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Lasciarsi amare

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LASCIARSI AMARE

E dopo la debolezza è  volonta’ di tornare a vivere

 

 

Non è facile accettare la propria debolezza, guardare le proprie fatiche, prendere in mano i propri limiti, ammettere di aver bisogno degli altri.

Non è facile con umiltà chiamare per nome le ferite della propria anima e farle medicare. Non è facile lasciare le proprie sicurezze, futili e a volte chiaramente posticce… ma ancora sicurezze.

Lasciarsi amare è la disponibilità a ricevere qualcosa che non si può ripagare. E’ riconoscere che non ‘si è meritato’ ciò che viene donato, ma che semplicemente qualcuno ci ama gratis; nonostante i nostri limiti, le nostre ferite, le nostre debolezze. Siamo amati in tutto, accolti per ciò che siamo, e proprio così aiutati a risollevarci e ripartire, a non compiangerci e fermarci.

Mi sembra espressiva questa immagine dello ‘spogliarsi’…

Svestirsi chiede di mettersi in balia di un altro, di lasciare la copertura del proprio rassicurante ‘look’ e mostrarsi come si è: si diventa vulnerabili, si deve superare la paura di ‘non piacere’. La nudità ha un impatto molto grande nella nostra interiorità……

Lasciarsi amare è un po’ spogliarsi interiormente, lasciare che qualcuno ci ami così per quello che siamo, e non per l’immagine di ciò che vorremmo essere. Lasciarsi amare è imparare a ricevere!

E’ scoprire di essere poveri, e che la propria povertà permette a un altro di condividere la propria ricchezza.

Lasciarsi amare richiede di farsi poveri e di far crescere in sé l’umiltà.

E’ la consapevolezza profonda della propria non autosufficienza.

E’ rimanere in attesa.

E’ rimanere nella disponibilità all’iniziativa di un altro.

 

 

Francesca Venturelli

Edda CattaniLasciarsi amare
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Da Eduardo a Luca

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E' morto Luca De Filippo, maestro del grande teatro napoletano

 

 

La scomparsa di Luca De Filippo ci priva di un grande interprete della scena italiana, autentico erede della tradizione napoletana capace di portare la sua verve non solo nel repertorio classico ma anche in quello contemporaneo conducendo una vita nel teatro, con il teatro, per il teatro

 

PARLARE CON I GESTI

www.scuoladevillaggio.it

incontro del mese di dicembre 2015.

Puoi conoscerti attraverso i gesti che fai, puoi osservarti al rallentatore e immaginare di guardarti da fuori. I gesti manifestano ciò che pensi. Osserva come muovi le membra e impara il linguaggio del corpo per comunicare bene con te e con gli altri. Attraverso i gesti puoi dare energia alle parole e ai pensieri; infatti i gesti conducono ai pensieri corrispondenti.

Tu stai comunicando continuamente con l'espressione del volto, il movimento degli occhi e delle mani, il ritmo delle parole, la pausa e il silenzio: la pausa dà autorità, il silenzio fa pensare. Non si può non comunicare. I gesti comunicano più delle parole; esse comunicano circa il 30%, il corpo circa il 70%. Puoi educarti a diventare consapevole di ciò che stai comunicando e del modo in cui lo comunichi.

Puoi imitare i gesti che apprezzi negli altri.

Suggerimenti: rallenta i movimenti, allunga i respiri, distendi i muscoli del volto con un sorriso leggero. Quando tratti con la gente in pubblico guarda gli occhi di chi ti parla, fa' che il tuo sguardo sia un rito fatto bene. Con lo sguardo calmo, sereno e quieto comunichi fiducia. Modula la voce con calma; non nascondere le mani; se puoi rivolgi i palmi verso l'altro; dopo aver ricevuto parole spiacevoli, lascia scorrere giudizi sfavorevoli, non entrare nella danza del conflitto ma dici: “Capisco”… “Apprezzo ciò che c'è ”… “Siamo qui per aiutarci, coraggio facciamo insieme”…“Meglio vivere in pace che voler aver ragione”…

Valorizza il linguaggio dei gesti, più vero, ricco ed efficace. I giochi della visibilità (look, maschere) e i meccanismi di difesa possono distorcere la comunicazione. Se le parole contrastano i gesti… nasce perplessità e alla fine prevale il corpo.

L'arte teatrale è scuola di buona comunicazione, ti aiuta a perfezionare i gesti nella vita normale. Puoi fare teatro con te stesso, con le persone che incontri, con il gruppo di amici:

  • per conoscerti e per farti capire attraverso i gesti;
  • per comunicare con consapevolezza e arte;
  • per osservare come muovi le membra;
  • per capire il gioco dei ruoli, i meccanismi di difesa e vincere la timidezza;
  • per imparare tecniche di espressione.

Prova inventare gesti per esprimere: gioia e tristezza, rabbia e paura ,accoglienza e rifiuto, agio e disagio.

 

 

Edda CattaniDa Eduardo a Luca
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“when i’m gone”

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Oggi lo dedico a mio padre…. che mi manca tanto….

"when i'm gone"

EMINEM

 

 

 

 

 

Hai mai amato qualcuno talmente tanto da darle un braccio?

Non solo parole,no,letteralmente darle un braccio?

quando loro sanno di essere il tuo cuore

e tu sai che eri la loro fortezza

e tu ammazzeresti chiunque osi toccarli

ma cosa succede quando la buona stella ti si rigira contro e ti morde?

e tutto quello per cui hai sempre combattuto ti si rivolta contro e ti disprezza?

cosa succede quando tu diventi la fonte principale di dolore?

 

 

 

 

"Papà guarda che cosa ho fatto",papà ha da preparare una scaletta

"Papà dov'è la mamma?Non la riesco a trovare,dov'è?"

non lo so,va' a giocare Hailie,bambina il tuo papà è occupato

papà sta scrivendo questa canzone,la canzone non si scriverà mica da sola

ti darò una spinta sull'altalena e tu dovrai farcela da sola a spingerti

poi gira intorno in sta canzone e dille che le vuoi bene

e metti le mani su sua madre,che è l'immagine sputata di lei

questo è Slim Shady yeah baby,Slim Shady è pazzo

e quando me ne sarò andato,continua a vivere,non addolorarti

risollevati ogni volta che senti il suono della mia voce

e pensa che io sto vegliando su di te sorridendo

e non ho sentito nulla,quindi bambina non soffrire

sorridimi solo

e quando sarò andato,continua a vivere,non addolorarti

risollevati ogni volta che senti il suono della mia voce

e pensa che io sto vegliando su di te sorridendo

e non ho sentito nulla,quindi bambina non soffrire

sorridimi solo

Sto continuando ad avere questo sogno,sto spingendo Hailie sull'altalena

lei continua a gridare,non vuole che io canti

"Stai facendo piangere la mamma,perchè? Perchè mamma sta piangendo?"

Piccola,papà non se ne andrà più "Papà tu stai mentendo,hai sempre detto così

mi hai sempre promesso sarebbe stata l'ultima volta che andavi a cantare"

"Ma non andartene più,papà tu sei mio"

Lei mette degli scatoloni di fronte alla porta provando a bloccarla

 

 

 

"Papà per favore,Papà non andartene,Papà- No smetti!"

prende il suo portagioie,tira fuori un ciondolo per la collana,

c'è una fotografia dentro "questa ti proteggerà papaà,portala con te"

la guardo,ci sono solo io di fronte allo specchio

questi fottutissimi muri devono avere il dono della parola perchè gente io

li posso sentire mi stanno dicendo "Hai soltanto un altra possibilità di farcela,ed è stasera"

Ora va fuori e dimostra al pubblico che li ami prima che sia troppo tardi

e come se uscissi solo dalla mia camera da letto

mi ritrovo sul palco,loro sono andate via,i riflettori sono accesi

e sto cantando

e quando me ne sarò andato,continua a vivere,non addolorarti

risollevati ogni volta che senti il suono della mia voce

e pensa che io sto vegliando su di te sorridendo

e non ho sentito nulla,quindi bambina non soffrire

sorridimi solo

e quando sarò andato,continua a vivere,non addolorarti

risollevati ogni volta che senti il suono della mia voce

e pensa che io sto vegliando su di te sorridendo

e non ho sentito nulla,quindi bambina non soffrire

sorridimi solo

60.000 persone,tutte che saltano sulle loro sedie

il sipario cala,mi stanno lanciando rose rosse ai miei piedi

faccio una pausa e ringrazio tutti per essere venuti qui stasera

stanno facendo un grande casino,guardo per l'ultima volta la folla

guardo giù e non posso credere in quello che sto vedendo

"Papà sono io,aiuta la mamma.i suoi polsi stanno sanguinando"

ma bambina siamo in Svezia,come ci sei arrivata fino in Svezia?

"Ti ho seguito papà,mi hai detto che non stavi andando via,

mi hai mentito papà, e ora hai reso la mamma disperata

ti avevo comprato questa moneta,dice "il Papà N.1"

questo era tutto quello che volevo,volevo solo darti questa moneta

"Ho capito tutto,molto bene,io e la mamma ce ne andiamo"

ma bambina aspetta "No è troppo tardi papà,hai preso una decisione

ora vattene e dimostra al pubblico che lo ami più di noi"

e' quello che loro vogliono,vogliono te Marshall,continuano a gridare il tuo nome

non mi sorprende che tu non riesca più a dormire,dai prenditi un altra pillola

yeah,scommetto che lo farai.

