La Vita Oltre la Vita

Madre per sempre

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Una bella “rivisitazione”

Ho ricevuto tempo fa, da un gentile amico “navigatore” questa splendida pagina che desidero condividere con tutti voi: si tratta di due storie ugualmente avvincenti

Madre per sempre

Non c’è gloria sotto terra

 

Madre per sempre,

nella stagione che stagioni non sente.

Nostro figlio Lorenzo.

 

Francesca e Riccardo Pesaresi

“Femmina un giorno e poi madre per sempre, nella stagione che stagioni non sente”.

 Ho ancora nelle orecchie quel canto di De Andrè per Maria, perché è in quegli anni che Lorenzo venne al mondo, figlio, come tanti allora, di Ogino-Knaus, ossia di uno dei pochissimi incontri felici sfuggiti alla rigida disciplina del controllo naturale delle nascite. Insomma, teoricamente potevamo far l’amore quel giorno senz’altro pensiero che la vicendevole gratitudine, e invece rimasi incinta, con qualche domanda in più rispetto alle altre volte.

Di figli ne avevamo già tre e ci eravamo appena trasferiti da lontano: ero davvero una vittima del potere fallocratico, come mi definì sbrigativamente una femminista incontrata per caso? Oppure quella prova avrebbe più compiutamente dato alla mia femminilità il caro nome di madre? Ora soltanto posso rispondere, alla maniera dolorosa però del “mio” santo Francesco che disse: “Ora sono certo di avere dei frati” quando alcuni gliene morirono martiri.

Ecco, ora anch’io sono certa di essere madre, perché Lorenzo, dopo vent’anni di vita sempre più precaria e difficile, già da tre riposa al riparo da ogni male e da ogni pericolo, ha varcato prima di noi il confine dell’umana conoscenza. E’ nella gloria, come afferma risolutamente la Chiesa? Io vedo solo quel fazzoletto di terra che mi ingegno di tenere decoroso e fiorito; il babbo sente quasi un po’ di fastidio anche per questa incombenza. Il corpo morto è per lui qualcosa di inutile da buttare, per me è invece l’ultima domanda, la più radicale di tutte, che questo figlio ci ha ben posto fin dal principio.

Forse un figlio è per un padre il naturale prolungamento del suo vigore ed è difficile doverlo accudire quando ormai è adulto e cominciano a mancare le forze. Per la madre invece un figlio è l’altro che nello stesso tempo è te, qualcuno che ti lega al mistero della vita e dell’amore al di là di ogni ragionamento ed istinto, di ogni parola che possa essere detta. Non è possibile dimenticarsi di lui, cercare dei propri spazi per non vederlo soffrire, allontanarsi dalla croce se lui ci è sopra. E’ questa la stagione che stagioni non sente. Né ragioni, forse. Mi rendo conto di aver privilegiato nel tempo il figlio rispetto al padre, ma non ho saputo fare di meglio e in fondo siamo fieri di ricordare Lorenzo capace di autoironia e perfino curioso di esplorare gli aridi spazi della solitudine e degli impedimenti in cui si trovava, una persona compiuta insomma, nonostante tutto.

E poi c’è il discorso della fede. Proprio nei giorni del parto, mentre ancora in ospedale tentavo di decifrare lo sconcertante sguardo interrogativo del mio piccolo nuovo, intercettai pure lo sguardo altrettanto misterioso e sconosciuto di chi semplicemente portava la comunione a una vicina di letto. Invidiai senza ritegno quella semplice fede in un gesto che mi era sì familiare da tempo, ma come dovere domenicale, non certo come felice gioia in cui tuffare liberamente ogni preoccupazione, opportunità offerta con amore e discrezione infinita, senza condizioni. Un campanellino suonato appena in una corsia di ospedale rimise in moto la mia tiepida fede, di quelle da vomitare per intenderci, anche se già allenata in qualche modo a resistere agli assalti del nulla. Improvvisamente mi divenne desiderabile e necessario ciò che avevo scartato come vecchio e bigotto. Dio solo sa quanto sia cresciuto da allora il mio bisogno di essere amata e perdonata nella mia singolarità ma insieme a tutti gli altri, resa così capace, a mia volta, di amare specialmente quella creatura segnata dalla sofferenza innocente che io stessa avevo messo al mondo.

Da Lorenzo ho imparato perfino la necessità di farmi perdonare la sollecitudine con cui l’ho accudito, mentre il babbo non conosce sollievo di preghiera. Forse è anche colpa mia che non ho saputo  capirlo e consolarlo fino in fondo e poi da troppo tempo non so ridere come Sara perché mi sento così vuota e consumata che mi sembra di avere mille anni.

Però ho l’inestimabile dono di guardare il mondo con occhi ormai trasparenti e puliti dal pianto, amo teneramente tutto ciò che è piccolo e buono, ed anche ciò che è grande e cattivo, spaventoso. E so segretamente che la fonte di questo amore benedetto e sempre nuovo è in quel piccolo boccone di pane bianco e insipido che raccoglie sull’altare tutta la pena del mondo per ridonarla trasfigurata in speranza rigogliosa a chiunque ne voglia.

Lorenzo mi ha fatto un ultimo dono prezioso morendo all’alba del santo giorno della Trasfigurazione, una festa così nascosta nel cuore dell’estate eppure a me già da tempo carissima. Mi è sembrata come una carezza di perdono, un ultimo grazie per averlo accompagnato fin lì lasciandolo in pace. Nei tre giorni (il segno di Giona!) dell’agonia, ci avevano proposto di avviare su di lui le procedure di espianto. Inizialmente mi era sembrato di dover acconsentire, ma poi ho pensato che non avevamo il diritto di disporre del suo corpo senza potergliene chiedere permesso. O forse non ho avuto il coraggio di soffrire anche l’allontanamento tecnologico da lui proprio nel momento più sacro della vita dopo averne condiviso ogni minuto. Mi è rimasta un’ombra di rimorso su quell’ultima notte che passai sola con lui, come se l’avessi rubata ad altre vite, ma a questo prezzo ho potuto vederlo morire, silenzioso e sottomesso come la mia preghiera che continua ad essere piena di lui anche se non so cosa sia la risurrezione e la gloria. Forse lui lo sa ormai, e questo mi basta per tentare di nuovo ogni giorno di rendere degna di essere vissuta la povera vita che ci resta nella nostra vecchia casa in cui rischiamo di stare soli in due.

E poi ci sono i bambini, i figli degli altri figli che sempre ricordano lo zio Lorenzo con una fiducia così semplice e sicura che non può andare delusa. E i “miei” bambini del catechismo che quest’anno faranno la prima comunione. Quale onore partecipare così da vicino alla maternità della chiesa, quale consolazione condividere con altre madri la fatica di credere anche quando i figli sono fonte di dolore! Gioia e dolore hanno il confine incerto nella stagione che illumina il viso: è sempre De Andrè.

Vorrei tanto che tutti i predicatori del Vangelo sapessero tradurre per noi, povere pecore vecchie e stanche, la buona notizia del regno che viene con la leggerezza pensosa e poetica di una bella canzone. Forse così anche le vite nascoste e sempre in pericolo come quella di Lorenzo troverebbero il loro giusto posto nella comunità parrocchiale, darebbero sale alla preghiera di tutti ricevendone dolce consolazione.

in: “Servitium”, III 157 (2005).

 Ed ora vorrei condividere con chi passerà …

una pagina di Enrico Peyretti…. così come si condivide un po’ di pane…

 Non c’è gloria sotto terra. Mio fratello Pier Giorgio.

 

Il cimitero dei miei vecchi, e ora anche di mio fratello Pier Giorgio, più giovane di me di quattro anni, è alla periferia del nostro paese d’origine, nella piana a occidente della città. Vicino c’è il vecchio  aeroporto, ora campo di volo turistico, dove doveva atterrare il Grande Torino, quando si schiantò a Superga, la notte del 4 maggio 1949, durante un nubifragio.

Nel largo cielo ora volteggiano silenziosi gli alianti, dal grande corpo leggero, tutto ali. Il campo del sonno dei morti è incoronato dal  perfetto semicerchio delle Alpi, 180 gradi dal Monviso al Gran Paradiso. Lo guardi con rispetto. Ti senti osservato, come al centro di un’aula ad anfiteatro. Dai primi di novembre è una corona bianca, quasi la chioma rispettabile di una nonna che sei sicuro di trovare sempre in casa. Una corona merlata, regale nobiltà degli umili – e chi più umile dei morti, anche quelli dalle ricche tombe? Come se fosse costruita, la magnifica corona, attorno a questi poveri fuorusciti dalla vita, privati e liberati da ogni onore regale, se mai l’hanno avuto. Il Viso si erge  a sinistra, come un’idea. Il Gran Paradiso è una lontana calma altezza, che ha meritato il suo nome. Il tema che mi avete suggerito, “corpi gloriosi”, mi evoca questa gloria sopra il mio cimitero: tanta luce; un’immensa cupola azzurro aperta, senza fine; il volo dolce degli alianti in braccio al vento-spirito; la corona alpina che è un abbraccio, non un’insegna di potere. E qui la distesa dei corpi, nel seno della terra, seminati continuamente dalla vita, come il grano gettato dai contadini nei solchi aperti, in questo novembre, per quando sarà il tempo. Nessuna gloria nei poveri corpi, tutta una bellezza attorno a loro, sopra di loro, come per consolarli, curarli, rallegrarli. So come si lava e si riveste di un bell’abito un corpo morto.

“Corpi gloriosi” non è un’espressione che mi piaccia.

Non mi piace  la parola gloria. Lo so che è importante

nella Bibbia, ma non mi piace. Preferisco credere a Dio in intima vicinanza più che in sfolgorante  gloria. Un Dio gran vincitore non mi fa simpatia. La parola è troppo  inquinata – anche nella Bibbia – di vittoria e di trionfo, di una luce  che fa troppa ombra attorno, di una forza che umilia qualcuno.

Parola umana, troppo umana.

Ma stiamo pure al tema. I corpi – compreso il mio, e il vostro – per i quali spero una più grande vita, dopo questa precaria, non li penso “gloriosi”. Li penso trasformati, trasfigurati, liberati dalle mille condizioni che ora li stringono. Leggo volentieri Paolo, in Prima Corinzi 15, ma come capirlo e dirlo nel nostro linguaggio?

Oggi sappiamo che il corpo è un flusso di materia viva, in ricambio  continuo. Non abbiamo un solo corpo, dunque. Ma è sempre il nostro, è noi stessi, quando gode e quando soffre, quando fiorisce e quando si ripiega e muore. Non potremo riavere questo corpo,  ovviamente. Non sarà questo mirabile e mortale complesso di organi vivi, più geniali di qualsiasi tecnologia, destinati a morire e marcire, che possiamo sperare di veder risorgere, quando diciamo “aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”;  “credo … la resurrezione della carne”.

Non sarà questo corpo, caduco come le foglie che calpestiamo ogni autunno, ma sarà, sì, questo qualcosa  che si modella nella forma fisica unica e nell’espressione del nostro  volto personale, il tuo e il mio, volto che è vertice e luce di tutto il corpo, che ha l’infinito linguaggio degli occhi, volto che è la cosa di noi a cui più teniamo, che di più siamo; sarà questo qualcosa che  vivrà in modo nuovo. Saranno i volti cari che non vediamo più, se non in fotografia e nella faticosa memoria, che avranno nuova vita.

E come?

Paolo fa le sue legittime ispirate immaginazioni,che sono  metafore dell’indicibile. Anche noi possiamo osare le nostre immaginazioni. Immaginare è necessario per dire in qualche modo questa speranza, anzitutto a noi stessi.

Come potrà essere il corpo risorto? Potrà avere della materia?

Sarebbe di nuovo un luogo limitato  nello spazio-tempo, sarebbe di nuovo questa vita.

Permettetemi di riprendere un discorso già osato in

“Dall’albero dei giorni” (Servitium editrice, 1998). Forse risorgere potrebbe essere avere la materia come corpo (perché senza corpo non potremo stare), essere in tutto l’universo materiale, non come puri spiriti (non saremmo noi) ma viventi nella materia intera.

I nostri corpi, ora, sono tremendamente localizzati, distanti tra loro. Gran parte del nostro tempo e delle nostre energie va nel cercare di superare queste distanze: guardarci, parlare, viaggiare, scrivere,  radunarci. Ogni nostra espressione cerca di essere un ponte su tali distanze, cerca di comunicare.

L’amore è contrastato  dalla distanza. Ma anche vicini, i corpi ci separano. Questo corpo è una solitudine tesa.

La distanza dei nostri corpi è superata, per qualche momento, nell’amore sessuale, che è un simbolo di compenetrazione, profezia di qualcosa di più, una breve estasi (uscita da sé), dalla quale ricadiamo però presto nel perimetro concluso dei corpi separati. Più dell’unione sessuale è compenetrazione dei corpi la gestazione materna; dal lato attivo privilegio delle donne, per questo più inclini alla solidarietà  concreta, dal lato passivo esperienza originaria di tutti. Quella condizione di essere corpo in un corpo, ma sempre meno confusi, è nella prima memoria di noi tutti. Da quella unità beata siamo precipitati fuori in questa vita e forse ci parve di morire, mentre  invece andavamo a vivere di più, ma con uno strappo di cui portiamo nell’anima, e persino nel corpo, la ferita. Forse, dopo la profezia della vita intrauterina, dell’amore sessuale, delle aggregazioni sociali e geografiche, delle somiglianze somatiche, delle comunicazioni umane fisiche e spirituali, cioè dopo  la fragile ma tenace profezia della pace, arriveremo attraverso  la morte ad essere così liberi e universali da essere insieme  dappertutto, sempre “compresenti” (il termine tipico di Aldo Capitini)  e pienamente comunicanti, con la memoria cara dei tentativi che ora facciamo di anticipare quella comunione  piena dei volti e dei cuori.

Forse avremo per corpo l’universo rinnovato, corpo vivo di ciascuno e di tutti, e le nostre identità non avranno più bisogno di separarsi per distinguersi, ma anzi, in quella grande unità,  il volto di ciascuno sarà conservato e realizzato in tutta bellezza.  Essere un solo corpo senza perdere l’identità può essere  la speranza cristiana di somigliare chiaramente all’uni-trinità di Dio, persone non confuse ma perfettamente unite.

Realizzare in modo universale, con tutti, l’amore e l’amicizia che ora riusciamo ad anticipare solo su piccolo raggio, sarà possibile ai nostri corpi diventati senza limiti né distanze.

Mi piace pensare che così sono già i nostri morti (è difficile porre la resurrezione lontana nel tempo, là dove il tempo non c’è più): i nostri sensi non sanno vederli né udirli, ma sono qui con noi, attorno a noi, nelle cose tutte, e ci accompagnano nei nostri  tentativi di vivere.

Così è, in grado massimo, di Gesù, nella fede cristiana.

