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Riti del Giovedì Santo

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Ricordando… 

Giovedì santo: Lavanda dei piedi

Nel 2016 Papa Francesco per 12 profughi

Per la prima volta il rito si è svolto fuori Roma a Castelnuovo di Porto

“Tutti noi, insieme, musulmani, indi, cattolici, copti, evangelici, fratelli, figli dello stesso Dio, che vogliamo vivere in pace, integrati: un gesto. Tre giorni fa un gesto di guerra, di distruzione, in una città dell’Europa, da gente che non vuole vivere in pace, ma dietro quel gesto” “ci sono i fabbricatori, i trafficanti delle armi che vogliono il sangue non la pace, la guerra, non la fratellanza”. Il Papa ha spiegato così la lavanda dei piedi che stava per compiere nel CARA di Castelnuovo di Porto. “Due gesti, – ha riflettuto – Gesù lava i piedi e Giuda vende Gesù per denaro, noi tutti insieme diverse religioni, di diverse culture ma figli dello stesso padre, fratelli, e quelli che comprano le armi per distruggere”. Papa Francesco ha voluto imprimere il sigillo della unità dei credenti per la pace, e della fratellanza contro l’odio, le guerre e il traffico di armi, al rito della lavanda dei piedi che ha compiuto al CARA, acronimo per Centro di accoglienza per richiedenti asilo, cioè dove i profughi vengono ospitati in attesa che vengano espletate le procedure per accogliere o meno la loro domanda di protezione internazionale. Bergoglio ha lavato i piedi a 11 profughi e una operatrice del CARA, in tutto cinque cattolici, quattro musulmani, un indù e tre cristiani copti. 

I riti del Giovedì Santo 2015

 

Settimana Santa, Bergoglio celebra la messa del Crisma a San Pietro e parla ai sacerdoti: “Non chiudetevi in uffici o auto oscurate”. Poi sceglie di stare “dalla parte degli ultimi” e va nel carcere romano per la lavanda dei piedi. Ai baci e agli applausi dei reclusi risponde: “Grazie per la calorosa accoglienza”. E si china a baciare i piedi a dodici detenuti.

 

 

Prima il mònito ai sacerdoti. Poi i baci e gli abbracci ai detenuti del carcere di Rebibbia. Nel Giovedì Santo che precede la Pasqua,  Papa Francesco sceglie di stare, come lo scorso anno, “dalla parte degli ultimi”. E nell’omelia che accompagna la messa crismale a San Pietro – durante la quale i sacerdoti rinnovano le promesse fatte al momento della sacra ordinazione – il Pontefice ha detto: “La stanchezza dei sacerdoti! Sapete quante volte penso a questo, alla stanchezza di tutti voi? Ci penso molto e prego di frequente, specialmente quando ad essere stanco sono io”.
Il messaggio ai sacerdoti. Per un prete, ma questo probabilmente vale per ogni persona umana, “la stanchezza di se stessi è forse la più pericolosa”, ha proseguito, elencando i diversi tipi di stanchezza che possono affliggere la vita pastorale, a partire “dalla stanchezza della gente, delle folle, spossante come dice il Vangelo, ma buona, piena di frutti e di gioia”. “Una stanchezza – dunque – buona e sana: la stanchezza del sacerdote con l’odore delle pecore, ma con sorriso di papà che contempla i suoi figli o i suoi nipotini. Niente a che vedere con quelli che sanno di profumi cari e ti guardano da lontano e dall’alto”. “Siamo – ha osservato Francesco – gli amici dello Sposo, questa è la nostra gioia”.

Papa Francesco: “Penso alla stanchezza dei sacerdoti. E anche alla mia”

 

Il Pontefice si è poi soffermato su “quella che possiamo chiamare la stanchezza dei nemici”. “Il demonio e i suoi seguaci non dormono e, dato che le loro orecchie non sopportano la Parola di Dio, lavorano instancabilmente per zittirla o confonderla. Qui la stanchezza di affrontarli è più ardua. Non solo si tratta di fare il bene, con tutta la fatica che comporta, bensì bisogna difendere il gregge e difendere sè stessi dal male”.


 

“E per ultima, perché questa omelia non vi stanchi”, Papa Bergoglio ha affrontato la “stanchezza di se stessi, che forse è la più pericolosa perché le altre due provengono dal fatto di essere esposti, di uscire da noi stessi per ungere e darsi da fare, siamo quelli che si prendono cura”. “Questa stanchezza invece – ha rilevato Bergoglio – è più auto referenziale: è la delusione di se stessi ma non guardata in faccia, con la serena letizia di chi si scopre peccatore e bisognoso di perdono: questi chiede aiuto e va avanti. Si tratta della stanchezza che dà il volere e non volere, l’essersi giocato tutto e poi rimpiangere l’aglio e le cipolle d’Egitto, il giocare con l’illusione di essere qualcos’altro”. “Questa stanchezza – ha concluso – mi piace chiamarla civettare con la mondanità spirituale: quando uno rimane solo, si accorge di quanti settori della vita sono stati impregnati da questa mondanità, e abbiamo persino l’impressione che nessun bagno la possa pulire. Qui può esserci una stanchezza cattiva”.

 

Con i detenuti a Rebibbia.

 

 

Nel pomeriggio, Papa Francesco raggiunge il carcere di Rebibbia per il rito della lavanda dei piedi: al suo arrivo, molti detenuti lo abbracciano e lo baciano. Bergoglio saluta e bacia uno ad uno i detenuti che lo attendono a centinaia per la messa del Giovedì Santo. Il Papa stringe le mani di 300 detenuti, li abbraccia, scambia con loro baci sulle guance e parole di conforto e di incoraggiamento. Ad accompagnarlo lungo la transenna è il cappellano di Rebibbia, don Pier Sandro Spriano, da cui è partito l’invito per la visita. Don Spriano gli parla delle situazioni e delle provenienze di alcuni dei reclusi. “Grazie per la calorosa accoglienza”, dirà loro il Papa prima di entrare nella chiesa del carcere. Poi nell’omelia: “L’amore di Gesù non delude mai perché lui non si stanca di amare come non si stanca di perdonare e di abbracciarci”. Poi si è chinato a lavare, asciugare e baciare i piedi a dodici detenuti, sei uomini e sei donne, per metà stranieri. Tra loro due nigeriane, una congolese, un’ecuadoregna, un brasiliano e un nigeriano. Gli altri sei, due donne e quattro uomini, sono italiani. A sorpresa, lavato i piedi anche del piccolo bambino, figlio di una delle sei detenute partecipanti al rito, che la mamma aveva in braccio. Diversi i volti rigati dalle lacrime tra i detenuti. E si congeda così: “Anche io ho bisogno di essere lavato. Il Signore lavi anche le mie sporcizie perchè io possa essere di più al servizio della gente, come lo è stato Gesù”.


