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L’eterno fascino del “Dolore”

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L’eterno fascino del “Dolore”

amore

Riflessioni che non si possono omettere sono quelle di come si giunga ad amare per “compassione”. Visto in questa prospettiva l’amore è malato perché recita una parte, è una farsa, un’ambiguità.

“Vorrei spiegare il significato della compassione, che è spesso mal compreso. La vera compassione non si basa sulle nostre proiezioni e aspettative, ma, piuttosto, sui diritti dell’altro: indipendentemente dal fatto che l’altra persona sia un amico intimo o un nemico, nella misura in cui detta persona vuole pace e felicità e vuole evitare la sofferenza, su questa base possiamo sviluppare una genuina preoccupazione per i suoi problemi.

Questa è la vera compassione. Di solito, quando siamo interessati alla sorte di un amico intimo, chiamiamo quest’interesse “compassione”; ma non è compassione, è attaccamento.

Se l’unico legame fra amici intimi è l’attaccamento, allora anche un’inezia può indurre un mutamento delle proiezioni. Non appena le proiezioni cambiano, l’attaccamento scompare, perché quell’attaccamento era basato solo sulle proiezioni e sulle aspettative.

È possibile avere compassione senza attaccamento e, similmente, provare rabbia senza odio. Di conseguenza dobbiamo chiarire le distinzioni fra compassione e attaccamento e fra rabbia e odio.

Tale chiarezza ci è utile nella vita quotidiana e nell’impegno per la pace nel mondo. Ritengo che questi siano i valori spirituali di base per la felicità di tutti gli esseri umani, che siano credenti o meno.” Dalai Lama

libro

Nella storia della letteratura italiana ha un posto di primo piano. E “La cognizione del dolore” di Carlo Emilio Gadda non smette mai di stupire i lettori che ancora non la conoscono.

Pubblicata per la prima volta a puntate sulla rivista “Letteratura” tra il 1938 e il 1941, “La cognizione” gaddiana appare adesso in una nuova, splendida edizione Adelphi (pagg. 381, euro 24). Con una ricca appendice che, oltre alla galleria fotografica, propone anche l’intervista

“Ricordo di mia madre”. Il libro mette a confronto nella villa isolata di Lukones il tormentato don Gonzalo, schiavo del male di vivere, e la malinconica vecchia madre: la Signora. In un minuetto di sentimenti in cui si fondono l’amore, la gelosia, la nevrosi e i sensi di colpa. 

In un minuetto di sentimenti in cui si fondono l’amore, la gelosia, la nevrosi e i sensi di colpa.

 

 

 
 
Edda CattaniL’eterno fascino del “Dolore”
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Camminare, viaggiare, pellegrinare

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Camminare, viaggiare, pellegrinare

(Gabriele Gastaldello)

viaggio-insieme  

Ho ripreso vigore camminando… Quando posso mi concedo una camminata in solitaria tra i campi. Cadenzo l’andatura dei passi con il ritmo dei respiri (tre passi un respiro). Guardo, ascolto, tocco la natura intorno a me. Nella quiete rilassante la mente si riposa. Ho imparato a meditare camminando. Tengo in mente il messaggio del poeta Tagore: viaggiai per vasti mari alti monti e non mi accorsi della goccia di rugiada sulla spiga di grano accanto a casa mia!”.

Lo sguardo ordinario diventa straordinario quando guardi con attenzione.

Diventa consapevole delle gambe che ti trasportano e dei piedi che baciano la terra. Ringrazia i piedi per il servizio che ti fanno continuamente. Camminare è medicina di buona salute! Mediamente fai 15 Km al giorno. Il cammino energico e mirato dà energia ai muscoli, dà ossigeno ai polmoni, dà ritmo al cuore, dà creatività alla mente. Quando sei teso, preoccupato o quando sei annoiato dalla stancante pigrizia casalinga, puoi distenderti ed energizzarti camminando. Non ha importanza arrivare alla meta ma vivere durante il cammino: contempli, racconti, entri in contatto con persone e luoghi che incontri. A volte aspetti secondari diventano principali e viceversa. Camminare si dilata nel viaggiare (“viam agere” = “fare strada”) e nel pellegrinare (“per agros ire”= “andare attraverso campi”).

Il turista si interessa dell’estetica, fotografa, non si lascia coinvolgere.
Il viaggiatore si confronta con le persone, gli eventi, i luoghi che incontra.
Il pellegrino, si lascia coinvolgere dalla spiritualità delle persone e dei luoghi, assorbe le loro energie e si ricarica.
   La strada ti distanzia dalle solite occupazioni, ti educa ad essere aperto accogliente, flessibile e libero. Pace sono i tuoi passi, i tuoi respiri, i tuoi sentimenti, i tuoi sguardi, le illuminazioni, le esperienze di pienezza che la contemplazione ti regala. Puoi viaggiare per conoscere il mondo, ma più ancora più importante è conoscere il mondo intimo.
 

Camminando si apre il cammino, / la strada si fa con l’andare…
Il vero viaggio è interiore / la vera meta non è il viaggio,
ma un nuovo modo di guardare…
” 

Esplori il mondo per esplorare te; sei unico originale irripetibile, sei mistero, cioè una ricchezza così grande che non finirai mai di esplorare. “Per lontano che tu vada non raggiungerai i confini dell’anima, tanto è vasto il suo pensiero” (Eraclito, filosofo greco antico). Cresce l’entusiasmo per i pellegrinaggi eroici… Anche tu con i tuoi amici puoi organizzare mini-pellegrinaggi nei luoghi vicini, per contemplare ed esplorare persone e ambienti. Puoi dare ai piccoli spostamenti quotidiani la qualità del pellegrinaggio; con consapevolezza stai attento alle novità della strada.

 

 

Edda CattaniCamminare, viaggiare, pellegrinare
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Non gettare la spugna!

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In questo periodo  di grande sofferenza fisica, nella mia condizione di solitudine fisica e morale, mi sento di riproporre questo testo:

 

spugna

 L’autore è anche fondatore dell’organizzazione internazionale Teen Challenge,  a New York, che aiuta i drogati, i delinquenti e gli emarginati.

Wilkerson è un uomo che ha vissuto a stretto contatto con la sofferenza e che ha sentito una profonda spinta a scrivere questo libro per aiutare tutti coloro che soffrono a non gettare la spugna, cioè a non arrendersi, a non gettare via la propria fede, a non rinunciare alla speranza di vedere ancora Dio all’opera.