Così è anche, in modo iniziale, di noi se desideriamo e crediamo nel più grande orizzonte della vita.

In questa metafora mi pare di vedere la verità del linguaggio antico “andare in cielo”, e anche dell’idea tanto diffusa della reincarnazione. Il nostro corpo attuale sarebbe un tentativo, un esperimento, ma anche un vero inizio, un embrione, che non va perduto. Chi ha fatto la vita e l’ha riempita di desiderio sa custodirla e portarla a compimento.

Risorgere sarebbe come nascere, dopo il travaglio del morire, crescendo da questo corpo limitato al corpo-di-corpi, universale e comune. L’aldilà, allora, sarebbe veramente qua, dietro lo schermo che ferma l’occhio, ma non la fede e il pensiero. Il mondo acquisterebbe, starebbe acquistando, tutte le sue componenti, il suo valore compiuto come corpo vivo dello spirito che lo pervade. Un corpo da custodire e proteggere, da non lasciar violare e uccidere.

E’ solo una metafora, tra molte possibili, che dice e non dice ciò che tuttavia non possiamo non pensare.

Ma dunque, il corpo che avremo sarà “glorioso”?

Chiamatelo così, se vi piace. Io esito. Immaginare è lecito, ma subito è necessario tenere a freno l’immaginazione. Si tratta di sperare la vita nonostante la morte, senza sapere come, senza vedere. Ma, se mi dite glorioso, io rischio di guardare

indietro, dove vedo, più che in avanti, dove non vedo.

Corpo glorioso è il corpo giovane, sano, forte.

Pier Giorgio era il più grande e forte di tutti noi. Gloriosa, se ha senso la parola, era la sua prestanza in montagna, il portare a spalla in discesa l’amico con due caviglie rotte, il reggere a due bivacchi nella bufera sulle Grandes  Jorasses, il gettarsi per primo in ogni fatica come nelle discussioni politiche e nell’abbraccio. Vivens homo gloria Dei. Non da morto, ma da vivo, l’uomo è una gloria di Dio. Quel suo corpo forte e generoso, io l’ho visto lungo tutto un anno roso inarrestabilmente dal tumore cerebrale, grande come un orecchio, incurabile. L’ho visto massacrato dal male, sconquassato come barca sfasciata dai marosi.

Ma quale gloria!…Nel cimitero luminoso, la gloria non è sotto terra, dove c’è solo buio.

Per sperare e attendere una vita più piena, di là dal buio, devo saper vedere la “gloria”, non la potenza, ma la forza e la bellezza di questa vita, che pure è un soffio. Devo difendere questo filo d’erba, assolutamente, perché chi uccide, noi tutti quando uccidiamo, uccidiamo l’universo – materia e spirito –

presente nella più piccola delle sue vite. Dio è il solo che non uccide, ma crea, cioè cura.

(in Servitium, III 157 (2005), 115-119).

 

Stamani ho incontrato queste parole del profeta Isaia:

“Io che apro il seno materno, non farò nascere?” dice il Signore;

“Oppure, chiuderò il seno io, che faccio nascere?” dice il tuo Dio.

Rallegratevi con Gerusalemme ed esultate con lei, voi tutti che

 l’amate; gioite con lei di vera gioia, voi tutti che portate il suo lutto,

 affinché succhiate, fino alla sazietà al seno delle sue consolazioni;

affinché beviate e vi dilettiate alle mammelle della sua gloria.

Poiché così dice il Signore: “Verserò su di lei, come un fiume,

la pace e, come un torrente in piena, la gloria delle nazioni.

I suoi piccoli saranno portati in braccio ed accarezzati sulle ginocchia.

Come una madre consola suo figlio, così io consolerò voi,

 e sarete lieti in Gerusalemme. Quando vedrete queste cose,

i vostri cuori saranno nelle gioia e le vostre ossa, come erba,

riprenderanno vigore”.

Ave Maria (testo – F.De Andrè)

 

E te ne vai, Maria, fra l’altra gente
che si raccoglie intorno al tuo passare,
siepe di sguardi che non fanno male
nella stagione di essere madre.

Sai che fra un’ora forse piangerai
poi la tua mano nasconderà un sorriso:
gioia e dolore hanno il confine incerto
nella stagione che illumina il viso.

Ave Maria, adesso che sei donna,
ave alle donne come te, Maria,
femmine un giorno per un nuovo amore
povero o ricco, umile o Messia.

Femmine un giorno e poi madri per sempre
nella stagione che stagioni non sente.

 


Edda CattaniMadre per sempre
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Madre come Maria

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Madre come Maria

maternita

Possiamo parlare di una sorta di “mal di madre” che si instaura nella  relazione e che coinvolge la donna e la sua creatura. Già al momento del concepimento inizia una interazione nell’ambiente intrauterino che continuerà in tutte le età successive.   I primi scambi avranno, pertanto, un peso decisivo nel formarsi della personalità che avverrà attraverso varie tappe e che sarà condizionata dalle scelte fatte.

 

Maria, Madre di Dio, è il fulgido esempio del dialogo esistente con quel Figlio nato anche per opera delle Sue carni. E’ la madre per eccellenza, Colei per la quale Cristo Gesù giunge a “trasgredire” nel compito affidatogli dal Padre e sui tempi stabiliti, compiendo, il primo miracolo della Sua missione terrena.

 

 Ricordiamo la supplica alle nozze di Cana: “Figlio, non hanno più vino”.   Questo amore porta Maria ai piedi della croce, sul Golgota. Quale colloquio si intreccia tra Maria e Gesù sull’altare del dolore? Quella profondità di amore vissuto nel dialogo di nove mesi di attesa, prima della nascita, ora ritorna con intensità. Da questa comunione dolcissima nascono le parole di Gesù a Giovanni: “Donna, ecco tuo figlio!”.   E’ il riconoscimento alla Madre Sua di un ruolo fondamentale nell’opera di salvezza; la proclamazione della maternità universale di Maria che termina con la consegna a Giovanni: “Figlio, ecco tua madre”!  

 

Nella madre, se il presente viene vissuto quale un completamento corporale di cui lei possiede l’attitudine, il futuro è legato all’ indeterminatezza dell’immagine del figlio.   E’ questo, per lei, motivo di una profonda debolezza che avverte di fronte alla difficoltà di “prevedere”, perciò di anticipare, con qualche precisione, quale sarà il corso della vita.  

 

Ed ecco allora, l’ineluttabile che quando giunge improvviso ed imprevisto spezza, in maniera dirompente, questa armonia, questo amplesso fatto di parole e di gesti, di sensazioni e di stati d’animo, di silenziose complicità di amorevolezza infinita.   Parlo della morte e di come la madre vive l’evento che la spezza perché a differenza di altre sofferenze, questa porta con sé la nebbia del mistero, perché invade un campo che è oscuro ed insieme sacro e solenne.   Di fronte a questo accadimento essa non trova risposta alla domanda: “Quale sorte è toccata al figlio che ho generato, che ho creduto fosse di mia proprietà  Dov’è andato quel soffio, quell’energia vitale?”  

 

La madre è attonita davanti al fatto che la coinvolge e si rende conto della caduta di tutte le certezze: cambia il modo di essere, di pensare, di vivere la quotidianità dell’ esistenza che, inesorabilmente, momento per momento, vede trascorrere e rinnovarsi, in tutte le sue forme.   Nasce in lei la lotta con il tempo della memoria che sembra voler coprire di un velo pietoso il mondo degli oggetti e delle immagini ad esso collegati, in una lacerazione che richiama il concetto junghiano di complesso nella connessione tra vissuto e simbolo.   Le situazioni, legate agli affetti, si caricano di un’emotività a volte esasperata, che si fa defluire nelle sfere della vita quotidiana svuotata di ogni senso, fino alla messa in dubbio cosmica del reale.  

 

Eppure una creatura tanto amata non può venire vissuta nelle forme e nelle rappresentazioni legate ad un’esperienza ormai perduta, contraffatta, che non si vuol dimenticare; l’io che si adopera per creare situazioni in cui ritrovare le immagini non rimane soddisfatto da ciò che lo porta a rivivere l’antica ferita.  

 

 Quando tutto sembra irrimediabilmente perduto, nella palude dove ci si trova invischiati, non rimane che appellarsi alla fede e al messaggio presente nella rivelazione che ci conforta e ci richiama alle radici profonde del nostro vivere e dell’esistenza che può e deve essere ancora vissuta in tutta la sua pienezza.  

 

E’ la disponibilità della madre che soffre qui, ma sa di essere davanti agli occhi del suo Dio, che fa pensare a Maria, Madre dei dolori di tutti gli uomini.   La preghiera assidua rigenera, allora, la vera immagine di Dio, a dispetto del male  che ci tocca sperimentare, perché quel Dio che ci è apparso come il nemico che ha distrutto la nostra esistenza, non può volere il male, altrimenti non sarebbe Dio. Egli può solo permetterlo sì senza alzare un dito.   Percepire   Dio   come  un  miraggio  inaffidabile ed attribuirgli la causa dei nostri mali ci darebbe l’immagine di un Dio infido la cui promessa sarebbe frustrante. 

 

Ed ecco allora che nella solitudine dell’attesa fiduciosa può accadere che la madre, io madre, nella profondità del mio essere, avverta una voce che mi parla e mi invita a procedere, ad andare avanti, perché quella creatura che credevo perduta per sempre non è mai partita e la ritrovo partecipe della mia vita nella “comunione dei Santi” che si estrinseca nel Corpo mistico di Cristo.  

 

Dall’esperienza quotidiana traggo elementi per testimoniare che avverto parole e ricevo segni di presenza inconfondibili: quel figlio, carne della mia carne e spirito tanto simile a me per affinità affettiva, quel figlio che ho tanto amato, giunge a me attraverso sensazioni profonde e strumenti, diciamo inconsueti, ma certamente reali.   Come io ho parlato a lui quando lo portavo in grembo, pur non vedendolo, ora ne percepisco la presenza in un’ampiezza di sfumature planetarie che si rapporta e si completa in un abbraccio universale che non teme, questo sì veramente, né rotture né limiti. 

 

Ho visto Andrea, pochi giorni dopo la sua dipartita, al mio fianco, nel dormiveglia, ai piedi del mio letto. Mi ha guardato sorridente e mi ha detto: “Sono partito per una missione di pace. Ho tanti incarichi da svolgere”.   Lui, ufficiale dell’Esercito Italiano, amava profondamente la sua missione e aveva pregato: “Signore che hai costituito di tanti popoli l’umana famiglia, guarda benigno a noi che abbiamo lasciato le nostre case per servire l’Italia” .   Anch’io ora procedo con questo obiettivo, al suo fianco, implorando Dio, creatore con me della mia creatura, secondo quanto ho dichiarato subito, la sera stessa dell’incidente mortale:  

 

“Ecco Signore, questo figlio che mi hai donato per ben 22 anni io te lo offro, ma servitene, come meglio vuoi, come tu sai. Lui è capace; l’ho educato buono e generoso. Ora è uno strumento nelle tue mani”.

 

 

 

 

Così quel Dio di amore, nella Sua grande misericordia ha permesso che il dialogo continuasse, perché l’amore non ha limiti o confini.   La mia vita perciò continua, in Dio e per Dio, al di là delle barriere spazio-temporali ed il lamento si è tramutato in fiduciosa attesa.   Vivo come realtà la presenza di mio figlio, visibilmente trapassato, che conserva verso di me le stesse premurose attenzioni, mi indica la strada da percorrere, mi protegge con indicazioni che sono peculiari del suo modo di essere e della sua personalità.   C’è  una  premura  costante,   nel  fare   appello  alla mia sensibilità e al  mio intuito, per farsi capire e comunicarmi messaggi indicativi di una  realtà parallela a noi molto vicina, anche se difficilmente immaginabile, di cui non possiamo avere più di tanti chiarimenti. Altrimenti perché la fede?  

Il  mio tormento  e la mia  caduta di senso vengono a trovare pace: attraverso il figlio giungo a percepire una Presenza benefica che mi offre un solido aiuto; che si interessa a me, nonostante  i miei fallimenti; una Presenza che non è una persona qualsiasi, ma la Persona di Dio al quale posso affidarmi totalmente, perché Egli è capace di soddisfare tutte le mie esigenze di verità e di amore.  

 

Trovo conferma di questa infinitezza, di questo stato di grazia, di completezza, di dinamicità in cui mio figlio vive nelle visioni descritte dai mistici contemporanei e, nella consapevolezza che ogni espressione è parziale, desidero leggere una comunicazione attribuita ad uno spirito elevato:     

“Come  descriverti lo  splendore della Via,  la Luce crescente ove gli astri perdono il  loro fulgore,  questo incendio fatto di tutti i soli, ma soprattutto di tutti gli splendori e di tutte le fiamme? Che termini adoperare per tradurti gli  accordi dell’Infinito; perché tutto brilla,  tutto  vibra,  tutto risplende  e risuona, tutto si  irradia e canta?  Le  parole umane servono  per le cose umane e la  parola muore dove comincia  l’Infinito…Ogni dolore, ogni  sforzo,  sono un passo fuori dall’ombra  a vantaggio della Luce…Io vedo dappertutto  sforzo  ed  equilibrio,  tutto segue immutabilmente   l’ordine   eterno.   L’Illimitato   non  è un condizionale.  L’Assoluto non sa che farsene  del relativo… No, qui non ci sono né dimensioni, né calcoli. L’algebra crolla sulla soglia  dell’Incalcolabile. L’Infinito si  aggiunge all’Immenso, l’Immenso all’Insondabile,  l’Insondabile  all’Assoluto,  ed  il totale di questa enorme addizione forma il piedistallo di Dio.”

 

( Brano tratto da M.C. e J.L.Victor “L’Appel des Etoiles”, Ed. du Phare, Cahors, Francia, 1967).                                 

Edda CattaniMadre come Maria
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La mia Mamma tra gli Angeli

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Ripropongo ora più che mai… 

La mia Mamma è nata il 2 ottobre – Festa degli Angeli Custodi

La mia Mamma è mancata il 21 febbraio 2010

Mi fratello mi scrive: ” Sono anni che se n’è andata una parte di me!

Gli ho risposto: ” Ora più che mai, da che sono rimasta sola, la vivo presente… le parlo, le chiedo di aiutarmi anche nelle piccole cose di ogni giorno e so che lei mi capisce… ora sì… più che mai!

