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L’affettuosa amicizia del leone

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Buona Estate!

Godiamoci anche questo!!!

Il video più commovente

L'incredibile storia del leone Christian

Anche se la storia del Leone Christian ormai è straconosciuta in rete, mi piace riportarla. La cosa che mi ha sempre interessato è la domanda “gli animali non hanno un’anima”.  Conoscendo gli esseri umani, non so se possiamo affermare il contrario… ma ne parleremo nei successivi articoli.  La storia d’amore che questo documento ci racconta, potrebbe tornarci utile per capire che l’amicizia non ha confini.

Nel ’69 due giovani australiani comprarono un cucciolo di leone da Harrods, a Londra (allora era permesso vendere animali selvatici).

Il leoncino crebbe inizialmente nel cortile di un negozio di mobili a Chelsea, dove mangiava nei ristoranti della swingin’ London. Diventato troppo grande, Christian fu affidato ad una coppia del Surrey, dove dormiva in una roulotte ed aveva molto spazio per correre. Infine, nel ’72, fu portato in Kenya dove fu lentamente inserito nel suo ambiente naturale.
Nel ’73, John ed Ace andarono a trovare Christian in Kenya: il momento dell’incontro è fra le scene più commoventi del documentario che fu realizzato su questa storia. Da agosto, è stata vista più di 30 milioni di volte

 

Brambilla e Veronesi : la coscienza degli animali. (continua) 


Da il Giornale.it

Il primo a commuoversi fu Garibaldi. Era il 1870. Due vecchi muli ciechi erano attaccati a un mulino, costretti alla macina fino allo sfinimento. Il generale vide la disperazione e scrisse una lettera direttamente al re. L’Enpa, l’ente nazionale protezione animali, è nata così. Sono passati 140 anni e molti ancora pensano che quelli come Garibaldi siano un po’ troppo sensibili o esagerati. Gli animali soffrono, sentono, vivono, amano, sperano, piangono ma gli umani se ne fregano. È per questo che il ministro del turismo Michela Vittoria Brambilla e il professore Umberto Veronesi hanno pensato «alla coscienza degli animali», un’iniziativa per dare voce a chi non ce l’ha.
Gli animali stanno con noi in casa, una famiglia su tre ha un cane o un gatto, sono compagni di vita, partono per le vacanze e spesso trovano le porte chiuse. Serve una mappa. Il ministro del Turismo ha pensato a una guida per trovare alberghi o campeggi dove gli animali non vengono sbattuti fuori. Ci sono leggi severe per chi li abbandona o li fa combattere. Ci sono romanzi come </B>Mani nude</B> di Paola Barbato che raccontano cosa pensano i cani quando sono costretti a mordere per la vita e la morte. Il ministro Brambilla dice: «D’ora in poi saremo noi la coscienza degli animali. La civiltà di un Paese si misura anche da questo». È questo il progetto, presentato ieri a Milano. Un ciclo di incontri e conferenze per sensibilizzare gli umani. Una serie di focus su caccia, zoo, circhi, allevamenti, macellazione, vivisezione, maltrattamenti, abbandono. Non ci sono solo Brambilla e Veronesi, il ministro e il professore, a credere in questa battaglia. C’è il direttore del </B>Giornale</B>, Vittorio Feltri, innamorato di tutti i gatti del mondo, tanto che «se uno non ama gli animali come fa ad amare, che so, una zia?», Susanna Tamaro che racconta di Bianchina, il cane più brutto scelto al canile tra i più malati. Un atto d’amore puro, una sfida. «Data per spacciata, curata e amata ha vissuto altri sei anni. La cosa più commuovente è stata la sua gratitudine. Un sentimento che molti umani ormai non provano più». A riflettere invece sugli «animali da macello trasferiti in camion come gli uomini venivano portati nei campi di sterminio» è un’altra scrittrice, Dacia Maraini. Veronesi che con orgoglio racconta di come «sulle cavie da laboratorio abbiamo fatto passi da gigante, ormai utilizziamo il più possibile colture in vitro e in provetta». Ma l’importante è spostare sempre un po’ più in là l’asticella, muovendosi sempre di più verso la tutela e il rispetto degli animali. E allora viene quasi naturale parlare di macellazione, dei vitelli tenuti immobili per garantire le carni bianche. E si discute anche di caccia, dell’inutilità «di uccidere per sport», dice la Brambilla invocando l’abolizione della caccia. Dichiarazioni che ieri hanno fatto scoppiare il finimondo nel Pdl: l’assessore veneto alla famiglia Elena Donazzan le chiede di dimettersi.
Alla fine l’asticella dei limiti la sposta verso l’alto ancora Feltri, che dice: «E allora che dire della pesca, io voglio dare voce ai pesci, che notoriamente restano in silenzio, che si trovano questa spada conficcata in bocca e buttati nel cestino, sono condannati a morire lentamente».

