Festività Anniversari Ricorrenze
2 Novembre: una ricorrenza
2 NOVEMBRE: GIORNO DEI DEFUNTI
(dalla bacheca di P.Alberto Maggi)
Il messaggio dei vangeli è che attraverso la morte la persona continua la sua esistenza in una diversa dimensione, in una continua crescita e trasformazione di se stessa verso la piena realizzazione, come recita il Prefazio per la messa dei defunti: “La vita non viene tolta, ma trasformata”. È la vita stessa che continua, non un’essenza spirituale dell’individuo (l’anima). La vita, trasformata e arricchita dal patrimonio di bene che l’individuo reca con sé, entra nella pienezza della condizione divina, come scrive l’autore dell’Apocalisse: “Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono” (Ap 14,13). Unendo paradossalmente due termini contrastanti quali la morte e la beatitudine, l’autore afferma che la morte fisica non ha l’ultima parola sulla vita del credente. La morte non è una sconfitta o un annientamento e neanche l’ingresso in uno stato di attesa, ma un passaggio a una dimensione di pienezza definitiva. Per questo la risurrezione non è una seconda vita né una nuova vita, ma la piena realizzazione di questa unica vita che l’uomo ha. Eterno riposo? I defunti non stanno al cimitero, il luogo dei “resti mortali”, ma continuano la loro esistenza nella pienezza di Dio, è questo il significato di “Riposeranno dalle loro fatiche”. Il riposo al quale allude l’autore non indica la cessazione delle attività, ma la condizione divina, come il Creatore che “compì l’opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno” (Gen 2,2). Con la morte l’individuo riposa dalle opere compiute nella sua esistenza terrena, ma viene chiamato a collaborare all’azione creatrice di Dio comunicando vita agli uomini: “Chi è entrato infatti nel suo riposo, riposa anch’egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie” (Eb 4,10). La morte non conduce a un eterno riposo inteso nel senso di un divino ozio per tutta l’eternità, ma all’attiva e vivificante collaborazione con l’azione del Creatore. In quest’azione creatrice l’amore che il defunto aveva verso i suoi cari non viene affievolito, ma arricchito dalla stessa potenza d’amore del Padre. La morte non allenta i rapporti umani ma li potenzia. L’unica cosa che l’uomo porta con sé nella nuova dimensione di vita sono le opere compiute nella sua esistenza terrena. Le opere con le quali l’uomo ha trasmesso vita agli altri, sono la sua ricchezza, quel che hanno resola vita eterna già in questa esistenza, innescando nell’individuo un processo di trasformazione che non viene fermato dalla morte, ma potenziato. La morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora. Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste. Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme. Prega, sorridi, pensami! Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronun-cialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza. La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza. Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo. Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace. Henry Scott Holland (1847-1917). Canonico della cattedrale di St. Paul (Londra). |
Ognissanti e Defunti: preghiera di Francesco
Ognissanti e Defunti
(la preghiera di Papa Francesco)
Ci prepariamo a celebrare due importanti ricorrenze: la solennità di Tutti i Santi e la Commemorazione dei defunti. «Sono giorni di speranza», ha detto papa Francesco lo scorso anno nell’omelia della messa celebrata al cimitero monumentale del Verano, a Roma, dove tornerà anche quest’anno. E ha spiegato che «nel giorno dei Santi e prima del giorno dei Morti è necessario pensare un po’ alla speranza che ci accompagna nella vita. I primi cristiani dipingevano la speranza con un’ancora, come se la vita fosse l’ancora gettata nella riva del Cielo e tutti noi incamminati verso quella riva, aggrappati alla corda dell’ancora. Questa è una bella immagine della speranza: avere il cuore ancorato là dove sono i nostri antenati, dove sonoi Santi, dove è Gesù, dove è Dio».
Ad accomunare le due ricorrenze, per Francesco, è «la speranza che non delude». Ma dove e come hanno avuto origine? Va detto, innanzitutto, che solo la prima (Ognissanti) è una festa di precetto, che prevede cioè l’obbligo per i fedeli di partecipare alla messa. Vi si celebrano l’onore e la gloria di tutti i Santi in ossequio al credo cristiano della “Comunione dei Santi” che Paolo VI, nel “Credo del popolo di Dio”, definiva «la comunione di tutti i fedeli di Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione e dei beati in cielo: tutti insieme formano una sola Chiesa; noi crediamo che in questa comunione l’amore misericordioso di Dio e dei suoi santi ascolta costantemente le nostre preghiere».
La festa dei martiri la festa dei santi
Le origini della celebrazione risalgono al IV secolo (le prime tracce portano ad Antiochia, in Siria) quando la Chiesa celebrava la memoria dei martiri della fede il 13 maggio. A cambiare la data di quella che, nel 615, Bonifacio VI aveva ufficializzato come Festa di tutti i Martiri, fu Gregorio III che scelse il 1° novembre (secondo alcuni per “cristianizzare” la festa pagana del Capodanno celtico che cadeva proprio nei primi giorni di novembre). In seguito, su richiesta di Gregorio IV, il re dei Franchi Luigi il Pio decretò festa di precetto quel giorno che, da Festa di tutti i Martiri, diventò la Festa di Ognissanti. è grazie a questo nome che oggi, comunemente, vi si festeggia anche l’onomastico di tutte le persone il cui nome non compare nel calendario cristiano (adespoti). Dal 1° giugno 1949 il giorno di Ognissanti è stato inserito tra quelli considerati festivi.
