Per Me non c’è nessun altro in tutto il mondo più importante di te. HO SETE DI TE. Io vengo – con il desiderio ardente di consolarti e di darti forza, di risollevarti e di fasciare tutte le tue ferite. Ti porto la Mia luce, per dissolvere le tue tenebre e tutti i tuoi dubbi.”
Fu questo il messaggio che ascoltò la piccola Suora che oggi fa sì che essa venga paragonata alla Teresa di Lisieux della “piccola via” di cui ella aveva preso il nome. Quale legame viscerale può unire Teresa di Lisieux e Madre Teresa di Calcutta? La sete di Gesù. Il grido di Gesù, menzionato a più riprese nei loro scritti, è stato determinante in ciascuna delle loro vite. Madre Teresa guardò l’umanità sofferente che vedeva oltre le mura del convento, a Calcutta e, con il solo aiuto della fede, di quelle parole “Ho sete”, è diventata fondatrice della congregazione religiosa delle Missionarie della Carità. Il suo lavoro tra le vittime della povertà di Calcutta l'ha resa una delle persone più famose al mondo. Ha vinto il Premio Nobel per la Pace nel 1979, e il 19 ottobre 2003 è stata proclamata beata da Papa Giovanni Paolo II°.
Con questi pensieri mi accingevo a percorrere il vialetto del giardino interno quando ho intravisto una sorta di cuscino bianco fra i rami contorti delle ortensie… ma quell’involto informe si muoveva e mandava qualche debole lamento. Ho lasciato la carrozzina in mezzo al sentiero e sono corsa a vedere di cosa si trattasse; un penoso presagio mi faceva pulsare le vene mentre cercavo di vedere attraverso il groviglio di rami, foglie, zanzare e terriccio a chi appartenesse quella forma umana. Al mio grido di aiuto erano, nel frattempo, accorsi altri parenti e gli operatori che dicevano: “ Ma è la G. Come è uscita da sola? E come è caduta così malamente?” Mentre veniva portata via con l’aiuto dell’infermiere, sentivo in testa quelle parole: “Ho sete!” e pensavo a queste povere creature, senza più autonomia, con brandelli di memoria che, a volte, sfuggono al controllo e si ritrovano in condizioni precarie di cui non avevano ravvisato la pericolosità. Gli occhi spaventati di G. dichiaravano, come Cristo “Ho sete” e mi facevano ricordare che quando ero arrivata, di primo pomeriggio, proprio lei mi era venuta incontro e mi aveva chiesto un bacio. Chissà, nella sua mente forse aveva cercato qualcosa o qualcuno da cui andare per ricevere quell’affetto, quel gesto d’amore di cui queste creature hanno tanta necessità di espressione.
Tornando a casa, la sera, come al solito, ero più ricca dentro, perché lo Spirito Santo mi aveva nuovamente visitata facendomi partecipe e consapevole del Suo amore. “Vengo a te con la mia misericordia, con il mio desiderio di perdonarti e guarirti, e con un amore per te ben oltre quello che puoi comprendere – un amore grande come quello che ho ricevuto dal Padre ("Come il Padre ha amato me, cosi anch’io ho amato voi". Gv 15, 9). Vengo con il mio potere, cosi che tu lo possa portare ad ogni tuo fratello; con la mia grazia, per toccare il tuo cuore e trasformare la tua vita; ed offro la mia pace per placare la tua anima.”
“Coraggio, Mentore, andiamo avanti… non siamo soli!”
Non ho mai dimenticato quel benevolo abbraccio, la mano sulla spalla di un gentile amico, nel momento in cui lasciavo la chiesa dopo le esequie di Andrea: “… vedrai poi che il tempo… diventerà memoria…”
Il tempo? La memoria? Se vogliamo considerare la vita nel suo divenire e come essa si svolge ci si rende conto che il tempo la rappresenta nel suo aspetto più sostanziale. Infatti, la nostra quotidianità non è il passare da un minuto ad un altro, un poco alla volta, ma è il passato che condiziona il nostro presente e intacca il nostro futuro.
In questi quindici anni di momenti lievi, pesanti e dolci, nulla è servito a far diventare memoria quello che è stato ed è, il mio eterno presente. Andrea se n’è andato e con lui la vita si è trasformata in attesa, perché poi tutto è stato accettabile; non mi sono più stupita degli accadimenti inaspettati, delle brusche svolte, delle stranezze quotidiane, dell’incombente senilità. Ho atteso tutto e nulla mi è mancato, o meglio non mi è stato risparmiato nulla. La durata del passato è stato l'incessante persistere del passato nel presente che, condizionando l’avvenire, si accresce anziché diminuire. E poiché ingrandisce continuamente, il passato si conserva indefinitamente.
