Cattolica 2010
L’AMORE E’ PELLEGRINO: un invito per Cattolica
“L’amore è pellegrino”: un titolo stimolante per una relazione che ho tenuto e offerto a tutti gli amici del Movimento della Speranza, riuniti a Cattolica, nel bel mezzo dell’Anno Santo 2000. Chi ha avuto la ventura di leggere il programma e l’invito di quest’anno, presente in questo sito, avrà capito che il ritrovarsi a settembre ha un po’ lo spirito del pellegrinaggio.
Sento viva l’esigenza di parlare a tutti voi, in questi giorni di chiusura dei nostri incontri di associazione. So già che molti hanno in previsione di far visita ad un santuario durante l’estate. Io stessa ho sentito parlare di tanti gruppi di giovani che, con lo zaino sulle spalle e il sacco a pelo avvolto, si recheranno al tradizionale incontro a Santiago di Compostela.
Come ricordo l’anno Santo e le file dei ragazzi che si recarono all’incontro con il Papa, percorrendo la Via Romea, quella che, un tempo, veniva definita, come tante altre, la “strada dei romei” (i pellegrini che raggiungevano la città santa).
Mentre stiamo ultimando la spedizione dei programmi, mi sono sentita un po’ “romea” anch’io ed ho pensato che fossero, come me, pellegrine d’amore, tutte le madri che vanno alla ricerca di un segno del loro Figlio perduto. Ho approntato per questo il file-video sui Santuari per far vedere come ognuno abbia un proprio Santuario ove recarsi, come il mio è quello che vedrete nelle ultime DIA di questo inserto.
Ma ritorniamo alle nostre considerazioni: il pellegrinaggio è uno dei grandi segni giubilari, teso a sottolineare il fatto che ‘l’uomo appare nella sua storia secolare come homo viator, un viandante assetato di nuovi orizzonti, affamato di pace e di giustizia, indagatore di verità, desideroso di amore, aperto all’assoluto e all’infinito’ (così recita la nota n.24 del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, a proposito del pellegrinaggio del Grande Giubileo del 2000).
Perché mai, allora, tutti noi, anche quest’anno, non sentirci “pellegrini”? Come le storie di grande suggestione, vissute e poi raccontate con freschezza e vivacità dai giovani che si ritrovarono a Roma nella spianata di Tor Vergata, possono diventare espressione di autentico amore a Dio e ai fratelli, così, anche noi abbiamo bisogno di raccontare, di parlarci di meravigliosi eventi, di ringraziare Dio che, ancora una volta, ha voluto farci un dono straordinario che risponde al mio “timido invito”, a compiere quell’atto di amore, generatore d’amore che è il nostro pellegrinaggio a Cattolica.
Cattolica dunque un santuario? Cattolica luogo delle apparizioni? Ebbene sì e mi si perdoni la presunzione di volere dichiarare che a Cattolica si incontrano le immagini più sconvolgenti della sofferenza, dichiarata e non, della riconoscenza a Dio per averci soccorso, della fratellanza nel conforto dei bisognosi, dei derelitti del cuore e dello spirito, degli afflitti dimenticati e lasciati a crogiolarsi in un dolore che solo chi ha potuto provarlo può vi si può riconoscere.
Cattolica dunque, voluta da chi ci è passato e ha ritrovato un motivo per rigenerarsi, per rinnovare la Fede in Dio, per praticare la virtù della Speranza che, come dice il Manzoni “conforta e consola”.
«Voglio cercare l’amato del mio cuore!» Con queste e simili parole, la sposa del Cantico dei Cantici (3,2) esprime tutta l’ansia dell’anima in cerca di Dio. Così, almeno, le intendono alcuni antichi e moderni commentatori della Bibbia.
Chi ama desidera sopra ogni cosa stare con la persona amata, e quando ne è lontano si mette sulle sue tracce, cerca tutto ciò che la ricorda. Così è di ogni persona di fede nei confronti di Dio, come aveva ben compreso Sant’Agostino, se è arrivato a scrivere: «Tu ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te».
Ricordo con velata malinconia, i momenti felici del parto… quegli attimi indimenticabili nei quali un medico o un’infermiera, dopo i momenti del dolore, levò in alto la mia creatura tenendola per i piedini dicendomi: “Ecco, questo è suo figlio! E’ bello e sano!” In quel momento guardai con stupore e meraviglia l’opera sublime della creazione divina nella mia carne e, umilmente, ringraziai Dio per avermi resa partecipe di un disegno tanto importante. A chi mi chiedeva, anche dopo vari anni, quale fosse stato il momento più bello della mia vita, indicavo quello, in assoluto.
Nei giorni scorsi il giardiniere ha tagliato la pianta, ormai grande albero, che il mio Andrea, piccolo fanciullo, aveva messo a dimora e visto crescere. Qualche mese fa un fulmine l’aveva colpita, bruciandone gran parte e destinandola all’abbattimento. Ho pensato che anche questa ultima immagine se ne andava con il tempo felice del mio ragazzo.