Fiori, dolci e visite al cimitero
Anche le origini della festa dei defunti risalgono all’antichità, più precisamente all’inizio del Decimo secolo. In quel periodo nel convento di Cluny, in Francia, viveva l’abate benedettino Odilone, canonizzato da Clemente VI nel 1345 (la sua memoria liturgica ricorre il 1° gennaio). Il monaco era talmente devoto alle anime del Purgatorio da dedicare loro messe, preghiere e penitenze. Secondo la tradizione un giorno, tornando dalla Terra Santa, uno dei suoi confratelli gli raccontò una storia che lo colpì moltissimo: dopo avere fatto naufragio, il monaco era approdato sulle coste della Sicilia dove aveva incontrato un eremita che gli aveva riferito di avere sentito provenire da una grotta i lamenti delle anime del Purgatorio e le urla dei demoni che gridavano proprio contro Odilone. Sentita questa storia, l’abate ordinò ai suoi monaci di far suonare le campane dell’abbazia con rintocchi funebri dopo la celebrazione dei vespri del 1° novembre, quelli dei Santi, per commemorare i Morti.
Il giorno dopo, dunque il 2 novembre, l’eucaristia sarebbe stata offerta per la pace di tutti i defunti. In seguito il rito fu esteso a tutta la Chiesa cattolica. Ancora oggi è consuetudine, in quello che viene comunemente chiamato il “giorno dei morti”, recarsi al cimitero e portare fiori sulle tombe dei propri cari. In molte località italiane, per celebrare la giornata, si usa anche preparare dei dolci, i cosiddetti “dolci dei morti”.
di Tiziana Lupi
Santi e Morti: tra storia e riti
FESTIVITA’ DI OGNISSANTI – E – COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI. E’ la festa cattolica di tutti i santi con la quale si sogliono onorare non solo i santi, iscritti nel Martirologio romano e nel calendario delle singole Chiese, ma tutti i trapassati che godono la gloria del Paradiso. Di origine antica, la festività di Ognissanti, dapprima dedicata ai soli martiri, era celebrata, nelle varie Chiese, subito dopo la Pasqua; fu spostata, poi dopo la Pentecoste. Il 13 maggio 609, con decorrenza 610, il Papa Bonifacio IV dedicò il Pantheon in onore della Madre di Dio e di tutti i martiri e ogni anno se ne celebrava l’anniversario con grande solennità e largo concorso di pellegrini. Da queste feste sembra derivare quella di Tutti i Santi, fissata al primo di novembre dell’anno 835 dal Papa Gregorio IV. Più tardi, nel 998, Odilo abate di Cluny aggiungeva la celebrazione, nel giorno seguente, della festa di tutte le anime a soddisfare l ‘aspirazione generale per un giorno di commemorazione dei morti. Nell’antico e colorito, ma realistico, mondo contadino esiste un proverbio legato al primo giorno del mese di novembre: “Ognissanti, manicotti e guanti“, la comparazione è chiara: comincia la stagione fredda.
1 e 2 Novembre – Ognissanti e il giorno dei morti Poesie di Vincenzo Cardarelli Santi del mio paese
Ce ne sono di chiese e di chiesuole,
Il giorno dei morti fu ufficialmente collocato alla data del 2 Novembre nel X sec. d.c. circa, praticamente fondendosi con il 1 Novembre, già festa di ognissanti dall’anno 853, per sovrapporsi alle più antiche celebrazioni di quei giorni. Tra il popolo comunque, le vecchie abitudini furono adattate alla nuova festa e al suo mutato significato, mantenendo la credenza che in quei giorni i defunti potevano tornare tra i viventi, vagando per la terra o recandosi dai parenti ancora in vita. In tutta italia si possono ancora oggi ritrovare gesti e pratiche tradizionali per la celebrazione di queste feste. Riti popolari per i defunti – Cibo tradizionale
In quasi tutte le regioni possiamo trovare pratiche e abitudini legate a questa ricorrenza. Una delle più diffuse era l’approntare un banchetto, o anche un solo un piatto con delle vivande, dedicato ai morti.
Qualche esempio caratteristico.
In Abruzzo si decoravano le zucche, e i ragazzi di paese andavano a bussare di casa in casa domandando offerte per le anime dei morti, solitamente frutta di stagione, frutta secca e dolci. Questa tradizione è ancora viva in alcune località abruzzesi. Diffusa è anche l’usanza della questua fatta da schiere di ragazzi o di contadini e artigiani che vanno di casa in casa cantando un’appropriata canzone. A Pettorano sul Gizio (Abruzzo) essa suona così:
In Calabria, nelle comunità italo-albanesi, ci si avviava praticamente in corteo verso i cimiteri: dopo benedizioni e preghiere per entrare in contatto con i defunti, si approntavano banchetti direttamente sulle tombe, invitando anche i visitatori a partecipare.
