Spontaneità e tenerezza
ANCHE QUI E' NATALE!
La visita di papa Francesco all'ospedale pediatrico Bambino Gesù – l'"ospedale del Papa" lo chiamano a Roma essendo dal 1924 di proprietà della Santa Sede – è stata un'immersione in una delle esperienze più toccanti, la… sofferenza dei bambini, per portare in vista del Natale un segno di speranza, di conforto, di incoraggiamento. Quasi tre ore nei reparti a contatto con i piccoli pazienti e i familiari, preferendo non avere nessun altro intorno a sé, dispensando ai bambini ricoverati, uno ad uno, baci, carezze, gesti di tenerezza.
Fin dalle sue prime espressioni, la cerimonia d’insediamento di papa Francesco conferma che i suoi gesti e le sue parole non erano casuali ma ben meditate: presentandosi come semplice vescovo di Roma e spogliandosi di ogni esteriorità regale, Jorge Mario Bergoglio persegue il disegno ecumenico della riunione con tutte le chiese che mal sopportano una pratica gerarchica del ministero petrino.
Ma anche questa mattina da un’intervista al responsabile a Roma della Chiesa ebraica, sono giunte malcelate critiche al rito cattolico in cui si prega per “redimere” coloro che non sono convinti della venuta messianica. Diceva pertanto il rabbino che nessuno di loro chiede di essere “redento” in quanto la loro convinzione non li porta all’accettazione che Gesù Cristo sia il Figlio di Jahvè perciò che qualcuno sia morto e risorto per noi dopo l’ignominia della croce.
Ciò nonostante il Papa argentino si presenta con l’umiltà del “servizio” e non potendo che avvalersi di quanto gliene viene come eredità da una Chiesa che è stata più separatista che conciliare chiama tutti, indistintamente “fratelli e sorelle” salutandoli con un familiare “buonasera”!
E’ partito dal giorno dell’investitura con l’assumere il nome di Francesco, il beato della povertà e della vita praticata in “perfetta letizia” ed ha continuato richiamando la figura di San Giuseppe con la missione che Dio gli ha affidato, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; una custodia che ha voluto definire come estesa alla Chiesa tutta.
Ha poi ripetuto: “Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende.”
“Giuseppe è “custode” perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge…”
Da queste parole in premessa, ciò che più ha colpito di questo uomo venuto “dall’altra parte del mondo” è la semplicità con cui si pone nei riguardi dell’altro, di coloro che ci hanno insegnato a chiamare “prossimo” e che lui definisce “tutto il popolo di Dio” con il richiamo ad accogliere “con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nei giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, è straniero, nudo, malato, in carcere. Solo chi serve con amore sa custodire!”.
Solo chi “serve con amore” può custodire!
E noi serviamo con amore?… perché se “servizio” e “amore” sono legate a doppia mandata come la buccia al frutto c’è da chiedersi quanto ne abbiamo capito noi.
E’ bello, addirittura commovente, vedere un uomo che scende dalla “papa mobile” e si avvicina al bambino, al tetraplegico per abbracciarlo. Noi stessi abbiamo imparato a salutarci con un abbraccio … La nuova cultura laica del “benessere” invita ad avere rapporti tangibili nelle manifestazioni affettive.
Io fui turbata anni fa, quando ad un convegno il relatore chiese ai presenti: “prima di iniziare voglio dire a tutti “abbracciatevi”… Mi guardai intorno, pensando a chi avrei dovuto rivolgermi … ad una donna che mi stava vicina con il fazzoletto in mano, al ragazzo davanti a me, al signore attempato dal cipiglio severo … Eh sì, perché noi vorremmo sceglierci chi abbracciare.
Sembra facile dire “ti voglio bene” e poi girare le spalle perché “sono stanco e non mi torna comodo e poi mi hai spossato con tutte le tue lamentele …” Sembra facile scegliere chi amare … come e quando e chi … amare.
In questo periodo della modernità sembra veramente che più che la civiltà ci sia spazio per l’inciviltà, in quanto spesso quando si ama si è possessivi, si tiene conto dell’oggetto, non della persona e poi quando non la si vuole più la si sopprime… Mai, come in questi giorni si era parlato di omicidi sulle donne e ne è stato coniato un termine: “femminicidio”, mentre i delitti della storia sulle donne (v. Edordo VIII e Anna Bolena) rimangono documenti attestanti l’orrore di una eliminazione non dovuta, di un amore malato.
Alla base di tutto (e ne abbiamo parlato varie volte) c’è un profondo egoismo, il tenere conto solo di quando l’amore ci fa stare bene: io ti prendo per quanto mi dai e sta a me decidere per quanto tempo.
Si dice che l'amore vero è quello altruista, disinteressato, che desidera solo il bene dell'altro; ma esiste davvero un amore del genere?