 
 
Quante Madri mi scrivono disperate dopo lutti inenarrabili… storie comuni che non trovano risposta!
 
 
QUANDO SI SOFFRE

 

In un modo o nell’altro, tutti soffriamo. Tutti siamo nella stessa barca, anche la folla che se ne va ridendo spensieratamente soffre. Le persone cercano di nascondere la loro sofferenza bevendo e scherzando, ma non passa.
Chi soffre? I genitori di un figliolo o di una figliola prodiga. Milioni di genitori sono stati profondamente feriti da figli che hanno rigettato i loro consigli amorevoli ed ora sono nel dolore per gli inganni e la delinquenza di questi figli un tempo teneri e buoni.

 

Le vittime di famiglie smembrate soffrono. Soffre la moglie abbandonata dal marito per un’altra donna; soffre il marito che ha perso l’amore di sua moglie; soffrono i figli che hanno perso il loro senso di sicurezza.
Altri soffrono per malattie: cancro, problemi di cuore e una miriade di altri malanni. Sentirsi dire da un dottore: “Lei ha un cancro e può morire” deve essere terrificante, eppure fra quanti leggono queste righe molti hanno sperimentato questo dolore e questa agonia.

 

Gli innamorati si lasciano calpestando quello che una volta era un bellissimo rapporto e ciò che rimane è il cuore spezzato, ferito.
E che dire dei disoccupati? Degli scoraggiati davanti al crollo dei loro progetti? E i segregati? I prigionieri? Gli omosessuali? Gli alcolizzati?
È vero! In un modo o nell’altro stiamo tutti soffrendo; ogni individuo sulla terra porta il proprio fardello di dolore e di sofferenza.

 

Non esiste una cura fisica


Quando sei colpito in profondità, nessuna persona al mondo può toglierti le intime paure e le angosce più profonde. Il migliore degli amici non può comprendere interamente la battaglia che stai passando o le ferite che ti sono state inflitte.
Solo Dio può chiudere l’accesso alle ondate di depressione e ai sensi di solitudine e fallimento che ti vengono addosso. Solo la fede nell’amore di Dio può trarre in salvo una mente che soffre. I cuori offesi e spezzati che soffrono in silenzio possono essere guariti solo dall’opera soprannaturale dello Spirito Santo, fuori della quale nessun altro intervento funziona realmente.

 

Dio deve intervenire e prendere in mano la situazione. Egli deve intercettare le nostre vite al punto di rottura, deve stendere le sue braccia amorevoli e portare quel corpo e quella mente sofferente sotto la sua cura e protezione. Dio deve farsi avanti come un Padre premuroso e dimostrare che egli è là per volgere le cose al bene. Egli deve dissolvere le nubi tempestose, cacciare via la disperazione e la tristezza, asciugare le lacrime e rimpiazzare l’afflizione con la pace della mente.


Perché proprio io, Signore?


Ciò che fa più male è sapere che il tuo amore per Dio è forte, e ciò nonostante non riesci a capire che cosa sta cercando di fare nella tua vita. Se tu fossi freddo nei confronti del suo amore allora capiresti perché le preghiere non sono state esaudite. Se tu ti stessi allontanando da Dio, probabilmente capiresti il perché delle prove e delle gravi afflizioni che ti sono ripetutamente venute addosso. Se tu fossi un peccatore incallito che ha disprezzato le cose di Dio, potresti arrivare a credere di avere meritato la grossa batosta. Ma tu non ti stai allontanando, non lo stai rigettando assolutamente; anzi, brami di fare la sua perfetta volontà e desideri ardentemente compiacerlo servendolo con tutto te stesso. Ecco perché la tua sofferenza è così debilitante; ti fa sentire come se ci fosse qualcosa di gravemente sbagliato in te e così metti in dubbio la profondità della tua spiritualità e, a volte, perfino la tua salute.

 

Una voce interiore, proveniente chissà da dove, sussurra: “Forse, in un modo o nell’altro, ho dei difetti. Forse sono stato ferito così profondamente perché Dio non può trovare molto di buono in me. Devo proprio essere fuori dalla sua volontà; egli deve disciplinarmi per rendermi obbediente”.


Gli amici fanno il possibile

 

Un cuore abbattuto o spezzato produce il dolore più atroce che l’uomo possa provare. La maggioranza delle altre sofferenze umane sono solo fisiche, ma un cuore ferito deve sopportare un dolore che è sia fisico sia spirituale.
Gli amici e coloro che amano possono aiutare a lenire il dolore fisico di un cuore a pezzi. Quando ci fanno compagnia ridendo, amandoci e interessandosi a noi, il dolore fisico viene alleviato e c’è un provvisorio sollievo. Ma scende la notte e con essa giunge il terrore dell’angoscia spirituale. La sofferenza è sempre maggiore di notte. La solitudine cala come una nube quando il sole scompare. Il dolore esplode quando sei completamente solo e pensi a come affrontare le voci e le paure che ripetutamente si affacciano.

 

I tuoi amici, che non comprendono pienamente che cosa stai passando, ti offrono molteplici soluzioni superficiali. Si mostrano impazienti con te. In queste occasioni sono generalmente allegri e senza preoccupazioni, e non riescono a capire perché non ti riprendi. Insinuano che ti lasci andare all’autocommiserazione, ti ricordano che il mondo è pieno di cuori afflitti, di sofferenti che, pure, sono sopravvissuti. Più spesso vogliono fare una di quelle preghiere-panacea che immediatamente risolvono tutto. Ti dicono di “lasciare agire la tua fede, rivendicare una promessa, dichiarare la guarigione e lasciarti dietro la disperazione”.

 

Tutto ciò è giusto e buono, ma è una predica che di solito viene da parte di cristiani che non hanno mai provato molte sofferenze nella propria vita. Sono come le balie di Giobbe, che conoscevano tutte le risposte, ma non potevano alleviare il suo dolore. Giobbe disse loro: “Siete tutti quanti dei medici da nulla” (Giobbe 13:4). Grazie a Dio per gli amici ben intenzionati, ma se essi potessero sperimentare la tua angoscia, anche solo per un’ora, il loro tono sarebbe ben diverso. Mettili al tuo posto, anche solo una volta, affinché provino ciò che senti tu e sperimentino l’intima sofferenza che ti porti dietro, allora ti diranno: “Ma come fai a resistere? Io non riuscirei a sopportare quello che stai passando tu!”