Ci canti sorpra,yeah,parole,rendile reali

sento gli applausi,tutte quelle volte che non mi rendevo conto

che i sipari stavano calando su di me

mi rigiro,trovo una pistola sulla strada,la prendo

me la punto alla tempia e grido "Shady crepa" a la premo

il cielo diventa scuro,la mia vita mi appare in un flash,i progretti che avevo cadono a terra,si spezzano e rompono

qui è quando mi sveglio,la sveglia sta suonando,c'è un uccellino che canta

è primavera e Hailie è fuori sull'altalena,vado direttamente da Kim e la bacio

le dico che mi è mancata tanto,Hailie sorride e ammicca alla sua sorellina

quasi come per restare

 

e quando me ne sarò andato,continua a vivere,non addolorarti

risollevati ogni volta che senti il suono della mia voce

e pensa che io sto vegliando su di te sorridendo

 

e non ho sentito nulla,quindi bambina non soffrire sorridimi solo

e quando sarò andato,continua a vivere,non addolorarti

risollevati ogni volta che senti il suono della mia voce

e pensa che io sto vegliando su di te sorridendo

e non ho sentito nulla,quindi bambina non soffrire

sorridimi solo

Edda Cattani“when i’m gone”
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MARIA Madre e Donna

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 Dedichiamo questo mese a Maria, Madre delle Madri e Regina della Pace.

  13 Gennaio

Sul dolore (Kahlil Gibran)

 

Il dolore è lo spezzarsi del guscio

… che racchiude la vostra conoscenza.

Come il nocciolo del frutto deve spezzarsi

affinché il suo cuore possa esporsi al sole,

così voi dovete conoscere il dolore.

E se riusciste a custodire in cuore la meraviglia

per i prodigi quotidiani della vita,

il dolore non vi meraviglierebbe meno della gioia;

accogliereste le stagioni del vostro cuore

come avreste sempre accolto le stagioni

che passano sui campi.

E vegliereste sereni durante gli inverni del vostro dolore.

Gran parte del vostro dolore è scelto da voi stessi.

È la pozione amara con la quale il medico che è in voi

guarisce il vostro male.

Quindi confidate in lui e bevete il suo

rimedio in serenità e in silenzio.

Poiché la sua mano, benché pesante e rude,

è retta dalla tenera mano dell'Invisibile,

e la coppa che vi porge,

nonostante bruci le vostre labbra,

è stata fatta con la creta che il Vasaio

ha bagnato di lacrime sacre.

 

 

Ho trovato queste pagine scritte da un sacerdote che profuma di santità. Leggiamole con calma, sono bellissime e ci invitano a sentire Maria come una di noi.  Non sempre troviamo parole indicative della personalità di una donna così lontana… nel suo vissuto… eppur così vicina a noi perchè "scelta" ad essere la Madre del Dio Vivente.

BUONA LETTURA!   e …

 

Ecco a voi il libro al completo… click …qui sotto!

 

MARIA donna dei nostri giorni  (continua…click!)

Un preambolo …  

MARIA Donna dei nostri giorni    

Monsignor Antonio Bello (affettuosamente chiamato don Tonino) è stato vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi dal 4 settembre 1982 fino alla morte avvenuta il 20 aprile 1993. …

Maria, donna feriale

 

Chi sa quante volte l'ho letta senza provare emozioni, L'altra sera, però, quella frase del Concilio, riportata sotto un'immagine della Madonna, mi è parsa così audace, che sono andato alla fonte per controllarne l'autenticità.

Proprio così. Al quarto paragrafo del decreto del Concilio Vaticano II sull'Apostolato dei Laici c'è scritto testualmente: …….

Edda CattaniMARIA Madre e Donna
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Il giorno dei quattro Papi

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Il giorno dei quattro Papi.

 

 

 

Giornata storica per Roma e per la Chiesa. Alla 10 di oggi 27 aprile 2014 è iniziata la cerimonia di canonizzazione di Papa Giovanni XXIII e Papa Giovanni Paolo II. Questa però è stata la giornata dei quattro Papi, in quanto presente anche l’anziano Papa Ratzinger.

Il Papa si è recato a salutare Benedetto XVI e i due papi si sono abbracciati. Papa Ratzinger sorrideva. Papa Francesco si è recato a salutare il predecessore subito dopo aver baciato l'altare prima di celebrare la canonizzazione di Roncalli e Wojtyla.

 

 

Simbolo forte nell'era di un Pontefice, Jorge Mario Bergoglio, che ha parlato senza mezzi termini, nell'esortazione apostolica Evangelii Gaudium, della necessità di "conversione del papato". I nuovi santi, ha detto il Papa, "sono stati sacerdoti, vescovi e papi del XX secolo. Ne hanno conosciuto le tragedie, ma non ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro, era Dio; più forte era la fede in Gesù Cristo Redentore dell'uomo e Signore della storia; più forte in loro era la misericordia di Dio"

Per Papa Francesco "nella convocazione del Concilio Giovanni XXIII ha dimostrato una delicata docilità allo Spirito Santo, si è lasciato condurre ed è stato per la Chiesa un pastore, una guida-guidata. Questo è stato il suo grande servizio alla Chiesa; per questo a me piace pensarlo come il Papa della docilità allo Spirito".

"Giovanni Paolo II è stato il Papa della famiglia. Così lui stesso, – ha ricordato Bergoglio – una volta, disse che avrebbe voluto essere ricordato, come il Papa della famiglia".

Due uomini del nostro tempo, coraggiosi, che non hsnno avuto timore di esporsi nelle difficoltà quotidiane. Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II ora sono santi. La canonizzazione avvenuta è stata accolta con un applauso dalla folla di pellegrini in piazza San Pietro.

Ottocentomila erano che a Roma – tra l'area di Piazza San Pietro-Via della Conciliazione (500 mila) e quelle in cui sono stati allestiti i maxi-schermi (300 mila) – hanno assistito alla cerimonia di canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Dalle 5.30 è iniziato l'afflusso dei pellegrini dall'unico varco possibile, ossia quello di via della Conciliazione.

 

Giornata storica che gli italiani e la popolazione cattolica e non di tutto il mondo, ha voluto onorare. Ora abbiamo due Santi da venerare oltre ai tanti viventi e martiri presenti nel grande fiume della Chiesa di Cristo!

 

Edda CattaniIl giorno dei quattro Papi
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Pillole di Speranza

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Pillole di Speranza

 

 

 

 

Poiché Tu sei infinito, o Signore, e noi invece siamo finiti, ci dai più di quanto non possiamo desiderare. La misura dei nostri desideri non equivale mai alla misura con cui tu sai, puoi e vuoi colmarci e saziarci. 

 

Santa Caterina da Siena

 

 E’ sempre una gioia quando mi giunge l’invito di Maria, Mamma di Vera per poter partecipare agli incontri di Padre Roberto, riservati ai genitori che hanno perso giovani figli, nella Cappellina all’interno del Convento dei Frati cappuccini. Quest’oggi poi, 16 ottobre, ricorreva una circostanza particolare: la Giornata di studio organizzata nel 30° anniversario della canonizzazione di san Leopoldo Mandic, a conclusione dell’Anno della fede.

Autorità di grande spessore erano presenti nell’auditorium del complesso … dal Vescovo a studiosi che, alla luce dell’esperienza di padre Leopoldo, religioso e sacerdote, figlio di san Francesco e frate cappuccino, stavano riflettendo su quanto afferma l’Esortazione Vita consacrata: «La Chiesa ha sempre visto nella professione dei consigli evangelici una via privilegiata verso la santità …e il particolare impegno di coloro che la abbracciano.”

 

 

Argomento complesso … con i tempi che corrono … Ormai però tutti rispondono: “… ma adesso c’è Papa Francesco!”… e in effetti un grande mutamento è in atto …

Anche il nostro gruppetto, alcuni reduci da un viaggio lungo e faticoso, era in fermento … Chi tornava dalla conferenza, chi scambiava convenevoli, chi si faceva riconoscere … e Padre Roberto al Centro, con la sua grande umanità e disponibilità non si risparmiava in amorevolezza, saluti e cordialità di ogni genere  … Erano presenti per la prima volta, anche genitori di Ferrara, alcuni conoscenti del movimento della Speranza e appartenenti al nostro gruppo padovano. Si sono fatti commenti, si è parlato del senso della nostra vita, delle attese e, soprattutto, si è veramente buttato il cuore “oltre la siepe del dolore” per lasciare spazio alla “speranza”.

Il sacerdote ripete con Papa Francesco… per favore: mai con la faccia di "peperoncino in aceto", mai! …ma con la gioia che viene da Gesù.

 

Nell’istante in cui ci si accosta a quella piccolissima oasi dove rifulge un roveto ardente, con il tabernacolo al centro, si crea un’atmosfera unica e profonda che pervade l’animo inducendolo ad un interiore coinvolgimento. Le parole di Padre Roberto, la musica in sottofondo, i piedi nudi che lasciano intendere una spoliazione totale da ogni vicenda esteriore, lasciano spazio ad una esclusiva rilassatezza, ad una forma di totale abbandono, quasi ci si trovasse in una culla fra le braccia del Padre d’Amore.