Certo noi pensiamo solo con una piccola parte del nostro passato, magari riferendoci ad un momento di forte gioia (nascita di Andrea) o di dolore indefinibile (la sua dipartita); ma desideriamo, vogliamo, agiamo con tutto il nostro passato, comprese le nostre tendenze congenite. Il nostro passato ci si rivela, dunque, nella sua interezza, con la pressione che esercita su di noi e sotto forma di tendenza, benché solo una piccola parte di esso si converta in rappresentazione chiara e distinta.
Esso ci segue, tutt'intero, in ogni momento: ciò che abbiamo sentito, pensato, voluto sin dalla prima infanzia è là, chino sul presente che esso sta per assorbire in sé, incalzante alla porta della coscienza, che vorrebbe lasciarlo fuori. La funzione del meccanismo cerebrale è appunto quella di ricacciare la massima parte del passato nell'incosciente per introdurre nella coscienza solo ciò che può illuminare la situazione attuale, agevolare l'azione che si prepara, compiere un lavoro utile.
Ma il passato è integro, pronto a balzare in avanti per assorbirci e condizionare la nostra coscienza. Siamo noi a voler rimuovere le cose che vorremmo non ci appartenessero e ricacciarle nell'incosciente quando non ci servano per illuminare il nostro presente o agevolare l'azione che stiamo preparando.
Ogni nostro stato di coscienza, considerato come un momento di una storia in via di svolgimento, è semplice e particolare, ma non può essere già stato percepito, perché è il concentrato di tutto ciò che è stato più quello che il presente vi aggiunge.
Dice Bergson “Sicché è vero che ciò che facciamo dipende da ciò che siamo; ma bisogna aggiungere che siamo, in certo modo, quali ci facciamo e che ci creiamo continuamente da noi stessi.”
Talvolta qualche ricordo non necessario riesce a passar di contrabbando per la porta socchiusa; e questi messaggeri dell'incosciente ci avvertono del carico che trasciniamo dietro a noi senza averne consapevolezza. Ma, se anche non ne avessimo chiara coscienza, sentiremmo vagamente che il passato è sempre presente in noi. Che cosa siamo, infatti, che cos'è il nostro carattere se non la sintesi della storia da noi vissuta sin dalla nascita, prima anzi di essa, giacché portiamo con noi disposizioni prenatali?
La memoria poi non è, come comunemente s’intende, raccogliere ricordi in un cassetto o scrivere in un diario eventi particolari. Non c'è registro, non c'è cassetto, non è perciò una "facoltà" da usare o meno, perché le cose del passato si accumulano senza un attimo di sosta. E’ proprio il passato che sa conservare se stesso, automaticamente. Tutti gli accadimenti in cui siamo stati coinvolti ci inseguono e influenzano la nostra vita; dall’infanzia abbiamo conservato tutto quello che abbiamo sentito, pensato, voluto…
La memoria è quindi uno “strumento”, comunque una grande conservatrice e ripesca in quelli che definiamo “cassetti” gli oggetti più preziosi: le grandi gioie e i grandi dolori. Sono soprattutto questi ultimi che riaffiorano in tutta la loro crudezza; sono sfrondati dei particolari insignificanti, dei corollari comuni, ma densi di note individuali… sono quelli destinati a non finire mai e costituiscono la storia di ciascuno di noi.
L’uomo nasce come essere sociale e tutti i mezzidi comunicazione di massa lo portano a interagire e a dare di sé la parte più congrua alla situazione da affrontare; ma viene il tempo in cui si è fatto il pieno e quello che si ha, nel bene e nel male, basta per meditare in tutto il tempo che resta da percorrere. Una vita è veramente un soffio quando la si guarda vicino alla linea d’arrivo e la memoria del vissuto è un piccolo lasso di tempo. ( v. la mia condizione attuale)
La nostra personalità, pertanto, germoglia, cresce, matura continuamente. Ciascuno dei suoi momenti è qualcosa di nuovo che si aggiunge a ciò che c'era prima. Anzi, non è solo qualcosa di nuovo: è qualcosa d'imprevedibile. Senza dubbio il mio stato psichico attuale si spiega con ciò che già c'era in me e agiva su di me: analizzandolo, non troverò in esso altri elementi. Ma nemmeno un'intelligenza sovrumana avrebbe potuto prevedere la forma semplice e indivisibile, che dà a tali elementi, affatto astratti, la loro organizzazione concreta: giacché prevedere significa proiettare nel futuro ciò che si è percepito in passato oppure raccogliere in un composto nuovo diversamente ordinato, elementi già noti. Ma ciò che non è mai stato percepito e che è, insieme, semplice, è necessariamente imprevedibile. Tale è, precisamente, ogni nostro stato di coscienza, considerato come un momento di una storia in via di svolgimento: è semplice, e non può essere già stato percepito, giacché concentra nella sua unità indivisibile tutto ciò che è già stato percepito più di quello che il presente vi aggiunge. E’ un momento originale di una storia non meno originale.