La mia Mamma tra gli Angeli mi parla…

La mia Cara Mamma, Nonna Lina, “la Matriarca” di cui tante volte ho scritto sul “L’AURORA” ha chinato il capo mentre riceveva l’Eucarestia e si è addormentata per sempre. L’hanno vista così coloro che le erano intorno, piccolo pulcino ormai implume, vissuto troppo a lungo per continuare un percorso iniziato da tanto tempo. Ho parlato con lei versando tutte le mie lacrime nascoste quando per prima chiuse ogni rapporto con l’esterno e venne a casa nostra, a Padova, dopo la dipartita di Andrea. La “Nonna Sprint” aveva lasciato ogni attività, interessi e amicizie per condividere con noi dapprima il nostro lutto e successivamente le prime esperienze di comunicazione, giungendo a ricevere lei stessa precisi segnali di presenza che ci confortavano. La Nonna sembrava dotata di una certa sensitività e il rapporto affettivo con Andrea la favoriva di contatti particolari. La sua storia, fatta di deprivazioni e di grandi sofferenze fin da bambina, l’avevano non solo fortificata spiritualmente, ma dotata di un acume che andava oltre la normale ricezione  del messaggio, a cui sapeva dare la più semplice interpretazione. Aveva approntato un altarino con la foto di Andrea vestito con la tunica bianca, il giorno della prima comunione e ogni sera prima di andare a riposare gli dava la buonanotte. Ogni mattina la foto aveva fatto un giro di 180 gradi ed era girata dalla parte opposta. Lei era convinta che Andrea voleva salutarla in questo modo; ma raccontava non solo questo, ma di profumi, sogni e telefonate che ci lasciavano attoniti e contenti.

Nonna Lina era presente quando Mentore fece le prime registrazioni e quando noi non riuscivamo a decodificare le parole, lei, dotata di un udito finissimo sapeva darci la versione corretta delle parole incise. Posso dire che da allora la mia Mamma cambiò completamente le sue abitudini che furono rivolte a quello che sarebbe stato il suo arrivo nell’aldilà. Ripeteva sempre che non avrebbe avuto nessuna paura perché Andrea “il suo tenente” le sarebbe andato incontro e l’avrebbe presa in braccio. Si faceva presto a condividere queste aspettative considerando che le persone più care l’avevano preceduta innanzi tempo: la sua mamma mancata molto giovane, il suo papà, il figlio della sorella e tanti altri componenti di una larga parentela, primo fra tutti mio padre, il suo adorato sposo, mancato quando in casa mio fratello era appena undicenne. Eppure questa attesa si protrasse molto a lungo e molte vicende dovevano rendere più greve il suo già pesante fardello; la salute cagionevole e le ripetute crisi cardiache ci costrinsero a farla accogliere in una struttura dove, pur circondandola di efficienti cure, non le rendevano l’affetto di un clima familiare. Io, abitando in un’altra città e con gli impegni che mi hanno oberata oltre i normali ritmi giornalieri, non ho avuto la possibilità di vederla sovente e i nostri contatti sono avvenuti quasi quotidianamente per via telefonica. Quando si è ammalato Mentore poi, i miei orari non combinavano più con la disponibilità sua e pian piano ho sentito, con uno strazio indicibile, che non potevo più seguirla nel suo grande bisogno di calore e di vicinanza affettiva.

Si è consumata così, pian piano, la mia povera mamma, lucida fino all’ultimo, capace di farmi coraggio e dirmi sempre: “Prega, Edda, prega che il nostro Signore ti aiuta!” Quanta fede e quanta rassegnazione in una donna che aveva avuto in mano il comando di tutta una generazione, capace di sforzi e di grande energia psicologica: un esempio da tenere presente. Quante volte ho camminato qui in casa, nelle mie stanze vuote parlando con lei e magari scrivendole qualche poesia che poi le inviavo accompagnata da un mazzo di fiori “Bianchi o rosa pallido” come li voleva lei. Quando le giungeva questa sorpresa, chiedeva alla suora del residence di metterli in cappella, davanti alla Madonna, perché “..la  mia figliola ne ha tanto bisogno!…”

I primi giorni di febbraio ha avuto una grossa crisi e la sua condizione non lasciava ormai più speranza, ma nel momento del risveglio da uno stato di perdita della coscienza si è rivolta ai presenti dicendo: “Ora posso dirlo davvero: ESISTE L’ALDILA’ il Paradiso c’è!” Quando sono andata a vederla sembrava aver recuperato un po’ di energia ed ho potuto godere di due giorni interi della sua vicinanza e parlarle di tutte le cose che da tempo non ci eravamo dette. Le ho tenuto la mano fra le mie, entrambe tanto esili e bianche e l’ho baciata a lungo pensando che quei dolci istanti sarebbero stati gli ultimi che Dio mi concedeva. Ricordo che, prima di partire le ho detto: “Tu lo sai, mamma, cosa abbiamo vissuto insieme quando è mancato Andrea. Quando arriverai, ti raccomando, parlami subito, dimmi se lo vedi, dimmi con chi sei!” Lei mi guardo intensamente poi fissò lo sguardo verso la porta, si portò il dito indice alla bocca e mi sussurrò: “Ssss… sono già qui…” In quel momento ho capito che la mia mamma era ormai pronta per il grande viaggio e mi avrebbe dato sicuramente ragguagli sul suo percorso.

I giorni successivi li ho trascorsi con il cellulare in mano in attesa di una comunicazione e con un malessere diffuso che mi costringeva al riposo a letto. Il ventuno mattina alle dieci mi sono alzata improvvisamente con una sensazione di sollievo… in quel momento il telefono squillava: “… la mamma è mancata ora. Si è addormentata mentre riceveva la Comunione… ha reclinato il capo poco alla volta…” “Coraggio, Mamma, ora non ti perdo più, perché so che mi vedi e comprendi tutto di me”. Ho acceso il registratore ed ho sentito distintamente : “Mi sono risvegliata nella mente di Dio!” La conferma al nostro patto avveniva nel modo più naturale. La mia mamma parlava come se fosse stata presente, col solo tasto premuto della ricezione, con una voce tonica e precisa. Finalmente, Mamma cara, sono scomparsi tutti i miei sensi di colpa per non esserti stata vicina quando eri più debole e sola perché altri avevano bisogno della mia presenza ed ora tu capisci tutto questo e comprendi appieno la mia condizione!

Il dialogo con la mia cara Mamma, continua tuttora e lei mi dà contezza di quanto vive e quanto è bello l’aldilà; ma mi dona pure segni di presenza di cui vorrei almeno scriverne uno:

“Quando la Mamma era a casa mia, molti anni fa, mi chiedeva sempre di portare per lei, nella cappella di Andrea un’orchidea e di metterla in un vasetto che era solo per lei. Io raccoglievo poi i bulbi ormai sfioriti e li mettevo in un vaso in fondo al giardino. Da quelle piante rinsecchite non è più spuntato un fiore e anche il fogliame ormai sciupato e sterile manifestava l’aridità delle piante che hanno terminato la loro stagione. Eppure il giorno dell’anniversario ho trovato un ramo di orchidea gigante, dai petali color oro, spruzzati di color rosso, che tuttora sopravvive con una stabilità superiore a qualsiasi fiore del giardino”.

Non mi sento più sola e i profumi che sentiamo io, mia figlia e mio marito sono inconfondibili segni, fra i tanti, della presenza della Nonna Lina vicino a noi. So che Andrea le ha reso possibile questo contatto così rassicurante della presenza degli angeli nelle nostre case. 

Sono tornata da Cattolica con il cuore gonfio di commozione. Una signora presente che non sapeva nulla di me ha visualizzato Andrea e vicino a lui c’era una donnina, piccola e tutta raccolta… l’abbigliamento e il sorriso corrispondevano alla mia Cara Mamma che mi diceva: “Hai visto Edda, quasi non ci credevo quando dicevo che Andrea sarebbe venuto a prendermi… Proprio così! Ed ora mi porta con sè a visitare il Paradiso!” Agimus tibi gratias Omnipotens Deus pro universa beneficia tua!

Concludo con una frase di Auguste Valensin: “Non perché lo sogno Dio esiste, ma poiché esiste io lo sogno.”

Edda CattaniLa mia Mamma tra gli Angeli
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Sopravvivenza e vita eterna

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 Continua la mia testimonianza di fede e di speranza, nelle Associazioni di tutta Italia.

 

LA SOPRAVVIVENZA DOPO LA MORTE

 

(nei testi biblici)

 

Sopravvivenza dell’anima

 

1 Samuele 28,3-19: L’anima di Samuele, dopo la morte, parlò a Saul. Alcuni affermano che non si tratti di Samuele, ma del demonio che parla a Saul. Ora, il testo dice che è veramente Samuele. Le predizioni di Samuele si sono avverate, segno che non era un demone bugiardo.

Matteo 17,1-18: Mosè ed Elia apparvero a Gesù al momento della Trasfigurazione. E’ vero che, secondo la Bibbia, Elia non morì: egli fu rapito in cielo con il suo corpo (2 Re 2,1-13), Mosè, morì (Deuteronomio 34,5-7). E’ quindi l’anima di Mosè che apparve.

Luca 16,19-31: Le anime d’Abramo, del povero Lazzaro e del ricco malvagio esistono dopo la loro morte.

Luca 23,43: “In verità, ti dico, oggi sarai con me in paradiso”, disse Gesù al ladrone pentito sulla croce.

1 Pietro 3,18-20: L’anima di Gesù, tra la sua morte e la sua resurrezione, ha visitato le anime di coloro che morirono nel passato per annunciare la sua Venuta.

Apocalisse 6,9: Giovanni vede le anime dei martiri.

Resurrezione dei corpi

Matteo 27,52-53: I corpi di alcuni santi resuscitarono dai morti dopo la resurrezione di Gesù.

Luca 20,27-39: Gesù risponde ai sadducei, che non credevano nella resurrezione:

“Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti ma dei vivi”. Questo testo spiega la sopravvivenza dell’anima e la resurrezione del corpo.

Giovanni 5,28-29: La resurrezione dei morti rivelata da Gesù.

Giovanni 6,54: Gesù disse: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo resusciterò nell’ultimo giorno”.

1 Corinzi 15,12-57: “Come possono dire alcuni tra voi che non esiste la resurrezione dei morti! …etc”. Paolo spiega la resurrezione del corpo e biasima coloro che non ci credono.

Malgrado queste evidenti conferme bibliche sulla sopravvivenza dell’anima e sulla resurrezione del corpo, dopo la morte, alcuni che si dicono credenti, non ci credono. Le loro motivazioni sono un tessuto d’incoerenza.  

La nostra A.C.S.S.S.  

Con questo sito, oltre a rendere noto il nostro percorso, vuole far conoscere a tante Madri, a tutte le persone provate da lutti gravi, che “la morte non è un atto finale e la Vita prosegue” “in cammino verso l’Infinito”, verso cioè una sempre maggiore comprensione della Realtà e dell’Essere, una espansione cosmica di cui sono inimmaginabili vertici raggiungibili.

Edda CattaniSopravvivenza e vita eterna
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Esiste la morte?

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Sempre con noi…ora come prima…

ED ORA … SOLO SILENZIO….

 

E la mattina del 18 dicembre trovo su internet quella comunicazione che mai avrei voluto leggere per lei, con cui avevo parlato fino a pochi giorni prima…. “…ha finito di soffrire…e ha raggiunto Valentina!” . Si parla di lei, la comune amica Cinzia che ha lottato fino all’ultimo contro un male che non perdona. Non si può che dedicarle questa pagina, con la riflessione di un grande apostolo e teologo… Don Sergio Messina.

 

 

 

Ricordati, io ci sarò.

Ci sarò su nell’aria.

Allora ogni tanto,

se mi vuoi parlare,

mettiti da una parte,

chiudi gli occhi e cercami.

Ci si parla.

Ma non nel linguaggio delle parole.

Nel silenzio.

Tiziano Terzani

Desidero riproporre, in questi giorni anche per me molto particolari la bella intervista al nostro caro Don Sergio, presenza assidua a tutti i nostri Convegni. Vi invito anche a leggere clickkando il link la sua vita e il suo percorso. Ci aiuterà ne sono certa! 

“Senza rancori, senza rimpianti, senza rimorsi…”

Intervento di Don Sergio Messina della Comunità L’accoglienza di Torino al seminario “Vivere il morire: un diritto fondamentale di ogni uomo” che si è svolto a Torino l’11/12/98. Quella che pubblichiamo è solo la prima parte.

Chi è Don Sergio Messina? Intervista (click!)

http://www.accoglienza.it/intervista.html

 

 

Perché temiamo ciò che non conosciamo?

Temere la morte non è che credere di essere saggi senza esserlo, di sapere ciò che non si sa. Infatti, nessuno sa che cosa sia la morte, se per l’uomo il più grande dei beni, eppure tutti la temono come se fossero sicuri che essa è il più grande dei mali. E non è forse la più riprovevole ignoranza, questa, di credere di sapere ciò che non si sa. E in questo, forse, ateniesi, io mi sento diverso dagli altri; e se dovessi credere di essere più sapiente di qualche altro sarebbe per il fatto che, non conoscendo nulla dell’aldilà, non presumo di saperlo. (1)

Perché temiamo ciò che non conosciamo? Mi faccio tante volte questa domanda girando tra i letti d’ospedale dove da diciotto anni passo la maggior parte del mio tempo. Spesso incontro persone che non hanno paura di parlare dell’aldilà perché hanno letto dei libri e si sono fatti una cultura che li aiuta ad affrontare queste realtà ultime con un certo distacco. E così sento esprimere sensazioni provate a leggere certe riviste specializzate oppure seguo le divagazioni di chi, parlando di queste cose, fa uno zibaldone di ricordi familiari legati a riti o credenze religiose, di spezzoni di film sui fantasmi o sugli zombi e di goliardici racconti di interrogazioni sui miti dell’Antico Egitto o sulla Divina Commedia.
Soprattutto però mi pare di captare quasi sempre una richiesta implicita. “Va bene – mi sembra che dicano i miei interlocutori – giochiamo pure a parlare del dopo, tanto tutte le opinioni sono ‘vere’, come lo è altrettanto il loro contrario. Ma per favore, non tocchiamo l’argomento morte”.
Oggi siamo qui invece per toccare questo argomento che noi, come i contemporanei di Socrate, “per riprovevole ignoranza, pensiamo di sapere”.
Pensiamo di conoscerlo, di tenerlo in pugno, ma in realtà lo aborriamo, non vogliamo sentirne parlare e di fatto lo etichettiamo, lo banalizziamo, lo svuotiamo del suo profondo significato. Non conoscendolo, diamo per scontato che “sia il più grande dei mali” e così togliamo alla nostra vita una delle sue esperienze fondamentali, cioè lo espropriamo alla nostra vita.
Sarebbe vita la nostra se ci espropriassero la libertà, la possibilità di autonomia, il bisogno di dare e ricevere affetto? Non sarebbero criminali coloro che ci impedissero di esercitare queste nostre “esperienze umane fondamentali”, solo perché sono dolorose e difficili?
Allora perché fin da piccoli non veniamo messi nell’occasione di “conoscere questa esperienza vitale” e chi ci educa dà per scontato che è certamente meglio lasciare al silenzio e al destino l’incontro con la morte e i morenti?
Attorno a me vedo tanto interesse per ciò che va al di là della nostra comprensione e di cui possiamo solo tacere. Tanto interesse per parole vuote e alienanti. Mi pare davvero perdita di tempo approfondire questioni che sono sottratte alla nostra reale possibilità di comprendere, di possedere pienamente, essendo per loro natura inesprimibili. Mentre il tempo guadagnato è il tempo dato a guardare in faccia la realtà e soprattutto il tempo dato a fare chiarezza dentro di sé per scandagliare e interrogarsi. Per confrontare i diversi modi di agire che la antropologia ci permette di conoscere e per utilizzare le esperienze di vita di chi ci ha preceduto per affrontare con successo le situazioni difficili dell’oggi.
Non è alienazione preoccuparsi di cosa faremo nell’aldilà, mentre così poco interesse viene dato ad accompagnare chi, nell’al di qua, sta progettando un viaggio (cioè il proprio morire) senza bussola e senza “nutrimento”?