E’ uno stato di Grazia, un evento peculiare, che il sacerdote introduce con la lettura di una poesia nel libro dei Chassidim, gli interpreti della Sacra Scrittura, del 1600, 1700, 1800. La raccolta è di Martin Buber, un maestro rabbino. Questa poesia è rivolta a Dio ed è intitolata "Tu":

''Dovunque io vada. Tu

dovunque io sosti. Tu

solo Tu, ancor Tu, sempre Tu

         Tu Tu  Tu       

Se mi va bene, Tu

se sono in pena, Tu

solo Tu, ancor Tu, sempre Tu

Tu, Tu, Tu

Cielo, Tu, Terra Tu

Sopra, Tu, sotto, Tu

            Dove mi giro, dovunque miro ,

solo Tu, ancor Tu, sempre Tu, Tu, Tu, Tu,".

 

Saper vivere in contatto con Lui, mettendo Lui al Centro … Vivere "per Cristo, con Cristo in Cristo…"… Che bello! "Perdersi" nel Tu …

 

Io pongo sempre innanzi a me il Signore,

sta alla mia destra, non posso vacillare.

Di questo gioisce il mio cuore,    

esulta la mia anima:

anche il mio corpo riposa al sicuro,                              

perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro,

né lascerai che il tuo santo veda la corruzione.

Mi indicherai il sentiero della vita

gioia piena nella tua presenza,

dolcezza senza fine alla tua destra.

 

 

Guardate questo Crocefisso, dice il celebrante … è quello che affascinò San Francesco fino ad estasiarlo… egli aveva sempre Gesù negli occhi, nelle mani…: era davvero molto occupato con Gesù. Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra.

 

Il silenzio è inframezzato da tenui singulti, le mani si stringono in una lacerante supplica, il clima generale è di astrazione totale dalla realtà. La si potrebbe chiamare “alchimia” degli animi che si incontrano e si comprendono e insieme iniziano il cammino dello spezzare il pane.

 

Ma prima di tutto imposizione delle mani per ricevere il dono dello Spirito Santo: acqua, fuoco, vento… salvezza… E’ qualcosa che ti entra dentro, che lascia un segno indelebile e non ti lascia più! E ancora con Papa Francesco:

 

"La fede non è una cosa decorativa, ornamentale, non è decorare la vita con un po' di religione", ha detto oggi Papa Francesco. "Come si fa con la panna che decora la torta. No!"

LE LETTURE PROPOSTE DA PADRE ROBERTO

PERCHE'?

  • Senza di Lui si corre il rischio di scavare cisterne screpolate che non possono contenere acqua … Geremia 2: 12 Stupitene, o cieli; inorridite come non mai. Oracolo del Signore. 13 Perché il mio popolo ha commesso due iniquità:   essi  hanno   abbandonato   me,sorgente   di acqua   viva,   per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non tengono l'acqua.

 

  • Chi non raccoglie con Lui disperde …;   chi non raccoglie con me, disperde. Luca 11,14-23 Chi rimane in Lui porta molto frutto …:Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla … (Gv 15,1-
  • C'è il rischio di dimenticarsi ….

Il RIMPROVERO che Dio ha rivolto al suo popolo è stato proprio questo: Israele sì è dimenticato del Signore, della sua Parola. I profeti non si stancavano dì dire:

  • Ma guardati e guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno viste: non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita: le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli. Dt 4,9

12 Guardati dal dimenticare il Signore, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione servile, … Temerai il Signore Dio tuo, lo servirai e giurerai per il suo nome. Dt.6,12

E' questa la situazione descritta con amarezza da Dt 32,9-18:

9 Perché porzione del Signore è il suo popolo, Giacobbe è sua eredità. 10 Egli lo trovò in terra deserta, in una landa di ululati solitarì. Lo circondò, lo allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio. 11 Come un'aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali, 12 II Signore lo guidò da solo, non c'era con lui alcun dio straniero. 13 Lo fece montare sulle alture della terra e lo nutrì con i prodotti della campagna; gli fece succhiare miele dalla rupe e olio dai ciottoli della roccia; 14 crema di mucca e latte di pecora insieme con grasso di agnelli, arieti di Basan e capri, fior di farina di frumento e sangue dì uva, che bevevi spumeggiante. 15 Giacobbe ha mangiato e si è saziato, ~ sì, ti sei ingrassato, impinguato, rimpinzato – e ha respinto il Dio che lo aveva fatto, ha disprezzato la Roccia, sua salvezza. 16 Lo hanno fatto ingelosire con dei stranieri… 18 La Roccia, che ti ha generato, tu hai trascurato; hai dimenticato il Dio che ti ha procreato!

  • Geremia 2 32 Si dimentica forse una vergine dei suoi ornamenti, una sposa della sua cintura? Eppure il mio popolo mi ha dimenticato per giorni innumerevoli. 33 Come sai ben scegliere la tua via in cerca di amore!
  • E il profeta Baruc cap.4,8: 8 Avete dimenticato chi vi ha allevati, il Dio eterno, avete afflitto colei che vi ha nutriti, Gerusalemme.
  • EZECHIELE accusa Israele di aver dimenticato il Signore(23,35): 35 Perciò dice il Signore Dio: "Poiché tu mi hai dimenticato e mi hai voltato le spalle, sconterai dunque la tua disonestà e le tue dissolutezze! ".
  • IL Profeta OSEA ripete la stessa accusa: (8,14): 14 Israele ha dimenticato il suo creatore, si è costruito palazzi; Giuda ha moltipllcato le sue fortezze.
  • E poi ancora nel cap.13,6: 4 Eppure io sono il Signore tuo Dio fin dal paese d'Egitto, non devi conoscere altro Dio fuori di me, non c'è salvatore fuori di me. 5 lo ti ho protetto nel deserto, in quell'arida terra. 6 Nel loro pascolo si sono saziati, si sono saziati e il loro cuore si è inorgoglito, per questo mi hanno dimenticato.

 

 

 

 

 

 

             

   

  

      Si coglie la "povertà", i  fallimenti … un senso di impotenza e sconforto …

 

 

 

 

 

      «Gettate la rete sul lato destro della barca e troverete» … Lui chiede fede, abbandono … a ricominciare … a gettare la propria vita sulla sua Parola … a cogliere i segni della sua presenza … (li scopre solo chi ama …): «Ho Kyrios estin! È il Signore!»

Ecco l'immagine della nostra vita feriale: questo "fare", lavorare, affaticarsi con l'impressione e la certezza del fallimento … Questo pregare e non crescere … delle mani vuote … con la propria nudità come Pietro che nella sua nudità si getta in mare …

 

Ecco, tutto è compiuto, consumato…Cristo vero Corpo e vero Sangue è dentro di noi… non ci resta che tenerlo stretto nel nostro cuore per poi spanderlo all’esterno, fra la gente, nelle nostre case e nelle comunità.

 

Concludo con quanto ho estratto dagli appunti donatami alla fine della cerimonia, da Padre Roberto:

 

 

 

 

 

 

 

     

 

UNA TESTIMONE   Madeleine Delbrel

Madeleine Delbrel 1904 -1964) è stata una mistica francese, assistente sociale e poetessa. A diciassette anni Madeleine professò un ateismo radicale e profondo, al punto da scrivere: «Dio è morto… viva la morte».

L'incontro con alcuni amici cristiani e in particolare l'ingresso nei domenicani del ragazzo che amava, l'hanno spinta a prendere in considerazione la possibilità dell'esistenza di Dio. Questo passo, fondato sulla riflessione e sulla preghiera, la condusse alla conversione, a un incontro con Dio che da quel giorno – 1924 – ha occupato tutto l'orizzonte della sua vita. La sua causa di beatificazione è stata introdotta a Roma nel 1994.

Nella mia comunità

Signore aiutami ad amare,

ad essere come il filo

di un vestito. Esso tiene insieme

i vari pezzi e nessuno lo vede se non il sarto

che ce l'ha messo.

Tu Signore mio sarto,

sarto della comunità,

rendimi capace di

essere nel mondo

servendo con umiltà,

perché se il filo si vede tutto è

riuscito male. Rendimi amore in questa

tua Chiesa, perché

è l'amore che tiene

insieme i vari pezzi.

 

La passione, la nostra passione, sì, noi l'attendiamo.

Noi sappiamo che deve venire, e naturalmente intendiamo

viverla con una certa grandezza.

Il sacrificio di noi stessi: noi non aspettiamo altro che

ne scocchi l'ora.

Come un ceppo nel fuoco, così noi sappiamo di dover

essere consumati. Come un filo di lana tagliato

dalle forbici, così dobbiamo essere separati. Come un giovane

animale che viene sgozzato, così dobbiamo essere uccisi.

La passione, noi l'attendiamo. Noi l'attendiamo, ed essa non viene.

 

Vengono, invece, le pazienze.

Le pazienze, queste briciole di passione, che hanno

lo scopo di ucciderci lentamente per la tua gloria,

di ucciderci senza la nostra gloria.

Fin dal mattino esse vengono davanti a noi:

sono i nostri nervi troppo scattanti o troppo lenti,

è l'autobus che passa affollato,

 Il latte che trabocca, gli spazzacamini che vengono,

   I bambini che imbrogliano tutto.                                                       

Sono gl'invitati che nostro marito porta in casa

e quell'amico che, proprio lui, non viene;

è il telefono che si scatena;

quelli che noi amiamo e non ci amano più;

è la voglia di tacere e il dover parlare,

è la voglia di parlare e la necessità di tacere;

è voler uscire quando si è chiusi

è rimanere in casa quando bisogna uscire;

è il marito al quale vorremmo appoggiarci

e che diventa il più fragile dei bambini;

è il disgusto della nostra parte quotidiana,

è il desiderio febbrile di quanto non ci appartiene.

