Il Trattato sulla tolleranza è una delle più famose opere di Voltaire. Pubblicata in Francia nel 1763 costituisce un testo fondamentale della riflessione sulla libertà di credo, sul rispetto delle opinioni e di molte di quelle caratteristiche con cui oggi identifichiamo una società come civile.
Non è più dunque agli uomini che mi rivolgo; ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi, di tutti i tempi:
se è lecito che delle deboli creature, perse nell’immensità e impercettibili al resto dell’universo, osino domandare qualche cosa a te, che tutto hai donato,
a te, i cui decreti sono e immutabili e eterni, degnati di guardare con misericordia gli errori che derivano dalla nostra natura.
Fa’ sì che questi errori non generino la nostra sventura.
Tu non ci hai donato un cuore per odiarci l’un l’altro, né delle mani per sgozzarci a vicenda;
fa’ che noi ci aiutiamo vicendevolmente a sopportare il fardello di una vita penosa e passeggera. Fa’ sì che le piccole differenze tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi,
tra tutte le nostre lingue inadeguate, tra tutte le nostre usanze ridicole,
tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate,
tra tutte le nostre convinzioni così diseguali ai nostri occhi e così uguali davanti a te,
insomma che tutte queste piccole sfumature che distinguono gli atomi chiamati “uomini” non siano altrettanti segnali di odio e di persecuzione.
Fa’ in modo che coloro che accendono ceri in pieno giorno per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole;
che coloro che coprono i loro abiti di una tela bianca per dire che bisogna amarti, non detestino coloro che dicono la stessa cosa sotto un mantello di lana nera;
che sia uguale adorarti in un gergo nato da una lingua morta o in uno più nuovo.
Fa’ che coloro il cui abito è tinto in rosso o in violetto, che dominano su una piccola parte di un piccolo mucchio di fango di questo mondo,
e che posseggono qualche frammento arrotondato di un certo metallo, gioiscano senza inorgoglirsi di ciò che essi chiamano “grandezza” e “ricchezza”,
e che gli altri li guardino senza invidia: perché tu sai che in queste cose vane non c’è nulla da invidiare, niente di cui inorgoglirsi.
Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli!
Abbiano in orrore la tirannia esercitata sulle anime,
come odiano il brigantaggio che strappa con la forza il frutto del lavoro e dell’attività pacifica!
Se sono inevitabili i flagelli della guerra, non odiamoci, non laceriamoci gli uni con gli altri nei periodi di pace,
ed impieghiamo il breve istante della nostra esistenza per benedire insieme in mille lingue diverse,
dal Siam alla California, la tua bontà che ci ha donato questo istante.
Dall’arrivo di Papa Francesco sembra che la chiesa e quindi la comunità dei fedeli abbiano dato una svolta alla storia. E' "l'effetto Papa Francesco", analizzato in una ricerca del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), con un campione distribuito fra le comunità ecclesiastiche che ha affermato di avere riscontrato un aumento delle persone che si riavvicinano al culto o si confessano, aggiungendo che costoro citano esplicitamente gli appelli di Papa Francesco come ragione del loro riavvicinamento agli ambienti religiosi.
Il richiamo infatti alla tenerezza, al perdono del Padre, al non lasciarci rubare la speranza avvicinano l’uomo alla pratica osservante, intesa anche come voler amare Dio non solo perché ce l’hanno insegnato: e questo va bene. Quasi sempre nondimeno quando iniziamo a pregare, dalla condivisione, pian piano scopriamo il vangelo (la buona novella): allora iniziamo a pregare e amare Dio non solo per senso del dovere (o di colpa) ma perché ci sentiamo, ci riconosciamo amati e la risposta di amarlo ci nasce dal cuore.
Credo però sia necessario fare un richiamo: occhio che dico “riconoscersi” amati più che “sentirsi” amati. La fede non è solo emozioni, né solo ragionamenti ma un credere libero.Serve poco una pratica religiosa mossa solo dall’ansia di essere perfetti, di scalare la montagna di Dio dicendo uno o più formule … non posso pensare che dire dieci rosari voglia portarmi ad essere amato da Dio; meglio fare un bel respiro e riconoscere che già Lui mi sta amando.
Una preghiera più bella e utile è piuttosto quella che sale dal cuore come una risposta al Suo amore. Allora rispondo anche con la pratica religiosa. Sintesi: sì alla pratica religiosa, ma come risposta al Suo amore, non solo come sforzo o fatto emotivo.Le relazioni di dipendenza emotiva possono apparire innocue o addirittura sane in un primo momento, ma possono condurre alla distruzione e a vincoli più grandi di quanto la maggior parte delle persone possa immaginare … e questo può accadere anche nell’atteggiamento del credere o del pregare.