Il tempo non risolve niente

 

C’è poi la solita vecchia frase fatta: “Il tempo guarisce tutte le ferite”. Ti dicono di resistere, di forzare un sorriso e di attendere che il tempo sintetizzi il tuo dolore. Ma io sospetto che tutte le massime e i proverbi riguardanti la solitudine siano stati coniati da gente felice, senza grossi problemi. Suona bene, ma non è vero: il tempo non guarisce un bel niente, solo Dio guarisce!
Quando sei nella sofferenza il tempo non fa che aumentare il dolore. Trascorrono i giorni e le settimane, e l’angoscia è sempre lì. La sofferenza non se ne vuole andare, anche se lo dice il calendario. Il tempo potrebbe relegare il dolore in un angolo recondito della mente, ma un minimo ricordo può riportarlo a galla.

 

Ad essere sinceri, sapere che altri credenti hanno sofferto prima di te lungo la storia, non aiuta né te né loro. Ti puoi identificare con personaggi della Bibbia che hanno superato il dolore di terribili prove; ma sapere che altri son passati per dure battaglie non basta a calmare la ferita che brucia nel tuo petto.
Quando leggi come sono usciti vittoriosi dalle loro battaglie, e tu ancora no, questo non fa che aumentare la tua pena. Ti fa sentire come se essi ricevessero le risposte alle loro preghiere perché sono molto vicini a Dio. Ti fa sentire indegno del Signore perché il tuo problema ancora si trascina, malgrado tutti i tuoi sforzi spirituali.


Un duplice problema


Raramente si viene feriti solo una volta. Molti di quelli che stanno male possono mostrare anche altre ferite. Dolore si aggiunge a dolore. Un cuore spezzato di solito è tenero, fragile. Viene facilmente ferito perché non è protetto da una corazza resistente. La tenerezza, da chi ha un cuore ben corazzato, è considerata erroneamente vulnerabilità. La calma è giudicata una debolezza. Il fatto di dedicarsi totalmente a un altro è frainteso come l’essere diventati troppo forti. E il cuore che non si vergogna di ammettere il proprio bisogno d’amore è mal giudicato, quasi che fosse troppo tendente alla sessualità.

Ne consegue, quindi, che un cuore sensibile che cerca amore e comprensione è spesso il più facilmente intaccabile. I cuori aperti e fiduciosi sono di solito quelli più frequentemente feriti.

Il mondo è pieno di uomini e donne che hanno respinto l’amore offerto loro da un cuore gentile e dolce nei loro confronti. I cuori forti, corazzati, che non hanno bisogno di nessuno, i cuori che danno pochissimo, quelli che richiedono che l’amore sia loro costantemente manifestato, quelli che fanno sempre calcoli, quelli che manovrano e servono sé stessi, quelli che hanno paura di rischiare, sono cuori che raramente vengono infranti. Non vengono feriti perché non c’è niente da ferire; sono troppo orgogliosi ed egocentrici per permettere a qualcuno di farli soffrire in alcun modo. Vanno in giro ferendo altri cuori e calpestando le fragili anime che li avvicinano e questo semplicemente perché sono così induriti e ottusi di cuore da pensare che tutti dovrebbero essere come loro. I cuori indurti non amano le lacrime; odiano prendere impegni. Si sentono senza parole se chiedete loro di condividere qualcosa che venga dal cuore.


Chi ferisce un cuore non la passa liscia


Una parte del dolore che un cuore afflitto deve patire viene dal pensiero che l’offensore, colui che l’ha ferito, non ne avrà alcuna pena. Il cuore dice: “Io sono stato colpito e ferito, eppure sono quello che ne paga lo scotto. Il colpevole se la cava senza danno, mentre dovrebbe pagare per ciò che ha fatto”. Ecco il problema delle croci: di solito è la persona sbagliata che viene crocifissa. Ma Dio tiene in serbo i libri e, il giorno del Giudizio, tali libri saranno soppesati. Ma anche in questa vita coloro che affliggono e quelli che feriscono pagano un caro prezzo. Indipendentemente da come tentino di giustificare le loro azioni lesive, essi non riusciranno a sottrarsi alle grida di coloro che hanno ferito. Come il sangue di Abele che gridava dalla terra, le grida di un cuore straziato possono penetrare la barriera del tempo e dello spazio e terrorizzare il più duro dei cuori. Le ferite sono spesso causate da menzogne senza fondamento e ogni bugiardo alla fine deve essere condotto dinanzi alla giustizia.

 

Esiste un balsamo per un cuore spezzato? C’è possibilità di guarigione per le ferite profonde, interiori? Si possono rimettere assieme i pezzi e rendere il cuore ancor più saldo? Può la persona che ha conosciuto un tale tremendo dolore e una tale sofferenza risollevarsi dalle ceneri della depressione e trovare un nuovo e più vigoroso sistema di vita? Sì! Assolutamente sì! E se così non fosse la Parola di Dio sarebbe una beffa e Dio stesso sarebbe un bugiardo: e ciò non è possibile!
Permettimi di darti alcuni suggerimenti su come affrontare la tua sofferenza.


Non cercare di esaminare come e perché sei stato ferito. Ciò che ti è capitato è un guaio molto comune fra gli uomini. La tua situazione non è per niente unica: è la condizione tipica della natura umana.
Che tu abbia ragione o torto non significa assolutamente nulla a questo punto. Ciò che importa è la tua buona volontà di camminare in Dio e di avere piena fiducia nella sua azione misteriosa nella tua vita. La Bibbia dice:


“…non vi stupite per l’incendio che divampa in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Anzi, rallegratevi in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo, perché anche al momento della rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare” (1 Pietro 4:12-13).


Dio non ti ha promesso una vita senza sofferenze: egli ti ha promesso una via d’uscita. Ti ha promesso l’aiuto per sopportare il dolore e la forza per riuscire a rialzarti quando la debolezza ti fa inciampare.
Molto probabilmente tu hai fatto ciò che dovevi fare. Ti sei mosso nella volontà di Dio, seguendo con sincerità l’impulso del tuo cuore. Ci sei finito dentro con un cuore ben disposto, pronto a donarti. Sei stato spinto dall’amore. Non hai abortito dopo un po’ la volontà di Dio; qualcun altro l’ha fatto. Se ciò non fosse vero non saresti proprio tu a stare così male. Sei ferito perché hai cercato di essere sincero.