 

 

 

 

Edda CattaniRiti del Giovedì Santo
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S. Giuseppe, padre dei bambini

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Chi accoglie anche uno solo di questi bambini…”

 Oggi rinnovo questo articolo e lo dedico a Mentore Padre per sempre!

 

Finito il carnevale, con il  rito dell’imposizione delle Ceneri è iniziata la quaresima e lo sarà per tutto il mese di marzo. Una buona, lunga occasione che ci richiama alla riflessione sulla sacralità dell’esistenza e della vita.

Ancora una volta ci sentiamo invitati a considerare il tema dell’infanzia con le parole di Gesù: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5) e per me, che ho dedicato gran parte della mia esistenza all’educazione dei minori, è un riscoprire la fiducia nella parola del Figlio di Dio e, ad un tempo, coltivare l’invito che mi fece il mio Andrea: “Fai per gli altri ragazzi quello che hai fatto per me”.

Condividere la sorte dei piccoli e dei poveri. è  opportunità di riflettere sulla condizione dei bambini, è un’esortazione a esaminare come sono trattati nelle nostre famiglie e nella società civile,  è urgente  richiamo alla semplicità e alla fiducia che il credente deve coltivare. Le parole del Santo Padre divengono esplicite: “Gesù amò i bambini e li predilesse per la loro semplicità e gioia di vivere, per la loro spontaneità, e la loro fede piena di stupore (Angelus del 18.12.1994)”.  Ai bambini Gesù affianca i “fratelli più piccoli”, cioè i miseri, i bisognosi, gli affamati e assetati, i forestieri, i nudi, i malati, i carcerati. Accoglierli e amarli, o invece trattarli con indifferenza e rifiutarli, è riservare a Lui lo stesso atteggiamento, perché in loro Egli si rende particolarmente presente.

            Fra tutti i miseri ci siamo anche noi, perché provati dalla perdita più grave che possa esistere, molto più di una lacerazione fisica, del dissolvimento della nostra integrità corporea. Abbiamo sentito in questi tempi della piccola tredicenne, campionessa di ginnastica, ritrovata morta in un campo di sterpaglie…. E ancora prima un’altra adolescente gettata in un pozzo e poi che ne è stato delle gemelline? Di fronte a drammi così evidenti, mi sono chiesta cosa avrei provato io al posto di quei genitori e quale sarebbe stata la mia risposta ad un dilemma di questo tipo

”… di quale morte vorresti aver perduto tuo figlio? Preferiresti aver tu perduto un arto…”.

Sebbene la stampa di questi giorni ci riporti a casi di  persone disposte a morire pur di non avere un piede tagliato,  “mio figlio”  è una parte di me! E non c’è arto che lo possa sostituire.

            Esempi di Madre Coraggio ne esistono a decine, forse centinaia e migliaia sono sconosciuti e la risposta è ovvia: qualsiasi madre rinuncerebbe alla propria integrità pur di vedere sopravvivere il proprio figlio: Allora dove sta il problema? Sono forse morti i nostri figli? Noi mamme disperate, alle prime armi con un dilemma che ci consuma e ci travalica, siamo proprio convinte della loro sopravvivenza?… diciamolo con franchezza …o piuttosto vogliamo essere ancora madri a tutti gli effetti con possibilità di comunicare, di consigliare, di accudire… Sì, lo so, sarebbe tanto bello per noi averlo in braccio, sentirne il calore, il suo particolare profumo, ma non dimentichiamo Gesù fanciullo che scompare e viene ritrovato fra i dottori, nel tempio e mentre Maria e Giuseppe chiedono:“Ma figlio dov’eri? Io e tuo padre eravamo in ansia!” e la risposta: “ Ma non sapete che debbo occuparmi delle cose del Padre mio ?”(Luca 48-50).

 

            Ecco è comparso Giuseppe… Tua madre ed io eravamo in ansia… Ecco la preoccupazione dei Padri… prima vedono il dolore delle madri e poi il loro. Come ha fatto mio marito…. La sera in cui venne annunciato l’incidente di Andrea andò solo…. poi il primo pensiero fu per me… “Andrea vado dalla mamma, proteggila!” Un San Giuseppe per la nostra famiglia. Questo giorno lo dedico a Lui: distrutto nel corpo e condannato ad una morte  lacerante… per il troppo dolore. “AUGURI papà di Andrea! AUGURI e GRAZIE per quanto hai fatto per tuo Figlio, per i tuoi figli e anche per me….”

            Allora torniamo a quanto i nostri Ragazzi ci dicono; anch’essi si stanno occupando delle cose del Padre ed hanno bisogno di noi per aiutarli nel loro compito. Dagli innumerevoli messaggi pervenuti a tante Mamme, sappiamo che essi si occupano dei bambini non nati, dei piccoli mancati prematuramente, di altri ragazzi come Loro. Raccogliamo dunque l’invito di Gesù: “Diventare” piccoli e “accogliere” i piccoli: sono questi due aspetti di un unico insegnamento che il Signore rinnova ai suoi discepoli in questo nostro tempo. Solo chi si fa “piccolo” è in grado di accogliere con amore i fratelli più “piccoli”.

Penso con grata ammirazione a coloro che si prendono cura della formazione dell’infanzia in difficoltà e alleviano le sofferenze dei bambini e dei loro familiari causate dai conflitti e dalla violenza, dalla mancanza di cibo e di acqua, dall’emigrazione forzata e da tante forme di ingiustizia esistenti nel mondo.

Accanto a tanta generosità si deve però registrare anche l’egoismo di quanti non “accolgono” i bambini. Ci sono minori che sono feriti profondamente dalla violenza degli adulti: abusi sessuali, avviamento alla prostituzione, coinvolgimento nello spaccio e nell’uso della droga; bambini obbligati a lavorare o arruolati per combattere; innocenti segnati per sempre dalla disgregazione familiare; piccoli travolti dal turpe traffico di organi e di persone. E che dire della tragedia dell’AIDS con conseguenze devastanti in Africa? Si parla ormai di milioni di persone colpite da questo flagello, e di queste tantissime sono state contagiate sin dalla nascita. L’umanità non può chiudere gli occhi di fronte a un dramma così preoccupante!

Durante la Quaresima ci prepariamo a rivivere il Mistero pasquale, che illumina di speranza l’intera nostra esistenza, anche nei suoi aspetti più complessi e dolorosi. La Settimana Santa ci riproporrà questo mistero di salvezza attraverso i suggestivi riti del Triduo pasquale.