 

 

Edda CattaniL’affettuosa amicizia del leone
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“I vecchi” che nessuno vuole

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Le mie riflessioni avvengono sempre in quel “giardino d’incanto” che è “Casa Madre Teresa”. Ormai non mi costa più tornarci ogni giorno perché ho scoperto quella che è la forza e la grande dignità dell’essere umano. Percosso da quelle che sono le grandi tragedie della vita, i “perché” non risolti, le risposte che la scienza non è in grado di dare,  ciascuno di noi finisce per accettare incondizionatamente il proprio stato e la realtà di essere “vecchio” . Si dice che la soglia della vecchiaia ha raggiunto cifre da record… ma come si giunge e come si vive la condizione di questa fase terminale della vita? Li vedo per le strade, accompagnati a volte dalle “badanti” questi “vecchi” più che ottuagenari, ma non trovo solidarietà, pazienza, aiuto nei loro confronti. Anche i bambini che una volta venivano educati al rispetto per le persone anziane di famiglia, si scostano con timore, a volte con atteggiamenti “schifati” a fronte di un tremolio, di un colpo di tosse un po’ accentuato, di una parola detta a sproposito.

A “Casa Madre Teresa” questo non avviene e ti par quasi di essere in un parco ove ognuno recita una parte. La malattia ha fatto perdere il senso del tempo, del luogo, della condizione… Poveri vecchi-bambini… le donne con i vestiti che andavano un tempo, le vecchie collane, i capelli abbelliti da un taglio corto e a volte “giovanile”, rincorrono un budino, un frutto, un sapore nuovo, una melodia, una canzone. Il colore e i bimbi in visita rappresentano uno sfumato spaccato di mondo che non sanno dove sia ubicato e le visite, accolte con gioia, non sempre lasciano individuare i ricordi…

I “vecchi” una condizione da scoprire, da non dimenticare, da amare!

 

 

"I vecchi" che non vuole nessuno

 

 

 

 

I  vecchi sulle panchine dei giardini
succhiano fili d'aria e un vento di ricordi
il segno del cappello sulle teste da pulcini
i vecchi mezzi ciechi i vecchi mezzi sordi
i vecchi che si addannano alle bocce
mattine lucide di festa che si può dormire
gli occhiali per vederci da vicino a misurar le gocce
per una malattia difficile da dire
i vecchi tosse secca che non dormono di notte
seduti in pizzo al letto a riposare la stanchezza
si mangiano i sospiri e un po' di mele cotte
i vecchi senza un corpo i vecchi senza una carezza
i vecchi un po' contadini
che nel cielo sperano e temono il cielo
voci bruciate dal fumo dai grappini di un'osteria
i vecchi vecchie canaglie
sempre pieni di sputi e consigli
i vecchi senza più figlie questi figli che non
chiamano mai
i vecchi che portano il mangiare per i gatti
e come i gatti frugano tra i rifiuti
le ossa piene di rumori e smorfie e versi un po' da
matti
i vecchi che non sono mai cresciuti
i vecchi anima bianca di calce in controluce
occhi annacquati dalla pioggia della vita
i vecchi soli come i pali della luce
e dover vivere fino alla morte che fatica
i vecchi cuori di pezza
un vecchio cane e una pena al guinzaglio
confusi inciampano di tenerezza e brontolando se
ne vanno via
i vecchi invecchiano piano
con una piccola busta della spesa
quelli che tornano in chiesa lasciano fuori
bestemmie e fanno pace con Dio
i vecchi povere stelle
i vecchi povere patte sbottonate
guance da spose arrossate di mal di cuore e di
nostalgia
i vecchi sempre tra i piedi
chiusi in cucina se viene qualcuno
i vecchi che non li vuole nessuno i vecchi da
buttare via
ma i vecchi, i vecchi, se avessi un'auto da
caricarne tanti
mi piacerebbe un giorno portarli al mare
arrotolargli i pantaloni e prendermeli in braccio
tutti quanti
sedia sediola… oggi si vola… e attenti a non sudare

 

…ed ora un racconto da un mio libro di scuola…

La tazza

C'era una volta, all'inizio del secolo scorso, una famiglia composta da madre, padre, 4 figli e un nonno. Vivevano in campagna, il papà usciva ogni giorno all'alba per coltivare i campi, e tornava a sera; la mamma badava alla casa e ai 4 figli; il nonno aiutava in casa e faceva piccoli lavori di falegnameria che insegnò al nipote più grande. Ogni sera, all'ora di cena i figli più grandi aiutavano la mamma ad apparecchiare la tavola, e ogni sera venivano messe in tavola 6 ciotole. c'era poi una tazza, la tazza del nonno, che era solo per il nonno e veniva messa vicino alla sedia del nonno accanto al camino. Li, lui mangiava.