Non riesci a capire perché le cose ti si siano rivoltate contro, quando sembrava che Dio le stesse guidando. Il tuo cuore si domanda: “Perché Dio ha permesso che mi succedesse, se sapeva che sarebbe finita male? Ma la risposta è evidente. Giuda, per esempio, fu chiamato dal Signore e destinato a diventare un uomo di Dio. Fu scelto direttamente dal Salvatore e avrebbe potuto essere potentemente usato da Dio, ma Giuda respinse il piano di Dio, spezzò il cuore di Gesù. Ciò che era partito come un meraviglioso, perfetto piano di Dio finì in un disastro, poiché Giuda scelse invece di seguire la sua strada. Orgoglio e irrigidimento hanno fatto naufragare il piano di Dio che era in corso.

 

Dunque, metti da parte i tuoi sensi di colpa; piantala di autocondannarti; smettila di ricercare che cosa hai fatto di male. È ciò che pensi in questo momento che ha importanza davanti a Dio. Non hai fatto un errore, molto più probabilmente, hai semplicemente fatto troppo. Devi dire come Paolo: “Se io vi amo tanto, devo essere da voi amato di meno?” (2 Corinzi 12:15).
Ricorda che Dio sa esattamente quanto puoi sopportare e non permetterà che tu raggiunga il punto di rottura. Il nostro caro Padre ha detto:


“Nessuna tentazione vi ha colti che non sia stata umana; però Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscirne, affinché la possiate sopportare” (1 Corinzi 10:13).

Il peggiore tipo di bestemmia è pensare che sia Dio l’autore del tuo dolore e della tua sofferenza, che sia il Padre Celeste a castigarti, che Dio ritenga tu abbia bisogno di un’altra o più afflizioni prima di essere pronto a ricevere le sue benedizioni. Non è così!

 

È vero che il Signore corregge colui che egli ama, ma questa correzione dura solo per un tempo e non è intesa a farci star male. Non è Dio l’autore della confusione presente nella tua vita, né lo sei tu. È l’insufficienza umana il nemico che semina zizzania nel tuo campo, è l’inganno ricevuto da qualcuno, vicino a te, che ha perso la fede in Dio. Il nemico cerca di farci del male tramite altri esseri umani, proprio come cercava di fare male a Giobbe mediante la moglie incredula.
Il tuo Padre celeste veglia su di te con uno sguardo attento. Ogni mossa è seguita, ogni lacrima è conservata. Egli si immedesima in te in ogni tuo dolore, sente ogni colpo. Egli sa quando sei stato esposto sufficientemente alla molestia del nemico; perciò interviene e dice: “Basta così!” Quando il dolore e la sofferenza non ti portano più ad avvicinarti al Signore e, al contrario, la tua vita spirituale comincia a venir meno, allora Dio interviene. Non permetterà, ad uno dei suoi figli che confidano in lui, di finire a terra a causa di troppo dolore e angoscia nel loro animo. Quando la sofferenza comincia ad agire a tuo discapito, quando essa comincia a frenare la tua crescita, Dio deve operare e tirarti fuori per un po’ dalla battaglia. Non permetterà mai che tu ti consumi in lacrime, non lascerà che il dolore ti faccia perdere la ragione. Egli promette di giungere, giusto in tempo, per asciugare le tue lacrime e darti gioia.

La Parola di Dio afferma: “…il pianto può durare per una notte, ma la mattina viene il giubilo” (Salmo 30:5, traduzione letterale dalla versione inglese KJV).


Quando il tuo dolore è massimo, vai a pregare nella tua cameretta e sfoga in lacrime tutta la tua amarezza. Gesù pianse, Pietro pianse amaramente! Pietro si portò dietro il dolore per avere rinnegato il Figlio di Dio stesso. Egli camminò solo, sui monti, piangendo di dolore e quelle lacrime amare operarono un dolce miracolo in lui: se ne tornò indietro, per attaccare il regno di satana.
Una donna che ha dovuto subire una mastectomia ha scritto un libro intitolato Prima piangi. Quanto è vero! Ho parlato recentemente a un amico che da poco era stato informato di avere un cancro all’ultimo stadio. “La prima cosa da fare”, diceva “è piangere finché non ti restano più lacrime, poi comincia ad accostarti maggiormente a Gesù, finché senti che le sue braccia ti stanno saldamente sostenendo”.

 

Gesù non ignora mai un cuore implorante. Sta scritto: “Tu, Dio non disprezzi un cuore abbattuto e umiliato” (Salmo 51:17). In nessun caso il Signore ti dirà: “Controllati! Rimettiti in piedi e inghiotta la pillola! Stringi i denti ed asciugati le lacrime”. No! Gesù conserva ogni singola lacrima nel suo contenitore eterno.
Stai soffrendo? Molto? Allora vai a farti un bel pianto! E continua a piangere finché hai lacrime da versare. Ma stai attento che quelle lacrime scaturiscono solo dal dolore e non da incredulità o da autocompassione.


Convinciti che sopravviverai, ne uscirai fuori; vivo o morto, tu appartieni al Signore. Saresti sorpreso nel costatare quanto puoi riuscire a sopportare, con l’aiuto di Dio. Felicità non è vivere senza dolori o sofferenze, assolutamente! La vera felicità è imparare a gioire nel Signore, qualsiasi cosa sia successa nel passato.
Ti puoi sentire respinto o abbandonato. La tua fede può essere debole. Puoi sentirti d’essere andato al tappeto. Il dolore, le lacrime, i mali e la sensazione di vuoto a volte possono soffocarti, ma Dio è ancora saldo sul suo trono. Egli è ancora Dio!

Non puoi farcela da solo. Non puoi frenare il dolore e la sofferenza. Ma il nostro benedetto Signore ti verrà incontro, ti raccoglierà con la sua mano amorevole e ti solleverà per farti nuovamente sedere nei “luoghi celesti”. Ti libererà dalla paura di morire e manifesterà il suo infinito amore per te.
Guarda in alto! Rassicurati nel Signore. Quando il buio ti circonda e non vedi alcuna via d’uscita per il tuo problema, abbandonati nelle braccia di Gesù e abbi semplicemente fiducia in lui. Deve fare tutto lui! Egli però vuole la tua fede, la tua fiducia. Vuole che tu proclami a voce alta: “Gesù mi ama! Egli è con me! Non mi abbandonerà! Sta risolvendo tutto, proprio adesso! Non sarò abbattuto! Non sarò sconfitto! Non sarò una vittima di satana! Non perderò la testa, né mi smarrirò! Dio è dalla mia parte! Io lo amo ed egli mi ama!”