Con la semplicità tipica dei bambini noi ci rivolgiamo a Dio chiamandolo, come Gesù ci ha insegnato, “Abba”, Padre, nella preghiera del “Padre nostro”.

Padre nostro! Ripetiamo frequentemente, nel corso della Quaresima, questa preghiera, ripetiamola con intimo trasporto. Chiamando Dio “Padre nostro”, avvertiremo di essere suoi figli e ci sentiremo fratelli tra di noi. Ci sarà in tal modo più facile aprire il cuore ai piccoli, secondo l’invito di Gesù: “Chi accoglie anche solo uno di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5).

Edda CattaniS. Giuseppe, padre dei bambini
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19 marzo: San Giuseppe

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19 Marzo: Festa del Papà

“Auguri Papà!”

O caro San Giuseppe, veglia e custodisci tutte le famiglie perché vivano l’armonia, l’unità, la fede, l’amore che regnava nella famiglia di Nazareth. Guarda con tenerezza particolare le famiglie dei disoccupati, dona a tutti un lavoro, affinché con la loro opera creino un mondo migliore e diano lode a Dio Creatore.

San Giovanni Paolo II

 

Chissà quanti Papà oggi riceveranno una letterina, magari la prima che custodiranno gelosamente, anche quando saranno ormai avanti negli anni e forse, quel bimbo che se ne è volato via, ora è un “Angelo di Luce”.

San Giuseppe è il Padre e un Protettore per tutti i Papà, anche per coloro i cui Figli hanno percorso la Via del Paradiso.

San Giuseppe Sposo della Beata Vergine Maria

19 marzo

Questa celebrazione ha profonde radici bibliche; Giuseppe è l’ultimo patriarca che riceve le comunicazioni del Signore attraverso l’umile via dei sogni. Come l’antico Giuseppe, è l’uomo giusto e fedele (Mt 1,19) che Dio ha posto a custode della sua casa. Egli collega Gesù, re messianico, alla discendenza di Davide. Sposo di Maria e padre putativo, guida la Sacra Famiglia nella fuga e nel ritorno dall’Egitto, rifacendo il cammino dell’Esodo. Pio IX lo ha dichiarato patrono della Chiesa universale e Giovanni XXIII ha inserito il suo nome nel Canone romano. (Mess. Rom.)

Patronato: Padri, Carpentieri, Lavoratori, Moribondi, Economi, Procuratori Legali

Etimologia: Giuseppe = aggiunto (in famiglia), dall’ebraico

Emblema: Giglio

Martirologio Romano: Solennità di san Giuseppe, sposo della beata Vergine Maria: uomo giusto, nato dalla stirpe di Davide, fece da padre al Figlio di Dio Gesù Cristo, che volle essere chiamato figlio di Giuseppe ed essergli sottomesso come un figlio al padre. La Chiesa con speciale onore lo venera come patrono, posto dal Signore a custodia della sua famiglia.
“Qualunque grazia si domanda a S. Giuseppe verrà certamente concessa, chi vuol credere faccia la prova affinché si persuada”, sosteneva S. Teresa d’Avila. “Io presi per mio avvocato e patrono il glorioso s. Giuseppe e mi raccomandai a lui con fervore. Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità in cui mi trovavo e in molte altre più gravi, in cui era in gioco il mio onore e la salute dell’anima. Ho visto che il suo aiuto fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare…”( cfr. cap. VI dell’Autobiografia). Difficile dubitarne, se pensiamo che fra tutti i santi l’umile falegname di Nazareth è quello più vicino a Gesù e Maria: lo fu sulla terra, a maggior ragione lo è in cielo. Perché di Gesù è stato il padre, sia pure adottivo, di Maria è stato lo sposo. Sono davvero senza numero le grazie che si ottengono da Dio, ricorrendo a san Giuseppe. Patrono universale della Chiesa per volere di Papa Pio IX, è conosciuto anche come patrono dei lavoratori nonché dei moribondi e delle anime purganti, ma il suo patrocinio si estende a tutte le necessità, sovviene a tutte le richieste. Giovanni Paolo II ha confessato di pregarlo ogni giorno. Additandolo alla devozione del popolo cristiano, in suo onore nel 1989 scrisse l’Esortazione apostolica Redemptoris Custos, aggiungendo il proprio nome a una lunga lista di devoti suoi predecessori: il beato Pio IX, S. Pio X, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI.


Autore: Maria Di Lorenzo


 

Edda Cattani19 marzo: San Giuseppe
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8 Marzo: Festa della Donna

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Le origini della festa dell’8 Marzo risalgono al lontano 1908, quando, pochi giorni prima di questa data, a New York, le operaie dell’industria tessile Cotton scioperarono per protestare contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero si protrasse per alcuni giorni, finché l’8 marzo il proprietario Mr. Johnson, bloccò tutte le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire. Allo stabilimento venne appiccato il fuoco e le 129 operaie prigioniere all’interno morirono arse dalle fiamme. Successivamente questa data venne proposta come giornata di lotta internazionale, a favore delle donne, da Rosa Luxemburg, proprio in ricordo della tragedia.

Con il diffondersi e il moltiplicarsi delle iniziative, che vedevano come protagoniste le rivendicazioni femminili in merito al lavoro e alla condizione sociale, la data dell’8 marzo assunse un’importanza mondiale, diventando, grazie alle associazioni femministe, il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli, ma anche il punto di partenza per il proprio riscatto.

Nel corso degli anni, quindi, sebbene non si manchi di festeggiare queste data, è andato in massima parte perduto il vero significato della festa della donna  anche se vi sono associazioni che organizzano manifestazioni e convegni sull’argomento, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi che pesano ancora oggi sulla condizione della donnal. La festa  è attesa anche dai fiorai che in quel giorno vendono una grande quantità di mazzettini di mimose, divenute il simbolo di questa giornata, a prezzi esorbitanti e dai ristoratori che vedranno i loro locali affollati,

magari non sanno cosa è accaduto l’8 marzo del 1908.

“Auguri a tutte le donne,ma in particolare il mio augurio va per le donne,maltrattate,che donano la vita per chi è malato,per le violentate,per le donne sfruttate,per quelle donne che in guerra in questo momento stanno perdendo la vita,per le mie amiche,che conosco e online..e le donne che non hanno libertà di pensiero e che non possono  scoprire il loro corpo e viso.”