Un giorno il padre tornò prima dai campi e andò in laboratorio a vedere cosa stava facendo il figlio più grande e lo trovò tutto intento a lavorare un pezzo di legno. Incuriosito chiese cosa stava facendo, e il figlio prontamente rispose " una tazza, una tazza per te papà per quando sarai vecchio". Subito il padre capì e da quella sera in poi in tavola furono messe sette ciotole…

 

Non è un paese per vecchi

A Tellaro (Lerici), dovrebbe sorgere una casa di riposo. Apriti cielo! l'idea trova molti nemici tra i cultori della vacanza giovanilistica. (10-17/12/2009) Eugenio Manca

Davvero Tellaro non è un paese per vecchi? Davvero non può esserlo l’Italia? Chissà che cosa direbbe il vecchio Mario Soldati, che di Tellaro era considerato una sorta di genius loci, se venisse a sapere che qualcuno strenuamente si oppone all’idea di aprire una casa di riposo per anziani nel cuore del borgo tanto amato, proprio in quella piazzetta ove talvolta era possibile incontrarlo, col basco, il bastone, il mezzo toscano ad addolcire il ghigno delle labbra, lo sguardo perso tra i barbagli del Golfo dei Poeti. E chissà come giudicherebbe le motivazioni addotte dal “comitato” che si dice contrario all’insediamento. Ne ha riferito qualche giorno fa il “Corriere della Sera” dando conto di scambi polemici avvenuti anche nel Consiglio comunale di Lerici, di cui Tellaro è frazione. Uno avrebbe detto: “Nella piazzetta di Capri non ci sono ospizi, e a nessuno verrebbe in mente di aprirne uno. Così a Portofino”. Un altro ha soggiunto: “Ci hanno detto che verranno anziani autosufficienti, ma sappiamo che intorno a queste strutture finiscono per girare ambulanze, carrozzelle, non è proprio la vista che ci si aspetta in un luogo di vacanza… Al posto del ristorante che c’era in piazzetta, già sfrattato, adesso ci sarà la sala mensa…”.
MENSA. Eh sì, bisogna ammetterlo, la vista di un vecchio che si muove a fatica col suo bastone suscita disagio, mal si concilia con l’idea del turista giovane e spensierato, saldo sulle gambe, sorridente e armato di camera digitale. Se poi si intravede una mensa, questo evoca subito un’idea di indigenza che confligge con l’auspicio di un turismo facoltoso e magari d’élite che scende al Gran Hotel e prende posto nei locali alla moda.
Se aggiungiamo carrozzelle, ambulanze, e – Dio ne scampi – perfino un carro funebre, allora il disastro è totale: la pellicola si sgrana, la fiction perde i filtri rassicuranti, e ritorna – guarda guarda – la vita nel suo insopportabile bianco e nero: proprio la vita che Soldati – narratore, commediografo, giornalista, uomo di cinema – ha saputo raccontare in presa diretta per quasi tutti i suoi 93 anni con parole asciutte, spoglie di agiografia e di retorica. Del resto non è proprio quello che Lerici ha voluto ricordare nel 2006, centenario della nascita dello scrittore, con quegli appuntamenti racchiusi nel titolo rossiniano “Una voce poco fa”?
VOCE. A onor del vero, va detto che la prima a levarsi contro ogni insofferenza verso l’apertura della casa alloggio è stata la voce del sindaco di Lerici, Emanuele Fresco. Il quale ha detto: “Sostenere che ospitare persone anziane in piazzetta danneggia il marketing territoriale è una cosa che mi fa inorridire. Cosa significa: che gli anziani sono poco decorativi? Sono brutti? Questo è razzismo estetico, non so come altro chiamarlo. Gli anziani sono un patrimonio della collettività”. E a chi gli obiettava che sarebbe bastato spostarsi di cento metri più in là ha risposto: “Ah sì? Vogliamo il ghetto? Vogliamo mettere i confini, di qua i giovani e belli, di là i vecchi e i malati? Mi rifiuto. Salgo sulle barricate. E mi preoccupo anche di essere nello stesso partito di chi sostiene queste cose”.
Alleluia! Il partito cui si riferisce il sindaco Fresco è il Pd, e la sua filippica pare indirizzata anche verso esponenti della sua stessa maggioranza, uno dei quali in passato è stato assessore alla Cultura nonché promotore delle celebrazioni soldatiane. Che dietro la disputa si celi una ruggine personale è probabile, ma ciò non sgombra il campo dal sospetto che più profonde e diffuse siano le “ragioni culturali” che animano la campagna dei contrari. Sono – ha visto bene il sindaco – le ragioni di una sconcia, inconfessabile teoria secondo cui il vecchio non può che vedere ridotti i suoi diritti di cittadinanza in un mondo veloce, aggressivo, competitivo. Oltre a essere poco decorativo è poco decoroso, portatore di una immagine che stride coi canoni di bellezza, efficienza, armonia suggeriti dalla “modernità”. In piazza il vecchio è fuori posto. Specie se sofferente, lascia trasparire un’idea di precarietà, di fragilità, di caducità che contrasta col clima di vacanze frenetiche e vitalistiche. Le quali più sono vuote di pensiero meglio è. No, non le troveremo sancite in nessun codice queste regole: si sono impadronite del senso comune, semplicemente. Ci sono e basta.
INDIGENTI. Ci torna in mente la casa di riposo dei vecchi indigenti di Lecce, allora denominata “asilo di mendicità”. Ebbene per un tempo infinito quei poveretti sono stati rinchiusi dentro la cinta muraria del cimitero, luogo ritenuto più consono alla loro condizione di naufraghi. Cortei in gramaglie di giorno e fuochi fatui di notte: era tutto il loro mondo. Guido Piovene, nel suo “Viaggio in Italia”, non finì di stupirsi per questa orribile fantasia spagnolesca, per questa macabra anticipazione della morte. È durata fino ai Settanta, allorché furono traslocati in aperta campagna.
Personalmente siamo sempre più convinti che il livello di civiltà di un paese si misuri dal grado di considerazione che sa riservare ai suoi vecchi, la parte più fragile e indifesa. La conferma – paradossale – viene dalla sentenza incisa sui cancelli di quel cimitero salentino: “Noi fummo ciò che voi siete. Voi sarete ciò che noi siamo”.