La linea di partenza è la fede, e la fede si basa su questo assoluto: “Nessuna arma fabbricata contro di te riuscirà…” (Isaia 54:17).

tratto da: “Non Gettare la Spugna” di David Wilkerson

 

 

Edda CattaniNon gettare la spugna!
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Sta arrivando l’estate!

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Stanotte, alla finestra, ho sentito l’odore dell’estate e, in un attimo, mi sono ricordata del mare, del sole, dell’allegria e della freschezza tipiche di questa stagione!

Mi piace sentire l’odore delle emozioni….

Questi rossi papaveri mi ricordano i campi sterminati della mia Romagna; il rosso rappresenta il sangue del cuore e il verde la speranza che lo alimenta.

” AI  PREAT  LA  BIELE  STELE”

Ai preat la biele stele,  duc’ i sants del paradis. che il Signor fermi la uère, che il mio ben torni al pais…”

“Ho pregato le stelle ed i santi del paradiso perché il Signore fermi la guerra e perché il mio amato bene torni a casa”.  

Con queste parole inizia una dolcissima canzone friulana della tradizione del canto popolare; una vera e propria poesia, accompagnata da una melodia lieve e trepidante, ricca di sfumature melanconiche ma che non inducono alla tristezza, trasmettendo, invece, un senso di pace e serena tranquillità nell’accettare le vicende della vita. La preghiera è affidata alle stelle, perché la portino, là, dove c’è l’amor mio.

Qualche sera fa mi sono trovata a cantare sommessamente in macchina, al ritorno dal mio quotidiano peregrinare dalla Casa “Madre Teresa di Calcutta” dove il mio amato sposo trascorre le giornate, nella  speranza di poterlo vedere con qualche attimo di serenità. Il mio volto si è rigato di lacrime e, nella mia solitaria commozione, mi è tornata alla mente un reminiscenza del mio passato di adolescente. Ero in collegio, con tante mie coetanee ed era una calda serata di maggio. Un gruppetto di noi guardava con malinconia la finestra all’ultimo piano dove una giovane suora, nostra maestra di musica, affetta da un male incurabile, stava concludendo la sua breve esistenza circondata dalle consorelle. All’improvviso, una di noi intonò a bassa voce un canto: “Ai preat la biele stele…” che avevamo imparato insieme e, dopo qualche istante, vedemmo schiudersi le imposte della stanza che lasciarono filtrare la fioca luce di una lampada. Quale commozione nei nostri cuori e quale ringraziamento a Dio per averci permesso di accompagnare gli ultimi istanti di una creatura sofferente, verso la “buona morte”, un momento di enorme valore psicologico, emotivo, spirituale, un momento di passaggio.  Abbiamo capito, in quella circostanza che il rapporto con la morte dipende da quello con il dolore, con se stessi, con i cari e con la propria concezione del divino.

In questi giorni, in cui riaffiorano i ricordi in un’altalena di sentimenti diversi che vorrebbero annullare il tempo, sovrastarlo, riviverlo solo con esperienze positive, mi viene da pensare con la malattia che ha colpito Mentore, alla “morte” ormai alla soglia della nostra vita… basta un attimo…
La cosa più incredibile in questo mondo, a prescindere dalle credenze personali, è che sebbene tutti noi abbiamo visto morire, nel corso della nostra esistenza, i nostri Cari, a volte con un dolore atroce, come quando si perde un figlio,  moltissime altre persone, non pensano spesso che un giorno la stessa cosa accadrà a tutti, senza alcuna distinzione di età, di sesso, di ceto sociale… In fondo anch’io, quando mi sveglio al mattino e mi guardo nello specchio, per un attimo penso di avere i capelli biondi. Ovviamente non è vero, sono quasi tutti bianchi e se ci rifletto con attenzione, ho una coscienza sempre maggiore della morte che si avvicina. Ed allora ci si accorge che vorremmo per noi e per coloro che ci restano, ancora tanto, tanto da vivere e quanto sia difficile allontanarsi da questo pensiero.  

Ricordo ancora una cara amica, sempre una suora che mi aveva educata, che andai a trovare poco prima che mancasse, a novantaquattro anni. Rammento di lei questa espressione: “Vedi Edda, io sono stata la sposa di Cristo per tutto questo tempo… pensa che sono entrata in convento a quattordici anni! Eppure, quando penso a quel momento, a quel passetto che dovrò fare… mi sento sgomenta. Non è facile perciò per tutti pensare alla nostra fine, anche se a volte, a parole ce l’auguriamo, ma quando riflettiamo sul fatto che tutto cambia, tutto scorre, riusciamo a vedere le cose con maggior distacco, e possiamo persino pensare che sia accettabile abbandonare la vita. Per me la riflessione sulla morte e il contatto quotidiano con lei sono stati importantissimi per accettare questo concetto. Pertanto spero che, come me, consideriate il nostro tempo non solo come una cosa utile per aiutare chi soffre e sta morendo, ma anche come una lezione che in futuro potrà essere utilizzata da noi stessi e dagli altri. Parlo di questo tenendo alta l’impronta della mia sofferenza e della morte affinché gli altri si rendano conto della sua esistenza: ma il messaggio di fondo è l’importanza della vita.

Avere cura delle persone che stanno per morire non consiste soltanto nel sedersi accanto al loro letto, la cura del tempo della morte, è un processo di crescita e di trasformazione, la morte è qualcosa di più. E’ qualcosa che riguarda le relazioni: con noi stessi, con coloro che amiamo, con l’immagine che abbiamo di Dio, o di quello che Dio rappresenta per noi. Ma per comprendere a fondo queste relazioni dobbiamo oltrepassare il concetto classico di morte.

Qualche giorno fa, ho visto alla televisione, l’intervista ad una tassista che trasporta i bambini malati di tumore, dall’ospedale a casa, quando sono in terapia. Questa persona ha trasformato il dolore per la perdita del suo compagno in un gioioso peregrinare a fianco dei suoi piccoli malati ed ha trasformato se stessa ed il suo taxi in personaggi da fiaba: pupazzi, fiori, folletti, libri, fiocchi, colori… Lei ripeteva: “Per addormentare il dolore, non bisogna mai sottovalutare l’importanza della presenza umana.”
Credo che dovremmo fare tutto il possibile per creare dei luoghi piacevoli e accoglienti dove le persone possano prepararsi a morire con dignità, rispetto per sé stessi e i propri cari
. Abbiamo inventato dei luoghi meravigliosi come i musei, in cui sono racchiusi i capolavori dell’arte creata dagli uomini, le opere che hanno ispirato e ispirano la nostra vita. E’ arrivato il momento di creare dei luoghi simili per chi sta morendo. La cosa più triste è che la nostra cultura sta perdendo questa opportunità perché non ci permette di sperimentare questa cosa.