PER TUTTE LE DONNE AUGURI

 

Edda Cattani8 Marzo: Festa della Donna
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La rosa di San Valentino

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Dai ricordi…

 

Mi sono alzata al levar del sole pensando alle tante promesse dei ragazzi nell’esuberanza della giovane vita, intrise di speranza e palpiti del cuore e una marea di ricordi ha accarezzato la mia mente vagante incontro ad immagini ormai sbiadite dal tempo. C’è il festival di Sanremo in questi giorni e anche questo evento richiama la vita nel suo fiorire…una passerella di esordienti si esibisce davanti ad un uditorio di entusiasmi giovanili … gli anziani non fanno spettacolo, non comprano dischi, non festeggiano San Valentino…

 

Nella mia solitudine accarezzo i ricordi, i vissuti, i pensieri… alla ricerca di quella tenerezza che mi manca, comunque mi manca… e a chi non manca una carezza, un sentirsi ancora giovane e vitale, a volere toccare con mano l’affettività di coloro che rimangono comunque presenti? Ho acquistato la rosa rossa e le orchidee bianche per i miei “tesori” e sono andata in cappella a contemplarmi quanto resta della loro “corporeità … So bene che non sono lì, ci mancherebbe! Le tombe non servono ai morti, ma ai vivi … infatti loro non sono morti … Ci parlo ogni giorno, interloquisco nel mio vagare e correre e … loro mi danno risposte, non udibili all’orecchio umano ma che io sento, che io so provenire da ciò che resta di quel filo che invisibilmente ci unisce ancora.

 

Ieri mi ha chiamato Gemma per chiedermi di tenere una relazione a Taranto … A Taranto? Per me è in capo al mondo … L’aereo? Non l’ho mai preso … in cielo preferisco andarci quando non mi trascinerò più addosso questo corpo malandato … Ma intanto che parlavamo, a lei che è dotata di carismi particolari, è apparso qualcosa: “A tuo marito piacevano i cavalli?” “Certo, ne ho una coppia dipinta da lui che ho messo in bacheca su FB!” “Ecco lo vedo che sta bene, anzi, ora cavalca quei cavalli!” Quel quadro rappresenta un po’ la nostra storia; Mentore l’aveva dipinto in tempi non sospetti, quando eravamo ancora attraversati dalla completezza della nostra famiglia, con il lavoro a tempo pieno, i bambini da accudire, le nostre forze ed energie ancora fresche!

Li aveva chiamati “Nella bufera”, ma né lui né io avremmo mai immaginato che saremmo poi stati attraversati da una marea di eventi tanto sconcertanti! “Ora cavalca…”

 

Crederci o no per me in questi giorni di malinconia è un conforto del cuore che mi fa sentire meno sola… “… la malinconia è della bellezza, per così dire, la nobile compagna, al punto che non so concepire un tipo di bellezza che non abbia in sé il dolore. (C.Baudelaire-da Opere postume)… ed è così!

 

Ed ecco il ritrovarmi dunque in questo luogo di culto, di ricordi … tenerezze … sospiri … Altrove non mi è permesso … ma qui sì … Posso asciugarmi in pace una lacrima, posso addolcire il cuore abbracciandomi, e dicendo loro: “Statemi accanto, perché non ho più nessuno che mi accarezza!” … e ne ho necessità!

 

E ricordo ancora… come ricordo… Desidero riproporre il tempo di quando ancora speravo in una guarigione e portavo Mentore ogni giorno al diurno di Casa Madre Teresa…

 

“Ti regalerò una rosa”

 

 

Torniamo a casa da “Madre Teresa” e al semaforo c’è il solito ragazzo che offre un mazzo di rose agli automobilisti. M. lo guarda e poi sussurra: “… oggi è San Valentino…”  Capisco al volo, ma non c’è tempo, ormai è già verde e bisogna correre. Gli dico: “Vuoi regalarmi una rosa?” “Sì”. “Bene andiamo a comprarla, come tutti gli anni sarai tu a regalarmela.” E mi torna in mente la canzone di Simone Cristicchi:

Ti regalerò una rosa
Una rosa rossa per dipingere ogni cosa
Una rosa per ogni tua lacrima da consolare
E una rosa per poterti amare
…Dei miei ricordi sarai l’ultimo a sfumare…

Non sono ancora scomparse le abitudini e gli affettuosi ricordi e mi chiedo quanto ancora potranno durare le tue delicate tenerezze. Andiamo avanti e continua la nostra conversazione che è quasi un monologo:”Com’è andata la giornata?” “Bene” “E cosa hai fatto oggi con i tuoi amici?”  “Abbiamo letto” E’ un po’ difficile per lui sapermi dire cosa esattamente abbia recepito, ma mi basta qualcosa che l’ha interessato, che l’ha coinvolto, che gli è rimasto nella mente. “Raccontami su… avete letto il quotidiano?”     “ Siì “  “…e di cosa avete parlato?”  “…di tante cose!” Ci risiamo, è più furbo di me. Vediamo un po’… “ Ma ti diverti quando leggete le notizie?” “No, perché dicono che il pane costa tanto.” Ecco, ci siamo. Allora possiamo fare un ragionamento. Infatti dopo un certo periodo mi dice: “Dobbiamo pensare anche all’avvenire dei nostri bambini!” Povero caro, debbo pur ricordargli che i nostri bambini sono ormai grandi e anzi abbiamo i nipotini che hanno bisogno di noi, che vogliono vedere il nonno star bene, che sono cresciuti e vanno alla scuola materna.

Da quando veniamo a “Madre Teresa” M. sa che questa è la sua “scuola”, così gliel’ho presentata quando ne abbiamo parlato e siamo venuti a visitarla, una scuola per i nonni, dove si imparano tante cose e dove si lavora e si sta insieme. Dopo le prime ore di diffidenza, forse più mia che sua, si è stabilita una muta arrendevolezza ed io per prima mi sono “lasciata andare” e mi sono avviata verso un percorso difficile ma accettabile. Quello che capita ai familiari di coloro che sono colpiti da questo male subdolo e tremendo è che ci si sente coinvolti in una situazione che non si conosce, in quanto la persona che avevi vicina, a poco a poco, si allontana e diviene quasi un soggetto da cui difendersi e, ad un tempo, da difendere. C’è uno stravolgimento del contesto in cui ci si trovava a vivere e spesso subentra una tendenza a rinchiudersi a riccio, a nascondere la propria disgrazia o a non volerla riconoscere; di qui l’abbattimento morale e psicologico. Non sei più padrone di controllare i tuoi tempi, il tuo aspetto, le tue cose, i tuoi interessi anche minimi, le amicizie mentre cerchi disperatamente di rincorrere quella mente amata che ti sfugge, che diviene sempre più evanescente… uno stillicidio continuo che distrugge tutti i legami familiari.