In Emilia Romagna nei tempi passati, i poveri andavano di casa in casa a chiedere “la carita’ di murt“, ricevendo cibo dalle persone da cui bussavano. In Friuli – a quanto informa l’Osterimann – “i contadini lasciano un lume acceso, un secchio d’acqua e un po’ di pane sul desco“. E’ il motivo che ispira la già ricordata poesia del Pascoli “La tovaglia“, dove la sensazione della presenza dei morti nella casa, nel silenzio della notte, è resa in maniera oltremodo commovente e suggestiva:
Stanno li sino a domani Sempre in Friuli, come del resto nelle vallate delle Alpi lombarde, si crede che i morti vadano in pellegrinaggio a certi santuari, a certe chiese lontane dall’abitato, e chi vi entrasse in quella notte le vedrebbe affollate da una moltitudine di gente che non vive più e che scomparirà al canto del gallo o al levar della “bella stella“. A queste credenze s’ispira uno dei più significativi racconti di Caterina Percoto, la ben nota scrittrice friulana, che tanti motivi trasse dal folklore della sua terra. Questa presenza dei morti, avvertita con un’intensità che raggiunge la potenza di una visione, è però sempre associata, nella mentalità popolare, all’azione benefica e alla speranza nella beatitudine eterna. In Lombardia abbiamo invece gli oss de mord, o oss de mort, fatti con pasta e mandorle toste, cotti al forno, di forma bislunga, con vago sapore di cannella in particolare: A Bormio, la notte del 2 novembre si era soliti mettere sul davanzale una zucca riempita di vino e, in alcune case, si imbandisce la cena. Ma anche nel Vigevanasco (Vigevano) e in Lomellina si suole mettere in cucina un secchio (l’acqua fresca, una zucca di vino, piena, e sotto il camino il fuoco acceso e le sedie attorno al focolare“ A Comacchio c’e’ invece il punghen cmàciàis, il Topino Comacchiese, dolce a forma di topo preparato in casa…
In Piemonte, si soleva per cena lasciare un posto in più a tavola, riservato ai defunti che sarebbero tornati in visita. In Val d’Ossola sembra esserci una particolarità in tal senso: dopo la cena, tutte le famiglie si recavano insieme al cimitero, lasciando le case vuote in modo che i morti potessero andare lì a ristorarsi in pace. Il ritorno alle case era poi annunciato dal suono delle campane, perchè i defunti potessero ritirarsi senza fastidio. In Puglia la sera precedente il due novembre, si usa ancora imbandire la tavola per la cena, con tutti gli accessori, pane acqua e vino, apposta per i morti, che si crede tornino a visitare i parenti, approfittando del banchetto e fermandosi almeno sino a natale o alla befana. Sempre in Puglia, ad Orsara in particolare, la festa veniva (e viene ancora chiamata) Fuuc acost e coinvolge tutto il paese. Si decorano le zucche chiamate Cocce priatorje, si accendono falò di rami di ginestre agli incroci e nelle piazze e si cucina sulle loro braci; anche qui comunque gli avanzi vengono riservati ai morti, lasciandoli disposti agli angoli delle strade. Diffusa è anche l’usanza della questua fatta da schiere di ragazzi o di contadini e artigiani che vanno di casa in casa cantando un’appropriata canzone. Questa costumanza in Puglia si chiama senz’altro cercare “l’aneme de muerte“ e si apre con questa specie di breve serenata rivolta alla massaia:
In Sardegna dopo la visita al cimitero e la messa, si tornava a casa a cenare, con la famiglia riunita. A fine pasto però non si sparecchiava, lasciando tutto intatto per gli eventuali defunti e spiriti che avrebbero potuto visitare la casa durante la notte. Prima della cena, i bambini andavano in giro per il paese a bussare alle porte, dicendo: <<Morti, morti…>> e ricevendo in cambio dolcetti, frutta secca e in rari casi, denaro. In Sicilia c’e’ l’usanza di preparare doni e dolci per i bambini, ai quali viene detto che sono regali portati dai parenti trapassati. I genitori infatti raccontano ai figli che se durante l’anno sono stati buoni e hanno recitato le preghiere per le anime dei defunti, i “morti“ porteranno loro dei doni. Dolci Tradizionali In Sicilia troviamo la mani, un pane ad anello modellato a forma di unico braccio che unisce due mani, e il pane dei morti, un pane di forma antropomorfa che originariamente si suppone fosse un’offerta alimentare alle anime dei parenti morti
Le strenne. In Sicilia, le anime dei morti, il 2 novembre, recano i doni ai bimbi, doni che vengono appunto chiamati “cose dei morti“. Per ottenerli, i bimbi recitano questa preghiera:
cose dei morti, cioè regali, mettetemene assai; s’intende nella scarpetta o nel cestello che i bimbi lasciano la sera appesa alla finestra o a capo del letto. A Palermo una antica tradizione, legata alla festa dei morti, voleva che i genitori regalavano ai bambini dolci e giocattoli, dicendo loro che erano stati portati in dono dalle anime dei parenti defunti. Di solito per i maschietti si usava donare armi giocattolo, alle bimbe: bambole, passeggini, assi da stiro, fornelli. I più facoltosi regalavano tricicli e biciclette fiammanti. Al mattino si trovava il regalo nascosto in un punto insolito della casa, nella notte tra l’1 e il 2 novembre. La sera prima si nascondeva la grattugia perché si pensava che i defunti, a chi si fosse comportato male, sarebbero andati a grattare i piedi! La festa ha un origine e un significato che si collegano al banchetto funebre, di cui si ha ancora un ricordo nel “consulu siciliano“ , il pranzo che i vicini di casa offrivano ai parenti, dopo che il defunto era stato tumulato. Celebri tra questi dolci sono quelli a forma umana, quali “i pupi ri zuccaru“ detta Pupaccena: una statuetta cava fatta di zucchero indurita e dipinta con colori leggeri con figure tradizionali (Paladini, ballerini ed altri personaggi del mondo infantile) o di pasta di miele o i biscotti detti “ossa ri muortu“ o “u pupu cu l’ovu”.