 

Così vengono le nostro pazienze,

in ranghi serrati o in fila indiana,

e dimenticano sempre di dirci che sono il martirio preparato per noi.

E noi le lasciamo passare con disprezzo, aspettando –

per dare la nostra vita – un'occasione che ne valga la pena.

Perché abbiamo dimenticato che come ci sono rami

che si distruggono col fuoco, così ci son tavole che

i passi lentamente logorano e che cadono in fine segatura.

Perché abbiamo dimenticato che se ci son fili di lana

tagliati netti dalle forbici, ci son fili di maglia che giorno

per giorno si consumano sul dorso di quelli che l'indossano.

Ogni riscatto è un martirio, ma non ogni martirio è sanguinoso:

ce ne sono di sgranati da un capo all'altro della vita.

E' la passione delle pazienze.

 

E in un'altra parte: trampolini per l'estasi,

II gomitolo di cotone per rammendare, la lettera da scrivere,

il bambino da alzare, il marito da rasserenare,

la porta da aprire, il microfono da staccare,

l'emicrania da sopportare:

altrettanti trampolini per l'estasi,

altrettanti ponti per passare dalla nostra povertà,

dalla nostra cattiva volontà alla riva serena dei tuo beneplacito.

 

Terminiamo  con una sua preghiera:

 

Facci vivere la vita non come una partita a scacchi dove tutto è calcolo

 non come una gara dove tutto è arduo

non come un problema da romperci la testa

 non come un debito da pagare

 

 

Ed ora si torna a casa, dove ricomincia la nostra ferialità, ma  più sereni e gioiosi… da convertiti… e non ci si converte forse, ogni giorno?

 

Grazie Padre Roberto, grazie Maria, Grazie Gesù!!!

 

 

 

 

 

 

Edda CattaniPillole di Speranza
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Sopra l’arcobaleno

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Giunge molto gradita questa riflessione inviata dalla Mamma di Vera

Da qualche parte….sopra l’arcobaleno

Condivisione della sofferenza

 

Da qualche tempo,   il titolo che ho dato a questa riflessione,  mi accompagnava nei momenti  di silenzio e di  abbandono. Ed è proprio guardando l’arcobaleno dopo qualche piovasco, che ho dato spazio alla mia fantasia…

Non posso  fare a meno di immaginare un posto, un luogo, una dimensione oltre la nostra, dove chi ci ha preceduto  dimora,  nella pace e nella felicità più assoluta. Mi affascina pensare al prosieguo della vita, a quello che noi saremo, a quando nuovamente ci incontreremo,  con coloro che abbiamo  amato.  

Sull’onda di questi pensieri, ha preso forza il desiderio di continuare a raccontarmi. Voglio  parlare del cambiamento interiore, della trasformazione avvenuta in me e nei miei famigliari. Quel cambiamento che  produce spesso  la dipartita  del bene più prezioso che ha un genitore, che è il proprio figlio.

Vera, nostra figlia,  da alcuni anni non è più fra noi e abbiamo imparato a misurare il tempo  in riferimento al prima e al dopo la sua dipartita. Uno spartiacque importante che ha determinato un mutamento radicale delle nostre vite. Tanto dolore,  ma anche tanto arricchimento,… poi. Oggi, a distanza di anni, lo posso affermare…Difficile da comprendere per chi non ci è passato. Difficile da spiegare ai più.  

Faccio un salto nel passato e mi rivedo, quando una mattina, qualche tempo dopo il  trapasso di Vera, incontrai una mamma al camposanto, provata dal mio stesso dolore. Era visibilmente  sofferente, ripiegata su se stessa; portava male la sua età anagrafica. Tanti anni erano già passati dalla dipartita di suo figlio, ma l’impressione che dava,  era di una perdita recente. Durante il colloquio ricordo che mi disse che la sofferenza  l’aveva fatta chiudere in se stessa (è una tentazione nascosta nelle pieghe del dolore) e che,   per un minimo di elaborazione del lutto ci sarebbero voluti  almeno dieci anni!  Li per li , mi impressionai! Dieci anni,… terribile, pensai! Anche se ero abbastanza consapevole che,  sarebbe stata una di quelle ferite che,   anche se un giorno si fosse un po’ rimarginata, avrebbe comunque lasciato la cicatrice.

Fu in quel momento che promisi a me stessa, nel ricordo di mia figlia,  che ce l’avrei messa tutta per tentare di farcela! Allora non immaginavo il percorso che avrei fatto, le certezze e le consapevolezze che avrei raggiunto. Ma in cuor mio mi ripromettevo che ci sarei riuscita. Ebbi compassione di quella mamma addolorata. Rappresentava tutto ciò che non avrei voluto diventare  io. Una via d’uscita ci dovrà pur essere, pensai!  Se il dolore esiste, ci dovrà  essere  anche il suo rimedio. Non si può continuare a vivere senza un barlume di speranza, rischiando di spegnersi giorno dopo giorno. A volte,  tendiamo ad esorcizzare il dolore nei modi che producono solo rimedi apparenti e superficiali, poiché nel profondo tutto resta uguale, senza un vero percorso che tenda a rafforzare e rivitalizzare la propria vita. Gesù stesso ha condiviso la nostra esperienza  di dolore,  arrivando a sentire il peso della nostra sofferenza sulle sue spalle innocenti e l’ha condivisa portandola  sino alla morte, ma  innestando nel nostro lutto il germe della redenzione e la speranza della vita eterna.

Ancora oggi,  quando  penso  a questa mamma, mi dico che sono stata tanto fortunata nel mio percorso, nella mia ricerca, anche se sono consapevole che ci ho messo tanto di  mio in quello che è stato un continuo  peregrinare, che  ha portato me e la mia famiglia, a raggiungere piccoli , ma importanti obbiettivi e traguardi.

Ho già raccontato di  Vera, della nostra famiglia, del nostro percorso, della ricerca continua di colei che ora vive quella dimensione che è vita nuova.  E’ l’altra faccia di quel continuum, dove niente muore, ma tutto si trasforma.  Perché come afferma Rilke: “ La morte è l’altra faccia della vita, solo diversa,  rispetto quella che è rivolta verso di noi.” Ho raccontato di  quanto conforto e sostegno abbiamo ricevuto,  con il dono di bellissimi messaggi  e segni, da parte di nostra figlia e non solo,  che ci hanno fatto comprendere che comunicare si può, quando la forza trainante è l’Amore. La ricerca viene fatta affidandoci a Dio,… e la ricerca ci porta a cercare con più forza , Dio stesso.

Quello che ne deriva è uno stato di grazie e di pace. Stati d’animo che si raggiungono e si vivono,  dopo che, un tumulto di sensazioni e di pensieri,  non sempre positivi,  lasciano il posto a sentimenti più pacati e rasserenanti. E’ un cammino lungo e tortuoso l’elaborazione del lutto!  Bisogna tanto  lottare, tanto chiedere, tanto affidarsi, tanto fidarsi. Ci si trasforma pian piano, è una continua evoluzione. Poi  ci si riscopre  cambiati.  Pensieri e atteggiamenti  sono diversi da quelli di un tempo. Ci si sente altre  persone,…spesso  migliori.

 E ti  rendi conto che la tua non è più rassegnazione. Non è più solo accettazione. Ma  può diventare  molto di più:  condivisione.  Anzi, l’accettare è condividere!  Ecco, devo ammettere che ,  in questo momento della nostra vita, la condivisione  è  una  cosa  importante. Cos’è la condivisione se non percorrere  un tratto del tuo cammino,  con i tuoi “simili”? Se non procedere verso  obbiettivi che ci accumunano con  quelli di altre persone , che  hanno le nostre stesse  difficoltà, desideri  e affinità? La condivisione consente un  procedere meno faticoso, nell’impegno delle  proprie risorse. Si mettono a disposizione degli altri,  fatiche, obbiettivi, progetti.  Quando ti sembra di arrancare ecco che qualcuno ti aiuta, ti tende la mano e non ti permette di affondare. A volte è una mano tesa quando stai per affogare. E quando hai ricevuto aiuto, devi solo attendere. Arriva il tuo momento di dare. Qualcuno ha detto che ci si sente poveri e in difficoltà non quando si riceve, ma quando non si ha il coraggio di dare.

Condivisione, quindi. ..Ho capito che la condivisione è importante sotto tutti gli aspetti. Certo è più facile condividere nella gioia, nel benessere, quando le cose vanno a gonfie vele. Spesso le persone che frequentavamo prima non ci vanno più bene, perché non ci possono capire.  La partecipazione al lutto da parte di amici e congiunti, a volte si  verifica in modo meno intenso ed attivo.  Succede che,  le persone che hanno subito la perdita,  si trovano frequentemente a dover vivere  in solitudine  questa esperienza. Ma dopo un lutto non ci si può chiudere a tutto…,  bisogna saper trovare , da questa esperienza di dolore, nuova linfa per rimettersi in gioco. Ed è proprio  nel   partecipare alla sofferenza degli altri, nel condividere, che  si trova lo scopo per continuare,  facendo in modo che il dolore diventi  un veicolo purificatore per vivere la vita con nuovo  coraggio. Dobbiamo essere testimoni  per aiutare e le nuove conoscenze acquisite devono diventare doni da poter elargire…

La cosa migliore per  attraversare  positivamente  il processo del lutto  è entrare in  rapporto con un gruppo di riferimento. Quando questo non avviene , arriva spesso la malinconia e la depressione.