La sofferenza e l’avvicinarsi della morte hanno molto da insegnarci, perché aiutano a capire cosa è importante della nostra vita. In un modo o nell’altro ci mettono di fronte a due domande fondamentali: quanto ho amato? E ho amato bene? Tutto il resto è un di più. Ma se queste sono le due vere domande che ci poniamo al termine della vita, perché dobbiamo aspettare la fine per farcele? I luoghi della sofferenza e della morte vedono persone che hanno molto da insegnarci.

In conclusione, non si tratta soltanto di occuparci delle persone che stanno per morire. Ma di imparare da loro come vivere degnamente la nostra vita. Non ha senso attendere la fine per apprendere le lezioni che la vita ha pensato di impartirci. Non tutti, al momento della morte, hanno la forza fisica e la stabilità emotiva per affrontare questa cosa. Ecco perché la pratica Zen insegna: non aspettare!

Edda Cattani


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Sul fine vita

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Sul fine vita

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Per Papa Francesco è “moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito ‘proporzionalità delle cure’…”. Tanti i commenti alle parole di Bergoglio. Frate Alberto Maggi, intervistato da Repubblica, sottolinea: “Il punto è: è sacra la vita o l’uomo? Se è sacra la vita si deve difendere a oltranza anche quando diviene accanimento; se, invece, è sacro l’uomo gli si deve riconoscere la sua dignità e in alcuni casi lo si può anche aiutare ad andarsene serenamente”

Sta inevitabilmente facendo discutere la lettera inviata da Papa Francesco a Monsignor Vincenzo Paglia e ai partecipanti al Meeting Regionale Europeo della World Medical Association, in cui il Pontefice cita, tra l’altro, la Dichiarazione sull’eutanasia del 5 maggio 1980. Per Bergoglio è “moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito ‘proporzionalità delle cure’”. Bergoglio, che con le sue parole si inserisce prepotentemente nel dibattito sul “fine vita”, sottolinea la necessità di “un supplemento di saggezza, perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona”.

 

 

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Tra i commenti seguiti all’intervento di Bergoglio, segnaliamo l’intervista a Repubblica del biblista Alberto Maggi, che parte da un episodio personale: “Ero ricoverato in ospedale per dissezione aortica. Non sapevo bene che malattia fosse. Accesi l’iPad e lessi che dava alta possibilità di morte. Parlai coi medici prima dell’operazione chirurgica che di lì a poco dovevo subire. Fui chiaro: se fossi rimasto paraplegico volevo vivere, ma se fossi incorso in danni cerebrali permanenti, come era altamente probabile, no, dovevano lasciarmi morire.Parlai anche col mio confratello Ricardo e gli dissi di far sì che le mie volontà fossero in tutto e per tutto esaudite: ‘Per carità — gli dissi — se succede aiutami a staccare’”.

Nel corso dell’intervista il teologo si sofferma anche sulle parole del Papa: “Dicono della sua passione per l’umanità. Il Papa alla dottrina preferisce l’uomo. Non vuole portare gli uomini verso Dio, sennò ci sarebbe bisogno di leggi, di norme, quanto portare Dio verso gli uomini. E vuole farlo, appunto, non con una dottrina ma con una carezza, un linguaggio insomma che tutti possono capire…”.

(da il libraio.it)

Edda CattaniSul fine vita
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Non si spenga mai la speranza

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 Non si spenga mai la speranza nei nostri cuori

 









Come potremo riaccendere le altre candele se non crediamo nell’amore di Dio?

 

La speranza

Qual è la sorgente della speranza cristiana?

In un tempo in cui spesso si fatica a trovare delle ragioni per sperare, coloro che mettono la propria fiducia nel Dio della Bibbia hanno più che mai il dovere di «rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in loro» (1 Pietro 3,15). Spetta a loro cogliere ciò che la speranza della fede contiene di specifico, per poter viverlo.

Ora, anche se per definizione la speranza guarda al futuro, per la Bibbia essa si radica nell’oggi di Dio. Nella Lettera 2003, frère Roger lo ricorda: «[La sorgente della speranza] è in Dio, che non può che amare e che instancabilmente ci cerca».

Nelle Scritture ebraiche, questa Sorgente misteriosa della vita che noi chiamiamo Dio si fa conoscere perché chiama gli esseri umani a entrare in una relazione con lui: stabilisce un’alleanza con loro. La Bibbia definisce le caratteristiche del Dio dell’alleanza con due parole ebraiche: hesed e emet (per es. Esodo 34,6; Salmi 25,10; 40,11-12; 85,11). Generalmente, si traducono con «amore» e «fedeltà». Dapprima ci dicono che Dio è bontà e benevolenza senza limiti e si prende cura dei suoi, e in secondo luogo, che Dio non abbandonerà mai quelli che ha chiamati ad entrare nella sua comunione.

Ecco la sorgente della speranza biblica. Se Dio è buono e non cambia mai il suo atteggiamento né ci abbandona mai, allora, qualunque siano le difficoltà – se il mondo così come lo vediamo è talmente lontano dalla giustizia, dalla pace, dalla solidarietà e dalla compassione – per i credenti non è una situazione definitiva. Nella loro fede in Dio, i credenti attingono l’attesa di un mondo secondo la volontà di Dio o, in altre parole, secondo il suo amore.

Nella Bibbia, questa speranza è spesso espressa con la nozione di promessa. Quando Dio entra in relazione con gli esseri umani, in generale questo va di pari passo con la promessa di una vita più grande. Ciò inizia già con la storia di Abramo: «Ti benedirò, disse Dio ad Abramo. E in te saranno benedette tutte le famiglie della terra» (Genesi 12,2-3).

Una promessa è una realtà dinamica che opera delle possibilità nuove nella vita umana. Questa promessa guarda verso l’avvenire, ma si radica in una relazione con Dio che mi parla qui e ora, che mi chiama a fare delle scelte concrete nella mia vita. I semi del futuro si trovano in una relazione presente con Dio.