Ho cercato di andare alla ricerca delle cause, se pure ce ne possano essere state: so che il tempo è passato e quanto abbiamo vissuto insieme ci ha sempre tenuto uniti, ancor più in un comune dolore, quello della perdita del nostro ragazzo, mancato all’età di 22 anni. La nostra esperienza è confluita nel credo religioso della “comunione dei santi” convinti della presenza di nostro figlio accanto a noi e del suo aiuto. M. con A. aveva un colloquio privato particolarissimo e si dicevano cose che io non ho potuto condividere. Nel muto silenzio di entrambi sono celate tante verità che potrò conoscere solo un giorno quando tutti saremo uniti in paradiso.

Nel frattempo io ho continuato il lavoro e ho lasciato M. nella sua solitudine coi suoi pensieri, con le sue letture e i suoi impegni, in casa con il gattino Max che lui accudiva con tanto amore. Ogni mattina mi portava la cartella in macchina e mi aspettava sorridente la sera con la cena pronta chiedendomi: “Com’è andata, stella?”. Poi c’è stata l’encefalite del nipotino a cui è seguito il necessario abbandono del mio lavoro.

Quando tutto si è risolto e finalmente ho potuto fermarmi e mi sono guardata intorno ho visto che in casa c’era il vuoto… M. parlava sempre meno e Max ormai beveva solo acqua e rimaneva a dormire troppo a lungo. Fui costretta a portare quell’esserino pelle e ossa in clinica  il mattino presto e a lasciarlo perché non c’era più niente da fare. M. non mi disse, né chiese nulla; ora che il suo caro amico non c’era più cominciarono ad accentuarsi i motivi di disinteresse e di assenza… solo una sera l’ho sentito mormorare: “A. sta bene, è in cielo che gioca con il suo gattino”.

 

Allora ho cominciato ad osservare il ripetersi di quei comportamenti nel lasciarsi andare, nel non partecipare, non interessarsi… a cui i medici non avevano saputo dare risposte… si parlava di depressione, di crisi dell’età, di bisogno di compagnia… Quante porte ho bussato, senza alcun risultato! E’ terribile quando non si ha una diagnosi, quando non hai mai sentito parlare di una malattia che distrugge il cervello… lui che aveva una risposta e una soluzione per tutto, che mi era stato maestro e guida, angelo consolatore… E quando non ne puoi più e anziché abbracciare la croce, come Cristo, ti ci sdrai sopra, ancora una volta una luce viene dall’alto e c’è qualcuno che giunge quando ormai non ti aspetti più nulla da nessuno.

 

Avevo sentito parlare di “Madre Teresa” ma non ne sapevo abbastanza per metterla in conto… poi ho preso il coraggio a quattro mani e sono andata… Così ho saputo che sì, ci sono altri come il mio M. che non vengono lasciati soli, ma che hanno lo stesso male e pur non potendo essere curati, perché ciò è impossibile, sono accolti e seguiti da personale preparato e disponibile che inizia con loro un programma. Gli “ospiti” con i loro operatori svolgono delle attività che li fanno sentire ancora utili e vitali; insieme vivono la giornata in un clima di serena festosità .

 

All’inizio mi sembrava  di dover “parcheggiare” quella creatura a me tanto cara, che accarezzavo come un bambino e riempivo di baci, vedendolo così debole e indifeso, temendo che si potesse deriderlo, non comprenderlo e mi raccomandavo: “…anche se non parla, capisce tutto, poi me lo dice…”

Quante lacrime i primi giorni, fra casa e Madre Teresa…. mi fermavo nell’atrio e trovavo tante anime caritatevoli che mi aiutavano nel mio difficile percorso: “Vedrà che poi ne avrà sollievo… che sarà più serena… che anche M: verrà volentieri….”

E’ vero, M. è sempre andato volentieri, fin dall’inizio, perchè da tutti abbiamo ricevuto aiuto: dall’ingresso con il buongiorno del mattino, al ritorno e al saluto della sera quando lo vado a riprendere, non già da un “parcheggio” ma da un luogo ove lui è stato bene e ha vissuto una giornata serena e in armonia.

Non so cosa stia accadendo nella mente di mio marito, cosa realmente sia successo e cosa intuisca ora della sua trasformazione così repentina, del cambiamento di ciò che quotidianamente viviamo insieme. So che questa la sentiamo un po’ “casa nostra”, una casa in cui ci si ritrova con volti familiari, con persone con gli stessi problemi, dove si può versare una lacrima senza provare vergogna e dove il tuo caro è guardato con amore e rispetto e considerato una creatura unica e irripetibile, come è nella mente di Dio.

Dice W.GRIESINGER.
” A che servirebbe, se conoscessimo tutto ciò che accade nel cervello durante la sua attività, se potessimo penetrare tutti i processi chimici, elettrici e così via, fino all’ultimo dettaglio? Qualsiasi oscillazione e vibrazione, qualsiasi evento chimico e meccanico, non è mai uno stato d’animo, un’ idea. Comunque vadano le cose, quest’enigma resterà insoluto fino alla fine dei tempi, e io credo che se oggi venisse un angelo dal cielo e ci spiegasse tutto, il nostro intelletto non sarebbe nemmeno capace di comprenderlo “

                                                                                                  E. C.

 

 

 

 

 

 

Edda CattaniLa rosa di San Valentino
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Papa Francesco: quaresima

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Quaresima: il Mercoledì delle Ceneri

(a ricordo della Quaresima 2016)

Papa Francesco manda messaggio su Telegram ai giovani

 

 

Il messaggio del Pontefice sui social: “Quando facciamo qualcosa di bene, a volte siamo tentati di essere apprezzati e di avere una ricompensa: la gloria umana. Ma si tratta di una ricompensa falsa perché ci proietta verso quello che gli altri pensano di noi”. La condanna del fenomeno dell’usura: “Tante famiglie ne sono vittima. È un grave peccato che porta ai suicidi”

 

Papa Francesco ha voluto iniziare la Quaresima del Giubileo in modo social inviando attraverso Telegram un audio messaggio ai giovani: “Quando facciamo qualcosa di bene, a volte siamo tentati di essere apprezzati e di avere una ricompensa: la gloria umana. Ma si tratta di una ricompensa falsa perché ci proietta verso quello che gli altri pensano di noi. Gesù ci chiede di fare il bene perché è bene”

“Tante famiglie sono vittime dell’usura. È un grave peccato che grida al cospetto di Dio e porta ai suicidi”. È il messaggio che Papa Francesco ha rivolto nell’udienza generale del mercoledì del ceneri con il quale la Chiesa cattolica inizia la Quaresima, i 40 giorni di preparazione alla Pasqua che ricordano il tempo che Gesù passò nel deserto prima di iniziare la sua predicazione pubblica. “Quante situazioni di usura siamo costretti a vedere – ha sottolineato Bergoglio – e quanta sofferenza e angoscia portano alle famiglie. E quanti uomini per la disperazione finiscono nel suicidio perché non ce la fanno, non hanno la speranza. Non hanno una mano tesa che li aiuta, ma soltanto la mano che chiede di pagare”. Francesco ha spiegato ai numerosi fedeli presenti in piazza San Pietro che “se il Giubileo non arriva nelle tasche non è autentico. E questo è nella Bibbia, non lo inventa questo Papa”. 