Un noto psicoterapeuta raccontava che,  quando il lutto non viene elaborato correttamente permane una condizione di “lutto strisciante”. In quanto  i processi del lutto non sono conclusi, ma sospesi. Il ritrovamento di un gruppo può essere il primo passo per affrontare un lutto sospeso e la condizione malinconica che ne è conseguita.

 Continua questo psicoterapeuta : Non tutti sanno  “soffrire” il dolore. Alcune persone subiscono il dolore ma non sono in grado di soffrirlo. Un’altra via seguita da chi non sa come “soffrire” il dolore,  è quella di essere costantemente angosciati. Quando una persona impara a distinguere il dolore dall’angoscia, compie un passo estremamente significativo, perché presto si rende conto che il dolore è parte della vita, mentre l’angoscia è soprattutto manifestazione di conflitto e nevrosi. Per condividere il dolore è essenziale esprimerlo in modo vivo e contemporaneamente dargli una forma precisa. Esprimere il dolore non significa gridare. Gridare può aiutare a fronteggiare, alleviare e gestire temporaneamente il dolore e soprattutto l’ansia. Per stabilire una condivisione, però, questo non basta; il dolore deve  essere espresso in modo adeguato. L’espressione adeguata del dolore, sostituisce l’ espressione immediata, con un’altra che contiene un potenziale elevato di comunicazione  e di relazione. Il dolore allora acquista un “calore segreto” che lo rende più condivisibile.”

 Quindi, condividere significa “ mettere insieme i cocci”. La condivisione del dolore è un modo per alleviarlo, attraverso la consapevolezza di non essere soli. E’ difficile fare i conti con il vuoto che la morte lascia dietro di se…ma insieme si può.

La condivisione di una sofferenza, in particolare di un lutto  è condivisione vera, sentita , partecipata. Ci si confronta. Anche il soggetto più debole, più in difficoltà si sente rinfrancato dal suo simile che dimostra più forza. Vale sempre il detto:  “Se ce la fa lui, ce la posso fare anch’io.”  Il lutto rimane morte e disperazione  se non è illuminato da una parola più grande dell’uomo: la certezza della  risurrezione.  I nostri figli in particolare, diventano i nostri maestri spirituali e ci accompagnano, mentre noi nella preghiera , ci rivolgiamo a loro che sono vivi in Dio: è un dialogo ininterrotto in Lui, un dialogo fondato sull’amore che va oltre la morte.

La condivisione dopo un dolore è stimolante. Mette in discussione le tue capacità, va a toccare anche la tua autostima, la tua forza interiore. Condividere fa aumentare  la propria  consapevolezza. E la consapevolezza nella vita di una persona, diventa essenziale per vivere meglio.

Nella  vera condivisione poi,  l’egoismo viene messo da parte . Si scopre una nuova forma di genitorialità . Si diventa generosi di nuovo amore  e si va verso chi ha bisogno , con  amore rinnovato. La condivisione porta alla pace di se stessi, con gli altri e con Dio. Porta a sperare,  a sognare nuovamente  con il pensiero sempre rivolto a Dio. Un frate ha detto: “Solo in Dio sono sicuri i nostri sogni! E con Dio non ci si sente più foglie secche, ma foglie rivitalizzate con nuova linfa. Nel cammino non ci si ferma solo alla ricerca della consolazione, che pure è fondamentale per andare avanti, ma con la grazia dello Spirito ci si addentra nel mistero di Dio. Si impara a conoscere Dio e il suo Regno dove ora vivono i nostri cari scomparsi.”

Come si può condividere? Lo si può fare in diversi modi. Per intraprendere un viaggio all’insegna della speranza,  ritengo che  il modo più importante è la condivisione della spiritualità, dando spazio alla preghiera,  che è la “benzina “ dell’anima. Altro motivo di condivisione è l’anelito di ogni persona: dare nuovo senso alla vita. Diceva Dietrich Bonhoeffer  che le cose penultime acquistano significato delle cose ultime: è l’eternità che da senso al tempo. L’aspettativa del “dopo” è l’interrogativo  di tutti. Ha detto un sacerdote durante un’omelia: “  La morte di Gesù diventa il lasciapassare verso la dimora definitiva. Nella morte non scompariamo in un luogo ignoto e buio, bensì andiamo in un luogo famigliare, dove Egli stesso ha detto : “ Io vado a prepararvi un posto.”  Gesu’ ha fatto il viaggio di andata e ritorno; in questo viaggio nella casa del Padre ha preparato la nostra definitiva dimora.

 E’ stato fatto notare che l’interpretazione che  Gesù dà della propria morte , vale in un certo senso anche per la morte delle persone alle quali siamo legate da amicizia e amore.  Quando le persone a noi care ci lasciano, portano nella dimora eterna una parte di noi. Tutto ciò che abbiamo condiviso con loro, gioia e dolori, amore e sofferenza, tutti i discorsi fatti, le intimità vissute: morendo portano tutto nella casa che preparano per noi, per condividere, domani, tutto il vissuto positivo per l’eternità.”

C’è  una bella immagine del monaco benedettino Anselm  Grun, il quale fantastica paragonando il suo cammino a un sentiero che attraversa un prato e deve poi guadare un fiume. In merito scrive: “Arrivo a un ruscello e per poterlo saltare meglio, getto  prima dall’altra parte il mio zaino. I morti con i quali ho condiviso la mia vita, hanno già portato con se il mio zaino oltre la soglia della morte. Perciò posso confidare che mi sarà più facile, morendo, saltare di là del ruscello e arrivare là dove troverò il mio zaino, le cose importanti del mio cammino esistenziale. I morti decorano la dimora eterna con ciò che di mio hanno già portato oltre la soglia.”

 E un altro saggio ha scritto:” La vicenda umana è un’avventura chiusa tra due giardini: quello dell’Eden, all’origine, e il Paradiso celeste, quello dell’altra riva. La vita è un’avventura tra due giardini posti sotto il segno della bellezza e della gratuità.”  Riporto anche  ciò che ha scritto un teologo: “L’incontro  con Dio non è un riposo eterno, bensì una vita straordinaria e mozzafiato, una tempesta di felicità che ci trascina, ma non in qualche luogo, bensì  sempre più a fondo nell’amore della beatitudine di Dio.”

Ecco quindi, a mio avviso, la base spirituale su cui  far partire e far  fiorire altre forme di condivisione. E quando   c’è una buona  base spirituale,  ogni progetto può iniziare  e svilupparsi. Per esperienza, posso dire di aver conosciuto varie realtà, ma dove manca la base spirituale, spesso la condivisione ha vita breve, in quanto non viene sostenuta da qualcosa di forte, paragonabile alle fondamenta di una  casa.

Oggi, posso affermare  con  piena soddisfazione,  di appartenere ad un gruppo denominato di “primo soccorso” che,  una volta al mese accoglie  nel suo ambito  persone provate dal dolore. La parola di Dio è sempre presente, così’ anche l’attenzione ed il conforto verso i nuovi arrivati. Portiamo la nostra esperienza, diamo testimonianza del nostro vissuto,  delle nostre reazioni,  delle nostre emozioni, del nostro cammino di speranza.  Nel momento del dolore, un gesto di vicinanza affettiva è recepito come dotato di un particolare carattere d’autenticità. La persona sofferente avverte che chi lo compie le sta diventando molto caro. Il sentimento, spesso, trova corrispondenza e può divenire  molto ingente e profondo.

Quando nei nostri incontri,  non ci sono persone nuove da sostenere,  ci raccontiamo, facciamo nuovi progetti. Organizziamo  anche  un  paio di  convegni  l’anno,  con relatori che arricchiscono le nostre conoscenze su temi che riguardano la crescita interiore e affrontano il tema della vita oltre la vita. Alcuni di noi hanno la possibilità di partecipare ai convegni a livello nazionale, dove il tema dell’esistenza umana,  il suo traguardo e la ricerca dell’uomo,  sono materia di approfondimento.

Da poco,  il nostro gruppo sta  percorrendo una nuova strada. Abbiamo felicemente aderito, ( e qui le vie del Signore sono veramente infinite , poiché nuove persone si stanno di volta in volta aggiungendo) ad incontri spirituali,  presso un convento, sotto la guida di un frate  carismatico , che ci delizia con la celebrazione della S. Messa,  dell’Adorazione Eucaristica , delle profonde catechesi e  delle meditazioni guidate. Per concludere poi con un momento di convivialità, che ci vede fraternamente partecipi.

 Stiamo da poco aderendo anche ad un progetto missionario.  Dove ci porterà tutto questo? Noi ci affidiamo al Signore, dandogli la nostra disponibilità.  L’importante è non rimanere fermi,  non rimanere chiusi e apatici, non lasciarsi indurire dal dolore…ma aprire le porte del cuore. Facciamo in modo che la sofferenza ci metta le ali…, affinchè le ferite  del dolore diventino luce per gli altri. Poiché  a  volte  ci troviamo proprio  a sperare  con quelli che disperano…

La condivisione ci porta a ricordare più che mai , coloro che non vediamo con gli occhi fisici, ma che sentiamo presenti più di prima… più di sempre. E che continuano il percorso a fianco a noi, con nuove spoglie, non più dolorose.

