Padre Alberto Maggi è con noi a Padova il 23/24 Maggio per il tema: I PRANZI DI GESU’
Fra i tanti brani commentati:
I DISCEPOLI DI EMMAUS E IL PANE SPEZZATO.
I discepoli di Gesù sembrano essere più delusi della sua risurrezione che della sua morte.
Gesù era morto nella maniera più infame per un ebreo, e la sua fine era la prova che non era il Messia di Dio, perché questi non avrebbe mai incontrato la morte .
Pazienza, vorrà dire che i discepoli si erano sbagliati, che non era lui l’Atteso, colui che doveva venire, e ora c’era solo da stare in attesa di un altro .
A quel tempo ogni tanto sorgevano individui che asserivano di essere i liberatori d’Israele. C’era stato Teuda, al quale si aggregarono circa quattrocento uomini, ma anche lui “fu ucciso, e quelli che si erano lasciati persuadere da lui furono dissolti e finirono nel nulla” (At 5,36). Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, pure lui indusse la gente a seguirlo, “ma anche lui finì male e quelli che si erano lasciati persuadere da lui si dispersero” (At 5,37), come i discepoli di Gesù, che rischiano ora di disperdersi e di finire nel nulla, in attesa del prossimo Messia, quello che avrebbe finalmente restaurato il defunto regno del re Davide.
Ma se Gesù è risuscitato, significa che non c’è da aspettare un altro Messia, e allora addio sogni di gloria, addio alle profezie della supremazia di Israele sui popoli pagani. Se Gesù è risuscitato significa che bisogna abbandonare l’illusione del ritorno del regno d’Israele, il tempo in cui ci sarebbero stati “estranei a pascere le vostre greggi e figli di stranieri saranno vostri contadini e vignaioli”, quello in cui Israele si sarebbe nutrita “delle ricchezze delle nazioni” e avrebbe “succhiato le ricchezze dei re” (Is 61,5.6. 60,16).
Direzione sbagliata
Alle prime voci della possibile risurrezione del Cristo, la sua comunità dà prova di confusione e di dispersione, e i suoi discepoli lo vanno a cercare nelle direzioni sbagliate. Le donne lo cercano nel sepolcro, e trovano la strada sbarrata da due uomini “in abito sfolgorante”, che chiedono: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24,4.5). Gesù, “il Vivente” (Ap 1,17), non si trova nel luogo della morte.
I discepoli invece si dirigono verso Èmmaus, luogo che ricordava loro i gloriosi trascorsi d’Israele, il passato al quale non rinunciano e che alimenta i loro sogni. Ma il Signore “che fa nuove tutte le cose” (Ap 21,5) non lo si può cercare nel passato.
La comunità dei discepoli, come un gregge senza pastore, si è dispersa, ognuno va per conto suo, e sarà Gesù, il pastore, che dovrà andarli a cercare e recuperarli a uno a uno.
Per questo si avvicina, non riconosciuto, ai di-scepoli che se ne vanno verso Èmmaus, villaggio carico di storia e di ricordi, luogo che vedono come un balsamo per la loro cocente delusione. È là, infatti, che circa due secoli prima “i pagani furono sconfitti” da Giuda Maccabeo, vittoria che avrebbe fatto capire a tutte le nazioni “che c’è chi riscatta e salva Israele”, e venne celebrata come il “giorno di gran-de liberazione per Israele” (1 Mac 4,11.25).
Gesù si affianca ai discepoli, “ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo” (Lc 24,16). Essi guardano indietro, al passato, al regno di Israele, e non possono percepire la presenza di Gesù, che li vuole aprire a orizzonti più vasti, al regno di Dio. Piangono il morto, non possono riconoscere colui che è vivo.
I discepoli sono tristi, e alla domanda di Gesù di che cosa stiano parlando, uno di loro, Clèopa , gli risponde stupito: “Solo tu sei forestiero a Gerusalemme? Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni? (Lc 24,18). E racconta al forestiero di quel che è accaduto a Gesù, il Nazareno, “che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo” (Lc 24,19).