 

Edda CattaniPapa Francesco: quaresima
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Mercoledì delle Ceneri

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Mercoledì delle Ceneri

 

 Il giorno dopo Carnevale e martedì grasso è la data in cui cade il mercoledì delle Ceneri. 

Ecco cosa sono le Ceneri, significato religioso e teologico e frasi sulle Sacre Ceneri.

ll mercoledì delle Ceneri dell’astinenza e digiuno non è festa di precetto, pertanto ci si reca a lavoro e a scuola senza osservare alcun riposo. Questa data segna l’inizio della Quaresima, che è il periodo di meditazione e conversione al Vangelo che ciascun fedele deve osservare. Ecco cosa si festeggia durante le Sacre Ceneri e che cos’è la Quaresima.

Il significato del mercoledì delle Ceneri è spiegato all’inIterno della stessa Bibbia. Numerose sono le frasi e le immagini in cui l’uomo è associato alla cenere,e proprio in esse è possibile cogliere il senso di questo rito molto importante per la Chiesa.

Infatti in questa data inizia quel periodo di penitenza pubblica che culminerà con il perdono dei peccati di Giovedì Santo.

In molti si chiedono se durante il giorno delle Ceneri si mangia la carne. In realtà in questa data, che cambia ogni anno, bisogna astenersi non solo dal mangiare la carne, ma anche durante tutto il periodo della Quaresima bisogna rispettare il digiuno e la penitenza. In particolare ricordiamo che tutti i venerd’ di Quaresima non si mangia carne.

Nel Libro della Genesi compaiono queste parole che spiegano cosa sono le Sacre Ceneri e cosa si ricorda in questa data.“Ricordati uomo, che polvere sei e polvere ritornerai”. E’ con queste parole che Dio, dopo il peccato originale, caccia Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden, condannandolo alla fatica del lavoro e alla morte. “Con il sudore della fronte mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!”.

Il senso del mercoledì delle Ceneri e la sua storia risiedono proprio in queste due frasi. Da un lato si coglie tutto il senso di precarietà e caducità che avvolge la condizione umana. L’uomo è fragile, e per vivere nella gloria di Do deve fare penitenza e chiedere perdono dei propri peccati. Dall’altro lato partecipare al rito delle Sacre Ceneri, nonché fare digiuno e penitenza privatamente durante il periodo della Quaresima, è il primo passo della conversione. Non a caso, l’originaria formula con cui si versavano le ceneri sul capo dei fedeli è stata convertita dopo il Concilio del Vaticano II in “Convertitevi e credete al Vangelo”.

 (dal web)

Anche la cenere, intenso simbolo quaresimale, parla di un ritorno, un ritorno dell’uomo alla polvere da dove fu tratto, un ritorno alla consapevolezza della nostra mortalità. La cenere è però anche e il ritorno alla comprensione vera della nostra natura: noi siamo fuoco, bruciamo dello stesso fuoco d’amore che Gesù è venuto a portare sulla terra, la nostra vita non si disperderà come la cenere ma resterà, fuoco nel Fuoco. Resteranno in Dio le parole che hanno scaldato le nostre storie, resterà il fuoco che ha bruciato di passione per amore, resterà il fuoco che si è preso cura del freddo che oscurava nei cuori delle persone vicine. Il fuoco divino che brucia in noi, ogni gesto infuocato d’amore non va perso, rimane. E allora la Quaresima sia invito a bruciare d’amore, a bruciare ancora di più, a bruciare per più persone possibili.

La preghiera, il digiuno e l’elemosina diventano degli aiuti per riscoprire quale il vero pane, quale la vera parola che ci salva, il vero pane che ci nutre, il vero bene che ci riempie: il vero fuoco a cui tornare per scaldarci. Siano parole infuocate d’amore le nostre preghiere, il digiuno ci regali delle brucianti fami relazioni buone, l’elemosina sia calore condiviso.

Una strada illuminata dal fuoco dell’amore, una strada che ci riporta a casa, eco la Quaresima, strada per tornare al centro della nostra storia e riscoprirne il Senso profondo.

(A. Dehò)

Edda CattaniMercoledì delle Ceneri
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Un paese in maschera

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Dopo il Coronavirus imperversa il Carnevale!

Un paese in maschera

 

Siamo in pieno carnevale mentre le emergenze e le sofferenze non si sopiscono mai nel mondo e in Italia. Stridono le notizie del telegiornale che accomunano femminicidi e festival di Sanremo, carri allegorici e maschere di Venezia.

Sappiamo che il carnevale è una festa che si celebra nei paesi di tradizione cristiana (ed in modo particolare in quelli di tradizione cattolica) nel periodo di tempo immediatamente precedente alla Quaresima; i principali eventi si concentrano comunque tra febbraio e marzo. I festeggiamenti si svolgono spesso in pubbliche parate in cui dominano elementi giocosi e fantasiosi; in particolare l’elemento più distintivo del carnevale è la tradizione del mascheramento.

La maschera è principalmente un oggetto usato per celare la propria identità, per esempio durante la festa; è usata con lo stesso scopo da molti personaggi immaginari della narrativa e dei fumetti. I nostri bambini amano imitarli e in questi giorni ne abbiamo visti travestiti da Uomo-Ragno, da Batman o semplicemente da principe o da pulcino, da bruco, da orsetto… una meraviglia guardare tanti piccoli innocenti lanciare minuscole palline di carta per le strade mentre soffiano con trombe di cartone, in un fracasso divertente, la loro gioia di vivere.

In psicologia indossare una maschera può indicare l’atto di essere momentaneamente un’altra persona, solitamente per sfuggire alla propria personalità. Ne sappiamo qualcosa noi, quando a seguito di un grave lutto indossiamo gli occhiali scuri e assumiamo quell’atteggiamento reticente, schivo e raccolto che ci rende incapaci di comunicare. Di fronte all’evento che non abbiamo potuto evitare rimaniamo impietriti e ci copriamo dietro la maschera quotidiana che ci fa essere nel lavoro e con gli altri simili alle statue di marmo. Questo non ci aiuta a sconfiggere le nostre piaghe quando vi sono tante emergenze simili alla nostra da condividere e in cui possiamo impegnarci per sentirci ancora utili.