Coloro  che un giorno incontreremo nuovamente  lassù,  da qualche parte…sopra l’arcobaleno.

Edda CattaniSopra l’arcobaleno
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Papa Francesco: potere è servizio

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Papa Francesco:  potere è servizio

 

 

«Il vero potere è il servizio», «non dobbiamo avere paura della bontà e neanche della tenerezza», bisogna essere – come San Francesco – «custodi della creazione»: i riti di inizi del pontificato di Papa Bergoglio si chiudono all'insegna della sua omelia, pronunciata in italiano davanti a 200mila persone che hanno invaso festanti Piazza San Pietro sin dall'alba. Papa Francesco, davanti ai potenti del mondo (ma mancava Barack Obama) ha tracciato le linee guida della sua missione pastorale, ricordando «con affetto» il lavoro del suo predecessore Benedetto XVI tra gli applausi della folla e conquistando ancora una volta i tanti pellegrini accorsi a Roma con parole e gesti di grande umiltà.

«Custodiamo Cristo nella nostra vita, abbiamo cura gli uni degli altri, custodiamo il creato con amore». È il messaggio lanciato oggi da papa Francesco su Twitter dopo la messa di inizio del pontificato. Poco dopo ne è comparso un secondo: «Il vero potere è il servizio. Il Papa deve servire tutti, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli».

 

 

 

 

 

 

«Non dobbiamo avere paura della bontà, neanche della tenerezza – ha aggiunto il Papa – Il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza», ha aggiunto il Pontefice. La tenerezza, ha detto Bergoglio, «non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d'animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all'altro, capacità di amore». «Non dobbiamo avere timore della bontà – ha poi ripetuto -, della tenerezza».

 

Nell'esercitare il suo servizio il Papa guarda a quello «umile, concreto» di san Giuseppe e come lui apre le braccia alla «umanità intera», ricordando che il giudizio finale sarà «sulla carità: chi ha fame, sete, è straniero, nudo, malato, in carcere. Solo chi serve con amore – ha detto – sa custodire». «Anche oggi, davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi speranza – ha detto a proposito della custodia del creato – «Custodire tutti, ha invitato, con uno sguardo di tenerezza e di amore, aprire l'orizzonte della speranza, aprire uno squarcio in mezzo a tante nubi, portare il calore della speranza».

Edda CattaniPapa Francesco: potere è servizio
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Insieme a San Leopoldo

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Insieme a San Leopoldo

 

L’invito di Maria, Mamma di Vera, è sempre un piacere a cui rispondere, come pure il ritrovarsi insieme con Padre Roberto al Santuario di san Leopoldo a Padova.

 Già lo scorso anno avevo avuto il piacere di questa condivisione che era stata soprattutto la scoperta di una comunità amica, ma anche di tante particolari storie vicine nel nostro cammino esperienziale.

 

Sono ritornata con il desiderio di quel raccoglimento in quell’atmosfera tutta particolare che, all’interno delle nostre esistenze tormentate e affaticate, non sempre riusciamo a trovare.

 

Questa volta vorrei però non dilungarmi sulle mie impressioni, ma riportare tutto quanto Padre Roberto ha inteso comunicare ai presenti con le sue stesse parole, le sue espressioni in un ambiente in cui la musica soffusa, i canti, le preghiere erano espressione del Paradiso…

 

 

 

 

l'amore autentico non ragiona, non pone limiti, non calcola, non ricor­da il bene che ha fatto e le offese che ha ricevuto, non pone mai con­dizioni.
 
Gesù ha frequentato cattive compagnie! Amico dei pubblicani e dei peccatori …
Chiamato un mangione e un beone.
Gesù ha amato i piccoli numeri, mentre la gente ama la massa, la grande folla: Lui va alla ricerca della Maddalena, della Sama­ritana, dell'Adultera…
Ha fatto "fiasco" nella vita: la "carta magna" di Gesù – le beati­tudini – appare come un fallimento: beati i poveri, gli oppressi, gli afflitti, i perseguitati, ecc. (Lc 6, 20). Gesù ama tutto questo: chi lo segue deve essere matto come lui!
Quanti insuccessi nella sua vita: cacciato dal suo paese è scon­fitto, perseguitato, rifiutato, condannato a morte…
Gesù, un professore che ha rivelato il tema dell'esame: sareb­be stato licenziato subito! Il tema dell'esame e il suo svolgimen­to è descritto a puntino da lui: verranno gli angeli, convocheran­no i buoni alla destra, i cattivi alla sinistra, e tutti saremo giudi­cati sull'amore (Mt 25,31 ss).
Gesù un Maestro che ha dato troppa fiducia agli altri. Ha chiamato gli apostoli quasi tutti illetterati, ed essi lo rinneghe­ranno. Nel tempo continuerà a chiamare gente come noi, pecca­tori. La via di Dio passa per i limiti umani: ha chiama­to Abramo, che non ha figli ed è vecchio; chiamato Mosè, che non sa parlare bene; chiama dodici uomini mediocri e ignoranti, e uno di essi lo consegnerà; e per chiamare i pagani sceglie un violento e un persecutore, Saulo; e nella Chiesa continua a fare così…
Gesù non aveva buona memoria, perché sulla Croce il buon ladrone gli chiede di ricordarsi di lui in Paradiso e Gesù non ri­sponde come avremmo fatto noi "fa' prima venti anni di purga­torio", ma dice subito di sì: "Oggi tu sarai con me in paradi­so" (Lc 23,43). Con la Maddalena fa la stessa cosa, e ugualmen­te con Zaccheo, con Matteo ecc. "Oggi la salvezza entra in que­sta casa" (Le 19,9), dice a Zaccheo. Gesù perdona e non ricorda che ha perdonato. Questo è il suo primo difetto. Gesù non conosceva la matematica: un pastore ha cento peco­re. Una si è smarrita: lascia le novantanove per andare a cercare quella smarrita e quando la incontra la porta sulle spalle per tor­nare all'ovile (Mt 18, 12). Se Gesù si presentasse all'esame di matematica sarebbe certamente bocciato, perché per lui uno è uguale a novantanove.
Gesù è non conosceva la logica: una donna ha perduto una dracma. Accende la luce per cercare in tutta la casa la dracma perduta e quando 1' ha trovata va a svegliare le amiche per fe­steggiare con loro (Lc 15, 8). Si vede che è veramente illogico il suo comportamento, perché sapendo che la dracma era comun­que in casa, avrebbe potuto aspettare la mattina seguente e dor­mire. Invece cerca subito, senza perdere tempo, di notte. D'altra parte, svegliare le amiche non è meno illogico. Anche la causa per cui festeggiare l'aver trovato una dracma – non è poi tanto logico. Infine, per festeggiare una dracma ritrovata dovrà spen­dere più di dieci dracme … Gesù fa lo stesso: in cielo il Padre, gli angeli e i santi hanno più gioia per un peccatore che si converte, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di pe­nitenza.
Gesù non fu un buon politico: di solito un politico alle elezioni fa propaganda e promesse: la benzina costerà meno, le pensioni saranno più alte, ci sarà lavoro per tutti, non ci sarà più inflazio­ne… Gesù, invece, chiamando gli apostoli, dice: "Chi vuoi veni­re dopo di me, lasci tutto, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24). Seguirlo, dunque, per andare dove? Gli uccelli hanno un nido, le volpi una tana, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posa­re il capo… Seguire Gesù è un'avventura: fino all'estremità della terra, senza auto, senza cavallo, senza oro, senza mezzi, senza bastone, unicamente con la fede in Lui.
Non si intendeva di economia e di finanza, perché va a cercare quelli che lavorano alle tre e alle sei e alle nove e paga gli ultimi come i primi (Mt 20, Iss). Se Gesù fosse economo di una comu­nità o direttore di una banca, farebbe bancarotta, perché paga chi lavora meno come chi ha fatto tutto il lavoro.

 

Il mio Dio non è un Dio duro, impenetrabile,

insensibile, stoico, impassibile.

Il mio Dio è fragile.

E' della mia razza.

E io della sua.

Lui è uomo e io quasi Dio.

Perché io potessi assaporare la divinità

Lui amò il mio fango.

L'amore ha reso fragile il mio Dio. Il mio Dio ebbe fame e sonno e si riposò.

Il mio Dio fu sensibile, e fu dolce come un bambino.

Il mio Dio fu nutrito da una madre,

II mio Dio tremò dinnanzi alla morte.

Non amò mai il dolore, non fu mai amico

della malattia. Per questo curò gli infermi.

Il mio Dio patì l'esilio, fu perseguitato e acclamato.

Amò tutto quanto è umano, il mio Dio: le cose e gli uomini, il pane,

i buoni e i peccatori. Il mio Dio fu un uomo del suo tempo.

Vestiva come tutti,

parlava il dialetto della sua terra,

lavorava con le sue mani,

gridava come i profeti.

Morì giovane perché era sincero.

Lo uccisero perché lo tradiva la verità che era

nei suoi occhi.

Ma il mio Dio morì senza odiare.

Morì scusando più che perdonando.

II mio Dio è fragile.