Nel corso turbinoso degli eventi accade, può accadere, infatti di essere colpiti da un fulmine a ciel sereno e di ritrovarsi all’improvviso, senza quell’essere tanto amato e ricevuto in comunione con Dio e di avere poi, forse, travolti dagli eventi, rinnegato Dio stesso, accusandolo di non averci protetti. Eppure niente, lo dicono anche le leggi della fisica, nulla può andare perduto. Qualcosa doveva riportarmi a quel Dio a cui ho indirizzato i miei “perché” rimasti senza risposta; il solo che poteva soccorrermi nella vicenda tragica della mia storia personale.
Nel corso dei secoli, l’inquieta ricerca di Dio si è tradotta tante volte nell’andare là dove, in qualche modo, Dio appariva meglio percepibile: vale a dire, la ricerca è diventata pellegrinaggio a un santuario. Qui, un’apparizione, un’antica tradizione, una reliquia, insomma qualche segno di Gesù, o di sua Madre, o dei santi suoi amici, può parlare al cuore. E allora, come per chi sale sui monti alla ricerca dell’aria più fine, nel santuario per un poco si placa il segreto bisogno dell’anima, che può respirare liberamente e ristorarsi, prima di riprendere il cammino della vita.
Cattolica rappresenta tutto questo. Arriveremo da tante parti d’Italia perché ci è stato detto che avremmo trovato conforto. Si arriva così, a Cattolica, la prima volta e ci si butta nelle braccia del primo fratello che ci dice: “Tuo figlio è qui!” “Ma dove?”, diciamo noi.
E’ qui, madre, vicino a te. Non lo vedi… allora ti hanno illuso, sono tutte frottole, elucubrazioni del cervello, fantasie dell’inconscio? Fai un atto di Fede autentica; occorre solo questo: tuo figlio è qui con te, come lo è Dio stesso. E’ qui presente sopra di te, è nell’aria che respiri, è nelle cose che ti dice di fare, è, con tanti altri, in attesa che tu lo raggiunga in quella dimensione in cui, liberi da lacci potrai vedere e conoscere la ragione delle cose.
Non te l’hanno detto in Parrocchia, non ti è stato vicino un sacerdote? Non sa che cosa si è perduto. Tu, madre di un figlio travolto innanzi tempo, avresti potuto raccontargliene tante e se non ti ha ascoltato, non sa cosa si è perso!
E allora iniziamo insieme questo pellegrinaggio, un pellegrinaggio, dunque, come segno del nostro amore per Dio. Con sorpresa la riflessione che stiamo facendo favorisce la scoperta che quell’atto d’amore è solo una risposta, perché chi ha preso l’iniziativa in realtà è stato il Signore, “ospite e pellegrino in mezzo a noi” come lo chiama la liturgia. Egli ha preso l’iniziativa di venire alla ricerca dell’uomo, mettendogli in cuore il desiderio profondo di incontrarlo.
«Tu ci hai fatti per te…».
Il pellegrinaggio, allora, come risposta d’amore all’amore di Dio per noi. Dobbiamo farlo per noi stessi e dobbiamo farlo perché ce lo chiedono i nostri figli. Il loro è un messaggio e un invito alla fede autentica e alla speranza vissuta come testimonianza.
Ma il cerchio non si esaurisce qui: simile al sasso nello stagno, l’amore si espande in cerchi via via più larghi. Eccolo allora, l’amore come motivazione di chi favorisce il pellegrinaggio, lo rende possibile e fruttuoso: basti pensare a quanti un tempo offrivano gratuita ospitalità ai viandanti, a quanti anche oggi assistono i malati di Lourdes o prestano accoglienza, in tante forme diverse, presso ogni santuario.
Questo siamo tutti noi e in questo si identifica il nostro Movimento. Siamo noi che ci premuriamo di soccorrere i genitori afflitti, colti all’improvviso da un evento ineluttabile. Siamo noi che andiamo a porgere parole di conforto, quando coloro che dovrebbero essere dediti alla pastorale, vengono a mancare. E’ vero che ci affacciamo alle porte con un “messaggino” in mano, ma non lo facciamo per ricavarne benefici, per raccogliere nuovi adepti, per passare per una sorta di “santoni”. Lo facciamo perché abbiamo vissuto sulla nostra pelle la stessa esperienza e sappiamo come ci si sente e quale beneficio si trae da chi sa esserci vicino con umile partecipazione.
Eccolo anche, l’amore, come frutto del pellegrinaggio: tornato a casa dopo averlo sperimentato e compreso, il pellegrino consapevole non può non tradurlo nella vita quotidiana, nella realtà che lo circonda, nel mondo in cui vive, nelle infinite diverse situazioni che lo sollecitano.
Le relazioni che quest’anno offriamo ai partecipanti trattano dell’amore provato, dell’evento del dolore in qualche modo legato al camminare per fede, al pellegrinaggio. Ma ci sarà motivo anche di guardare oltre, ai nostri tanti progetti delusi e anche alla vita che va avanti, ai nostri piccoli nati, ai grandi eventi.