I circuiti mediatici, come dicevo, tendono a trasmettere più la notizia che fa spettacolo e le altre necessità restano attutite, ai confini della nostra conoscenza ma non sono meno presenti e devastanti: non solo lontane da noi, ma dietro l’angolo di casa nostra c’è chi soffre e muore ogni giorno ed ha bisogno del nostro impegno.

Fra i tanti episodi del mio quotidiano, spesso cosparso di grandi lacerazioni, non mancano le conferme che vengono dall’alto, dai nostri Cari, sempre presenti in quella realtà di Luce verso la quale tutti siamo in viaggio. Il canale privilegiato è sempre quello di qualche anima provata nel cuore e nel fisico; in questo caso si tratta di una mia conoscente che mi è stata vicina in tutti questi anni e che ora è gravemente ammalata. Da tempo si trova a vivere episodi sconcertanti di comunicazione con entità che le danno prove certe della loro esistenza e come non poteva esserci fra queste il nostro Andrea che non può abbandonarci nella difficile realtà che stiamo attraversando? Ebbene una notte intera le ha dato ragguagli e prove certe della sua identità e del suo carattere e per non turbarmi ha detto di parlarne alla sorella che ne è rimasta felicemente esterrefatta.

La cosa che mi ha fatto enorme piacere è l’avermi confermato che con lui sta tutta la schiera dei parenti di cui lui è “l’ultimo anello” (infatti con Andrea si esaurisce la generazione dei Cattani) e che la spada che brandisce è molto più luminosa di quella che è appesa alla parete. A questo proposito debbo far sapere che la persona non sa che noi abbiamo messa in cornice sulle scale della nostra abitazione la sciabola che gli fu data quando fu nominato ufficiale dell’esercito. Questo conferma inoltre quello che ci ha sempre detto e che ha ripetuto: che lui è messo a difesa dei deboli, dei soldati che muoiono in guerra, dei bambini che soffrono…

Mi torna in mente l’immagine di San Michele Arcangelo con la spada sguainata che difende dal maligno, di cui sono sempre stata devota: il mio angelo di Luce, i nostri Angeli si occupano dei grandi problemi di cui noi sentiamo parlare fugacemente alla televisione: della fame nel mondo, della disoccupazione, della pace, del terrorismo; queste sono le quattro emergenze mondiali più preoccupanti.  E non posso, in questa circostanza, dimenticarmi di tanti ragazzi, ancora fra noi, che hanno fatto gli angeli “spazzini” fra le strade di Napoli per mettere ordine laddove un cattivo governo non ha saputo colmare le lacune e ad un tempo la povera gente che vive nei quartieri inquinati dove degrado e povertà ogni giorno aggiunge vittime alla dirompente condizione di vita.

Speriamo che questo carnevale, ormai giunto al termine, non lasci coscienze obnubilate, ma col riposo dello spirito giunga un reale risveglio e la volontà di compiere nella volontà di Dio, il proprio dovere e di impegnarci tutti a utilizzare i nostri talenti nel posto che occupiamo.

Papa Luciani, quando era ancora cardinale, scrisse qualcosa sulla biblica scala di Giacobbe: diceva che c’erano angeli con le ali, ma non volavano, salivano adagio, scalino su scalino. E commentava, cosa che può farci grande piacere, che le piccole cose, le azioni a volte meno importanti sono sovente così impegnative da costituire la via maestra per il cristiano. A noi dunque, piano, piano… il nostro compito…

 

 

 

Edda CattaniUn paese in maschera
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Aspettando i Re Magi

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Aspettando “alcuni maghi dall’Oriente…” (Mt 2,2)

  

   “ Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella , e siamo venuti per adorarlo”.

Ed ecco ancora una volta Padre Alberto Maggi, del Centro CENTRO STUDI BIBLICI “G. VANNUCCI” di Montefano, nel commento al Vangelo dell’Epifania:

Nella festa dell’Epifania la chiesa ci presenta il testo di Matteo nel quale si annunzia l’amore universale di Dio per tutta l’umanità. Questo amore universale non intende soltanto l’estensione, cioè ovunque, ma la qualità di questo amore, per tutti.

Vediamo allora il capitolo 2 di Matteo. “Nato Gesù a Betlemme di Giudea al tempo del Re Erode …”, e qui l’evangelista richiama l’attenzione. Infatti, con un avverbio, coglie la sorpresa di quanto avviene.

“Ecco”, quando l’evangelista adopera questo avverbio ‘ecco’ è sempre per una sorpresa, “alcuni maghi vennero da oriente”. Questo episodio è stato talmente sconcertante e talmente imbarazzante per la chiesa primitiva, che poi si è provveduto, man mano nel tempo, a trasformarlo quasi in un evento da fiaba, un evento folclorico, anziché di profonda ricchezza teologica.

 

 

Perché? Con il termine mago si indicavano gli ingannatori, i corruttori, era un’attività condannata dalla Bibbia e vista severamente dalla prima comunità cristiana. Per il dicaché, il primo catechismo della chiesa, l’attività del mago è proibita ed è collocata tra il divieto di rubare e il divieto di abortire, e anche nel Nuovo Testamento il mago viene visto in maniera negativa.

Eppure i primi che vengono per adorare Gesù, per accogliere Gesù, sono proprio dei maghi e per di più pagani, quindi le persone ritenute le più lontane da Dio. I pagani non sarebbero risuscitati, i pagani non erano degni della salvezza, e per di più sono dediti ad un’attività che la stessa Bibbia condanna. Ecco la sorpresa.

 

 

Questo fatto è stato talmente imbarazzante che poi, nella tradizione i maghi sono diventati l’innocuo termine ‘magi’, si è provveduto a dare loro dignità regale e a farli diventare re, in base ai doni stabilito il numero, e stabilito anche il nome. I personaggi del presepio erano pronti a discapito della ricchezza teologica di questo brano.

Vengono questi e dicono di aver visto spuntare la sua stella. Qual è il significato della stella? Era credenza comune che ogni individuo, quando nasceva, aveva una stella con lui e che poi scompariva con la sua morte. Usiamo anche noi l’espressione popolare “essere nato sotto una buona stella”, ma qui soprattutto l’evangelista si riferisce alla profezia di Balaam, nel libro dei Numeri al capitolo 24, dove si legge “un astro sorge da Giacobbe”, una stella, “e uno scettro si eleva da Israele”.