Autunno

 

(…) Ora passa e declina,

in quest'autunno che incede

con lentezza indicibile,

il miglior tempo della nost ra vita

e lungamente ci dice addio.

 

Vincenzo Cardarelli in POESIE, Mondadori, 1976

 

 

da "il salvagente.it – rubriche" 

 

 

 

Edda Cattani“I vecchi” che nessuno vuole
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Ricominciare il meglio di te

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Ricominciare il meglio di te

Se sei stanco e la strada ti sembra lunga,
se ti accorgi che hai sbagliato strada,
Non lasciarti portare dai giorni e dai tempi, Ricomincia.

Se la vita ti sembra troppo assurda,
Se sei deluso da troppe cose e da troppe persone
Non cercare di capire il perché, Ricomincia.

Se hai provato ad amare ed essere utile,
Se hai conosciuto la povertà dei tuoi limiti,
Non lasciar là un impegno assolto a metà, Ricomincia.

Se gli altri ti guardano con rimprovero,
Se sono delusi di te, irritati,
Non ribellarti, non domandar loro nulla, Ricomincia.

Perché l'albero germoglia di nuovo dimenticando l'inverno,
Il ramo fiorisce senza domandare perché,
E l'uccello fa il suo nido senza pensare all'autunno,
Perché la vita è speranza e sempre ricomincia…

Anonimo

 

Li pubblico per chi, come me, deve sempre ricominciare… quando non riesco a trovare la forza del gioire cristiano… In questi giorni quanto dolore nelle pagine di FB… dolori delle madri, ma anche dei papà che piangono una vita spezzata. Sentiamo il papà di Lene con quali termini strazianti parla della figlia adorata:

  

La fine dell'innocenza   … ricordi quando i giorni erano lunghi e piacevoli ai bordi del nostro mare? il tempo era blu e nuvole non correvano, mamma e papà sarebbero stati felici per sempre in questa favola d'amore poi il sole volò via e la fine della mia innocenza arrivò. e questa favola ci ha avvelenati come in una storia senza principe azzurro mentre il Dottore spiegava pacato le ragioni per cui tu eri volata via, e papà si sentiva a pezzi come un ramo secco ai bordi di un sentiero, era la fine dell'innocenza. Era bellissimo quando su questa terra ci amavamo come bambini su altalene piene di fiori, i cieli erano il nostro limite.. ora quei cieli ci minacciano con nuvole di pioggia e la fine del nostro sogno è arrivato senza scorte e senza avvisi. Ho pregato e pregammo nelle chiese perchè il mondo ti desse una possibilità ma le preghiere mute son salite in un cielo senza stelle a cercare di scaldare i nostri vuoti esistenziali. cosi papà ha smesso di sognare, queste nuvole non sono state soffiate via dal libeccio. l'innocenza degli amori e dei desideri si è fermata. gli odori della primavera non portano nuove gioie e neanche nuovi sogni restiamo qui a guardarci io e la mamma come se il mondo fosse una scatola di immensa assenza tutta nera nera i nostri occhi tornano ai tuoi sorrisi, ma l'eco si è spento assorbito dai rumori della terra caduta sulla tua tomba cosa mai puo restarci tra le mani chiuse per la rabbia? neanche l'acqua puo lavare via il dolore niente e nulla ha più sapori; vento e sole pioggia e freddo indifferenti scivolano sui nostri corpi immersi in una distanza insormontabile e così io e tua mamma ci guardiamo ed abbiamo occhi solo per i tuoi sorrisi che oramai non ci sono più Quanto lunga sarà questa strada e quanti viaggi ancora a venire in un mondo dove tutta l'allegria è scivolata via perchè questa, la tua gioia i tuoi sorrisi, i tuoi capelli le tue guance e le manine piccole e rotonde questa era la mia innocenza.. con te potevo credere nel mondo, con te potevo credere all'amore ed ora dopo che tutto il nostro meglio si è dissipato tra le nebbie di un mattino di pasqua su un lago verde cristallo.. ora dopo che gli occhi di tua madre si sono velati di gentili rughe di tristezza e capelli non volano piu sui suoi occhi azzurri come i tuoi ora che il lago ha ingoiato i mie ultimi sogni, ora seduto ai bordi di un'alba lontana come mille universi ora mi accorgo che con te ho perso anche tutta la mia innocenza.