A questo ho pensato ed anche che, quando ci si muove come atto di fede, per supplicare Dio e chiedergli, con nostro figlio, di incontrarlo, si rende possibile proprio a tutti, compiere quell’atto d’amore, generatore d’amore, che è il pellegrinaggio: un atto, in cui tutte le storie delle madri pervenute a Cattolica si manifestano.
Noi occidentali concepiamo il pellegrinaggio come il lasciare per breve tempo la vita consueta per recarci, come abbiamo detto, a un santuario, dove “ricaricarci” spiritualmente per poi, tornati a casa, riprendere la vita di prima con una maggiore fedeltà al Vangelo.
Non è così invece per i credenti d’oriente, tra i quali si sviluppò un tempo l’idea del pellegrinaggio come forma esistenziale. In altre parole, c’era chi decideva di fare il pellegrino “a vita”, andando di santuario in santuario fino a quando le forze lo consentivano.
Oggi, abituati a pellegrinaggi che somigliano più a una vacanza (mezzi di trasporto comodi e veloci, alberghi confortevoli, organizzatori e accompagnatori che liberano da ogni preoccupazione, sosta al santuario ma anche visita a bellezze naturali o artistiche), non ci rendiamo conto di com’erano quelli di un tempo.
Pensiamo allora a un uomo del Medio Evo, per penitenza deciso a recarsi in un luogo sacro distante anche solo cento chilometri, che oggi si percorrono in un’ora di automobile. Ebbene: anzitutto quell’uomo faceva testamento, perché non sapeva se sarebbe tornato a casa; partiva infatti, da solo, a piedi, portandosi qualche soldo, ma confidando soprattutto nella carità del prossimo per avere lungo la strada un piatto di minestra e un giaciglio per la notte, almeno riparato da un portico; soggetto poi ai rischi di briganti e imbroglioni, ai rifiuti spesso sgarbati degli insensibili, alle intemperie, alle malattie…
Decisamente, un tempo i pellegrinaggi non erano uno scherzo. Se qualcuno si decideva a compierli e ci risulta che erano in tanti a farlo era proprio per fede. Esporsi poi a questa vita per tutta la vita, era proprio da eroi.
Ma perché, quali ragioni anche di fede potevano indurre a farsi perenni pellegrini? Una risposta viene da una bella espressione della liturgia: «Ogni giorno del nostro pellegrinaggio sulla terra è un dono (o Signore) del tuo amore per noi e un pegno della vita immortale».
La vita, in altre parole, è un dono di Dio che ci manda nel mondo come pellegrini, cioè come abitanti provvisori, perché la nostra vera patria, stabile e definitiva, non è qui. E’ importante ricordarlo, per comportarci di conseguenza: senza attaccare il cuore a ciò che presto o tardi dovremo lasciare. Il pellegrinaggio con il suo lasciare sia pure temporaneamente cose e persone care, vuole ricordarci questo; il pellegrinaggio, inteso come forma di vita, pone il distacco dal mondo e l’anelito alla vita eterna come valore primario, come il quadro d’insieme in cui vivere tutti gli altri valori del Vangelo.
Ho sentito tante madri dichiarare: “Se non fossi stata colpita da questa sventura non avrei amato tanto l’umanità sofferente” oppure “Quanto ho perduto, ma quanto mi è stato dato!” Tutto questo non è dei santi quelli che sono sugli altari, ma è la santità spicciola, quella del quotidiano, quella che diviene “talento”, quello della parabola, che è ricchezza nelle mani di coloro che lo sanno bene impegnare. Da questo consesso, in questa platea noi gridiamo forte il nostro impegno, lo facciamo in nome dei nostri Figli, i Ragazzi di Luce che ci invitano a farlo, “Impegnati , essi stessi, nell’impegno!” e … mi si perdoni la ridondanza.
Tutto questo, sia chiaro, non ha nulla a che vedere con chi specula sulla sofferenza, con lo spiritismo di antica maniera che si pratica in luoghi chiusi e misteriosi, con la medianità prezzolata ed esclusivista. Noi madri pellegrine siamo dotate di una generosità smisurata, viviamo nella mortificazione e nella preghiera ed il dono che abbiamo di ricevere le comunicazioni con i nostri figli, non lo teniamo all’ombra di cerchie ammuffite e incancrenite, ma lo gridiamo sui tetti, come dono e riconoscenza a Dio stesso.
Il Movimento della Speranza, nel suo vero e autentico spirito, va avanti comunque, malgrado resistenze e delusioni; la sua opera ha già conseguito risultati di portata storica, dentro e fuori la Chiesa, ma, e il Papa lo sa benissimo, se il Duemila era il suo traguardo personale e per la Chiesa solo una tappa, il pellegrinaggio nostro che della chiesa facciamo parte, continua nel tempo, per tutti coloro che si gloriano di essere cristiani.
Arrivederci a Cattolica!!!
(Edda Cattani)