Questo radicamento nel presente diventa ancora più forte con la venuta di Gesù Cristo. In lui, dice san Paolo, tutte le promesse di Dio sono già una realtà (2 Corinzi 1,20). Certo, ciò non si riferisce unicamente a un uomo che è vissuto in Palestina 2000 anni fa. Per i cristiani, Gesù è il Risorto che è con noi nel nostro oggi. «Sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempo» (Matteo 28,20).

Un altro testo di san Paolo è ancora più chiaro. «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Romani 5,5). Lungi dall’essere un semplice augurio per l’avvenire senza garanzia di realizzazione, la speranza cristiana è la presenza dell’amore divino in persona, lo Spirito Santo, fiume di vita che ci porta verso il mare di una piena comunione.

Come vivere della speranza cristiana?

 

La speranza biblica e cristiana non significa una vita nelle nuvole, il sogno di un mondo migliore. Non è una semplice proiezione di quello che vorremmo essere o fare. Essa ci porta a vedere i semi di questo mondo nuovo già presente oggi, grazie all’identità del nostro Dio che si manifesta nella vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Questa speranza è inoltre una sorgente di forza per vivere in un altro modo, per non seguire i valori di una società fondata sul desiderio di possesso e sulla competizione.

Nella Bibbia, la promessa divina non ci chiede di sederci e attendere passivamente che si realizzi, come per magia. Prima di parlare ad Abramo di una vita in pienezza che gli è offerta, Dio gli disse: «Vattene dal tuo paese e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò» (Genesi 12,1). Per entrare nella promessa di Dio, Abramo è chiamato a fare della sua vita un pellegrinaggio, a vivere un nuovo inizio.

Così pure, la buona novella della risurrezione non è un modo per distoglierci dai compiti di quaggiù, ma una chiamata a metterci in cammino. «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? … Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura… Voi mi sarete testimoni… fino agli estremi confini della terra» (Atti 1,11; Marco 16,15; Atti 1,8).

Sotto l’impulso dello Spirito del Cristo, i credenti vivono una solidarietà profonda con l’umanità priva dalle sue radici in Dio. Scrivendo ai Romani, san Paolo evoca le sofferenze della creazione in attesa, paragonandole alle doglie del parto. Poi continua: «Anche noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente» (Romani 8,18-23). La nostra fede non ci fa dei privilegiati fuori dal mondo, noi «gemiamo» con il mondo, condividendo il suo dolore, ma viviamo questa situazione nella speranza, sapendo che, nel Cristo, «le tenebre stanno diradandosi e la vera luce già risplende» (1 Giovanni 2,8).

Sperare, è dunque scoprire dapprima nelle profondità del nostro oggi una Vita che va oltre e che niente può fermare. Ancora, è accogliere questa Vita con un sì di tutto il nostro essere. Gettandoci in questa Vita, siamo portati a porre, qui e ora, in mezzo ai rischi del nostro stare in società, dei segni di un altro avvenire, dei semi di un mondo rinnovato che, al momento opportuno, porteranno il loro frutto.

Per i primi cristiani, il segno più chiaro di questo mondo rinnovato era l’esistenza di comunità composte da persone di provenienze e lingue diverse. A causa di Cristo, quelle piccole comunità sorgevano ovunque nel mondo mediterraneo. Superando divisioni di ogni tipo che li tenevano lontani gli uni dagli altri, quegli uomini e quelle donne vivevano come fratelli e sorelle, come famiglia di Dio, pregando insieme e condividendo i loro beni secondo il bisogno di ciascuno (cfr. Atti 2,42-47). Si sforzavano ad avere «un solo spirito, uno stesso amore, i medesimi sentimenti» (Filippesi 2,2). Così brillavano nel mondo come dei punti di luce (cfr. Filippesi 2,15). Sin dagli inizi, la speranza cristiana ha acceso un fuoco sulla terra.

Lettera da Taizé: 2003/3

 

 

 

 
 
 


 


 

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Le cose che ho imparato dalla vita

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Le cose che ho imparato dalla vita

 

Ecco alcune delle cose che ho imparato nella vita:


Che non importa quanto sia buona una persona, ogni tanto ti ferirà. E per questo, bisognerà che tu la perdoni.
Che ci vogliono anni per costruire la fiducia e solo pochi secondi per distruggerla.
Che non dobbiamo cambiare amici, se comprendiamo che gli amici cambiano.
Che le circostanze e l’ambiente hanno influenza su di noi, ma noi siamo responsabili di noi stessi.
Che, o sarai tu a controllare i tuoi atti, o essi controlleranno te.
Ho imparato che gli eroi sono persone che hanno fatto ciò che era necessario fare, affrontandone le conseguenze.
Che la pazienza richiede molta pratica.
Che ci sono persone che ci amano, ma che semplicemente non sanno come dimostrarlo.
Che a volte, la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale quando cadrai, è invece una di quelle poche che ti aiuteranno a rialzarti.
Che solo perché qualcuno non ti ama come tu vorresti, non significa che non ti ami con tutto te stesso.
Che non si deve mai dire a un bambino che i sogni sono sciocchezze: sarebbe una tragedia se lo credesse.
Che non sempre è sufficiente essere perdonato da qualcuno. Nella maggior parte dei casi sei tu a dover perdonare te stesso.
Che non importa in quanti pezzi il tuo cuore si è spezzato; il mondo non si ferma, aspettando che tu lo ripari.

 (Paulo Coelho)

 

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Mente amica

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Mente amica

 

Nessun uomo è un’isola. Insieme siamo interconnessi e interdipendenti. Siamo quello che siamo per merito di ciò che siamo insieme nelle collaborazioni quotidiane (Ubuntu).

La vita è una scuola continua, stai imparando dalle occasioni e dalle provocazioni.
Il cervello è plastico, i pensieri modellano la mente, quando apprendi qualcosa di nuovo o fai nuove esperienze il cervello cresce.
Continua a far palestra con la mente costruendo bozze, schemi, collegamenti, formule brevi per aiutarla a ricordare.

La scrittura può aiutarti a chiarire pensieri ed emozioni e a guardarti dentro con sincerità.
Scrivere può aiutarti a comprendere te stesso e a guarirti.

La mente è la tua migliore amica se sai come governarla.