Tragicità e assurdità

Faccio una premessa doverosa e indispensabile. La realtà del morire resta e resterà sempre realtà che mette a nudo i nodi irrisolti della nostra vita. Questo, a mio parere, è la sua tragicità e la sua assurdità.
Una tragicità che nasce dal fatto che esplodono tutte insieme le contraddizioni che non si sono volute risolvere nella propria esistenza. O non si è potuto, per educazione familiare e religiosa, ad esempio. O per troppa paura, per limiti caratteriali.
Se infatti non si è stati capaci di metabolizzare correttamente i segni della vita, che sempre ci parlano di inizio e di termine, di crescita e di perdita, di nascita e di morte, diventa certamente tragico affrontare in modo affrettato e sofferto tutta una serie di problematiche che si sarebbero dovute interpretare a tempo debito, confrontandosi, ad esempio, con il pensiero e la prassi di qualche ‘maestro’ del morire oppure impegnandosi a individuare per tempo, quando il morire sembra ancora tanto lontano, compagni di strada che siano per noi sostegno sincero e solido e non ci lascino soli al nostro destino.
Se non siamo mai riusciti a passare serenamente del tempo accanto a un morente, se non abbiamo mai veramente accompagnato chi lascia la vita e non abbiamo mai voluto pensare all’importanza e al dovere di instaurare con lui comunicazioni fondate sulla sincerità, ‘penseremo’ inevitabilmente al nostro morire come a una lunga serie di mesi di tragedia, ritmati dalla sofferenza e dalla solitudine, dall’angoscia e dalla incomunicabilità.
E la paura inquinerà la nostra vita perché tenteremo sempre di rimuovere questo pensiero. E non è già una tragedia questo? Quando poi verrà il momento di vivere ciò che per tanto tempo abbiamo paventato, come farà a non esplodere l’angoscia? Perché dovremo dare risposta adeguata a domande che abbiamo accantonato, a problemi che ora dobbiamo guardare in faccia, dobbiamo gestire. E coi quali dobbiamo necessariamente imparare a convivere. Forse viviamo nella speranza o pretendiamo che alla fine arrivi un deus ex machina che ci tolga il fardello del morire. Ma ciò significa comportarsi da irresponsabili. Una irresponsabilità che coltiva tragedie e sfocia in tragedie.

Una assurdità perché il peso da portare alla fine della vita è certamente eccessivo. Pensiamo alla sofferenza che non sempre riesce a tenere sotto controllo e che soprattutto in Italia non viene combattuta dalla classe medica con tutte le risorse disponibili. Pensiamo al disfacimento di tutta una serie di realtà che fanno perdere al morente, a volte in brevissimo tempo, ruoli e identità lentamente costruite nel tempo. Pensiamo alla delega quasi sempre totale che colui che si sente morire deve dare a apparati sanitari, familiari, istituzionali, religiosi che spesso non brillano per ‘scienza e coscienza’. Gli ‘apparati’ tendono a nascondere le problematiche legate alla fine della vita e si adeguano facilmente al ruolo di spettatori dell’evento-morte e del resto l’amore dei parenti, la competenza degli operatori, l’impegno dei volontari, la disponibilità dei religiosi di fatto risponde spesso in modo assai poco adeguato ai reali bisogni dei morenti. Forse perché non si può dare ciò che non si è o che non si è riusciti a diventare. Chi non ha fatto i conti con il proprio vivere a termine, chi ha omesso di rispondere alle domande che l’ineluttabilità della morte pone, chi ha tralasciato di dare tempo alla riflessione, al dibattito su questi argomenti non può che ritrarsi spaventato davanti al pensiero della morte e davanti al morire concreto di un uomo, perché sarà uno sperare ancora una volta di essere esonerato dal cominciare a vivere il proprio morire. E tutto questo da una parte rende assurdo il vivere che è continua apprensione per la catastrofe che può accadere travolgendoci improvvisamente e lasciandoci in balia del nostro nulla e delle nostre paure irrisolte e dall’altra renderà ai morenti ancora più assurda l’esperienza che stanno vivendo nella solitudine e nell’abbandono.


Il Paese delle Lacrime è così misterioso (Saint-Exupery)

Saint-Exupery esprime la difficoltà che il Piccolo Principe ha nell’entrare nel Paese delle Lacrime “Non sapevo bene cosa dirgli. Mi sentivo maldestro. Non sapevo come toccarlo, come raggiungerlo” (2). Sì, il Paese delle Lacrime è dolorosamente misterioso perché mette a nudo chi siamo e dove andiamo con realistica brutalità. Che infrange in mille pezzi il nostro narcisismo e la nostra presunzione. Che radica il nostro esistere nell’impotenza e nella vanità, secondo la felice espressione del Qoelet (3).
Nessuno questo lo dimentica. Il morire sarà sempre accompagnato dallo strappo degli affetti, dei progetti e delle speranze. Sarà sempre doloroso, sempre alternativo alla nostra mania di onnipotenza che non vorrebbe mai lasciare ciò su cui abbiamo costruito la nostra storia personale e relazionale, ciò che abbiamo conquistato, ciò per cui abbiamo faticato. Sarà sempre rompere tutta una serie di legami che noi abbiamo annodato con persone e con cose, con avvenimenti storici e costruzioni mentali che se da una parte ci hanno immerso e legato alla vita dall’altra ci hanno ‘assicurato’ contro la paura del ‘nulla eterno’ e hanno rimandato
al ‘poi’ una presa di coscienza della realtà del nostro ‘limite’. Il Paese delle Lacrime è misterioso, ma misterioso non significa impenetrabile, né inaccessibile.

Una Storia vera

E’ il 27 gennaio di quest’anno. C’è un signore che mi cerca in portineria. Ha letto il mio libro e ha pensato di contattarmi per narrarmi una storia, una esperienza di vita, un cammino che lo ha portato, dopo una lunga e faticosa escursione, alla cime di una montagna sacra dove ha esperimentato la gioia di toccare l’infinito. Lo ascolto con attenzione. Mi narra di un padre e di una madre morti di cancro, accompagnati nella loro malattia dall’affetto sincero dei figli.
Ricordi segnati dalla certezza di aver seguito con tenera attenzione i genitori morenti, ma anche nel dispiacere di non essere riusciti a trovare nel proprio cuore la forza di riempire di verità i giorni dolorosi e unici del distacco annunciato. Una amarezza che però si tramuta, dopo la morte dei genitori, in un impegno fecondo preso con la sorella più grande di dirsi la verità, nel caso un tumore avesse albergato in futuro nella loro vita.
Dopo quattordici anni l’ospite temuto si presenta e si insedia nell’esistenza della sorella, invitandola alla danza di coloro che ballano nella verità. E allora l’impegno preso anni prima diventa per questo uomo certezza morale di dover abbracciare con sincerità la sorella sussurrando parole non vuote, né mistificatorie. Parole che aiutano l’ammalata a dare un nome preciso a quei dolori, a quei farmaci, a quei silenzi imbarazzati. Parole dure, ma che trasformano i tre mesi della malattia. Essi diventano… giorni riempiti di tutto ciò che è autentico, è vivo, è spirituale. E ora i ricordi di quei tre mesi sono rievocati come segni, come impronte dello Spirito che riesce a scaldare la vita anche nei giorni più gelidi perché la comunicazione sincera è figlia di Dio ed è veicolo del Suo calore d’amore.
A settembre una ecografia rivela che un rene di quest’uomo è invaso dalla stessa malattia. Il tecnico che esegue l’esame se ne rende conto, ma non sa come dirglielo. Tergiversa e non trova nulla di meglio che domandargli a più riprese se ha dei parenti. Lui capisce che la domanda è una implicita richiesta da parte del tecnico di permettergli di giocare con la verità e di affidarla caso mai, solo ai consanguinei. Lui si sente condannato a morte, ma non solo dalla malattia. E decide di non fare lo spettatore. Insiste subito che il giudice gli legga la sentenza e vuole conoscere tutti i dettagli, i passi, le eventualità che lo attendono prima della sua esecuzione. Oggi vuole ascoltare il giudice con lo stesso sofferto coraggio con cui domani guarderà in faccia il carnefice.
Viene operato. L’operazione sembra tramutare la condanna a morte in una condanna all’ergastolo. Domani forse verrà la grazia, più bella perché non attesa.
Sente in questi giorni la necessità di parlare con qualcuno che capisca la sua ricerca, che incoraggi la sua sete di sincerità, che sostenga il suo passo su questo sentiero così poco battuto.
“Mi sento – dice – come un giocatore di calcio che ha visto l’arbitro estrarre il cartellino e ha subito pensato che fosse un cartellino rosso. Era invece un cartellino giallo. Ho ancora un po’ da giocare, ma ho preso coscienza che basta una minima infrazione e… non sarò più della partita.” Salutandolo e ringraziandolo ho pensato che quest’uomo aveva già vinto la sua partita, perché la morte per lui era diventata solo un avversario con cui giocare nel bellissimo gioco della vita.

Il principio di autonomia

Tutti i discorsi che a mio parere, vengono fatti in questo convegno hanno senso solo se noi crediamo al dovere di vivere il nostro morire. Solo se noi consideriamo il nostro morire un bene intangibile e indisponibile. Un bene cioè che cade sotto il principio fondamentale dell’etica: quello dell’autonomia. Compete essenzialmente a noi la piena e completa decisione su come gestire questa fase della vita. Qualsiasi atteggiamento noi ci proponiamo di tenere al termine dell’esistenza deve essere da noi scelto per tempo e deve essere da noi per tempo comunicato a coloro che noi pensiamo capaci di sostenerci nel nostro ‘morire’ e disponibili a ‘comprendere’, a prendere con sé il fardello di accompagnarci fino alla fine. Dobbiamo rassicurarci: non porta male. Serve solo a non essere poi trattati male da coloro che altrimenti vivranno con noi questa esperienza così dolorosa senza punti di riferimento e con poche possibilità di rompere il muro di impenetrabilità che l’angoscia di morte quasi inevitabilmente pone tra viventi e morenti. Non possiamo sperare che le cose prendano da sole una piega favorevole. Non possiamo comportarci da vili. Perché “fatti non foste per vivere come bruti, ma per seguire virtude e conoscenza” (4)
Una virtù e una conoscenza che non può esimerci dal guardare in faccia la propria morte e decidere con quali interlocutori appropriati comunicare e con quali accompagnatori qualificati percorrere questo segmento di esistenza. Qui per me sta la soluzione al nodo più angoscioso, ma anche più nostro della vita. Il primo che deve salvaguardare il principio di autonomia sono io per me. Perché se non lo faccio io, nessuno può a me sostituirsi.
Nella fase terminale basterebbe che ciascuno si impegnasse a essere se stesso e a non delegare a nessuno la propria autonomia per ridimensionare, almeno in parte, tutto un carico di incomprensioni, di sofferenze, di solitudini. Basterebbe assumersi l’impegno di non lasciare alla casualità o al destino questo ‘suo pezzo’ di vita così importante.
Per vivere il proprio morire però è necessario credere. Perché credere significa fare chiarezza dentro di sé in modo che ciò che deciderò di compiere diventi veramente ‘mio’, frutto di una riflessione in cui io ho messo in discussione valori e comportamenti. Credere vuol dire scegliere su cosa giocare il vivere e il morire non accettando interferenze esterne e neppure dando deleghe in bianco ad altri. Credere comporta dare tempo alla riflessione, allo studio, all’analisi dei condizionamenti che hanno segnato il nostro percorso formativo e poi imboccare la propria strada senza tentennamenti. Autonomamente senza rancori, senza rimpianti, senza rimorsi. Non perché si è convinti di essere sempre nel giusto tout-court, ma perché ogni scelta fatta con coscienza da me è mia e nessuno mi può espropriare questo compito gravoso ed esaltante. Nessuno potrà mai decidere per noi, a meno che noi non abbiamo delegato coscientemente questa nostra prerogativa. Ma la delega l’ha data la nostra coscienza. Il che significa che siamo stati noi a decidere, cioè abbiamo salvaguardato il principio della autonomia.