Appartiene alla mia storia l’orazione in cappella, il mio atteggiamento estatico, il desiderio di sentirmi come Santa Teresa o San Giovanni della Croce … un aspetto tremendamente consequenziale nell’abbandono: la disgregazione di se stessi, del proprio involucro umano per esplodere nella Luce della Gloria.. ma quanto poteva esserci di mio in quei momenti … quanto c’era di Dio?
Sono appena tornata da un convegno dove si sono trattate, sotto vari aspetti, tutte le scienze umane ed ho approfondito, ancora una volta come sia pericoloso il rapporto di “dipendenza” non solo da altri, o da Dio, ma da me stessa.
Sono io che spesso posso travisare la pratica più innocua ed associarla ad una buona implorazione … serve poco se questa è mossa solo dal volere a tutti i costi raggiungere la perfezione dei santi di Dio formulando devozioni, tempi di preghiera estatica per cercare di essere amato da Dio. Dio chiede e vuole ben altro da noi … Non c’è un "tempo da dedicare a Dio" … in quanto Dio è nel mio tempo, in tutto il mio tempo.
Anche la formula della preghiera può rappresentare un ostacolo alla fede … Il chiamare Dio “padre” non indica arrivare a Lui con atteggiamento di sdolcinata mollezza e anche il definirlo un “papà” non vuol dire accovacciarmi ai suoi piedi perché poi tutto mi sia concesso. Il Padre è anche Colui che viene proposto nelle scritture come “Dio degli eserciti” e la Sua forza è pari alla Sua amabilità.
L’essenziale non è la fede che sviluppa una condizione di beatitudine.
Il mio Dio mi sprona, non mi fa rimanere inerte e abbandonato, ma mi fa drizzar la schiena, mi fa andare avanti, nonostante tutto, dà soluzione alla mia “fede affamata”.
La pagina del Vangelo di oggi sembra manifestare tutto questo.
Vediamone qualche spunto insieme:
“Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà.”
Gesù 'il giorno prima' ha operato il miracolo della moltiplicazione dei pani mosso a compassione dalla numerosa folla che da tanti giorni lo seguiva… Egli ha voluto, infatti, operare questo miracolo non per saziare le folle ma per condurle pian piano a sentire 'fame' di Lui, Vero Pane: d'ora in poi, il Vangelo di Giovanni ci rivelerà progressivamente Gesù Pane di Vita, Gesù Pane per la Vita.
«… voi mi cercate non perché avete visto dei segni ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati …»
Quante volte, quanti di noi, soprattutto fra coloro che sono reduci come me da gravi lutti, noi del Movimento della Speranza, abbiamo chiesto segni da quello che viene definito “aldilà”… senza rispondere del nostro “al di qua” che è sempre Vita, è tutta Vita! Se credo non ho bisogno di chiedere ai miei Cari di essermi di aiuto … come una miriade di Spiriti e pensieri che ci seguono.
Stiamo tutti compiendo un percorso, noi e loro … Dio è Eterno Movimento e non ama l’apatia!
Ritorniamo al Vangelo:
Gesù non è salito con i discepoli sulla barca e la gente lo segue e lo cerca probabilmente alcuni per bisogno, altri per curiosità, altri per conoscerlo… Ma Gesù che, da una parte, è sempre attento e disponibile a tutti gli uomini e, dall'altra, non accetta il compromesso di una fede 'di bisogno' e 'del momento' o come spesso si dice ai nostri giorni "di quando mi sento…o non mi sento"…
La fede non è STATO D'ANIMO ma è ADESIONE-AMORE alla persona di Gesù e non è saltuaria, 'ogni tanto' ma per sempre, perché 'tocca' la vita!
Sono tornata da Bellaria pensando concretamente che Gesù mi stia dicendo che bisogna cambiare atteggiamento interiore: non bisogna cercarlo solo per ‘pane’ materiale che ci ha momentaneamente saziati, per gli affetti avuti, per i problemi risolti, ma bisogna cercarlo come 'il Pane della Vita' che ci sfama e nutre per sempre; non possiamo vivere del solo pane materiale che nutre il nostro corpo ma dobbiamo vivere di Lui che "si fa Pane di Vita" per nutrire il nostro spirito, per nutrirci totalmente; non bisogna cercarlo solo 'nel bisogno' e per 'ricevere grazie' ma bisogna cercarlo sempre col desiderio prima di tutto di incontrare Lui.
IL MESSAGGIO DEL VANGELO È CHIARO: problema è la SAZIETÀ:
– se ci saziamo delle cose che passano, delle persone che ci abbandonano, delle belle cose che ci accompagnano e che ci lasciano … è una fede superficiale che ci lascerà sempre affamati, insoddisfatti, vuoti …
– se ci saziamo di Lui, la nostra vita sarà totalmente 'sfamata'
Non solo: più ci saziamo di Lui e più la nostra fame di Lui cresce.
E la tenerezza non sarà solo la forma del perdono, come bisogno, ma dono.