Tipici sono la tradizionale “muffulietta“, un tipo particolare di pane (spugnoso e morbido) con poca mollica che si “conza“ (si prepara) con OLIO, ACCIUGA, ORIGANO, SALE E PEPE con la variante del POMODORO fresco. I frutti di martorana, fatti con pasta di mandorle e poi dipinti, sono spesso vere opere d’arte per la straordinaria somiglianza a quelli veri: nespole, castagne, pesche, fichidindia, arance e tanti altri che riempiono, associati al “misto“ (u ruci mmiscu): il dolce misto fatto da rimasugli di biscotti impastati una seconda volta, bianco per la velatura di zucchero e marrone per la presenza di cacao; U CANNISTRU, con frutta secca, fichi secchi e datteri e che riempie la base , la martorana e i biscotti, ‘a MURTIDDA e il tutto sormontato dalla Pupaccena. Per renderlo più scintillante bastava aggiungere dei cioccolattini con carta stagnola e filamenti di carta di diversi colori. a Palermo si svolge La Fiera dei Morti: bancarelle offrono ai vari visitatori nonché ai genitori l’opportunità di potere acquistare giocattoli, vestiario, dolciumi di ogni genere per preparare il tradizionale “Cannistru“. “In Cianciana (Sicilia) escono dal Convento di S. Antonio de’ Riformati; attraversano la piazza e arrivano al Calvario: quivi, fatta una loro preghiera al Crocefisso, scendono per la via del Carmelo. E’ nel passaggio appunto che lasciano i loro regali ai fanciulli buoni. In Casteltermini (Sicilia) il viaggio è ogni sette anni, e i morti lo fanno attorno al paese, lungo le vie che devono percorrere le processioni solenni“
LE FAVE Cibo di rito per la ricorrenza dei morti sono le fave. “Secondo gli antichi – dice il Pitrè – le fave contenevano le anime dei loro trapassati: erano sacre ai morti. Presso i Romani avevano il primo posto nei conviti funebri“.
Anche quest’uso fu dalla pietà cristiana portato sopra un piano più alto e riempito di un nuovo significato: poiché le fave, o anche i ceci lessi, in capaci bigonci venivano posti agli angoli delle strade e ciascuno vi poteva attingere a volontà. S’intende che più vi attingevano i poveri. Ancora oggi in Capitanata (Puglia) “molte famiglie cuociono in grosse caldaie notevoli quantità di ceci o di grano, che condiscono col succo degli acini di melograno, e ne offrono dei piatti ai poveri in suffragio delle anime dei defunti“. Ora le fave dei morti sono, di regola, sostituite con dolci di egual nome, e di foggia più o meno simile.
In Veneto le zucche venivano svuotate, dipinte e trasformate in lanterne, chiamate lumere: la candela all’interno rappresentava cristianamente l’idea della resurrezione.
Per i contenuti di questa pagina ringraziamo i siti ed i libri: (Estratto da: Paolo Toschi, “Invito al folklore italiano“, Studium, Roma) www.correrenelverde.it da cui abbiamo preso molte notizie. Vedi anche: http://www.grifasi-sicilia.com/festedeimorti.html
|
Solennità di TUTTI I SANTI
1 NOVEMBRE: Solennità di TUTTI I SANTI
(P. Santo Sessa dal Santuario della Madonna del Carmine)
Dal VANGELO SECONDO MATTEO (Mt 5,1-12)
nel Vangelo di oggi Gesù ci parla della vera Beatitudine-Felicità:
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte:
si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli.
Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
GESÙ VEDENDO MOLTA FOLLA SI MISE A INSEGNARE:
Gesù vede molta folla di poveri, affamati, bisognosi, ecc…
e si mette a insegnare, a dare Speranza a questi cuori afflitti.
BEATI VOI…:
quello di Gesù è un discorso sconvolgente e ‘rivoluzionario’:
come può essere ‘beato’ chi soffre, chi è povero…!?
Ma per Gesù non è beata la povertà o la sofferenza in se stessa,
ma è beato chi vive tutto ciò confidando in Dio che può tutto,
la sua beatitudine-felicità sarà nella ricompensa che Dio gli darà!
“Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno dei Cieli!”
A loro Gesù promette: “Il Regno è vostro!”
Non è una promessa fatta per il futuro. Il verbo è presente.
Il Regno appartiene già a loro. Loro sono beati fin da ora.
BEATI I POVERI IN SPIRITO…:
Non riguarda solo una povertà ‘materiale’ ma soprattutto ‘spirituale’,
la povertà di spirito è prima di tutto un atteggiamento interiore.
Povero in spirito è l’ANAWIM:
chi si affida e dipende totalmente da Dio
chi confida solamente in Lui, con fiducia totale.
L’Anawim, la povera per eccellenza è Maria:
“Ha guardato all’UMILTA’ (povertà-piccolezza) della sua serva…
ma GRANDI COSE ha fatto in me l’Onnipotente!”
● La seconda beatitudine parla di “afflitti” o “piangenti”,
di quanti attendono che Dio venga ad asciugare le loro lacrime:
solo Dio conosce il loro cuore, ascolta il loro grida e viene in soccorso.
● La terza beatitudine dice “Beati i miti”,
cioè coloro che si impegnano perché il mondo viva in modo fraterno.
Quante anime si spendono e hanno dato la vita per la Pace
per un mondo lacerato in cui possa esserci concordia e armonia!
● La quarta beatitudine ci dice che: “gli affamati e gli assetati della giustizia” saranno beati perché collaborano nella realizzazione del progetto di Dio….verranno sfamati e dissetati abbondantemente!
● “Beati i misericordiosi” è la quinta beatitudine.
Misericordiosi è un vocabolo che in ebraico non esiste al plurale
in quanto la misericordia è una virtù che appartiene solo al Signore
e in un sol caso è applicata al giusto (il Messia).