Era la profezia con la quale si indicava prima il re Davide e poi era passata ad indicare il messia, quindi l’evangelista vuol dire che questa è la stella che indica il segno divino della nascita del messia. Ebbene, “All’udire questo Erode restò turbato”, si capisce perché Erode era un re illegittimo, sospettoso di chiunque potesse togliergli il regno.

 

Quindi qui è venuto a sapere che è nato il re dei Giudei, lui che ha ucciso addirittura tre figli suoi, ma quello che è strano è che con lui si turba, si spaventa tutta Gerusalemme. Sia Erode che Gerusalemme hanno paura per quello che stanno per perdere, Erode il trono, e Gerusalemme il tempio, l’egemonia e l’esclusiva sulla figura di Dio.

Trono e tempio sono all’insegna del potere. Ebbene, dopo l’episodio dell’informazione sulla nascita di questo messia, con l’intento di Erode di arrivare a scoprire il luogo dove andare ad adorarlo … è la menzogna del potere, perché in effetti poi vedremo che deciderà di ammazzare – andiamo al versetto“Udito il re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva”.

 

 

La stella, segno divino, non brilla su Gerusalemme, che fin dall’inizio in questo vangelo, viene collocata in una luce tetra, in una luce negativa. Gerusalemme è la città di morte, quella che uccide i profeti e gli inviati da Dio, e la stella, segno divino, non brilla su Gerusalemme. Come Gesù risuscitato, in questo vangelo, non apparirà mai a Gerusalemme.

 

Così cari amici si chiudono le giornate di letizia che il Santo Natale, con l’incarnazione del Figlio di Dio ci ha portato.

Dialogo tra i Magi e Maria

 

Efrem Siro (306-373)

 

 

I magi: “Una stella ci ha annunciato

che Colui che è nato è il re dei cieli.

 

Tuo figlio comanda gli astri,

che sorgono solo al suo ordine”.

 

Maria: “E io vi rivelerò un altro segreto,

perché ne siate persuasi:

da vergine,  ho dato la luce a mio figlio.

Egli è figlio di Dio.

 

Andate, e annunciatelo alle genti!”

 

I magi: “Pure la stella ce l’aveva fatto conoscere,

che tuo figlio è figlio di Dio e Signore”.

 

Maria: “Mari e monti lo testimoniano;

tutti gli angeli e tutte le stelle:

Egli è il figlio di Dio e il Signore.

Datene l’annuncio nelle vostre terre,

che la pace si diffonda nel vostro paese”.

 

I magi: “Che la pace del tuo figlio

ci riporti nel nostro paese,

senza pericoli come siamo venuti,

e quando Egli dominerà il mondo,

che visiti e benedica la nostra terra”.

 

Maria: “Esulti la Chiesa e intoni gloria,

per la venuta del figlio dell’Altissimo,

la cui luce ha illuminato cielo e terra,

benedetto Colui la cui nascita

 

allieta il mondo!”

 

L’Epifania perciò è il Dio con noi, Colui che è nato e si fa riconoscere, anche nella nostra storia quotidiana. 

PENSIERO SPIRITUALE: Beata ELISABETTA della Trinità

«Ho visto brillare la stella luminosa che m’indicava la culla del mio Re.

Nella pace e nel mistero della notte,verso di me sembrava camminare.

Poi, colma d’incanto, udii la voce dell’Angelo di Dio che mi diceva:

“Raccogliti, il mistero si è compiuto,

proprio dentro di te, nella tua anima.

Gesù, splendore del Padre, in te s’è incarnato,

stringiti il tuo Diletto insieme alla Vergine Madre: è tuo”.»

 

  


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Edda CattaniAspettando i Re Magi
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Auguri 2024!

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AUGURI 2024 !!!

 

Per noi questo bellissimo augurio!

 

“Puoi aver difetti, essere ansioso e vivere qualche volta irritato, ma non dimenticate che la tua vita è la più grande azienda al mondo. Solo tu puoi impedirle che vada in declino. In molti ti apprezzano, ti ammirano e ti amano. Mi piacerebbe che ricordassi che essere felice, non è avere un cielo senza tempeste, una strada senza incidenti stradali, lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni.

 

Essere felici è trovare forza nel perdono, speranza nelle battaglie, sicurezza sul palcoscenico della paura, amore nei disaccordi.

Essere felici non è solo apprezzare il sorriso, ma anche riflettere sulla tristezza. Non è solo celebrare i successi, ma apprendere lezioni dai fallimenti. Non è solo sentirsi allegri con gli applausi, ma essere allegri nell’anonimato. Essere felici è riconoscere che vale la pena vivere la vita, nonostante tutte le sfide,  incomprensioni e periodi di crisi. Essere felici non è una fatalità del destino, ma una conquista per coloro che sono in grado viaggiare dentro il proprio essere.

Essere felici è smettere di sentirsi vittima dei problemi e diventare attore della propria storia. È attraversare deserti  fuori di sé, ma essere in grado di trovare un’oasi nei recessi della nostra anima.

 

È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita. Essere felici non è avere paura dei propri sentimenti.

È saper parlare di sé.

È aver coraggio per ascoltare un “No”.

È sentirsi sicuri nel ricevere una critica, anche se ingiusta.

È baciare i figli, coccolare i genitori, vivere momenti poetici con gli amici, anche se ci feriscono.

Essere felici è lasciar vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice.

È aver la maturità per poter dire: “Mi sono sbagliato”.

È avere il coraggio di dire: “Perdonami”.

È  avere la sensibilità per esprimere: “Ho bisogno di te”.

È avere la capacità di dire: “Ti amo”.

Che la tua vita diventi un giardino di opportunità per essere felice …

Che nelle tue primavere sii amante della gioia.

Che nei tuoi inverni sii amico della saggezza.

E che quando sbagli strada, inizi tutto daccapo.

Poiché così  sarai più appassionato per la vita.

E scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta.Ma usare le lacrime per irrigare la tolleranza.

 

Utilizzare le perdite per affinare la pazienza.

Utilizzare gli errori per scolpire la serenità.

Utilizzare il dolore per lapidare il piacere.

Utilizzare gli ostacoli per aprire le finestre dell’intelligenza.

Non mollare mai ….

Non rinunciare mai alle persone che ami.

Non rinunciare mai alla felicità, poiché la vita è uno spettacolo incredibile!”

 

AUGURO A TUTTI VOI DI VIVERE UN FELICE ANNO NUOVO

 

 

Edda CattaniAuguri 2024!
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