Dobbiamo cercare Gesù senza stancarci e con una 'FEDE AFFAMATA'
Giorni di preparazione alla grande Festa della Resurrezione di Cristo trascorsi con segni di semplicità e tenerezza rivolti a noi da Papa Francesco.
Già nell’omelia del Giovedì Santo Papa Bergoglio ha rivisitato quali siano le vere attribuzioni di colori che esercitano il mandato sacerdotale … mansioni anche valide per tutti coloro che svolgono apostolato laico.
“Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore” – questo io vi chiedo: siate pastori con l’”odore delle pecore”, che si senta quello, siate pastori in mezzo al proprio gregge, e pescatori di uomini. È vero che la cosiddetta crisi di identità sacerdotale ci minaccia tutti e si somma ad una crisi di civiltà; però, se sappiamo infrangere la sua onda, noi potremo prendere il largo nel nome del Signore e gettare le reti. È bene che la realtà stessa ci porti ad andare là dove ciò che siamo per grazia appare chiaramente come pura grazia, in questo mare del mondo attuale dove vale solo l’unzione – e non la funzione -, e risultano feconde le reti gettate unicamente nel nome di Colui del quale noi ci siamo fidati: Gesù”.
Già da tempo, dall’ esigenza di un rinnovamento della Chiesa ci venivano pensieri quali:
II Dio a servizio degli uomini, che considera figli suoi, rende inutile il culto inteso quale offerta o servizio reso a un Dio che ormai non chiede né ha bisogno di qualcosa. Su questo culto si fondava la religione.
L'alternativa proposta di Gesù è la fede, intesa quale risposta dell'uomo al dono d'amore che Dio fa di se stesso. Mentre nella religione il culto diminuiva l'uomo che si privava di qualcosa per donarlo a Dio, nella fede il nuovo culto, inteso come prolungamento agli uomini dell'amore comunicato da Dio (Gv 4,21-24; Rm 12,1), potenzia l'uomo, e lo arricchisce della stessa vita divina.
Mentre la religione prescrive il sacrificio nei confronti di Dio, Gesù insegna l'amore nei confronti degli altri, riallacciandosi a quanto espresso da Osea: Misericordia io voglio e non sacrificio (Os 6,6; Mt 9,13; 12,7).
L’unico culto che il Padre richiede e cerca è quello in spirito e verità (Gv 4,24) mediante l'accoglienza del suo amore e il prolungamento all'umanità. Dare culto al Padre significa collaborare nella sua attività creatrice, stando sempre a favore degli uomini, nella costante pratica di un amore fedele.
Ora Papa Francesco inaugura una modalità semplice di rivolgersi al Signore: quella dell’umiltà e della misericordia che diviene addirittura tenerezza…
Seguendo la cronaca del Venerdì Santo è tutto un richiamo a questa linearità non priva di una precisa chiarezza e determinazione:
PAPA Francesco arriva poco dopo le 21 nell’area dei Fori imperiali. La serata romana è fresca, ma spira aria di primavera. Attorno al Colosseo sono assiepati già migliaia di persone, fedeli, turisti, giovani. È la prima Via Crucis al Colosseo di Jorge Mario Bergoglio. Evento trasmesso in mondovisione. Il Papa argentino il pomeriggio era nella Basilica di San Pietro per il rito dell’Adorazione della Croce: il pontefice si è tolto la mitra e si è steso sul pavimento.
Al Colosseo papa Francesco è arrivato con il suo stile ormai consueto. Scende dall’auto blu del Vaticano con un sorriso largo e cordiale, saluta i fedeli da lontano, stringe mani, chiacchiera con il sindaco di Roma Gianni Alemanno e con il suo vicario per la diocesi della città eterna, il fedelissimo cardinale Agostino Vallini, che ha portato la croce per la prima e l’ultima Stazione. Poi, avvolto in un cappotto bianco, il Papa si siede su una poltrona rossa sotto il gazebo installato sul colle Palatino antistante l’anfiteatro Flavio.
E cala in uno stato meditabondo, serio, silenziosissimo. Nel 2005, Giovanni Paolo II, che si avvicinava alla morte, aveva affidato le meditazioni al suo erede naturale, quel cardinale Joseph Ratzinger che proprio al Colosseo denunciò la ‘sporcizia’ presente nella Chiesa, quasi un programma di governo degli otto anni successivi, marcati da scandali come la pedofilia e i veleni del un Vaticano. Ora Papa Francesco ne ha raccolto il testimone e molti dei cardinali che lo hanno eletto in Conclave sperano che sappia purificare la Santa Sede e fare uscire la Chiesa cattolica da una crisi che riecheggia la passione di Gesù.
Aiutaci Signore a nutrire sentimenti di Fede autentica, ponendoci al tuo cospetto con atteggiamenti di abbandono, in quanto “…l’anima appesantita non è derubata della libertà… perché Dio ci giudica amandoci!”
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