 

 

 

 

Ieri sera  a Casa Madre Teresa il sacerdote rifletteva con gli ospiti sui motivi che richiamano la nostra gioia proprio perché l'autenticità della Resurrezione lascia grande spazio alla speranza. Poi ancora di ritorno a casa, mi giungeva un messaggio di rara bellezza nella fede:

 

 

E’ proprio quest’evidente consapevolezza che apre il mio passo alla speranza, che dà forza al mio braccio quando afferro e tengo stretta la mano degli amici nell’affrontare insieme le difficoltà dell’andare. E’ questa notte oscura che mi dà la gioia di voler procedere più spedito verso la Casa del Padre, seguendo lo Spirito del Buon Pastore, sapendo che il Regno é già tra noi. Qui e lì, dove ci attendono i nostri sogni più profondi e più veri, la nostra essenza finalmente ritrovata." (P.V.)

A questo era allegato il seguente testo di cui, richiamandone la lettura attenta, prendo lo stralcio che apre il mio cuore ad una nuova meditazione:

 GAUDETE IN DOMINO

 ESORTAZIONE APOSTOLICA
DI SUA SANTITÀ
PAOLO VI

…… La risurrezione di Gesù è il sigillo posto dal Padre sul valore del sacrificio del suo Figlio; è la prova della fedeltà del Padre, secondo il voto formulato da Gesù prima di entrare nella sua passione: «Padre, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te» (37). D'ora innanzi, Gesù è per sempre vivente nella gloria del Padre, ed è per questo che i discepoli furono stabiliti in una gioia inestinguibile nel vedere il Signore, la sera di Pasqua.
Ne deriva che, quaggiù, la gioia del Regno portato a compimento non può scaturire che dalla celebrazione congiunta della morte e della risurrezione del Signore. È il paradosso della condizione cristiana, che illumina singolarmente quello della condizione umana: né la prova né la sofferenza sono eliminate da questo mondo, ma esse acquistano un significato nuovo nella certezza di partecipare alla redenzione operata dal Signore, e di condividere la sua gloria. Per questo il cristiano, sottoposto alle difficoltà dell'esistenza comune, non è tuttavia ridotto a cercare la sua strada come a tastoni, né a vedere nella morte la fine delle proprie speranze. Come lo annunciava il profeta: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia» (38). L'Exultet pasquale canta un mistero realizzato al di là delle speranze profetiche: nell'annuncio gioioso della risurrezione, la pena stessa dell'uomo si trova trasfigurata, mentre la pienezza della gioia sgorga dalla vittoria del Crocifisso, dal suo Cuore trafitto, dal suo Corpo glorificato, e rischiara le tenebre delle anime: Et nox illuminatio mea in deliciis meis (39).
La gioia pasquale non è solamente quella di una trasfigurazione possibile: essa è quella della nuova Presenza del Cristo Risorto, che largisce ai suoi lo Spirito Santo, affinché esso rimanga con loro. In tal modo lo Spirito Paraclito è donato alla Chiesa come principio inesauribile della sua gioia di sposa del Cristo glorificato. Egli richiama alla sua memoria, mediante il ministero di grazia e di verità esercitato dai successori degli Apostoli, l'insegnamento stesso del Signore. Egli suscita in essa la vita divina e l'apostolato, E il cristiano sa che questo Spirito non sarà mai spento nel corso della storia. La sorgente di speranza manifestata nella Pentecoste non si esaurirà.
Lo Spirito che procede dal Padre e dal Figlio, dei quali egli è il reciproco amore vivente, è dunque comunicato d'ora innanzi al Popolo della nuova Alleanza, e ad ogni anima disponibile alla sua azione intima. Egli fa di noi la sua abitazione: dulcis hospes animae (40). Insieme con lui, il cuore dell'uomo è abitato dal Padre e dal Figlio (41). Lo Spirito Santo suscita in esso una preghiera filiale, che sgorga dal più profondo dell'anima e si esprime nella lode, nel ringraziamento, nella riparazione e nella supplica, Allora noi possiamo gustare la gioia propriamente spirituale, che è un frutto dello Spirito Santo (42): essa consiste nel fatto che lo spirito umano trova riposo e un'intima soddisfazione nel possesso di Dio Trinità, conosciuto mediante la fede e amato con la carità che viene da lui. Una tale gioia caratterizza, a partire di qui, tutte le virtù cristiane. Le umili gioie umane, che sono nella nostra vita come i semi di una realtà più alta, vengono trasfigurate. Questa gioia, quaggiù, includerà sempre in qualche misura la dolorosa prova della donna nel parto, e un certo abbandono apparente, simile a quello dell'orfano: pianti e lamenti, mentre il mondo ostenterà una soddisfazione maligna. Ma la tristezza dei discepoli, che è secondo Dio e non secondo il mondo, sarà prontamente mutata in una gioia spirituale, che nessuno potrà loro togliere
(43).
Tale è la legge fondamentale dell'esistenza cristiana, e massimamente della vita apostolica. Questa, poiché è animata da un amore urgente del Signore e dei fratelli, si manifesta necessariamente sotto il segno del sacrificio pasquale, e per amore va incontro alla morte, e attraverso la morte alla vita e all'amore. Donde la condizione del cristiano, e in primo luogo dell'apostolo, che deve diventare il «modello del gregge» (44) e associarsi liberamente alla passione del Redentore.