Da quel che il discepolo gli sta dicendo, Gesù si rende conto che i suoi seguaci hanno capito poco o niente di lui. Per essi è un profeta, come Giovanni (Lc 20,6), un “grande profeta”, come pensava la gente (Lc 7,16), ma nulla di più.
Continuando a narrare allo sconosciuto i fatti di quei giorni, Clèopa gli racconta di come “i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso” (Lc 24,20).
Già, “le nostre autorità…”.
I discepoli non hanno rotto con un’istituzione religiosa assassina, e continuano a riconoscere i capi religiosi come le loro autorità. E Clèopa, nell’aggiornare il forestiero che, a quanto pare, è digiuno dei fatti accaduti, dà sfogo a quella che era stata la frustrazione di tutti i discepoli: “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele” (Lc 24,21).
Ecco il motivo della grande frustrazione e dell’incomprensione di Gesù. I discepoli lo hanno seguito nella convinzione che lui fosse il liberatore di Israele, una sorta di novello Giuda Maccabeo che avrebbe sconfitto i pagani.
Inutilmente Gesù ha parlato loro del regno di Dio. Quel che a essi interessa è il regno di Israele.
“Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?” (At 1,6) sarà la richiesta dei discepoli dopo che il Cristo risorto, durante qua-ranta giorni, parlò loro “delle cose riguardanti il regno di Dio” (At 1,3).
Gesù parla del regno di Dio, ma ai discepoli interessa quello di Israele.
È sconsolato Clèopa, ha perso le speranze, e sono già passati tre giorni da quando tutto questo è accaduto. È vero, ammette, che alcune delle loro donne, recatesi al sepolcro e non avendo trovato il corpo di Gesù, “sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo” (Lc 24,22-23), e qui il racconto del discepolo si fa reticente: omette di dire che le parole di quelle donne “parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse” (Lc 24,11). La testimonianza di una donna non era credibile, figuriamoci se annuncia un fatto strabiliante come la risurrezione di un morto. Comunque alcuni dei discepoli sono andati alla tomba, “ma lui non l’hanno visto” (Lc 24,24). Non lo possono vedere. Non si può cercare chi è vivo nel luogo dei morti.
A questo punto le informazioni raccolte dal forestiero sono sufficienti per farlo intervenire, e lo fa apostrofando i due con severità: “Stolti e lenti di cuore” (Lc 24,25).
Per Gesù quella dei suoi discepoli è stupidità e testardaggine.
Come non hanno potuto capire che la sua fine non era stato un fallimento, ma il compimento del disegno d’amore di Dio sull’umanità, un progetto d’amore che era stato rivelato nella Sacra scrittura, che Gesù ora ricorda ai discepoli (“E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24,27).
È Gesù la chiave di interpretazione della Scrittura.
Questa si rivela nel suo più vero e profondo significato solo se letta nell’ottica dello Spirito, ovvero l’amore incondizionato di Dio verso l’uomo. Se non si pone come valore assoluto della propria vita il bene dell’uomo, la Scrittura non si rivela, è come se un velo fosse steso sulle parole, impedendo agli uomini di comprenderle .
Giunti verso la mèta dove i discepoli erano diretti, il forestiero “fece come se dovesse andare più lontano”(Lc 24,28). Gesù si dirige verso il nuovo, non verso il passato, ma lui è anche il pastore che non abbandona le pecore che rischiano di perdersi, e accetta di fermarsi con essi, accogliendo la loro richiesta: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto” (Lc 24,29).
È sera, il momento della cena, e il forestiero, a tavola con loro, “prese il pane, benedì, lo spezzò e lo diede loro…” (Lc 24,30). Sono gli stessi gesti compiuti da Gesù nell’ultima cena con i suoi discepoli , e finalmente “si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (Lc 24,31).
Torna loro la memoria . Riconoscono Gesù quando si fa pane, alimento di vita per i suoi. Ma nello stesso istante nel quale i discepoli si rendono conto della sua presenza, lui diventa invisibile . Non c’è più nulla da vedere, se non un pane spezzato da condividere.
Gesù non scompare, ma sarà sempre visibile ogni volta che il pane sarà spezzato per farne alimento di vita e di condivisione.
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