Possiamo essere misericordiosi verso tutti
solo se facciamo esperienza della Misericordia!
● La sesta beatitudine parla di ” Puri di cuore”,
di quanti sono semplici, integri, sinceri, autentici…
essi saranno beati perché sono i soli in grado di vedere Dio.
● La settima beatitudine dice che “quelli che fanno pace…”.
I pacifici non i ‘pacifisti’,
i portatori non di una pace ‘idealizzata’
ma i portatori di Gesù, vera e unica Pace!
● “I perseguitati” dell’ottava beatitudine
sono coloro che affidano a Dio la difesa della loro innocenza
che affidano la loro vita a Dio, come loro unico ‘rifugio’ sicuro.
LA VOSTRA RICOMPENSA È GRANDE NEI CIELI…:
non è facile vivere le Beatitudini
ma se la mèta è UNA GRANDE RICOMPENSA
se la mèta è il PREMIO che Dio ci darà PER SEMPRE
allora siamo incoraggiati a perseverare fiduciosi.
COSA DICE ALLA NOSTRA VITA CONCRETAMENTE…:
è difficile entrare in questa ‘logica’ e in questo linguaggio di Gesù,
ma sappiamo dai Santi e da persone che concretamente vivono
sulla loro pelle l’esperienza della povertà, sofferenza e ingiustizia,
offrendole e vivendole totalmente per il Signore, come siano
nella pace interiore e come vivano di una Gioia e Speranza
che solo la Fede sa donare…
Vivere le Beatitudini significa FIDARSI di Dio
nonostante la concretezza delle sofferenze che viviamo,
significa sentire di essere ‘più vicini’ a Cristo
che non ha scelto per sé la ricchezza e il successo,
ma la povertà, l’incomprensione e l’ingiustizia, fino a morire,
eppure risorgendo ha vinto ogni male dell’uomo e del mondo
e ci rende partecipi della Sua Vittoria se crediamo in Lui.
Non è facile ma se proviamo ci accorgiamo, già ora,
che ciò che Gesù promette nel Vangelo, si realizza oggi,
la fede non è illusione, è fiducia, è certezza…GIA’ ORA!!
PENSIERO SPIRITUALE: S. BERNARDO di Chiaravalle
«Che cosa ha trovato Gesù nella povertà
per amarla tanto e preferirla alle ricchezze?
O sbaglia Gesù Cristo o si sbaglia il mondo.»
Buon compleanno Lene!
Una festa per Lene!
… e dolcetto scherzetto …
per tutti i bambini!!!
Sei nata stanotte, nella “notte delle streghe “ mentre il vento ululava alla luna ma tu sei la stella piu dolce del cielo — you were born tonight and the wind was howling to the moon, but you were and you still are the brighter star in the sky.
Auguro una buona serata a tutti.. e mi raccomando.. dolcetto e scherzetto.. sennò che gusto c’è…. un abbraccione anche a Lene che stanotte verrà a farci un giro da stè parti, perchè le preparerò qualcosa di buono da mangiare .
your dad, il tuo papà
1 Novembre
Halloween
Halloween (o Hallowe’en) è una festività che si celebra principalmente negli Stati Uniti, nord del Messico, e alcune provincie del Canada nella notte del 31 ottobre. Le attività tipiche di questa festa sono: dolcetto o scherzetto, partecipare a parate o sfilate in costume tipico, intagliare una tipica zucca di Halloween, o jack-o’-lantern, allestire falò, visitare attrazioni collegate a fantasmi e spiriti, fare scherzi, raccontare storie. Nelle mie scuole i bambini, con le loro insegnanti di Lingua Inglese hanno sempre festeggiato la giornata di Halloween ed io ho collaborato con loro a costruire zucche dipinte, o scavate per mettere all’interno candele accese… Poi ci si travestiva con costumi sui quali banalizzare ogni immagine “horror”; quale occasione in più per far tacere e ridicolizzare la simbologia delle “paure” profonde dei bambini.
|
Il simbolismo di Halloween include anche temi come la morte, il male, l’occulto o i mostri mitologici. Nero e arancione sono i colori tradizionali di questa festa.
Il simbolismo di Halloween deriva da varie fonti, inclusi costumi nazionali, opere letterarie gotiche e horror (come i romanzi Frankenstein e Dracula) e film classici dell’orrore (come Frankenstein e La mummia). Tra le primissime opere su Halloween si ritrovano quelle del poeta scozzese John Mayne che nel 1780 annotò sia gli scherzi di Halloween in “What fearfu’ pranks ensue!”, sia quanto di soprannaturale era associato con quella notte in “Bogies” (fantasmi), influenzando la poesia Halloween dello scrittore Robert Burns. Prevalgono anche elementi della stagione autunnale, come le zucche, le bucce del grano e gli spaventapasseri. Le case spesso sono decorate con questi simboli nel periodo di Halloween.
Per questo molti cristiani non ascrivono un significato negativo ad Halloween, vedendolo come una festa puramente secolare dedicata al celebrare “fantasmi immaginari” e a ricevere dolci. Infatti Halloween non costituisce una minaccia per la vita spirituale dei bambini: gli insegnamenti sulla morte e la mortalità e le credenze degli antenati celti possono essere una lezione di vita valida e una parte dell’eredità proveniente da varie culture. Ma c’è anche chi ritiene che Halloween abbia delle connessioni col paganesimo, perciò nelle scuole parrocchiali parrocchiali cattoliche si sorvola su questa opportunità giocosa e rigettano la festività, perché sono convinti che essa celebri il paganesimo, l’occulto, o altre pratiche e fenomeni culturali giudicati incompatibili con le loro credenze, o, addirittura, credono che si sia originata una celebrazione pagana dei defunti.