 

 

 

 

 

Edda CattaniRicominciare il meglio di te
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C’è un senso di Te!

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Dedicato a te, piccola Yara, abbandonata in un campo di sterpaglie, divenute gigli del Cielo!

 

   …Eppure, Sentire…

Nei fiori tra l'asfalto…

Nei cieli cobalto c'è…

…Eppure, Sentire…

Nei sogni in fondo a un pianto…

…Nei giorni di Silenzio c'è…

 

 

 

 Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso. […]

 nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo.

[ Geremia 20]  

Quando si può solo fare silenzio…

 

Edda CattaniC’è un senso di Te!
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Accettazione e morte dolce

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IL DOLORE DELL'UOMO E IL SILENZIO DI DIO

Desidero rinnovare questo articolo scritto con una problematica tanto discussa dalla politica e dalla religione. L’occasione mi viene data da un post di Fra Benito pubblicato su FB:


".. oggi ricordo Eluana .. e il suo papà Peppino .. e tutti coloro che della loro situazione drammaticamente sofferente hanno vissuto, e vivono, rumori inutili anziché silenzi indispensabili .. il loro è stato un grido sfinito come quello di Giobbe .. e noi siamo per loro solo dei "medici del nulla" .. perché l'urlo di reazione di chi sta male è sempre un grido di lotta e di resistenza a ciò che avviene coscientemente o incoscientemente alla propria vita ferità .. e al grido del dolore innocente che vuole spegnere la vita non ci sono risposte uguali e precise, neanche quelle che ci sembrano di Dio .. il quale pone 'il suo primo sguardo sempre sulla sofferenza delle persone, e non sul loro presunto peccato' .." (Fra Benito)

Il percorso di accettazione

 

 

Vivo in questi giorni una condizione di infermità che unita a quella del mio sposo mi ha portato a fare alcune riflessioni che desidero condividere con tutti voi cari amici del web.

Chi si scopre malato intraprende un cammino difficile e impervio per prendere atto della propria situazione e conviverci. La speranza a volte porta a cercare strade faticose e a volte impreviste, tortuose e poco sicure, ma chi può sapere a cosa porta la nostra corporeità? A volte, quando ti senti più sicuro, giungi a conoscere una diagnosi che conduce a niente di buono.

Scrivo quest’articolo sulla spinta, che con molta sensatezza si prefigge lo scopo di chiarire quanto realmente può succedere e si può pensare, in qualsiasi contesto, da giovani o anziani, da abbienti o indigenti ci si trovi a vivere (guardiamo il nostro amico Cassano… che Dio ce lo ridia presto guarito!). Ricevere una diagnosi sfavorevole impone all’individuo una strada che può deviare o interrompersi in alcune tappe. Chi si ammala si vede quasi all’improvviso scaraventato al di là di una sorta di confine del quale non conosceva neppure l’esistenza, ossia il confine tra chi è sano e chi non lo è.

UN ALTRO MONDO Questo confine è fatto soprattutto di una dolorosa incomunicabilità fra le persone che si trovano ai due lati. Chi sta vicino ad una persona affetta da una patologia seria non è in grado di capire fino in fondo ciò che succede nel proprio familiare, amico, compagno di vita e spesso non riesce neppure ad attivare un atteggiamento di sereno ascolto, che possa permettere a chi si ammala di esprimere le proprie emozioni e paure o, se preferisce, parlare di cose leggere per distrarre l’attenzione. Chi fa l’esperienza di una malattia seria entra concretamente e irrimediabilmente in contatto con la propria fragilità e con la prospettiva della morte. A quel punto la vita diventa da quel momento in poi un percorso a tappe, fatte di speranze, visite specialistiche, esami, indagini strumentali, disillusioni, paure, nuove speranze, terapie, effetti collaterali delle terapie. E poi di nuovo esami, controlli, valutazioni, altre terapie.

UNA DIFFICILE ACCETTAZIONE Se la malattia è cronica ma non mortale, la persona colpita ha bisogno di trovare un equilibrio che preveda l’accogliere la malattia stessa e inglobarla nella propria quotidianità. Per questo essere portatori di una malattia cronica significa sostanzialmente rivoluzionare la propria vita perché essa sia il più possibile protetta dagli effetti della malattia stessa. Nel caso delle malattie mortali o potenzialmente tali, comunque delle malattie progressive, si deve fare i conti con la finitezza della vita umana, con la paura della morte e soprattutto di come e quando essa possa avvenire. Si possono passare momenti di angoscia intensa, assolutamente non comunicabili, talvolta minimizzati dai propri cari che cercano di non affrontare, loro per primi, l’angoscia legata alla sofferenza a cui devono assistere.

 

La morte dolce

 

  Impossibilitata a recarmi quotidianamente dal mio sposo reso ormai un Cristo, senza più fattezze umane, consunto dalla sofferenza e allo stremo delle forze, mi sono chiesta quanto abbia contribuito l’assisterlo ogni giorno per questi lunghi anni nel ritrovarmi in questo mio stato e se sia giusto che una famiglia precipiti in un abisso così profondo per chi soffre e per chi assiste.