Il mio Dio ruppe con la vecchia morale

del dente perdente,

della vendetta meschina,

per inaugurare la frontiera di un amore

e di una violenza totalmente nuova.

Il mio Dio gettato nel solco,

:        schiacciato contro terra,

tradito, abbandonato, incompreso,

continuò ad amare.

Per questo il mio Dio vinse la morte.

E comparve con un frutto nuovo tra le mani:

la Resurrezione. Per questo noi siamo tutti sulla via

della Resurrezione.

   Juan Arias

 

 

AMAMI COSI’ COME SEI

Conosco la tua miseria, le lotte e le tribolazioni della tua anima,

le deficienze e le infermità del tuo corpo; so la tua viltà, i tuoi peccati,

e ti dico lo stesso: "dammi il tuo cuore, amami come sei".

Se aspetti di essere un angelo per abbandonarti all'amore,

non amerai mai.

Anche se sei debole nella pratica del dovere e della virtù,

se ricadi spesso in quelle colpe che vorresti non commettere più,

non ti permetto di non amarmi. Amami come sei.

In ogni istante e in qualunque situazione tu sia,

nel fervore e nell'aridità, nella fedeltà e nella infedeltà,

amami… come sei…

Voglio l'amore del tuo povero cuore;

se aspetti di essere perfetto, non mi amerai mai.

Non potrei forse fare di ogni granello di sabbia

un serafino radioso di purezza, di nobiltà e di amore?

Non sono io l'Onnipotente?

E se mi piace lasciare nel nulla quegli esseri meravigliosi

e preferire il povero amore del tuo cuore,

non sono io padrone del mio amore?

Figlio mìo, lascia che Ti ami, voglio il tuo cuore. Certo voglio col tempo trasformarti

ma per ora ti amo come sei… e desidero che tu faccia lo stesso, lo voglio vedere dai bassifondi della miseria salire l'amore.

Amo in te anche la tua debolezza,

amo l'amore dei poveri e dei miserabili;

voglio che dai cenci salga continuamente un gran grido: "Gesù ti amo".

Voglio unicamente il canto del tuo cuore, non ho bisogno né della tua scienza, né del tuo talento. Un cosa solo m'importa, di vederti lavorare con amore.

Non sono le tue virtù che desidero; se te ne dessi, sei così debole che alimenterebbero il tuo amor proprio;

non ti preoccupare di questo. Avrei potuto destinarti a grandi cose;

no, sarai il servo inutile,

ti prenderò persino il poco che hai…

perché ti ho creato soltanto per amore.

Oggi sto alla porta del tuo cuore come un mendicante,

io il Re dei Re! Busso e aspetto;

affrettati ad aprirmi. Non nasconderti dietro alla tua miseria;

se tu conoscessi perfettamente la tua indigenza, morresti di dolore.

Ciò che mi ferirebbe il cuore sarebbe di vederti dubitare di me

e mancare di fiducia.

Voglio che tu pensi a me ogni ora del giorno e della notte; voglio che tu faccia anche l'azione più insignificante solo per amore.

Conto su di te per darmi gioia … Non ti preoccupare di non possedere virtù; ti darò le mie.

Quando dovrai soffrire, ti darò la forza.

Mi hai dato l'amore, ti darò di sapere amare

al di là di quanto puoi sognare …

Ma ricordati… amami come sei…

Ti ho dato mia Madre; fa' passare, fa' passare tutto dal suo Cuore così puro.

Qualunque cosa accada,

non aspettare di essere santo per abbandonarti all'amore, non mi ameresti mai… Va'…

Mons. Lebrun

 

Invocazione allo Spirito e imposizione delle mani

 

 

II Signore Gesù imponeva le mani sui bambini, pregando per loro (Mt m. 13-15): Nel testo parallelo Marco sottolinea il contatto fisico «Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse» (Me 10.13-16). L'imposizione, dunque, era anche contatto fisico. Molto spesso il gesto è accompagnato dalla realtà di una guarigione. Giairo chiede a Gesù: «La mia figlioletta è tigli estremi; vieni a imporre le mani perché sia guarita e viva» (Me 5.23). Gli presentano il sordomuto "pregando di imporli le mani» (Me 7,32); gli conducono il cieco di Betsaida «…pregando di toccarlo. Allora… gii impose le mani… sugli occhi ed egli ci vide chiaramente…» (Me 8.22-25). Era il gesto più ripetuto nelle guarigioni: «tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva» (Le 4.40).

Gesù ai suoi discepoli: «…imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (Me 16.18). Anche Paolo, dopo la visione del Signore sulla strada per Damasco viene guarito da Anania precisamente con l'imposizione delle mani (Ai9.17). E poi a sua volta anche lui guarirà i malati imponendo le mani (Ai 28.8-9).

Imporre le mani sul capo di una persona significa anche invocare e trasmettere su di lei il dono dello Spirito santo per una determinata missione. È così con i battezzati di Samaria, che ricevono la visita degli apostoli per completare la loro iniziazione cristiana (Ai 8,17). Lo stesso per i discepoli di Efeso «E non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, scese su di loro lo Spirito Santo» (Ai 19,6).

Porre le mani sul capo di una creatura è abbracciare la sua vita. Il Padre usando le nostre mani, accarezza i suoi figli e posando lo sguardo su di loro dice: "Non temere, sono qua con te". Da questa esperienza di abbraccio e di amore, vengono le guarigioni e le liberazioni.

Chi impone le mani non esercita un potere personale e come servo inutile si rende stru-mento nelle mani di Dio perché possa compiere le Sue meraviglie. Nella preghiera di imposizione, non siamo chiamati a dare risposte, o a fare i guaritori, i "santoni" e nean-che a imporre la Parola di Dio o le nostre idee, ma ad essere canali trasparenti, attraverso i quali l'amore e la misericordia di Gesù raggiungono prima e in abbondanza, i cuori feriti.

Solo il Sacerdote può imporre le mani e benedire gli altri, solo le sue mani sono sacre, solo lui è un Altro-Cristo. Non fatevi mai imporre le mani sulla testa dai laici, da persone non consacrate.


 

Edda CattaniInsieme a San Leopoldo
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“Ti voglio bene” 1^ P.

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Grazie Mentore!

Aggiornare un articolo quando tutto è concluso può aver senso? Sì ne ha perché la sofferenza fa maturare sentimenti e percorrenze … allarga il cuore e la mente, fa vedere oltre l’orizzonte. Voglio partire dal Vangelo di questa “Domenica 29a per annum” perché indica il cammino da attraversare: “La sofferenza è una dimensione di senso della vita che il cristiano incontra. Essa non è voluta da Dio, ma è una realtà che appartiene all’esistenza come la gioia e la serenità. Ogni volta che la vita ci presenta un calice da bere, noi non ci possiamo rifiutare di assaporarlo fino in fondo. Abbiamo solo due possibilità: o lo rendiamo inutile, impiegandoci sul lamento di come siamo «disgraziati»; oppure possiamo assumerlo, offrendolo a Dio come partecipazione al dolore del mondo redento nel sangue di Cristo. Ogni sofferenza regalata alla Trinità è un atto di condivisione con quell’umanità schiacciata e senza forze che aspetta da noi un piccolo sostegno per stare in piedi.” (Mons.Paolo Farinella)

Non è facile accettare questo assioma che si allontana dalla logica del “potere” , dell’approvazione, dell’elogio, del successo… ma chi segue Cristo è forse un pazzo in quanto quale uomo tende a rifuggire da tutto per seguirlo? E’ molto più facile abbandonarsi alle fatue ricerche del piacere, del lusso, delle droghe di vario genere (non vi è solo  marijuana o cocaina …) piuttosto che seguire l’«uomo dei dolori» che «offrirà se stesso in sacrificio di riparazione”  e si propone come “servo”. Già… essere al servizio degli altri è molto più ricevere di quanto si riesca a donare.

Ricordo il giorno in cui sono andata in pensione e mi hanno onorata in un grande Oratorio del 1100 alla presenza delle autorità e di oltre un centinaio di rappresentanze della scuola, delle famiglie, dei miei docenti e collaboratori… C’era anche Mentore,  in fondo al pubblico accanto alle mie figlie, che ormai portava addosso i primi sintomi della malattia che l’avrebbe portato ben presto all’inabilità totale. In quei momenti di “gloria” io pensavo a loro e ringraziavo Dio di avermi dato la possibilità di manifestare tutto l’amore che avevo dentro. Quando si ha questa consapevolezza tutta la fastosità di questo mondo diviene alquanto inadeguata se la paragoniamo alla felicità del “ricevere donando”.

 

Il passo evangelico ci richiama dunque ad uno stile di vita che ribalta ciò che la realtà moderna ci offre e i potenti pretendono. E’ la logica delle beatitudini e del Magnificat che diventano programmi di atteggiamento personale e sociale. E’ un vivere guardando non tanto ai luccichii delle vetrine ma considerare chi sta oltre e molto di quanto appare non se lo può permettere. Penso che in questo periodo di crisi che attraversa parallelamente la politica, la comunità ecclesiale e tutta la nostra quotidianità si debba tornare all’essenziale ai piedi della croce e partire dal presupposto che il «bene comune» si radica nel concetto di comunione, che è l’opposto contrario dell’interesse di parte o peggio ancora individuale.

Mentore così la pensava e me l’ha insegnato!