Il principio di beneficialità

Nessuno può interferire, senza il nostro permesso, in questo nostro ambito, neanche in nome di una presunta beneficialità. Se il malato stesso non prende in mano il proprio morire correrà il rischio che il suo entourage si sostituirà a lui nelle decisioni che lo riguardano. Sembra infatti che tutti sappiano ciò che è bene per il malato. Sembra che non ci sia bisogno di dibattito etico su questa terra di nessuno, perché tutti paiono aver deciso per tempo quali sono i valori, le scelte da fare, gli atteggiamenti da tenere. Si dà per scontato che il silenzio del malato è la scelta di chi non vuole fare domande, che gli scatti d’ira sono dovuti solo al male fisico e che il non volersi più nutrire è solo causato dalla stanchezza o dalla poca volontà di collaborazione. La famiglia difficilmente ripensa in un’ottica di ascolto ai piccoli segnali inviati dal malato, né si sforza di immedesimarsi nello status di un morente.
Anzi ci si vanta di tenere tutto sotto controllo e di riuscire a interpretare sempre correttamente i bisogni del malato. E’ chiaro che se il morente per primo non ha mai espresso opinioni in proposito, significa implicitamente che ha delegato ad altri questo compito. Ma la delega deve essere chiara e precisa, oserei dire firmata e consacrata dalla presenza di testimoni. E non certamente in senso giuridico, ma etico. E’ il malato che deve esplicitare cosa lo aiuta a vivere in pienezza, cosa lo conforta, cosa lo assilla. E non è lecito a nessuno dettare legge o peggio dare interpretazioni personali sul senso che il malato ha voluto dare alla sua vita e sul valore delle sue scelte, indirizzandole magari verso mete consacrate dall’uso culturale o religioso. Le interpretazioni personali possono essere molto gratificanti per chi ne fa uso, ma sono certamente fuori dalla verità.
E poi non scegliere molte volte può significare lasciare tante cose incompiute, arruffate, confuse. Pensiamo, per esempio, alla mancanza dei testamenti scritti che chiudono le famiglie in spirali di odio e di ripicche per intere generazioni. Oppure ai sensi di colpa che devastano l’intimo di persone che, ancora a distanza di anni, si domandano che cosa sarebbe stato meglio fare. Perché la fase terminale è momento unico e occasione
irripetibile che non tornerà più, ‘talento’ da far fruttare se non si vuol vivere da “servo malvagio e infingardo”. (5)
Troppo spesso, mi pare, noi tendiamo a giustificare atteggiamenti presi dalle équipes mediche o dai parenti nei confronti dei morenti perché riconosciamo loro una certa buona fede o, tutt’al più, una mancanza di coraggio. La mia esperienza mi porta invece a riconoscere in questi atteggiamenti quasi sempre la paura che attanaglia malati e sani in una spirale di ‘morte’ che paralizza ogni moto di sincerità in nome di un presunto bene o beneficio dell’altro.
E’ il suo bene, si sente dire e tutti accorrono ad abbeverarsi a questo principio, a questa oasi che lenisce la sete di chi da tempo cammina in una landa assolata e desolata. Ma forse ci si potrebbe trovare in un’altra terra, magari rigogliosa e ricca di acque. Basterebbe forse essere riusciti a coinvolgere il malato, a interpretare le sue parole e i suoi silenzi, le sue bestemmie e le sue preghiere. Lo so che non è facile. Non per nulla ho definito “landa assolata e desolata” il tempo dell’accompagnamento dei morenti. Ma forse si possono ipotizzare altri percorsi, altri sussidi, altre comunicazioni.
E ancora una volta il responsabile principale di questa fase deve essere il malato, perché compete a lui, come dovere cui non può eticamente sottrarsi, chiedere rispetto per sé, per le sue paure e le sue speranze, le sue decisioni e le sue aspettative di vita. Ha ben sintetizzato questo pensiero la Kübler-Ross:
“Se quando vai a trovarlo, il paziente ti dice: ‘So di avere un cancro. Non uscirò mai più da questo ospedale’, allora tu lo sentirai, lo aiuterai, perché ti rende le cose facili. E’ lui a dare inizio alla comunicazione a dire pane al pane e vino al vino… I pazienti terminali che sanno parlare chiaro della loro malattia mortale sono quelli che hanno già superato la loro peggior paura, la paura della morte. In realtà sono loro che aiutano te, non il contrario. Sono loro i tuoi terapeuti, sono loro che ti fanno un regalo”. (6)
Non è facile guardare in faccia la propria morte. Forse molti non ci riusciranno mai perché non è proprio facile improvvisare al termine della vita atteggiamenti e comportamenti. Ma non possiamo dare per scontato che di questa fase della vita nessuno sia veramente e assolutamente responsabile. Da sempre è stato individuato l’attore principale che può dare senso e significato al lasciare la vita: è il malato che non deve svendere, almeno alla fine, il suo essere persona. Deve decidere, appena ne prende coscienza, e impegnarsi a salvaguardare la capacità di riflettere su se stesso e sul proprio agire, di prendere decisioni autonome e libere, di inventare come essere e come agire nella fase terminale della vita senza aspettarsi dagli altri niente altro che essere ascoltato, accompagnato, supportato, per tutto ciò che è il suo benessere.
Ogni persona, per quanto condizionata da un programma biologico e culturale, infatti ha sempre la possibilità di scegliere, almeno parzialmente ed ha sempre una libertà interiore che lo porta a pronunciare sì o no, a progettare, a decidere autonomamente cosa è giusto e cosa è sbagliato. Perché è l’unica creatura che fa etica.
Fare etica, giocarsi la vita sulla salvaguardia di ciò che abbiamo di più intimo e invendibile: la nostra coscienza. Sensibilizzarsi per tempo per sapere affrontare con umiltà e determinazione la sfida centrale della nostra esistenza. Illuminarsi la strada per decidersi e sapere dove andare, equipaggiarsi per evitare sorprese e proporsi un progetto di vita che valorizzi e giustifichi, definisca i confini e gli orizzonti dei valori e dei comportamenti che identificheranno autonomamente il nostro morire.
Fare etica per non lasciarsi irretire dai falsi profeti che senza chiederci il permesso, si introducono nella nostra visione della vita e della morte per irridere la verità, preoccupati come sono solo delle loro paure. Persino con Francesco d’Assisi, alla fine della vita, per il suo bene, hanno tentato di barare.
“In questi giorni un medico di Arezzo, di nome Bongiovanni, molto amico di Francesco, venne a visitarlo nel palazzo vescovile di Assisi. Il santo lo interrogò. ‘Che ti sembra Benvegnate, della mia idropsia?’ Il medico rispose: ‘Fratello,con l’aiuto del Signore starai meglio’. Francesco insistette: ‘Dimmi la verità. Qual è il tuo parere? Non aver paura a dirmelo, poiché con la grazia di Dio non sono un pusillanime che teme la morte; per dono dello Spirito Santo sono così unito al mio Signore da essere ugualmente felice sia di vivere che di morire’.
Allora Bongiovanni parlò senza reticenze: ‘Padre, secondo la nostra scienza la tua malattia è evidentemente incurabile. Penso che per la fine di settembre o ai primi di ottobre tu morirai’.
Allora Francesco, steso sul letto, levò le mani verso il Signore con grande fervore e riconoscenza e pieno di gioia d’anima e corpo esclamò: ‘Sii la benvenuta, sorella mia Morte'”.(7)

La morte non vuole gli stupidi (Cecov)

Un detto sufi che mi è molto caro afferma: “La cosa di cui parliamo non si potrà mai trovare cercandola, eppure, solo coloro che la cercano la trovano”. Un detto che esprime la inadeguatezza di tutti i nostri strumenti per infrangere il velo dell’impenetrabile, ma nello stesso tempo lo stimolo a rendere carne e sangue, cioè vivibile, ciò che in ogni caso ci appartiene.
Sì, la morte ci appartiene, come ci appartiene il morire. La morte è vivibile come è vivibile l’accompagnamento al morire dei nostri cari. Basta, l’ho scritto sul manifesto del progetto hospice della nostra associazione, “rompere lo schema che accomuna fase terminale con incomunicabilità e con insincerità e che squalifica a priori tentativi nuovi di rendere tutti più consapevoli e coinvolti nell’accompagnamento dei morenti”.
Dobbiamo guardare in faccia la morte, perché essa è parte integrante della vita come la libertà, la sessualità e la ricerca sincera e appassionata di conoscere il volto autentico di Dio. Per fare questo occorre smantellare ciò che ci ingabbia in nome del “si è sempre fatto così” o del “è impossibile” e riuscire così a esprimere le nostre più recondite aspirazioni. Dipende da noi e da quando margine di manovra riusciamo a ritagliarci per vivere appieno e per fare del nostro morire uno strumento essenziale del nostro vivere. Forse dovremmo cominciare a pensare che nei primissimi anni di vita la famiglia, la società e la religione ci passano le loro paure, le loro zone tabù, le loro opzioni che così poco si sposano con la razionalità e la ricerca della verità. E forse allora la nostra vera vita inizia quando cominciamo con coraggio a liberarci di questi fardelli che paralizzano il nostro lento aprirci alla realtà di un’esistenza che è avventura, ricerca e ritrovamento di tesori nascosti per acquistare i quali vale la spesa vendere tutto.
Sarà per questo che Cecov ha scritto che “la morte non vuole gli stupidi”. Perché chi rinnega la propria morte vive stupidamente, impoverendo giorno per giorno la sua esistenza. E’ stato saggio invece Socrate che di fronte alla sua ingiusta condanna a morte non esprime rancore, ma richiama tutti, anche i suoi stessi carnefici, al dovere di vivere sempre in pienezza. Cioè a guardare in faccia, con atteggiamento etico, la vita e la morte:
“Vi voglio pregare di una cosa: quando i miei figli saranno cresciuti, puniteli, cittadini, stategli dietro come facevo con voi, se vedrete che si preoccupano più delle ricchezze o degli altri beni materiali che delle virtù e se si crederanno di valere qualcosa senza valere poi nulla, rimproverateli, come io rimproveravo voi, per ciò che non curano e che, invece, dovrebbero curare, se credono di essere ‘grandi uomini’ e poi non sono niente. Se farete questo, io e i miei figli avremo avuto da voi ciò che è giusto. Ma è giunta, ormai, l’ora di andare, io a morire, voi a vivere. Chi di noi vada a miglior sorte, nessuno lo sa tranne dio”. (8)

1) Platone, Apologia di Socrate, Garzanti Milano, 1993, pp. 23-24
2) Sain Exupery, Il piccolo principe, Bompiani
3) Qoelet 1,1
4) Dante, La Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI
5) Mt, 5, 14
6) Kübler-Ross, La morte è di vitale importanza, Armenia 1997, p.26
7) Fonti Francescane, Editrici francescane 1987, p.1437
8) Platone, op. cit., p.25

 

Edda CattaniEsiste la morte?
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Nel ricordo del Papà

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Pubblico questa Relazione fatta da Mentore al Convegno del CONVIVIO a Roma prima dell’aggravarsi della sua malattia. E’ un devoto omaggio al mio sposo e ad Andrea:

 Ringrazio la Presidenza che ci dà la possibilità di significare a voi, per quanto mi sarà possibile, la testimonianza e convinzione di una esperienza che riempie la nostra giornata dall’ evento che divise il corso della nostra vita, come quella di nostro figlio.

Vi parlo al plurale, ma non è un plurale “maiestatis”; questo è motivato dal fatto che la realtà degli avvenimenti ben circostanziati e riscontrabili capitano simultaneamente a me e a mia mo­glie  sia pure differenziati dallo stesso comportamento che,  quand’era presente fisicamente nostro figlio aveva con noi.

Sono il papà di Andrea – Andrea Cattani – e la mamma è qui in sala – Andrea ha nome nostro figlio, Andrea come tanti altri giovani figli per i quali sembra essere stato tessu­to con il nome, un comune disegno.

Il nostro si presenta e si fa chiamare il  “tenente…” e come non comprendere il suo giusto orgoglio per il merito conquistato , frutto di impegno , di abnegazione, di fatica che gli ha consentito di vestire onorevolmente l’uniforme militare del­l’esercito italiano e di essere nominato Capo Servizi del Presi­dio della regione Nord-Est. In onore di quella che tuttora defi­nisce, con una nota di velata tenerezza , dall’ altra dimensione, “Patria  mia” quasi a ricordo dell’ abnegazione , della generosità e del coraggio esercitati per raggiungere qui in terra il suo ideale

Andrea se n’è andato una sera limpida del dicembre ‘91 , all’ uscita dalla caserma, da trasportato  schian­tandosi contro un platano nel centro della città.

Tralasciando, per brevità, numerose mie proprie considerazioni dei primi momenti di smarrimento, si accese in noi più viva la fede racchiusa nella verità del dogma della Comunione dei Santi che ci suggerì la prima preghiera:

 

Sei passato dalla nostra casa Signore

e hai raccolto il fiore a Te gradito

Signore ti ringraziamo

di AVER LASCIATO PER VENTIDUE ANNI

il nostro Andrea alle nostre cure

e al nostro sguardo.

Aumenta in noi la fede nella sua

presenza e nella Tua volontà. A lui la tua Luce.

Premetto  che la  fede, la fiducia, la speranza e la volontà che fra noi e nostro figlio continuasse il dialogo così come era avvenuto nei ventidue anni trascorsi insieme, è stata la prima ancora cui ci siamo aggrappati fin dal primo momento con la voluta certezza che ciò avvenisse come dono di Dio per quella poca fede che avevamo sempre coltivato,  credendo nella promessa di Dio e nella Verità della Sua Rivelazione.

 

 

 

Ebbene , Andrea  dopo pochi giorni dalla sua partenza ci inviava segni di luce tali da non coltivare alcun dubbio sulla sua presenza:

L’allarme della sua macchina ferma in garage,disinserito, che si accendeva; era una tromba che suonava davanti alla finestra della sua camera per salutare gli amici venuti a trovar­ci, era il sovrapporsi della sua immagine sullo schermo televisivo che si è più volte ripetuta,inviando a suo padre un messaggio ” “Vuoi capire che sarò tuo amico per sempre”!.L’accendersi improvvi­so del suo stereo  e del televisore,su un programma mai guardato. Ed altri che  conserviamo gelosamente nel nostro animo. Dopo questi segni  – materiali – è continuato il colloquio diretto dove Andrea si manifesta  con tutte le sue peculiari doti di carattere,il suo modo di fare,di esprimersi,le particolari attenzioni per le persone a lui care.

 

Fu a Baveno nel ’92 che si presentò come “tenente” a Laura Paradiso chiedendo della sua mamma .

Eravamo andati ,esortati da nostra figlia Alessandra,col nostro peso di dolore  e inconsapevoli di tutto: non ci eravamo mai interessati ,per dirlo in parole correnti  del paranormale e delle sue manifestazioni ,d’altra parte  “ignoti nulla cupido”!

 

Ritornati a casa,come lui ci aveva comandato “andate a casa alla fonte berrete” lasciandoci con tanto di “saluto” (così diceva rientrando in casa,ogni sera, dal lavoro in caserma) mentre la mamma riceveva con la scrittura automatica i primi

messaggi di conforto e di certezza che colui che faceva muovere la penna appoggiata alla mano sinistra era Andrea:

 

“sono vivo, vivo, vivo

Andrea ,angelo di luce”

 

e altri messaggi di riconoscimento della sua presenza  reale e circostanziata da riferimenti vissuti dalla sua persona

il  papà riceve -su nastro magnetico,la prima ……rivelazione:

 

“il tuo bambino   SONO”

 

E’ indescrivibile la forza di questo sono – il sum  latino ch’è significato di esistenza(esistenza);ricordiamo le parole di Colui che disse “Ego sum qui sum:Io sono colui che E'” Si presentò con la sua carta d’identità: già ventiduenne,ogni qual volta gli si prospettavano le nostre difficoltà alle sue richieste, mi convin­ceva col dirmi: “non fai questo per il tuo bambino?”

Dopo questo,i messaggi sono tanti che per raccoglierli non basterebbe un volume di mille pagine.

Sono lì incisi in nastri magnetici, più o meno, ma tutti intelligi­bili,a testimoniare una realtà che trascende l’ansia della nostra volontà di conoscere,di comprendere il mistero di luce e di gioia che lo avvolge e che tenta di trasmettere a noi.

Alla mia domanda esplicita di quanto felice, la risposta è categorica  e immediata: “TANTO EELICE”.

E poi si ripetono con insistenza  i messaggi della sua presenza “Sono con voi.. …più di prima……. più vicino di prima!”