Scrivo per chiarirmi, per farmi compagnia, per abitare con i miei pensieri e allargare la consapevolezza delle mie risorse. Scrivo per trovare i fili conduttori nel labirinto intricato delle esperienze. A volte sono visitato da pensieri che illuminano, parlano, toccano… li accolgo con diligenza, li deposito sulla carta per poterli ri-trovare e perfezionare. Trasformo pensieri improvvisi in scritture spontanee. Scrivo a me con benevolenza, contemplo ciò che scrivo per comunicare bene con me e con gli altri. In questo modo riesco a stabilire un contatto più intimo con ciò che realmente sento e penso“.

La pratica della lettura-scrittura collettiva di testi è una variante del racconto auto-biografico, che raccoglie la creatività dei partecipanti e rafforza relazioni significative.

Nell’era di internet c’è il pericolo di perdere la scrittura personale-manuale, tra varie tastiere. C’è il pericolo che il cervello diventi macchina e il cuore sia inaridito dall’intelligenza artificiale. Per prevenire tutto ciò, è bene dare importanza alla scrittura bio-grafica: scrivi per pensare, scrivendo vengono pensieri che svelano te a te, attivano la capacità contemplativa e fanno crescere la comunione con la gente e con l’ambiente.

(da La Scuola del Villaggio)

 

Edda CattaniMente amica
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Non c’è amore senza rispetto

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Non c’è amore senza rispetto

Non c’è amore senza rispetto. E il rispetto nasce sempre e solo quando si ha la consapevolezza del proprio valore e della propria dignità. Quel valore e quella dignità che ogni essere umano possiede, e che non dipendono affatto da quello che si fa o non si fa, si dice o non si dice, si è o non si è. Il rispetto è ciò che è dovuto ad ogni persona in quanto persona. Rispetto di sé prima ancora che rispetto dell’altro. Anche se le due cose, in fondo, vanno sempre insieme. Come si fa d’altronde a rispettare un’altra persona quando non ci si rispetta da soli, o a rispettarsi quando non si è rispettati? Come si fa ad amare quando non ci si ama?
Tutto comincia molto presto. Quando si è piccoli e indifesi, e non si può fare altro che essere se stessi, semplicemente se stessi e nient’altro. Tutto nasce da lì. Da quell’amore che dovrebbe essere senza «perché» e senza «ma». Quell’amore incondizionato che è poi la base della fiducia in se stessi e dell’amore per gli altri. Perché ci si sente riconosciuti per quello che si è, e allora si può anche correre il rischio di aprirsi agli altri e di andare incontro al futuro certi che, prima o poi, si incontrerà colui o colei con cui si sarà di nuovo liberi di essere se stessi.
Ma di rispetto, oggi, ce n’è ben poco. Fin dall’inizio. Quando si è ancora piccoli e indifesi. Anche se si capisce già che non basta essere se stessi per essere accolti. Con tutte quelle aspettative che ci cadono sulle spalle. Con tutta quell’ansia di perfezione e di dovere che ci costringe a crescere in fretta. Perché niente viene da sé. E anche il rispetto ce lo si deve guadagnare. «Quando sarai grande capirai». «Quando sarai grande mi ringrazierai». Frasi buttate lì come un’evidenza. Anche se di evidente non hanno niente. A parte la minaccia recondita di sentirsi diseredati da chi avrebbe invece il dovere di amarci nonostante tutto.
«Ti rispetto se tu mi rispetti», dicono oggi tanti giovani. Abbandonati troppo presto a loro stessi. In un mondo che forse insegna a battersi per ottenere qualcosa, ma che non insegna mai la gratuità dell’amore e del rispetto. Ecco perché l’amore sembra un’incognita e si confonde con la passione. Non riconosce e non accetta. Fino a contraddirsi. Sciogliendosi come neve al sole nel momento in cui cadono le maschere e la verità appare nuda.
Ma non è certo questo l’amore di cui parlo ormai da tante settimane. E che quando arriva non passa mai. Nonostante le storie d’amore possano anche terminare. Perché lo si porta dentro di sé come un pezzo di identità. Ricordandoci che ne vale sempre la pena, che non importa se abbiamo sbagliato, che siamo importanti e preziosi e unici…
Quest’amore che copre sempre tutto, nonostante sia pieno di fratture, è oggi molto raro. Forse perché siamo tutti troppo concentrati sull’immagine che diamo di noi stessi. Forse perché siamo un po’ tutti alla ricerca disperata di un senso e di una direzione. E ci accontentiamo di lottare per meritare rispetto, invece di capire che il rispetto è già in noi, e che basterebbe accoglierlo e riconoscerlo per poi amarci e amare.
E invece no. Giuriamo e spergiuriamo, proclamiamo grandi verità e poi ci contraddiciamo, ci vantiamo di essere coerenti e poi crolliamo sotto il peso dell’impostura. Come se per amare e lasciarsi amare dovessimo per forza contemplarci in uno specchio e innamorarci anche noi della nostra immagine. Sempre più narcisi e sempre meno sicuri di noi stessi. Sempre più egoisti e sempre meno tolleranti. 

Edda CattaniNon c’è amore senza rispetto
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Trasformare le ferite in perle

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TRASFORMARE LE FERITE IN PERLE

Il pensiero è calamita: esso attira energia su ciò che pensi.

Dove va il pensiero là porti energia.

Ti giova ospitare pensieri che danno fiducia, speranza e aiuto.

Considera il corpo e la mente come due amici che si aiutano.

Quando la mente è abitata da emozioni spiacevoli

mettila a riposare e attiva il corpo.

Puoi valorizzare questo collegamento per guarire emozioni malate e promuovere serenità. Anticipa con le azioni del corpo quello che vuoi essere con le emozioni della mente. Puoi imitare i gesti delle persone calme,serene,tranquille.Che cosa stai dicendoti per essere arrabbiato, triste o depresso? Esplora le emozioni come una lingua da apprendere e praticare. Considera questi inviti:

Quando sei triste, depresso…esci da te, fa movimenti energici e mirati, lavora, cammina, canta…và a incontrare persone.

Quando senti rancore verso qualcuno, slanciati nell’ emozione opposta per fare equilibrio. Spegni il fuoco della rabbia perchè non ti faccia male. La riconciliazione prima di essere un favore all’altro è un regalo a te. Immagina le buone ragioni dell’altro con empatia. Fai gesti di rispetto e affetto… anche se sei poco convinto l’azione porta energia al pensiero corrispondente.

Quando uno stormo di pensieri tristi ti invade batti le mani per farli scappar via e chiama pensieri positivi che ti fanno buona compagnia.

Quando attraversi una avversità, pensa che puo essere una opportunità.

(da ‘La Scuola del Villaggio’)

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