Fare “dolcetto o scherzetto” e travestirsi
Fare dolcetto o scherzetto è un modo per far la festa di Halloween per i bambini. I bambini vanno in costume di casa in casa chiedendo dolciumi come caramelle o qualche spicciolo con la domanda “Dolcetto o scherzetto?” La parola “scherzetto” è la traduzione dell’inglese “trick”, che si riferisce alla “minaccia” (“threat” in inglese) di fare danni ai padroni di casa o alla loro proprietà se non viene dato alcun dolcetto. In alcune parti della Scozia i bambini girovagano ancora travestiti. Con queste sembianze fanno qualche marachella, es. cantano o raccontano storie di fantasmi, per guadagnare i loro dolcetti.
22 ottobre: Santo K.Wojtyla
Giorno di Misericordia
Aggiornamento
22 ottobre: oggi si festeggia per la prima volta Giovanni Paolo II Oggi, il calendario della Chiesa cattolica indica la memoria liturgica del beato Giovanni Paolo II. In altre parole, il “santo del giorno” di oggi è proprio il pontefice polacco scomparso nel 2005 ed elevato all’onore degli altari il primo maggio scorso. La data odierna è stata scelta nell’anniversario del primo giorno del pontificato di Giovanni Paolo II, il 22 ottobre 1978, giorno in cui celebrò la solenne messa in Piazza San Pietro per l’inizio di una missione che nel corso degli anni ha cambiato la storia. La memoria liturgica, da oggi in poi, sarà celebrata in tutto il mondo, in particolare dalla chiesa romana e da quella polacca, visto che il culto dei beati è una prerogativa delle chiese locali, anche se le conferenze episcopali di altri Paesi, tra cui quella italiana, hanno chiesto di potersi associare alla ricorrenza. In queste ore iniziative di preghiera sono previste dunque in ogni angolo d’Italia, anche a Sassari. Intanto sul web circola la notizia di una seconda guarigione prodigiosa, avvenuta in Messico. Una giovane donna di origine cubana sarebbe la testimone dell’ultimo miracolo attribuito a papa Wojtyla: affetta da un tumore maligno alla gola, la donna racconta di essere guarita grazie all’intercessione del beato Giovanni Paolo II. A testimoniarlo le cartelle cliniche presentate dalla giovane, che parlano di una massa tumorale che le ostruiva la gola fino a non permetterle di mangiare. Dopo essersi affidata nella preghiera al papa, il tumore ha iniziato a regredire. Ora la donna è guarita completamente e la sua guarigione miracolosa, se confermata, potrebbe portare in breve tempo alla canonizzazione di Giovanni Paolo II.
|
Oggi è certamente una DOMENICA DI GRAZIA PARTICOLARE, perchè celebriamo 3 avvenimenti importanti: la ‘Domenica in Albis’, la Festa della Misericordia e la Beatificazione del grande Uomo e Papa Giovanni Paolo II. Il Vangelo ci mostra un Gesù Risorto che DONA LA PACE…. + DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI La sera di quel giorno, il primo della settimana…venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «PACE A VOI!». Oggi è la Festa della Misericordia: concretamente vuole dirci l’Amore con cui siamo stati amati in quella Morte in Croce, una Misericordia Infinita che non smette mai di amarci. E’ Gesù stesso a rivelarlo a Suor Faustina Kowalska: “Questa festa è uscita dalle viscere della Mia Misericordia ed è confermata nell’abisso delle Mie grazie. Ogni anima che crede ed ha fiducia nella Mia Misericordia, la otterrà”.
•• E Giovanni Paolo II viene Beatificato in questa Festa voluta da lui, in un mese, Maggio, dedicato a Maria, e nel giorno di festa del lavoro…lui che ha lavorato da giovane, ma soprattutto è stato il grande e infaticabile ‘operaio di Dio’ per tutti gli uomini. Chiediamo la sua intercessione perchè tutto ciò che portiamo nel cuore, le fatiche, le prove, le sofferenze, i desideri e le attese,possano essere accolte ed esaudite da Dio passando attraverso il Cuore Immacolato e Materno di Maria, che tanto egli amava… (Santo Sessa – Carmelitani Scalzi)
|
La mia Scuola intitolata al Beato Karol WojtylaQuesto quadro con l’immnagine di KAROL WOJTYLA è stata posta nell’atrio della mia Scuola il giorno della intitolazione Ecco le immagini della cerimonia avvenuta il 13 maggio 2006:
Il Parroco, io come Dirigente Scolastico e il Sindaco Non mi fu facile ottenere l’intitolazione a pochi anni dalla morte del grande Papa per il quale ho sempre nutrito un profondo amore, ma oggi sono felice, con tutta la popolazione scolastica di avere fatto questa scelta. Inserisco il documento inviatomi dall’attuale Pontefice a conferma di quanto avvenuto.
|
Auguri Figlio mio!
Il 7 ottobre sei venuto a me!
…e mi è caro pensarti con questo stralcio…
Non pianger più. Torna il diletto figlio
a la tua casa.
Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato
serba ancóra per noi qualche sentiero.
Ti dirò come sia dolce il mistero
che vela certe cose del passato.
Ancóra qualche rose è ne’ rosai,
ancóra qualche timida erba odora.
Ne l’abbandono il caro luogo ancóra
sorriderà, se tu sorriderai.