Poi seguono i messaggi d’invito:


Alla fortezza: Papà coraggiofatti coraggio!

                          se tu sapessi con chi sono….non piangeresti!

 Alla sopravvivenza: E insistente il ripetere   “Vivo… sono vivo...

                ..io parlo con quelli che mi credono vivo

                      Vedo la luce, .anche quando c’è buio!

 

La sera del suo primo anniversario,mentre si commentavano in casa le parole del Sacerdote alla messa del mattino,celebrata nel Duomo dei Militari in Padova,sono state registrate chiaramente queste parole: “Si dice di Andrea che è tornato sulla terra… stamattina”

Mi assillava il pensiero che il nostro Andrea,a causa della sua improv­visa  dipartita non avesse avuto tempo e modo di chiedere a Dio perdono se in qualcosa avesse a Lui dispiaciuto e feci una particolare richiesta a Cristo.

Ero in chiesa alla SS.Messa domenicale. Al momento della Comunione mi alzai dal banco e accesi il registratore che uscendo di casa mi ero posto nella tasca interna della giacca. Tornato a casa ascoltai la registrazione: sovrapposte alle parole del parroco si ascoltano queste:

 

” Mi sono comunicato con te.”

E ancora: “Vi guardo attentamente negli occhi quando pregate!

“Nella patria ove verrai io sono RE”

Non posso nascondere la nostra sorpresa quando, presenti al conve­gno di Riccione nel 1993, la sorella del medium Roberto Setti,in una tavola rotonda,uscì “ex abrupto” con questa dichiarazione: di là loro si chiamano  “re” ;  una verifica incrociata?…..

E in seguito il presentarsi di diverse altre Entità tra le quali una che si qualifica Arno; poi mi chiamano per nome dandomi perfino del  ‘Signor’

 

“Perdonare , Signor Cattani, perdonare  (per ) fare la Comunione e rispondono alla domanda che da sempre è sulle nostre labbra :Dove sei Andrea?

“Andrea è benedetto

“Andrea ormai è qua”

A questo punto lasciateci credere non solo alla sopravvivenza ma alla vita eterna nella vera casa del padre quale tutta la Rivelazione annuncia e Cristo ci promette…….

e di lasciare alle sofisticate ipotesi degli studiosi il problema della “grande reincarnazione“, come alle sottigliezze dei filosofi

la “piccolareincarnazione riservata ai residui psichici. Nostro figlio Andrea ormai è “là“.

E ci sia lecito usare due termini latini: L ‘ accidens di nostro figlio è qua,in una tomba,ancora alle nostre cure e affetto umano, ma la  “substantia” l'”essere”, la “persona” è là con tutte le sue prerogative proprie  della persona nel suo totale significato filosofico-scientifico. E là operante un’ulteriore opera di perfe­zione,in cammino costante verso la beatifica visione di Dio.

“Andrea vola come aquila”…..

sempre nel primo nastro rovesciato dove troviamo conferma inconte­stabile di una misteriosa telefonata ricevuta da chi vi parla alla presenza di altre persone il 6 Genn.93 ; telefonata durata circa una decina di minuti,quasi tutti passati a contestare che non riuscivo a riconoscere la persona che al miopronto” afferma di essere “la Jolanda”… (mia sorella deceduta nel 1932 a 12 anni (spiegazione a voce).

II 27 Genn. 93 ,facciamo la prima esperienza del nastro rovesciato e l’entità Arno si premura di confermarmi: La Jolanda ti consola per telefono,la Jolanda prepara un secondo colloquio” …”buona giornata“…(secondo colloquio?)

Fatti tutti gli accertamenti e riscontri possibili non ci resta che convincerci della veridicità di questa transcomunicazione da parte di mia sorella giunta a noi come conferma (senz’altro voluta da nostro figlio ) della Sopravvivenza e dei messaggi:si istae et isti….cur  non ego?”

In attento esame di tutta la messaggistica proveniente da nostro figlio avvertiamo  una costante evoluzione di contenuti nei suoi colloqui con noi.

E’ vero molti messaggipur in sé chiari e bene intelleggibili, rivelano una esistenza di vita  incomprensibile da parte nostra ,ma di una realtà  che non si configura in pure creazioni mentali,mentre rispondono a concetti concreti quali si riscontrano nel complesso di tutta la rivelazione divina.

Quante volte riflettiamo  sul significato di alcuni di questi messaggi ricevuti sia dal papà che dalla mamma e poi dobbiamo convincerci di quello che ci consiglia un’Entità nel quarto nastro rovesciato:….”la strada è in salita: forza alla fede!”

 

Abbiamo cercato sfogliando avanti e indietro- la lette­ratura scientifica per trovare il perché, il come ci fosse data questa comunicazione trascendentale. Ma non abbiamo trovato nella scienza e nelle sue meravigliose conquiste,che ipotesi,probabi1ià,quando non addirittura fantasiose creazioni della ragione umana pur di non ammettere l’ambito del mistero che l’Economia Divina ha posto non a pezza giustificativa di questa nostra intelligenza, ma quale faro luminoso a guida di un retto cammino r a z i o n a 1 e VERSO LA LUCE INFINITA.

        Togliamo alla ragione l’ambito del mistero e troveremo le più stravaganti deviazioni.

E’ la fede nel mistero cosmico che ci assicura giungano a noi messaggi di nostro figlio Andrea non la credenza nel contenitore cosmico o nei residui psichici vaganti nell’universo; ancora nessuna intelligenza umana sa dirci il tutto della sua grandezza, della sua profondità e della sua entità.

Stavamo dibattendoci in questi interrogativi quando il nostro Andrea ci disse:

“Al di sopra della legge degli uomini vi ho convinto” E il fatto che questa comunione o comunicazione fra le due dimensioni (per usare termini correnti) terrestre e celeste la si riscontri da sempre e presso tutte le genti di ogni epoca, di ogni popolo e di ogni cultura ci conferma la sua origine trascendentale poiché in tutti troviamo il filone della Rivelazione col suo principio essenziale alla salvezza: Quod Deus est et remunerator sit: Che Dio esiste ed è rimuneratore”.

Nell‘evolversi della nostra testimonianza di comunione con il nostro Andrea riscontriamo una calda, appassionata parteci­pazione alla nostra vita: Sono con voi più di prima -ci ha assicurato- e lo manifesta nelle circostanze più particolari sia verso la mamma che il papà, come verso le sorelle: II giorno del mio compleanno:Papà tanti auguri!”

Vedo tutto quello che fai …Tra fuori il pane!

Via radio:  Ti mando un bacio,sei contento?

Verso la mamma è di  una tenerezza infinita: Mamma, mammina mia… riposati… non ti affaticare! Sono qui con te!

Il tempo  non è che lenisca,anche se accettato con fiducia nella Divina Provvidenza,il dolore dovuto alla sua mancanza fisica fra noi,lo portiamo con noi,ci segue come la nostra ombra. Nel terzo nastro rovesciato l’entità comunicante ce lo assicura amare cordis” che noi interpretiamo : “con l’amarezza del cuore” camminerete verso la patria celeste.

Ammiriamo quei genitori che, come abbiamo avuto modo di sentire in questi convegni, hanno raggiunto la gioia interiore; noi questo stato di grazia non l’abbiamo ancora conquistato e pensiamo, come penso, che in me il dolore cesserà il giorno in cui rivedrò il mio Andrea venirmi incontro e dirmi “papà vieni con me!”

                                       

                                                    Mentore Cattani

Grazie

 

 

 

Edda CattaniNel ricordo del Papà
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Notte del 5 dicembre

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         Notte del 5 dicembre

 

 

Andrea se ne andò una sera limpida di dicembre, sotto un cielo stellato, mentre gli angeli stavano preparando il Natale e noi, in famiglia, con lui, predisponevamo gli spazi per l’albero e il presepe. Non manca anno che la notte della vigilia, si verifichi qualche fatto straordinario quasi a volermi riportare nella condizione di quel vissuto. Gli stessi dolori fisici, accompagnati da un cerchio al capo… quasi una corona di spine per me… e i tanti passaggi che mi fanno ripercorrere a ritroso una sofferenza infinita cosparsa di tanta “grazia” ricevuta  Ogni anno mai è mancato, in quella notte, un segno della sua presenza. Desidero in questo Anniversario riportare ancora l’articolo scritto nel decennale: “Lassù qualcuno mi ama”.

Vorrei però fare questa aggiunta in premessa: I giorni scorsi ho accusato una paradontite che mi ha portato all’ambulatorio che sono solita frequentare. All’uscita, mentre mi tenevo con la mano la guancia dolorante mi è apparsa una visione… una monaca di altri tempi… quasi una reliquia… Il viso pallido, la veste composta con un lino bianco intorno al capo… Le ho sorriso e incosciamente mi sono avvicinata per salutarla come ci conoscessimo da sempre: “Ma chi è lei, da dove viene?” “Sono una suora di clausura del Monastero di San Daniele” “E io sono la mamma di Andrea” “Ahhh!… il giovane mancato in un incidente stradale… lo ricordiamo sempre nelle preghiere della Messa… ma non abbiamo più visto il suo papà…” “Eh… non c’é più… ha raggiunto Andrea”… Incontri strani, casuali… in un momento di dolore… ma cosa avviene per caso? Nel mio giardino ormai senza fiori resiste alle intemperie un bocciolo di rosa bianca…

Ed ora val la pena di leggere la storia che riporto…


 

 

Una storia vera per un Natale di pace.

“LASSU’  QUALCUNO  MI  AMA…E  MI  RAGGIUNGE!”

 

 

 La notte del cinque dicembre scorso si è preannunciata come gli anni precedenti. Questo era il decimo anno, da quando Andrea è  uscito di casa per non farvi ritorno. Era mezzanotte e un quarto: una splendida notte gelida e serena, mentre  lo aspettavo con la luce accesa… Questi e altri pensieri affollavano la mia mente, ancora una volta, ripercorrendo passo passo il tragitto di quei tragici ultimi istanti. Un dolore lancinante alle tempie mi martellava il cervello; tutto il mio corpo sembrava rivivere lo strazio di quelle ore. Ho raggiunto il letto di Andrea che è ancora disposto come un tempo. Ho posato la testa sul cuscino pregando Dio e lui, il mio bambino, di lasciarsi raggiungere: “Andrea, all’inizio mi davi tanti segni in questi anniversari. Credi forse che non ne abbia più bisogno?… sono debole e stanca…” Di lì a poco, un po’ assopita, ho avvertito una presenza, vicino a me, alla mia sinistra. Ho guardato senza timore ed ho visto una donna vecchia, con i capelli bianchi, dal viso dolcissimo, ma addolorato e tanto smunto. Ho cercato di parlarle ed ho osservato che stava pregando sommessamente, sottovoce, a mani giunte. Le ho detto: “Ma quanto stai soffrendo… forse sei qui perché condividi il mio dolore?”. La donna ha sorriso e lentamente ha posato il capo sulla mia spalla, quasi a voler lenire la mia lacerazione. Mi sono sentita confortata, poi mi sono alzata e, fino al mattino, girovagando per casa,  ho continuato a chiedermi chi potesse essere quella creatura. Ho pensato alla mia mamma ammalata, che abita lontano da me e mi sono ripromessa di telefonarle appena possibile. In verità, quella donna, non aveva nulla di mia madre: era magrissima e doveva avere molti anni in più.

Quando si è alzato Mentore, il mattino a buon ora, gli ho raccontato l’episodio e abbiamo deciso di recarci al monte di San Daniele, alla periferia di Abano, dove c’è un Monastero, in cui, il 5 di ogni mese, viene celebrata una messa per Andrea. Mentore va ad ogni anniversario, ma io non ero mai andata lassù. Per strada mio marito mi ripeteva che le monache conoscono Andrea, che pregano e lo ricordano nelle loro intenzioni. Era ancora buio quando abbiamo raggiunto l’eremo, ma entrati nella cappellina illuminata, ci siamo accorti che non c’era la messa prevista per le ore 7,45. La monaca sagrestana e la superiora ci hanno raggiunto subito: “Signori Cattani, come ci dispiace! Non possiamo dire la messa per Andrea. La sposteremo più tardi. Sapete, questa notte è mancata una nostra consorella (e accennava alla piccola bara appena disposta al centro della cappella). Era molto anziana e ha sofferto tanto, poverina… le diremo la messa con Andrea che lei conosceva così bene!” Come non associare a questa notizia, colei che la notte era venuta a confortarmi? “Lassù qualcuno mi ama… e mi ha raggiunto”. Il mio Andrea ha inviato alla sua mamma proprio colei che, da anni,  pregava per lui, per dirmi, subito dopo il trapasso,  che mi è vicina e mi vuole bene.

Fra pochi giorni sarà Natale e, sull’albero, metterò un lumino anche per te, dolce Madre Benedetta, e,  sono certa, che tu lo guarderai, insieme  ad Andrea, lassù dal Paradiso.

 

 

 

Edda CattaniNotte del 5 dicembre
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Sogni lucidi e O.B.E.

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 Sogni lucidi e O.B.E.

 

Dedicato a te!

 

“Papà, telefona alla Vani!!!” Era da poco mancato e noi ci stavamo avviando in un cammino non certo facile di grande speranza. Fu proprio nell’aprire il piccolo  registratore che giunse chiarissimo questo richiamo. Come fare per chiederti se c’era qualcosa di particolare, per noi, ormai al margine con tutti gli affetti che precedevano la sua dipartita. Ci facemmo coraggio e Mentore azzardò: “Buon giorno signora, le telefono per sapere come sta Vanessa… è un po’ che non la sentiamo… tutto bene?” “Sì, sì grazie…un momento che gliela passo…ma non so dove sia… non riesco a trovarla….Vany, Vany…Ah, eccola!” “Ciao Vanessa tutto bene?”…Silenzio… poi una voce flebile: ”Insomma…ero in bagno che stavo piangendo”… Anche questa volta ti aveva raggiunta!

 

 

Ed oggi piccola che è il giorno del tuo compleanno penso a quell’unico sogno lucido che ho fatto in questi oltre vent’anni e che non ho mai dimenticato. Stavo nella camera di Andrea e tu piccola Vany, non eri più venuta da noi. Ero con gli occhi socchiusi e respiravo il suo profumo…Ad un certo punto lo vidi venirmi incontro dalla porta, a torso nudo…sembrava un dio greco…sorridente, felice… Mi abbracciò stretta… ne sento ancor oggi la presenza fisica, così forte e importante… poi mi disse: “Mamma, arriva la Vanessa!” Mi destai di colpo per il suono del campanello di casa: eri tu… che arrivavi per la prima volta!!!

 

 

  

 

           

 

Capita spesso, navigando su FB di incontrare esperienze straordinarie che ho conosciuto nel tempo e affrontato come oggetto di studio, magari approfondendole nei vari convegni. Alle volte non si sa che l’argomento merita qualcosa di più che una breve esposizione che induce il lettore al solo conforto ma che può essere motivo di attenta analisi e che la stessa semplicità con cui viene presentato potrebbe  indurre ad un’attenta riflessione. Sentiamo cosa scrive E.B.