Ricordo che tempo fa, nello stato di Washington fu indetto un referendum per legittimare l’eutanasia, ma nonostante fossero molti i convinti sostenitori della legittimazione del “suicidio assistito” la maggioranza dei cittadini (il 55%) ha detto no a tale forma di intervento sull’esistenza umana. Ebbene anch’io mi sono chiesta se sia giusto o meno, in democrazia, e secondo coscienza, chiamare gli elettori a pronunciarsi sulla vita o sulla morte, sulla salute o sulla sofferenza, sull’accettazione della propria con dizione esistenziale o sulla «buona mor­te», al fine di non dover sostenere una lotta per sopravvivere.

Ho letto varie opinioni, di medici, di studiosi, di gente comune, laici e cattoli­ci, ne ho ricavato la convinzione che la maggioranza degli italiani è contraria ad un referendum che decida della vita de­gli altri. E poi, una volta che l'eutanasia fosse approvata e ammessa dalla legge, chi ci garantirebbe dagli abusi?

Infatti potrebbe diventare un facile mez­zo per liberarsi di persone anziane «sco­mode», di handicappati e malati cronici, di giovani drogati o affetti da AIDS che si sentono soli e abbandonati.

Sarebbe giusto tutto questo?

È terribile pensare che una legge possa disporre della vita di mio marito ancora cosciente, di una persona qualsiasi sia pure al limite della vita e che una maggioranza possa legittimare che vi sia un medico o un familiare, il quale sia disponibile ad assecondare una vio­lenza, una offesa fatta alla volontà della «non sofferenza».

Una cosa è cercare il consenso nel cu­rare il dolore, nel lenire le sofferenze, un'altra cosa è dare un senso diverso al­l'esistenza, magari qualificandosi maggior­mente come «atto d'amore».

Si è giunti addirittura a consegnare «una bustina» al paziente che lo chiede se colpito da una malattia inguaribile, af­finché possa bere qualche cosa che lo fac­cia morire in pochi minuti.

Questo accade in Olanda, dove a po­chi chilometri da Amsterdam c'è un ospe­dale moderno, che consente di praticare l'eutanasia senza distinzione di età, per­ché la «morte dolce» trovi spazio e liberi il mondo da gente ormai inutile.

Il medico che assiste gli ammalati a Casa Madre Teresa quando ho chiesto se sia giusto vederli soffrire così, intubati, alimentati artificialmente, totalmente paralizzati, ciechi, muti … mi ha risposto che mai e poi mai un’etica professionale permetterebbe loro di abbandonarli fino all’ultimo respiro.

“Questa è la vita” mi disse Mentore quando entrammo come “ospiti” ed è così!

 

Quanto vale la vita?

Se «soffrire non è un modo degno di vivere», vuol dire che la vita è qualitati­vamente valida soltanto nelle migliori condizioni di salute e di benessere, altrimenti è inutile assistere, sacrificarsi, es­sere generosi verso gli altri: è una perdi­ta di tempo, una spesa eccessiva senza risultati tangibili.

Stiamo attenti che, se si fa strada una simile convinzione, è facile ampliare lo spazio per affrettare il trapasso di tanti infelici, ai quali in questo modo si nega il diritto di lottare per prolun­gare l'esistenza e per avere vicino qual­cuno che mostra affetto nei momenti peg­giori.

Non mi sembra che, dal punto di vista morale e religioso, vi sia una giustifica­zione accettabile a procurare la morte a chi la chiede o a chi crede di poter finire di penare affrettando il trapasso.

Con l'eutanasia ci troveremmo a dover sostenere meno spese e minori difficoltà assistenziali, ma avremmo tanti problemi affettivi e psicologici da risolvere, che au­menterebbero le difficoltà per coloro che devono prendere decisioni vitali per gli altri.

Non è più conveniente dare impulso al­lo studio, alla ricerca, alla migliore con­vivenza ambientale piuttosto che fabbri­care strumenti di morte?

Quei bambini, quegli adulti, quegli an­ziani che, in tante parti del mondo sotto­sviluppato o industrializzato, muoiono ogni giorno senza cibo, medicine, cure, assistenza non rappresentano già una for­ma di eutanasia indirettamente voluta da coloro che stanno meglio e hanno per sé la maggior parte dei beni materiali e de­gli affetti?

Perché, dunque, voler legittimare «un genocidio» che avviene quotidianamente senza che neppure ce ne accorgiamo?

Perché non reagire e sentirsi in colpa, cercando di dare un senso migliore alla vita, specialmente di tanti, piccoli e gran­di, che non possono beneficiare di alcu­na felicità?

Vorrei che le mie modeste considera­zioni fossero condivise da qualcuno di buona volontà, che cominciasse a rea­gire efficacemente per dare al nostro sistema democratico un carattere meno liberticida e più coscienzioso verso problematiche che devono puntare alla libertà, ma con un senso di grande responsabilità.

E da ultimo, con coscienza religiosa vorrei come il piccolo fratel Carlo abbandonarmi al Padre perché faccia di noi quanto di meglio crede … lui sa ciò che è bene … perché è solo AMORE!