Ti dirò come sia dolce il sorriso
di certe cose che l’oblìo afflisse.
Che proveresti tu se fiorisse
la terra sotto i piedi, all’improvviso?
Perché ti neghi con lo sguardo stanco?
La madre fa quel che il buon figlio vuole.
Bisogna che tu prenda un po’ di sole,
un po’ di sole su quel viso bianco.
Se noi andiamo verso quelle rose,
io parlo piano, l’anima tua sogna.
Sogna, sogna, mia cara anima! Tutto,
tutto sarà come al tempo lontano.
Io metterò ne la tua pura mano
tutto il mio cuore. Nulla è ancor distrutto.
Sogna, sogna! Io vivrò de la tua vita.
In una vita semplice e profonda
io rivivrò. La lieve ostia che monda
io la riceverò da le tue dita.
Tutto sarà come al tempo lontano.
L’anima sarà semplice com’era;
e a te verrà, quando vorrai, leggera
come vien l’acqua al cavo de la mano.
Da “Consolazione” di G.D’Annunzio
Per ricordarti!
Auguri Figlio mio!
Fu uno splendido autunno quello! A differenza degli anni precedenti vi furono giornate piene di sole; un buon auspicio per me che, godendo del congedo per maternità potevo dedicarmi interamente al mio bambino, nato proprio in quell’anno, il 7 ottobre, giorno della S.Vergine del Rosario, alla cui protezione avevo affidato la mia creatura.
Nell’altalena dei ricordi pervade l’animo mio il momento della tarda mattinata, quando dopo aver terminato tutte le faccende domestiche, prendevo in braccio quell’involtino di lana calda e profumata da cui spuntava un visetto sorridente e guardandolo, parlandogli, con i termini non decodificabili che ogni madre usa, lo avvicinavo al mio seno per allattarlo. In quell’istante, con quel rito sacro e arcano, una pace profonda, una dolcezza infinita mi avvolgeva: il divino e l’umano sembravano prendere corpo nella simbiosi di quell’atto di amore, mentre un raggio di sole, che penetrava attraverso le imposte socchiuse, ci illuminava entrambi, quasi a voler manifestare la mano benedicente del Creatore.
Espressione della mia gioia interiore era la preghiera riconoscente: “…la mia mente esulta in Dio, mio Salvatore” mentre, con la mia partecipazione alla Creazione, mi sentivo vicina a Maria, Madre di tutti i viventi. Quell’abbraccio profondo, intimo, spirituale, significava la continuità la stabilità del mio essere nel rapporto con la creatura da me nata: mio Figlio; legame forte, saldo, indissolubile che nessuna circostanza e nessuno mai avrebbero potuto spezzare.
“I figli sono frecce scagliate nell’universo”recita il poeta indiano Kahil Gibran. Quella creatura tanto amata avrebbe concluso il suo percorso terreno alla verde età di 22 anni.
Fermarsi di tanto in tanto, alzare lo sguardo da ciò che ci tiene impegnati e fare delle riflessioni generali è molto importante, perché aiuta a vivere più pienamente la vita nella sua ferialità specialmente nel momento storico in cui ciascuno di noi è chiamato a percorrere delle scelte, quale è quella di essere genitori.
In mezzo alla gente, fra la gente, la donna in particolare, a cui sono affidati i grandi ruoli di madre, di sposa, di educatrice, deve essere individuata come creatura privilegiata nel suo affrontare una condizione di vita che si presenta sempre più complessa; si deve rispettarne il suo “toccare con mano” il grande mistero della nascita, senza avere la pretesa di volere tutto comprendere e spiegare.
Per consentire ad essa il riappropriarsi di questa dignità è necessario riconoscerle la peculiare condizione ed il suo ruolo, al di là degli aspetti consumistici che la presentano come simbolo dell’efficienza e della competitività senza dichiarare la valenza del grande progetto di cui è partecipe. Si pone, a questo punto, il problema della donna e del suo completamento naturale, quale la maternità come profondità dell’evento di amore che si realizza nella coppia prima e nel rapporto madre-figlio poi.
Amore, sessualità e concepimento di un figlio sono tappe obbligate di uno stesso discorso, ma l’evento miracolistico e il senso della sacralità si completano nell’atto dello sbocciare di una vita, perché esso è comprensivo del senso della vita stessa e dell’esistenza tutta. Non solo la scienza dichiara questo, ma tutte le grandi religioni che accennano alla componente sacra dell’uomo che è in grado di riprodursi e si sente coinvolto nell’opera della creazione.
Vorrei ricordare, a questo proposito, un esempio significativo riportatoci nelle Scritture: è il desiderio di Anna, colei che diverrà la madre di Samuele (1Sam 1, 1-2), per il dono di un figlio. Anna è sterile e vive consapevolmente il suo stato di umiliante emarginazione, ma non perde il coraggio davanti al Signore, fino a giungere a fargli, con la sua supplica, una solenne promessa: “Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me e mi darai un figlio maschio, io te lo offrirò per tutti i giorni della sua vita.” In questa promessa c’è un insegnamento sorprendente: Anna dice: “…concedimi un figlio ed io te lo ridarò. Sembra a noi che, posta in questi termini, la creazione avvenga per il concorso di una donna e di Dio. Anna non chiede un figlio per vezzeggiarlo e stringerlo al cuore per tutti gli anni della sua vita. Lo chiede per darlo e così riceve. Il Dio degli umili, degli afflitti, dei bisognosi si china verso di lei come si protende verso gli “anawim”, i poveri, “per rialzarli dalla polvere e proteggere il loro cammino”.