   Ecco la mia esperienza….

ho perso mio padre nel 2010, tumore al polmone….e in 4 mesi….non c'era più….doveva salvarsi…sembrava dovesse salvarsi… non entro nei particolari…. ma lo abbiamo tenuto per mano fino all'ultimo respiro…con noi a casa….non ha sofferto di dolori grazie a Dio…. ma ha avuto tanta paura….lui era di una simpatia esagerata…un uomo tutto d'un pezzo…il massimo dell'onestà e lealtà e viveva per il lavoro e la famiglia… era tutto per noi…e soprattutto per me….bastava uno sguardo….

Comunque se ne andò…. dopo poche settimane…. di notte mentre morivo di dolore…. dissi ben forte e chiaro…."papà…io ho fatto tanto per te…ora tocca a te… fa qualcosa….toccami, vieni in un sogno….ma convincimi che non è frutto della mia immaginazione o sarà inutile…e io morirò di dolore"… e piangendo credo di essermi addormentata…

Ero al piano di sopra da mia madre, seduta in terra; la porta d'ingresso si è spalancata … lui è entrato… ancora un po’ giallo in viso… ma strafelice…e mi parlava non muovendo la bocca … mi parlava con la testa…

io ripetevo che non poteva tornare da dov'era…ma lui mi ha fatto sentire cosa provava…

e credimi… in natura un sentimento del genere non esiste. L'ho abbracciato….e lui all'orecchio mi ha detto

"sono qui", aveva una voce metallica…mi ha sollevato … prendendomi in braccio… all'improvviso…ho provato quello che ha provato lui…quando è andato… mi sono sollevata in aria…ma ero parte dell'aria

riempivo la stanza, ero leggerissima, senza peso… senza peso fisico e senza pesi sul cuore… era incredibile…

ma il bello … è che in quei giorni avevo il torcicollo… un male cane…  lui mi ha riappoggiato sul mio letto

partendo dalle caviglie, poi le ginocchia, la schiena ho sentito un dolore acuto al colle sai perchè so che non era un sogno? Perché  i miei capelli erano staccati dal collo immaginami sdraiata sul letto ma sollevata

dal materasso sentivo benissimo aria gelida sotto il collo e quando mi ha appoggiato la testa…il dolore al collo mi ha fatto saltare sul letto seduta…sentivo chiaramente ancora l'abbraccio…le mani sulla schiena

non è stato un sogno quelle sensazioni non le ho mai provate…non possono essere frutto del desiderio di rivederlo!

E' tornato a distanza di tre mesi circa….e questa volta… ci trovavamo nella casa dove sono cresciuta…. mentre ero in cucina con mia madre…ho sentito russare… il suo modo di russare… mi madre è sbiancata e affacciandomi dalla porta lo vedo lì seduto… mi sono messa ad urlare che lo amavo e che ci mancava, ma non mi avvicinavo per paura svanisse…. ma alle mie spalle c'era qualcuno, che abbracciandomi mi ha spinto amorevolmente e… sono scivolata da lui….tra me e lui c'era un vetro…sembrava acqua…ma lo vedevo bene nitido… con la punta delle dita ha toccato questo vetro…e io pure dalla mia parte… poi mi ha guardato sprizzava felicità da tutti i pori…e sollevando gli occhiali sul naso…mi ha detto "Qui la vita è una cosa mai vista!!!" mi sono svegliata…. l'ho sognato altre volte ma erano sogni normali…. mentre in queste due occasioni SO che era lui…

     

  

 

 

 Ricordo di avere letto, qualche tempo fa, che nell’ora della giornata in cui le tensioni si attenuano e giungiamo al riposo, la coscienza riesce a percepire le vere immagini o messaggi che giungono dall’altra dimensione. E’ come se, fra noi e loro, ci fosse una rete di maglie; queste si allentano proprio nel momento del contatto per farci percepire quanto i nostri Cari vogliono dirci. Ovviamente stiamo parlando sempre di “sogni veridici” o meglio paranormali  cioè corrispondenti a fatti reali. E’ in questo campo che si verificano le premonizioni, sia nel bene che nel male, che anticipano il futuro e che possono essere attribuibili a facoltà di colui che sogna, ma anche a presumibili entità spirituali.

         Si tratta, pertanto, di circostanze straordinarie ed enigmatiche perché trascendono la nostra realtà corporea e psichica proponendoci una situazione impalpabile e labile, sfuggente e da ripercorrere a ritroso con opportune riflessioni e agganci. Il sogno si presenta denso di significato che acquista per noi una valenza determinante per farci considerare che qualcosa o qualcuno ci ha raggiunto e ci presenta prove certe della sua esistenza.

         Spesso alcuni affermano di non sognare e di non avere esperienze in tal senso ma in verità questo non è possibile, perché lo stato di sonno, con le cosiddette fasi di REM e NON-REM, appartiene a tutti; in caso contrario piomberemmo nel patologico.

 

Questo contributo sulle O.B.E. ci viene dal Monroe Institute di cui avemmo quale esponente a a Padova 2015 il Prof. Stefano Roverso…

 "Siccome il corpo del sogno ha forma ed emozione, puoi interagire con il tuo ambiente nello stesso modo che faresti con il tuo corpo fisico. In verità questa percezione simile a quella fisica sommata alle capacità più raffinate del corpo sognante, rendono l’ OBE uno strumento migliore per capire la percezione. Riprodurre i sensi fisici ci fornisce un ponte fra la percezione fisica e quella non fisica, impedendo che l’esperienza sia troppo lontana dall’ordinario. Le sviluppate capacità durante una OBE, come lo trascendere lo spazio ed il tempo, aumentano la possibilità di imparare fornendoci diverse esperienze con le quali misurare e comprendere la consapevolezza. Come parte del mio lavoro al Monroe Institute ero in corrispondenza con molte persone nel mondo delle OBE. In queste conversazioni ebbi diverse spiegazioni riguardo le OBE. Ecco alcune opinioni: Il corpo non fisico (corpo del sogno) esiste e rimane continuamente attivo."

 

 

Edda CattaniSogni lucidi e O.B.E.
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N.D.E. Esperienze di pre-morte

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http://www.nderf.org/Italian/index.htm

Near Death Experience Research Foundation
 (Fondazione per la ricerca sulle esperienze di pre-morte)

 

 

NDERF la più vasta raccolta di testimonianze di NDE (1) mai pubblicata al mondo!

(1)NDE  sta per: “Near Death Experience”, ossia  “Esperienza vicino alla morte” ovvero “Esperienza di Pre-Morte”. Quest’ultima è l’espressione comunemente impiegata nella lingua italiana con l’acronimo:  EPM.

La scienza e le esperienze di premorte (NDE)

“Sembrano esserci pochi dubbi sul fatto che le NDE si verificano in tutte le culture e si sono verificate in ogni epoca storica … le NDE riguardano sia i giovani che gli anziani, la gente di ogni ceto sociale, coloro che nella vita hanno sviluppato una dimensione spirituale e coloro che non professano alcuna fede … ci sono parecchi esempi di persone che hanno sperimentato una NDE in un momento in cui non sapevano nemmeno che esistesse un fenomeno di questo genere.”

Dott. Peter Fenwick

 Dall'esperienza di pre-morte all'esistenza dell'anima?


  

Il cardiologo olandese Pim Van Lommel afferma di avere trovato la prova scientifica dell'esistenza della vita dopo la morte analizzando numerosi casi di “esperienze di pre- morte” [indicate spesso con l’acronimo NDE, ovvero Near Death Experience]. L'esperienza classica è la visione di un tunnel con una luce bianca sul fondo, ma anche un senso di distacco dal corpo e l'incontro con parenti defunti. Fra queste persone molte hanno provato l’esperienza della rivisitazione della propria vita passata (life review) ed alcuni di essi hanno avuto anche esperienze di distacco dal corpo con percezione del proprio corpo visto dall’esterno [indicate speso con l’acronimo OBE, ovvero Out of Body Experience]. I risultati del suo studio sono stati pubblicati nella prestigiosa rivista medica The Lancet nel dicembre 2001 col titolo "Un'indagine estensiva in Olanda sulle esperienze di pre- morte in sopravvissuti ad arresti cardiaci" ["Near-death experiences in survivors of cardiac arrest: a prospective study in the Netherlands"].

L'esperienza di premorte o NDE (acronimo del termine inglese Near Death Experience) costituisce un'argomentazione potente a favore dell'esistenza di una vita dopo la morte. Grazie al progresso registrato nell'ambito delle tecniche di rianimazione, sempre più persone vengono riportate indietro dal limite della morte clinica. E molte riferiscono un'esperienza profondamente significativa durante la quale hanno l'impressione di essere vivi e in pieno possesso delle proprie facoltà al di fuori del proprio corpo. Per molti un'esperienza di premorte è un'esperienza intensamente emotiva e spirituale.

Le prove a supporto delle NDE sono coerenti, schiaccianti e sperimentate da molti. L'evidenza empirica delle NDE è anche concorde con altre prove sperimentali che sembrano suggerire una sopravvivenza alla morte – prove che includono le esperienze extracorporee, le informazioni ottenute grazie ai medium mentali e fisici, e le apparizioni.

I sensitivi affermano che, in una situazione di crisi, quando la morte è quasi inevitabile o è percepita come tale, il duplicato del corpo fisico, il corpo astrale o eterico, lascia il corpo fisico e sperimenta il primo stadio dell'Aldilà. Se la morte non si verifica, il duplicato riprende il suo posto nel corpo fisico. Gli scettici sostengono, invece, che non esiste alcun duplicato del corpo fisico e affermano che l'esperienza che si vive è provocata dai problemi del corpo fisico – è tutta nella mente.

Degli studi hanno dimostrato che le NDE si possono verificare a seguito di malattie, di interventi chirurgici, durante il parto, a seguito di incidenti, di attacchi cardiaci e di tentativi di suicidio.

In questo campo, un pioniere è stato il Dott. Raymond Moody Jr., un medico e filosofo che ha iniziato il suo lavoro da scettico e oggi è fermamente convinto della realtà della vita dopo la morte. Il suo primo libro, Life After Life (La vita dopo la vita) del 1975, considerato l'opera classica che ha aperto questo campo alla ricerca moderna, è stato seguito da altri due nel 1983 e nel 1988.

A partire dal 1975 sono stati condotti diversi studi in molti Paesi – al punto che oggi esistono diverse associazioni e riviste internazionali dedite all'indagine degli studi sulle esperienze di premorte. L'ottimo libro dell'australiana Cherie Sutherland (1992) contiene una bibliografia selezionata di oltre 150 relazioni di ricerche di carattere accademico.

NDE di Pietro B

TESTIMONIANZA:


          mi sono visto proiettare nello spazio con la visione perfetta dell'allontanamento dalla terra ed entrare in una luce bianchissima, nello stesso tempo avevo una visione nitida della mia vita terrestre, come stare in uno scermo duodimensionale, anche questo difficile da esprimere in parole. ero cosciente di tutto e riflettevo su cio' che stavo provando, felicita', pace infinite che aumentavano nell'addentrarmi nella luce, sapevo di far parte di questa luce, non so' perche' ma lo sapevo e sapevo che tutti ne siamo parte; al culmine c'era come una luce piu' grande e sapevo che entrando non sarei piu' tornato, non so' il motivo, ma lo sapevo, e questa è una cosa che non saprei spiegare, ma neanche cerco spiegazioni, accetto il vissuto in quanto tale.  riflettevo sul mio egoismo, provando quelle straordinarie sensazioni, perchè non volevo tornare indietro; pensavo ai miei affetti e le cose terrene, non mi importava niente e questo pensiero poi mi ha colpito. non sò perche' e come, mi sono reincorporato ed il mio primo problema è stato giustificare il mio ritorno, come se ce ne fosse stato bisogno!!!!!!! ho avuto e continuo ad avere flash di quell'esperienza, è come un puzzle che  pone nel suo giusto posto cadatessera.

da quel momento sò che dentro di me qualcosa sta cambiando e che sta lavorando, lo sento  perfettamente, ma non so ancora cosa accadrà.  certo ora mi relaziono con la vita quotidiana e con i miei rapporti come se avessi una coltre di protezione verso le cose, non mi toccano come prima e poi vedo e percepisco le persone differentemente, le vedo dentro ed il suono delle voci mi arriva come un suono ed è stonato quando qualcuno dice cose non sentite, stranissimo.

non sò in che modo, ma la mia vita sta cambiando e non capisco dove mi porterà, mi chiedo il senso del ritorno, ma sono stanco di chiedermelo, forse lo scoprirò o forse no, non importa, ciò che ritengo importante è portare a termine i miei studi e costruire un posto per la ricerca spirituale, possibilmente con l'aiuto degli shamani dell'alto peru, ai quali devo molto, la comprensione del valore della vita e dei valori della vita, il vivere in connessione con la natura di cui facciamo parte, tutto ha vita per loro e quest'insegnamento lo considero il più grande regalo avuto. il resto non sò niente e seguo nel cammino.

per ultimo vorrei scrivere un libro, sono 7 anni che studio per questo, ma sembra che ogni volta qualcosa di piu' grande si debba aggiungere.

grazie per ascoltare e auguri per la vostra importante iniziativa, credo che ognuno di noi ha bisognodi condividere questo tipo di esperienza con persone che non ci guardano come allucinati, grazie.

Si trattava di un tipo di esperienza difficile da descrivere a parole?      Si          difficile spiegare le sensazioni di pace, armonia,felicita',completezza………..

L’esperienza si è verificata in concomitanza di un evento costituente un grave pericolo di vita?     Si    nel corso del terzo intervento in 20 gg.

In quale momento nel corso della vostra esperienza eravate al massimo livello di coscienza (consapevolezza) e  di vigilanza?        sempre

Il massimo livello di coscienza (consapevolezza) e  di vigilanza raggiunto durante l’esperienza può essere in qualche modo  paragonato al vostro normale livello di coscienza e vigilanza di ogni giorno?     More consciousness and alertness than normal
If your highest level of consciousness and alertness during the experience was different from your normal every day consciousness and alertness, please explain:        difficile da mettere in parole

La vostra capacità visiva era in qualche modo diversa dalla normale, quotidiana capacità visiva?       No     

Il vostro udito era in qualche modo diverso da quello normale, di tutti i giorni?          No     

Avete constatato una separazione della vostra coscienza dal vostro corpo?           Si

Quali emozioni avete provato durante l’esperienza?         pace,armonia,felicita, pace , immensi, direi indescrivibili

Siete passati attraverso dentro o attraverso un tunnel o un passaggio ristretto?     No     

Avete visto una luce?      Si    come un cammino di luce bianchissima, purissima, all'addentrarvi una pace , felicita immensi; al finale un "cerchio" di luce bianchissima, entrando nella quale non c'è ritorno, solo pace e felicità pura,, lo sò ma non sò perchè lo sò.