 

 La preghiera dell’abbandono

Padre mio,
Io mi abbandono a te:
fa’ di me ciò che ti piace!
Qualunque cosa tu faccia di me,
ti ringrazio.

Sono pronto a tutto,
accetto tutto,
purché la tua volontà si compia in me
e in tutte le tue creature.

Non desidero niente altro, mio Dio.
Rimetto la mia anima
nelle tue mani,
te la dono, mio Dio,
con tutto l’amore del mio cuore,
perché ti amo.

Ed è per me un’esigenza d’amore
il donarmi,
il rimettermi nelle tue mani
senza misura,
con una confidenza infinita,
poiché tu sei il Padre mio.

  

 



 

 

 

 

 

Edda CattaniAccettazione e morte dolce
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Le campane tibetane

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Oggi, alla nostra riunione a.c.s.s.s. abbiamo, tra l'altro, avuto il piacere di ospitare due giovani che ci hanno accompagnato ad una meditazione con il suono delle  "campane tibetane"; una sensazione meravigliosa di cui mi piace approfondire il significato.

 

 

 

Le Campane Tibetane (Singing Bowls)

Una pratica per la terapia del suono consiste nell’uso delle Campane tibetane. Esse sono ottenute dalla fusione di sette metalli, ciascuno dei quali rappresenta un pianeta. Sembrano, a prima vista, delle ciotole di metallo e riproducono la calotta cranica, parte anatomica importante nella cultura sciamanica. L’uso delle campane tibetane è sempre più diffuso in occidente ( riproduce la vibrazione creatrice primordiale OM ) in seno ai cultori delle filosofie orientali, che ricercano, nella meditazione e nella musicoterapia il raggiungimento dell’armonia dell’uomo con quanto lo circonda. Le campane tibetane producono quindi suoni in armonia con le vibrazioni delle sfere celesti e trasmettono queste vibrazioni a chi le ascolta. Questo fenomeno si chiama in termini tecnici, “concordanza di fase” ed è lo stesso che mettere 2 pendoli uno accanto all’altro: dopo un certo periodo di tempo iniziano a seguire lo stesso ritmo, come due onde che tendono a unirsi e a vibrare all’unisono. Grazie a questo fenomeno si creano delle forti vibrazioni massaggiando in profondità il corpo fisico ma anche i corpi più sottili. Si viene così a creare una concordanza di fase che produce di solito uno stato di profonda quiete interiore ed esteriore che può andare ben al di là del semplice rilassamento, fino a giungere alle onde teta e delta degli stati meditativi più profondi.
I suoni delle campane tibetane quindi stimolano un processo di auto guarigione e di armonizzazione.
Quando il corpo ritrova le proprie frequenze armoniose, ritrova la salute ed il benessere. Le Campane Tibetane producono suoni in armonia con le vibrazioni cosmiche risvegliando e rimembrando qualcosa che c’è già dentro all’essere umano. Solo che è molto in profondità e lo spesso strato che si è accumulato in superficie non ha fatto altro che allontanarsi da quel suono originale portando uno stato di “non accordatura”, quindi stonatura e dissonanza. Le vibrazioni delle campane tibetane dunque accordano e sintonizzano l’individuo nell’orchestra sinfonica del cosmo sostenendo una condizione di prolungato benessere.
Questa vera e propria terapia del suono, potrà donare effetti benefici soprattutto per il sistema nervoso centrale; poiché questi suoni portano il cervello a lavorare prima su onde alfa e poi su onde theta si possono riscontrare benefici per tutti i problemi di insonnia e irritabilità.
I suoni prodotti agiscono anche a livello mentale, infatti le onde meccaniche prodotte dal suono vengono percepite dalle onde elettromagnetiche cerebrali influenzandone la frequenza e gli stati di coscienza collegati. Questi suoni inducono un rilassamento profondo che interviene in aiuto allo stato di benessere personale dell'individuo riequilibrando ed energizzando il corpo dove necessario. Ricevere i suoni rimanendo aperti e ricettivi, permette di accettare meglio se stessi e gli altri, abbassando i livelli di stress e rendendoli più accettabili.
L'ascolto di queste frequenze, consente di rallentare alcuni ritmi vitali con la conseguenza di migliorare la percezione del proprio corpo, che a poco a poco diventa in grado di sentire il passaggio dallo stato di malessere a quello di benessere.
Le principali applicazioni che ha questo tipo di pratica sono: stimolare l'energia vitale, indurre il rilassamento, combattere l'insonnia, migliorare la concentrazione, sincronizzare l’emisfero destro e sinistro del cervello ed aumentare la creatività.
 
  Il Massaggio Sonoro è indicato per:
– Rapido raggiungimento di uno stato di profondo rilassamento
– Eliminare progressivamente stati di  nervosismo, ansia, angoscia
– Energizzare ed armonizzare il sistema bioenergetico
– Rinforzare le forze di autoguarigione
– Equilibrare i chakra 
– Risolvere i più comuni disturbi del sonno
– Rilassare e tonificare la carica psicofisica
– Creare maggior silenzio interiore e predisposizione alla meditazione
 

 

Edda CattaniLe campane tibetane
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