Sicché è vero che ciò che facciamo dipende da ciò che siamo; ma bisogna aggiungere che siamo, in certo modo, quali ci facciamo e che ci creiamo continuamente da noi stessi.
La memoria ingigantisce dunque e, con l’età, si perde la capacità di contenerla; perciò si cerca di sintetizzare sempre di più, ritrovandoci con l’essenziale… è il racconto di una vita.
Ho abbandonato nel mio cammino, lungo e faticoso, tutte le cose che contavano meno e ho lasciato brandelli di cuore in ogni dove, chiedendo a Dio di conservarmi a lungo la capacità di immagazzinare, scremare e comprendere gli altri. Poi mi sono guardata intorno ed ho visto che chi mi aveva sorretta in tutto questo tempo e aveva avuto una parte determinante nella mia formazione e nell’accettazione del dolore si era perso per strada, la nostra comune strada, e non aveva più la memoria delle cose.
Come un bambino, il compagno della mia vita si era eclissato e non dava più risposte coerenti, non era più in grado di raggiungermi e condividere i miei pensieri… si può morire in tanti modi! La mia vita è ora fatta di silenzi… e di contatti …
Penso ai tanti miei progetti, ai traguardi raggiunti, alle imprese svolte e tutto è in quel cassetto di cui rimarrà solo polvere, piccole cose per la vita degli altri, pillole di saggezza. Mi rimane il contatto, con una dimensione che prima o poi raggiungerò dove mi stanno aspettando tante persone care, primi fra tutti i miei figli che non hanno mai mancato di incoraggiarmi.
Perciò a chi sta arrivando in questo percorso di fede e di conoscenza dico con tutto il cuore di avere quella speranza che è necessaria non solo per sopravvivere, ma per vivere bene. Apparentemente veniamo abbandonati, un poco alla volta e anche di noi non resterà memoria, ma qualcosa di eterno esiste da sempre e per sempre e a riesumarlo sarà solo Dio.
Il tempo è un dono che la vita ci fa. Lo è anche quando sembra non esserlo, quando stanchi affrontiamo il domani. Ed ogni anno che passa, ogni compleanno, è una tappa importante, un traguardo, una sorte di resa dei conti. Più gli anni passano e più i conti sballano anche se non ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo.
Io non vi auguro un compleanno dove tirare le somme, ma un giorno speciale dove scrivere un nuovo sogno, senza badare ai conti, incosciente ma consapevole che tutto può accadere. E che la tua vita possa essere sempre intensa ed emozionante come un brivido che toglie il respiro per farci respirare più forte.
In questa condizione potremo avvicinarci a questi convegni, qui a Cattolica con maggiore serenità e, siatene certi, saremo cresciuti. L’atteggiamento di chi spera è autenticità che richiama un dono ineffabile divino: quello della “provvidenza” che diviene carisma, luce e conforto.
La speranza e la comunicazione.
Sperare vuol dire attendere il tempo nel momento che , opportunamente, arriverà per ciascuno di noi. Sarà un segno di modeste dimensioni, che altri non noteranno, ma che per noi sarà denso di quel contenuto noto a noi soli e che ci abbaglierà come Paolo sulla strada di Damasco. Prepariamoci a questo evento, e torneremo da Cattolica non come gente che soffre di una malattia inguaribile, ma con lo spirito che si ritrova nella “Salvificidoloris” di Giovanni Paolo II° del 1984.
Siamo arrivati per volere essere riscattati dal nostro tempo impiegato a piangere, ma vogliamo ritornare con la spiritualità di chi non vuole vivere per sempre undolore alienante, nella prospettiva della salvezza e della risurrezione.
Ci incontriamo qui a Cattolica, con gli amici di tanti anni e nuovi arrivati. Io non so se manterrò l’organizzazione e se ci sarò ancora negli anni a venire,… il mio tempo sembra molto limitato ma debbo veramente ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato ad avere la certezza che il mio tempo era ben speso per migliorarmi e migliorare nella via di una nuova redenzione.
Edda CattaniIl tempo della memoria:occasione di vita
Niccolò Fabi, folla di amici e fan
al concerto per ricordare "Lulù"
Quando si tratta di 'BIMBI' noi ci siamo sempre, anche quando purtroppo la notizia è di quelle che non si vorrebbero mai dare.
La piccola Lulù, figlia del cantautore Nicolò Fabi, è volata via lo scorso venerdì. Una meningite fulminante. Aveva due anni.
Sulla sua pagina di Facebook Nicolò ha cercato di sfogare e condividere un po' del suo dolore.
Centinaia di persone, con le coperte, i termos e i bambini, partecipano all'evento organizzato dall'artista nel giorno in cui sua figlia avrebbe compiuto due anni. Sul palco Jovanotti, Elisa, Silvestri e tanti altri: "Un'emozione incredibile"