Avete incontrato o visto altri esseri?   No     

Avete avuto una re-visione degli eventi accaduti nella vostra vita?       Si    è come se ci fosse stato uno schermo nel quale potevo vedere gli accaduti,ma l'interesse era troppo forte per il cammino di luce e le sue sensazioni

Avete visto o udito, durante la vostra esperienza,  qualcosa riguardo a persone o eventi che si sarebbero  poi verificati in  seguito?         Si    nei giorni immediatamente seguenti l'esperienza, ho avuto come scorci di avvenimenti che a mio giudizio avverranno, ho anche avvisato persone del visto che li riguardava, a volte ancora ho visioni strane, confuse

Avete visto o visitato luoghi, livelli o dimensioni di particolare bellezza o insoliti?        Uncertain    

Avete avuto una sensazione di spazio o tempo alterato?  Si    il tempo e lo spazio non hanno più significato

Avete sperimentato un senso di conoscenza speciale, relativa all’ordine e/o alle finalità dell’ universo?     Si    non alla finalità, se no la consapevolezza di essere parte della "luce"

Avete raggiunto una barriera o un limite concreto? No     

Avete avuto conoscenza di eventi futuri?      Si
          ancora non lo sò

Dopo l’esperienza avete avuto particolari  doni  psichici, paranormali o altre particolari capacità che prima dell’esperienza non avevate?       Si          ipersensibilità e percezioni psichiche ed altro

Avete parlato di questa esperienza con altre persone?     Si    la prima persona a cui ho parlato è stata mia moglie che mi ha creduto ed è stata felice e vicina.

la seconda persona , un amico che è stato in coma 20 gg. ed ha avuto la stessa esperienza.

in famiglia mi guardano con diffidenza ed anche i miei amici in italia , a cui ho parlato. in peru è diverso perchè sono molto aperti alla spiritualità.

Eravate a conoscenza delle esperienze di pre-morte (NDE) prima della vostra esperienza? Si    ho visto mprogrammi in tv ed ho letto qualcosa.-

Qual è stata la vostra opinione circa la realtà della vostra esperienza a breve distanza di tempo (giorni o settimane)  dall’accaduto?      Experience was definitely real         semplicemente perchè è ancora vivissima la visione dell'accaduto, anche se non sono riuscito a rivivere quelle sensazioni, neanche con la meditazione, ma non dispero

Vi sono state una o più parti dell’esperienza particolarmente significativa per voi?   la consapevolezza che la vita nel corpo in terra è solo momentanea

I vostri rapporti con le altre persone  hanno subito particolari cambiamenti a seguito della vostra esperienza?         Si    vedo le cose con distacco a differenza di prima e delle persone che vedo

Le vostre convinzioni / pratiche  religiose hanno subito particolari cambiamenti a seguito della vostra esperienza?      No     

Dopo la esperienza,  ci sono stati altri eventi o cause, nella vostra vita, assunzione di medicinali o di sostanze, che hanno riprodotto anche parzialmente l’esperienza?        No     

C’è stato qualcos’altro che volete aggiungere riguardo alla vostra esperienza?          no, grazie

Le domande poste e le informazioni che voi avete fornito sono  sufficientemente accurate ed esaustive per descrivere la vostra esperienza? Si    

 

Ricevo comunicazione del saggio pubblicato da un eminente rappresentante del nostro ateneo patavino e sono ben lieto di condividerlo:

 

ESPERIENZE DI PREMORTE

Scienza e conoscenza al confine tra fisica e metafisica

 

Così si intitola l'appassionante saggio di Enrico Facco, che porta esempio della riflessione e dell’analisi introspettiva in tutto quello che fa, sia in privato che nella professione.

Facco è professore di Anestesiologia e Rianimazione all’Università di Padova; è inoltre specialista in Neurologia ed esperto in terapia del dolore, agopuntura e ipnosi clinica.

Professionista accorto, ha condotto numerose ricerche su coma, morte celebrale, stato vegetativo ed è autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche.

La sua ultima opera spazia da testimonianze all’analisi fenomenologica, da aspetti neurochimici alla neurologia e psicologia delle NDE (near-death experiences – esperienze di premorte); segue un’interessante “iter” tra scienza, coscienza e cervello, Io, inconscio, anima, noché i concetti di vita-morte e spazio-tempo.

Il testo è supportato da un’abbondante e minuziosa bibliografia di oltre 500 tra filosofi, scienziati, antropologi.

Non sono passati sotto tono nemmeno i capitoli dedicati alla tradizione giudaico-cristiana ed al buddismo: appassionanti riferimenti storico-filologici e filosofici più che mai attuali.

E proprio utilizzando le parole del Prof. Vinicio Serino che ha redatto l’introduzione del libro: «…è esattamente questo il tipo di indagine che Facco ha avviato, semplicemente l’incipit di un processo, ancora ben lungi dall’essere concluso, intorno alle NDE, le esperienze di premorte, … Consapevole dei territori sconosciuti e molto insidiosi nei quali si accinge a penetrare, Facco avverte molto onestamente quanti sono disposti a seguirlo in questo viaggio che “lo scopo” della sua monografia non è di esporre alcuna tesi interpretativa, fisica o metafisica che sia, ma di analizzare il problema da tutti i punti di vista, con l’obiettivo di superare le fonti di pregiudizio e fornire al lettore una base di riflessione, la più ampia e rigorosa possibile…».

Insomma un libro che offre sicuramente elementi in più per analizzare la “spinosa” questione che da sempre divide le persone o che, più semplicemente, a volte si preferisce non affrontare per non rischiare di dover mettere in dubbio tutto o quasi.

 

 

Edda CattaniN.D.E. Esperienze di pre-morte
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Straordinario ritorno di un figlio

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Il ritorno straordinario

di Giampiero Campana.

 

(Evelina Bencivenga e Gina Campana)

 

 

 

Ero  da poco tempo entrata nella grande famiglia del Movimento della Speranza ed ebbi modo di sentire parlare di Gina Campana e dello straordinario ritrovamento del figlio, mancato tragicamente.

 Ho portato a Cattolica questa Mamma straordinaria, guidata da una Fede inossidabile e anche, oggi sì perché si è dichiarata, la donna-mamma-medium straordinaria Evelina Bencivenga che ha aiutato Gina a ritrovare Gianpiero.

 

Mamma Gina ci ha consegnato fotocopia del documento originale con cui Padre Gino Concetti, uno dei teologi più competenti del Vaticano, ha detto in una intervista: "Secondo il catechismo moderno, Dio consente ai nostri cari defunti, che vivono in una dimensione ultraterrena, di inviare messaggi per guidarci in certi momenti difficili della nostra vita. La Chiesa ha deciso di non proibire più il dialogo con i morti, a condizione che questi contatti siano motivati da seri propositi religiosi e scientifici".

 

 

Sono andata alla ricerca dei documenti passati da internet che riportano tuttora questo caso espostoci prima nel ridotto del Teatro di Cattolica e poi in teatro dalle due protagoniste.

 

Dal Portale di Pignataro Maggiore  1 dicembre 2005:

Intervistata Gina De Matteo la professoressa caiatina che riceve messaggi (tramite medium) dal figlio scomparso tragicamente.

 

Il Caso

 

Una donna della provincia di Caserta

RICEVE MESSAGGI DALL’ALDILA’ CON LA STESSA GRAFIA DEL FIGLIO MORTO 13 ANNI FA!

 

Contenuto dei messaggi sottoposto a tre revisori Canonici della Chiesa e ai Padri Superiori Gesuiti e Dehoniani.

La perizia grafologica è stata effettuata da Jeanne Lecerf, che lavora per il Vaticano e per i tribunali francesi.

E’ risultata la stessa grafia di Giampiero da “vivo”!

 

SUL “CASO GIAMPIERO”, SI’ SONO ESPRESSI IN MODO ILLUMINANTE: PADRE GENTILI, TEOLOGO SCRITTORE; P.MAGNI, SUPERIORE DELLA COMPAGNIA S.PAOLO- VICEPRESIDENTE DEL CENTRO INTERNAZIONALE DI COMPARAZIONE E SINTESI DI ROMA; PADRE MARTINETTI, GRANDE ESPERTO IN MATERIA; PADRE FRANCOIS BRUNE di PARIGI; PADRE PASSIDOMO, GESUITA; PADRE CENNAI, BENEDETTINO.

 

 

Scheda di Padre Guido Sommavilla autore del libro “ DI LA’ QUALCUNO CI SCRIVE”, seconda edizione, pubblicata con licenza dei Superiori e secondo il Decreto di Paolo VI

 

Gesuita a 20 anni, è laureato in lettere(germanistica), filosofia e teologia.

Ha pubblicato articoli e libri di letteratura, filosofia e teologia, con Rizzoli, Rusconi, San Paolo, Jacca Book. Ha tradotto dal tedesco importanti opere di Hans Urs von Balthasar e di Romano Guardini. Già redattore di Letture e Communio; collaboratore di La civiltà cattolica.

 

 

CAIAZZO- (CASERTA)

L’incredibile testimonianza di una mamma casertana

MIO FIGLIO MI SCRIVE DALL’ALDILA’!

Luisa De Matteo da anni tramite una medium, riceve messaggi dal figlio scomparso tragicamente nel 1992

(di Giuseppe Sangiovanni)

 

Di morti che si fanno vedere o sentire, con i classici tre colpi, ne sono piene le storie!

Bufale, montature, leggende, illusioni o trucchi? Forse no. Almeno da quanto vedremo in avanti, nella vicenda raccontata, senza pretendere di spiegare compiutamente un fenomeno che lascia senza fiato.

 

 

 

 

VOLATO IN CIELO A DICIOTTO ANNI

Una storia al limite della credibilità, difficile da raccontare. La storia di un ragazzo, di una mamma, da anni in “corrispondenza”, con il figlio morto tragicamente alcuni anni fa. Una storia straordinaria, appassionante ed inquietante. Secondo i punti di vista. Una vicenda che sfugge alla logica comune, difficile da spiegare con la forza della ragione. Per comprenderla meglio, c’è bisogno di fede. Di tanta fede, unita a prove scientifiche.

Un fenomeno che va studiato ed analizzato, per capire “dinamiche” fai da te. Troppo spesso, “congenite”. Per evitare dissacrazioni e demonizzazioni facili.

La storia di Giampiero Campana, un bellissimo ragazzo, di appena diciotto anni, rapito da un destino crudele: volato nel mondo dei più, il 10 marzo del 1992- che da più di un decennio, invia messaggi divini dall’aldilà ai familiari, servendosi di una medium, “mamma spirituale”, come ama definirla Giampiero nei messaggi inviati alla signora prescelta – che mediante scrittura automatica(una “forza” che muove e manovra misteriosamente la mano, a suo arbitrio), trascrive, pensieri, considerazioni, invocazioni e raccomandazioni – con l’esatta sua grafia.

 

STESSA GRAFIA DI GIAMPIERO DA VIVO

La stessa del brillante e gioviale studente liceale. Il tutto confermato scientificamente dopo esami grafologici e una meticolosa perizia grafica, di un’importante grafologa francese, Jeanne Lecerf, che ha lavorato per i Tribunali francesi e per il Vaticano: che ha fondato nella capitale l’omologa della Societè de Grapfologie Francais- coadiuvata dalla professoressa Tina Beretta Trezzi, docente alla Sorbona di Parigi. Studi su cui ruota la verità e l’autenticità di questa straordinaria storia.

Teatro dell’incredibile vicenda, Caiazzo, comune di seimila anime dell’entroterra casertano.

All’inizio degli anni novanta, Giampiero, brillante studente liceale- fino allora, un giovane allegro, solare, dinamico, intelligente- con tanta voglia di vivere, dopo aver partecipato ad una seduta spiritica- accusa i primi malesseri.

Esperienza che lo segnerà profondamente, che lo farà chiudere a riccio: cupo, triste, taciturno- con la tristezza e la malinconia a farla da padroni. Poca voglia di uscire da casa, abbandonato dagli amici, dalla fidanzata. Emarginato. Chiuso a chiave nella sua cameretta. A soffrire.

Talvolta furioso con le sorelle e l’adorata mamma, Luisa De Matteo, docente di disegno e storia dell’arte, del locale liceo scientifico.

Furibondo, riusciva però sempre a controllarsi. A fermarsi ed evitare il peggio.

“Non sono Giampiero, sono Giaco”!(nome che ricorda Jago, personaggio diabolico di Otello)”!- la sua sorprendente risposta, dopo gli affettuosi richiami della mamma.

 

Mai la mamma, le sorelle, il padre, funzionario della Regione Campania- avrebbero immaginato, il gesto disperato del loro caro, lanciatosi dal terzo piano della sua abitazione, “volato in cielo”, prima di impattare sul cemento.

Agli occhi dei medici del pronto soccorso di Caserta, il corpo del giovane risultato intatto: senza un graffio, una tumefazione, un’ecchimosi. “Senza evidenti importanti lesioni esterne”- come attestò il dott. Alfonso Marra. Era il 10 marzo 1992.

 

“DITE A MAMMA CHE NON DEVE DISPERARSI”

 

Una settimana dopo l’evento luttuoso, la medium- dotata di carisma nuovo, spontaneo, insolito, riceve il primo messaggio di Giampiero: mai conosciuto in vita.

“Voi dovete telefonare a mia mamma Gina Campana a Caiazzo e dirle che sono suo figlio Giampiero, che sono vivo e salvo e che non deve disperarsi”.

Intercettazioni medianiche, messaggi che comincerà, dopo titubanze e timore di essere presa per folle a consegnare alla signora Luisa, alcuni mesi dopo.

Dotata di una visione bilocata retrospettiva: come si dice in gergo. Trovatasi diverse volte in due luoghi diversi in simultanea. “Rapita” dal cielo per aiutare angeli in missione sulla terra- come si legge in una dotta pubblicazione sul caso.

Dono della bilocazione (lo stesso di Padre Pio, che lasciava il corpo a casa e viaggiava per apparire a km di distanza) – provato e verificato personalmente dal gesuita Padre Guido Sommavilla S.J, autore del libro “ DI LA’ QUALCUNO CI SCRIVE”- edizioni Dehoniane, dedicato a Giampiero Campana, pubblicato alla fine degli anni novanta. Un’ampia analisi e valutazione sul Caso Giampiero, sul contenuto dei messaggi, sottoposto a tre revisori Canonici della Chiesa e ai Padri Gesuiti e Dehoniani. Un’antologia che comprende una parte delle lettere-messaggio, inviate per la maggiore alla mamma naturale.

 

Edda CattaniStraordinario ritorno di un figlio
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