Se siamo sinceri riguardo a noi stessi e ai nostri sentimenti e osserviamo il comportamento altrui, le cose di solito stanno diversamente. Certo che vogliamo il bene dell'altro, ma deve essere un bene condiviso con noi.
Quale complessità negli equilibri umani! E una volta che ci si è appropriati degli affetti, rimaniamo distrutti perdendoli…
Vivo quotidianamente l’esperienza delle Mamme di FB e rimango costernata nel riscontrare, a volte, che il dolore si muta in aspra disamina dell’abbandono, quasi che ciascuno di noi fosse padrone della vita e della morte.
“Perché mi hai lasciato? Sapevi in quale stato mi sarei trovata!” Il credere nella sopravvivenza non fa venire meno il teorema del possesso: io avevo diritto di averti per tutta la vita!
Il timore di essere abbandonati appartiene a ognuno di noi. La persona che sa convivere con questo timore riesce a gestirlo e a non farsi influenzare nell’ambito della sua vita relazionale. Ma per molti questa paura non è facile da condurre: alcune persone sono affette in modo patologico dalla sindrome dell’abbandono che condiziona gravemente la loro vita affettiva.
L’uomo nasce solo, già quando si sviluppa in grembo alla madre, coltiva dentro a sé quel desiderio di espandersi, di venir fuori, e tende la mano al mondo per essere condotto… Cosa fa meglio allora se si nasce già con questa dipendenza dall’altro?
L’amore vero ritorna quello del Vangelo: “Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri”. (Luca 12,1-7)
“Amare non significa solo dedicarsi interamente, con una generosità completa, né consacrarsi corpo ed anima senza condizioni ad attività in favore del prossimo, ma, prima di tutto, fare opera di intelligenza, chiedendoci con amore e con un sentimento profondo di rispetto degli uomini nostri fratelli, qual è il miglior bene che noi possiamo offrire loro, non solo, certamente nella prospettiva temporale ma in quella del destino spirituale.” (René Voillaume)
A questo dà risposta l’abbraccio di Papa Francesco che richiama alla tenerezza fraterna, quella che fa dimenticare chi io sia, quanto ti abbia dato o ti stia dando ma si dona nell’assoluta dedizione incondizionata all’altro per dargli solo amore senza nulla chiedere.
Questa posizione richiede sacrificio, pone domande alla nostra coscienza e ci fa esprimere con semplicità ed umiltà nei riguardi degli altri, fa sentire pieno l’amore di un Padre che nulla chiede se non di essere amato.
Un cammino nuovo per l’uomo e per la Chiesa. Ammanicati ad orpelli ed apparati di ogni genere siamo più inclini ad andarcele a cercare le difficoltà che a vedere le cose con la semplicità dei fanciulli ma ce la si può fare.
Allora quando vediamo una persona sola, un ammalato, un “povero diavolo” che chiede l'elemosina ci viene da dire "abbandonato da Dio e dagli uomini". Niente di più sbagliato. Quanti di noi si sono sentiti abbandonati dalle persone, amici che non ci sono nel momento del bisogno, figli che escono di casa e non fanno più nemmeno una telefonata, mogli o mariti che si separano e fuggono dalle loro responsabilità.
Nessuno però è abbandonato da Dio, Egli, diceva Madre Teresa, ha il nostro nome scritto sul palmo della Sua mano e non si dimentica di nessuno.
Le madri, i padri provati da lutti gravi, i sofferenti per distacchi, i bambini dati in affidamento, i vecchi che nessuno vuole … sembrano abbandonati da tutti anche dalle istituzioni…, ma Dio non li dimentica, anche se l'uomo tende ad escluderli dalla propria vista, vorrebbe tenerli nascosti come si tiene la spazzatura rinchiusa in cucina quando viene un ospite.
Ma i fratelli non sono spazzatura, sono cibo per la nostra anima. Dobbiamo far sì che tutti noi, ma proprio tutti, con atteggiamento di estrema semplicità doniamo tenerezza all’altro facendo sentire che siamo lì, davanti a loro, pronti ad accoglierli, comprenderli, abbracciarli.
Nell´Omelia del 19 Marzo il Santo Padre ci ha invitati a non avere paura della tenerezza! Ma cosa significa il termine “Tenerezza”? Significa essere sempre vicino a chi ci sta accanto, guardarlo negli occhi con semplicità e lealtà, non significa pietà, significa amare l’altro con occhi puliti, con gli occhi dell´anima…!
Non si può essere teneri verso qualcuno se prima non siamo teneri con noi stessi! Solo se siamo puliti dentro allora la nostra tenerezza brillerà sugli altri come il raggio di sole che entra in una stanza buia. Tenerezza significa essere sempre pronti ad amare gli altri, significa essere fratelli, e Papa Francesco ce lo ha dimostrato!