 

“ Ti voglio bene “

Una sposa, una madre riflette sull’”amore”

nel  finire di una calda estate

 

 

Sono di ritorno da “Casa Madre Teresa” dove, anche quest’oggi, il mio amato Sposo ha avuto l’ennesima crisi respiratoria che lo porta vicino alla soglia di quel mondo invisibile ove, da tempo, dopo tanta sofferenza, desidera approdare. Ho approfittato della pausa pomeridiana per assistere alla Messa che si celebra nella cappella del Centro ed ho rivolto, come al solito la mia struggente invocazione: “Signore, si faccia come Tu vuoi, ma che avvenga presto!” Mi trovavo nell’ultimo banco, genuflessa con il capo tra le mani, attorniata da tanti poveri ammalati che assistevano con me al rito dell’Eucarestia. Nel momento in cui il sacerdote ha rivolto a tutti noi le parole: “Scambiatevi un segno di pace!” ho alzato gli occhi per porgere la mano a chi mi era vicino ed ho visto una piccola signora, con due occhi amorevoli che mi ha preso entrambe le mani, poi si è protesa per abbracciarmi e mi ha sussurrato: “Ti voglio bene!”. Ecco l’indefinibile miracolo dell’amore: una anziana ammalata, con poche possibilità di eloquio, con l’aspetto di chi è solo e non ha nessuno a cui rivolgersi, sembra comprendere il mio dolore e mi dice: “Ti voglio bene!” Quante persone incontrate per strada quest’oggi, al centro commerciale, o che mi hanno telefonato per vari motivi, si sono premurate di capire cosa possa esservi dietro il mio volto, da tempo sempre impassibile, per poi dirmi : “Ti voglio bene”?

Sono tornata in camera di mio marito con il volto rigato di lacrime e mi sono lasciata andare ad un pianto irrefrenabile, mentre lui mi guardava attonito, senza parole per dirgli ancora una volta: ”Aiutami Mentore, chiedilo ad Andrea di aiutarmi perché da sola non gliela faccio!” In quell’istante ho visto una luce sprigionarsi intorno alla sagoma di quella povera creatura rattrappita e diffondere intorno un’aura protettiva, quasi a volerci proteggere, uniti insieme ancora una volta.

  

 

 

Mi sono chiesta e mi chiedo tuttora: possibile che si debba andare per le strade a mendicare una briciola d’amore quando tutto il nostro essere chiama, chiede, vuole “amore”.

Ha scritto qualcuno: "Nessun essere umano può vivere a lungo, in condizioni normali, senza sperimentare un minimo di solidarietà, di amicizia, di affetto, di amore. Anche le più semplici funzioni esigono, per prosperare, l'alimento dell'amore e della speranza. Quando tali sentimenti esistono, si può continuare a vivere anche in un polmone di acciaio e quando scompaiono anche il mondo stesso diventa poco meglio di un polmone di acciaio".

Queste espressioni, di significato così profondo, denotano che l'uomo non può vivere senza una esperienza emotiva gratificante, in tutto l'arco della sua esistenza.

 E' la psicologia umanistica a studiare i bisogni fondamentali, le motivazioni ideali, i bisogni estetici. Se nella realtà che ci circonda l'analisi appare complessa proprio perché non possiamo scindere l'uomo: la sua ricerca e curiosità lo portano a desiderare la bellezza, la giustizia, l'ordine quali espressioni dell'amore, e ad un tempo lo invitano a rispondere alle esigenze fondamentali e insopprimibili che sono il soddisfacimento delle tendenze biologiche quali la fame e la sete, l'appagamento degli appetiti.

E'quest'ultima, una realtà istintuale che spesso sembra avere il sopravvento e che richiama una immagine falsata dell'amore. E' un far prevalere l'ego (freudiano) insito in ciascun essere che si definisce persona. Ma in questa separazione vi è uno spiraglio minimo, non distinguibile, quasi impercettibile che accomuna l'uomo all'animale.

 

Facciamo un esempio:

Nel cespuglio, davanti alla mia abitazione, una gattina randagia ha partorito tre cuccioli. Li cura, li allatta e li difende ogniqualvolta si avvicina qualcuno a lei non noto. Ho cominciato a portarle un po' di latte, poi a coprirla con un nailon ed ora posso accarezzare i piccoli che mi riconoscono: hanno compreso che da me possono ricevere solo un beneficio.

Quale differenza fra questa creatura viva, intelligente, tanto simile nei comportamenti alla donna e al suo bambino! Eppure se la priviamo delle sue creature, dopo qualche giorno di ricerca la gatta continuerà la sua vita errabonda, senza cercare i suoi figli e partorirà di nuovo lasciando altri animaletti morire schiacciati sulle strade.

Tanto simile a me… come mio figlio dilaniato da una macchina, in mezzo ad una strada e… il mio pianto senza fine.

Dove sta la differenza?

La matrice istintuale che caratterizza il comportamento dell'animale e su cui tutti gli studiosi concordano, lo porta ad agire con una specificità di comportamenti finalizzati alla sopravvivenza della specie. L'animale dà risposte ai bisogni primari del suo organismo e compie tutti quegli atti primari che ritroviamo anche nell'uomo: così la gatta, come la sua specie vuole allatta e protegge i piccoli.

 

 

Per l'uomo le cose si complicano. Anch'egli ha una disposizione psicofisiologica che determina in lui l'azione che risponde ad uno stimolo. Ma l'uomo a differenza dell'animale è capace di reazioni affettive complesse. L'emozione che è considerata, anche comunemente, come una reazione affettiva di particolare intensità, sorge sì all'improvviso e può anche non lasciare traccia, ma a volte diviene sentimento intensamente vissuto di cui l'uomo prende coscienza.

E' la trasformazione profonda dell'essere che supera la parte istintuale, irrazionale in quanto mette in gioco tutte le altre facoltà: quali l'immaginazione, la creatività, la fantasia, la progettualità, che diviene "scelta di vita".

Ecco la differenza.

 

 

Abbiamo detto all'inizio che l'uomo "per tutta la vita" non può vivere senza punti fermi di stabilità emotiva. Il nostro approccio allo studio delle relazioni affettive ci consente di rintracciare interessanti variazioni a quella sinfonia che è la vita amorosa. Perciò continuiamo col dire che tutti gli studiosi sono concordi nell'affermare che l'Io si struttura, si integra e si organizza, in modo durevole, sin dai primi anni di vita.

Bowlby, lo psichiatra etologo che ha formulato la teoria dell'attaccamento, sostiene che il bambino richiede la presenza della madre perché la sente forte e lo rassicura.

Questa richiesta di protezione è riconducibile agli albori della nostra specie quando occorreva difendersi dai predatori e dagli animali feroci.

Aggiungo una piccola distensiva parentesi: il mio bambino tornò a casa dall’asilo con la sua bella poesia, che non ho mai dimenticato, per la festa della mamma:

 

Il mio bene
(Lina Schwarz)

Ti voglio bene mamma … come il mare!
Non basta: come il cielo! No, più ancora.

Mamma, ci penso già quasi da un’ora,
eppur quel nome non so trovare.
Il nome di una cosa grande grande
che ci sta dentro il bene che ti voglio.
Una balena, forse, o un capodoglio.
Oh, mamma, non mi far tante domande.
So che quando ritorno dalla scuola
i gradini li faccio a rompicollo
per l’impazienza di saltarti al collo,
e il cuoricino, puf, mi balza in gola.
Ti voglio bene quando sei vicina
e quando non ci sei: quando mi abbracci:
ti voglio bene anche se mi sculacci.
Sei soddisfatta, adesso, o no, mammina?

L'amore del bambino perciò verso la madre è una sorta di richiesta di sicurezza. La reazione positiva della madre che gli dà risposta, è sensibile alle sue proteste e sincronizza i suoi comportamenti con quelli del piccolo, lo rende tranquillo.

Ecco come la sinfonia amorosa si muta in "attaccamento sicuro" che è legato ai meccanismi di interiezione, di proiezione e alla rappresentazione fantastica dei primi oggetti di amore.

La mancanza di un sano equilibrio affettivo porta ad una serie di conseguenze negative che possono dar luogo al disordine fisico e morale, all'aggressività, al marasma, alla morte. Pensiamo ai bambini depressi nelle tendopoli, nei paesi sottosviluppati, ma anche quelli che passano da un genitore all'altro, a quelli violentati, abbandonati, costretti all'accattonaggio.

 

Ma l’evoluzione dell’amore e la capacità di amare, segno rivelatore della persona matura è un processo terminale, non un punto di partenza, è una conquista, non si insegna non si trasmette, ma occorre che l'uomo trovi in se stesso l'indomabile aspirazione a trascendere la propria natura finita e a liberarsi dall'egoismo per vivere un'esperienza universale.

Capire l'amore vuol dire vivere esperienze spirituali in una società educante, nella cui opera siamo tutti coinvolti, capace di interpretare e soddisfare tutti i bisogni dell'uomo.

E' chiaro l'anelito alla rifondazione di un mondo che vorremmo più giusto, cioè rifondato secondo la nostra ottica, che tenga conto delle nostre aspirazioni; in definitiva che ci voglia il "bene" che vogliamo noi, per noi.

 

Questo articolo non avrebbe senso se non fosse stato scritto per dire a ciascuno di voi "Ti voglio bene!"

(continua 2^ P.)

 

 

 

Edda Cattani“Ti voglio bene” 1^ P.
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