La nascita di Samuele (nome che deriva dal verbo ebraico sha’al = domandare) premia la preghiera fiduciosa di Anna che innalza il suo inno di ringraziamento: “Il mio cuore esulta nel Signore, la mia fronte s’innalza grazie al mio Dio…” Questo canto ricorda il Magnificat di Maria, madre di Gesù si tratta di due donne a cui miracolosamente viene dato un figlio “come un dono”. Maria è la “vergine”, Anna è la “sterile”. E Samuele, uomo straordinario, ultimo dei Giudici, realizzerà l’unità delle tribù di Israele. Quanto grande deve essere stato il merito e quanta parte deve avere avuto nell’opera del figlio questa madre, sofferente, umile e disponibile ad offrire la propria creatura ancor prima che le sia stata data. E immaginiamo come sarà stato forte il legame di Anna con suo figlio, Samuele, già destinato ad una missione così rilevante!
Questa consapevolezza é in noi, già presente come immagine riflessa e tende a volere rendere tutt’uno la femminilità con la sacralità. Si sente perciò sacro il concepimento, la gravidanza, il parto, la nascita, come è sacra la vita del bambino che nasce e che non rimane, semplicemente, una condizione assegnata e registrata; è il fatto di esistere che diviene “progetto” e perciò scelta obbligata e percorribile.
Quando una donna dice: “Aspetto un bambino” è come se affermasse: “Io ho un figlio che vive da sempre dentro di me”. Il bambino che dovrà vedere la luce era già in noi, presente nella nostra coscienza disposta a generarlo, era nel pensiero della madre quando ha sentito il suo corpo come luogo adatto ad ospitare una vita. La donna in attesa di un figlio ha pronta una culla nel suo cuore e nel suo seno. In essa dimora tutto il suo essere, il suo futuro, la sua speranza.
E durante la gravidanza, la madre avvia un dialogo, una comunicazione, con quel bambino; questo accade, con sua “sorpresa”, quando riconosce il “meraviglioso” che sta accadendo nel figlio tramite la sua persona, anche al di là della sua intenzione. La meraviglia crea una immagine promettente del mondo, perché essa riconosce il fatto straordinario che è premessa di quell’unione fisica, psicologica e spirituale, sopravvenuta dopo il concepimento.
Sentiamo le espressioni usate in questa lirica da un poeta non noto, con cui viene sentita la maternità
” Istanti…forse secoli, in cui pulsa la coscienza e il suo ritmo è gioia:
gioia dentro, gioia fuori, gioia ovunque.
Cellule di vita, immense quanto l’universo,
in esse tutto è presente: la notte dei tempi e un futuro ciclico,
meravigliosamente riassunti in un istante cangiante.
Energie sottili che vorticano in un centro, che si individualizza e si nutre di sé espandendosi.
Madre dentro, madre fuori, madre me, madre lei.
Madre nella madre in un’esplosione a catena che si espande al rallentatore (o forse in istanti di sogno). Lei diventa me, io ritornerò a lei.
Lei mi nutre dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri; i miei sentimenti e i miei pensieri torneranno a lei. Come una vibrazione che percorre un’unica coscienza
come amore che effonde dall’indicibile.”
La festa dei nonni
2 ottobre: Festa dei Nonni
I nonni ti vedono crescere, sapendo che ti lasceranno prima degli altri. Forse è per questo che ti amano più di tutti.
La Festa dei nonni è una ricorrenza civile introdotta in Italia con la Legge 159 del 31 luglio 2005, quale momento per celebrare l’importanza del ruolo svolto dai nonni all’interno delle famiglie e della società in generale. Viene festeggiata il 2 ottobre, data in cui la chiesa cattolica celebra gli Angeli custodi.
Il brano dal titolo “Ninna Nonna”, scritto da Igor Nogarotto e Gregorio Michienzi, due autori astigiani (in arte I 2 Così), dal 2006 è stato ufficialmente riconosciuto come “Canzone Italiana dei Nonni”
Roma, 2 ottobre 2011 – Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha rivolto alle nonne e ai nonni d’Italia, nella giornata di festa a loro dedicata, un messaggio: “Celebriamo oggi la festa dei nonni, divenuta ormai un appuntamento fortemente sentito e ricco di iniziative per ricordare, nel segno dell’affetto e della riconoscenza, il loro insostituibile ruolo nella vita familiare. I nonni, con il loro patrimonio di umanita’, saggezza ed esperienza, offrono quotidianamente generoso e prezioso sostegno alla crescita ed allo sviluppo dei piu’ piccoli, che seguono sin dalla nascita nel percorso educativo e formativo ed ai quali trasmettono conoscenze, tradizioni e valori della loro generazione. Al peso e al ruolo assunti dagli anziani non puo’ non rispondere l’impegno nell’attuale contesto sociale da parte delle istituzioni e della collettivita’ a difendere e salvaguardare quei diritti che rappresentano una conquista fondamentale per la vita e la dignita’ della persona in quella fascia di eta’. Con questo auspicio e con sentimenti di vicinanza e di ideale condivisione dello spirito che anima questa giornata, rivolgo alle nonne e ai nonni d’Italia un caloroso saluto augurale”.
Per citare una bella frase di Maria Rita Parsi: ” I nonni sono coloro che vengono da lontano e vanno per primi, ad indagare oltre la vita; sono i vecchi da rispettare per essere rispettati da vecchi; sono il passato che vive nel presente ed i bambini sono il presente che vedrà il futuro “ La psicologa Maria Rita Parsi a Cattolica 2012 |