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Il “perdono”: riflessioni

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Nella cronaca, di qualche anno fa due casi tanto diversi

di “richiesta di perdono”

Un Papa che chiede perdono:

“Mai più abusi”

 CITTA’ DEL VATICANO – Come il pastore, che “ha bisogno del bastone” per proteggere il suo gregge, e del “vincastro che dona sostegno ed aiuta ad attraversare passaggi difficili”, anche la Chiesa “deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti”. Lo ha detto papa Benedetto XVI alla messa per la conclusione dell’Anno sacerdotale. “Proprio l’uso del bastone – ha aggiunto – può essere un servizio di amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale”.
Un chiaro riferimento ai sacerdoti colpevoli di abusi in passato coperti da alcune componenti della gerarchia cattolica. E proprio parlando dei casi di pedofilia, nel corso della celebrazione il Papa aveva chiesto “perdono a Dio e alle persone coinvolte” e promesso “di voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più”.

  

Caso Onofri, Alessi: «Chiedo perdono, ma non ho ucciso io Tommy»

«CHIEDO PERDONO» – Alessi ribadisce la sua «innocenza» in un’intervista alla Gazzetta di Parma. Da fine marzo, l’uomo è rinchiuso nel carcere di Prato (è da solo in cella, legge e lavora a un nuovo memoriale): chiede perdono alla mamma di Tommy, Paola Pellinghelli, «per tutto il male che le abbiamo fatto e che io le ho fatto». La risposta della donna è un «no»: «Non me la sento di perdonare, e forse non lo farò mai. Voglio solo che sconti la sua pena. Vorrei che lui e gli altri pagassero fino in fondo e dicessero la verità».

 

Un motivo per trarre alcune riflessioni:

 

 

Il perdono cristiano

 
[NADIA BONALDO]
Ci sono sempre parole che feriscono, suscettibilità che si urtano. Chiedere e accogliere il perdono è un processo umano e un percorso divino. Comincia con un atto di coraggio e, trasformando le relazioni umane, possiede la capacità di rivelare il volto originale di Dio.

Chiedere perdono come anche perdonare non sono azioni spontanee, naturali. Sono valori entrati a far parte della cultura cristiana e che il cristiano è chiamato a vivere con la forza che scaturisce dalla vita nuova ricevuta con il Battesimo.

 “Ma lei ha perdonato coloro che hanno ucciso, il figlio… il marito?…”
“ E lei ha chiesto perdono alla famiglia?”.
Quante volte, a seconda dei casi, abbiamo sentito porre dai giornalisti questi tipi di domande  a coloro che sono ancora straziati da un dolore o che hanno appena commesso un reato!
E quante volte abbiamo disapprovato la mancanza di tatto in momenti così delicati avvertendo, anche inconsciamente, che il perdono da chiedere o da ricevere non è automatico ma un processo lento, progressivo, che coinvolge tutta la sfera della persona. Ci risulta faticoso chiedere perdono perché la nostra società incoraggia a salvare la faccia, a giustificarci in ogni caso, a dare prova di spirito di potenza, a non incontrare la propria debolezza. Ammettere di aver sbagliato, infatti, presuppone una grande attenzione alla propria interiorità e ai propri valori, tanto morali quanto spirituali.

Per un perdono senza equivoci

Perdonare non significa pronunciare la parola magica del perdono  e magari aspettarsi un effetto istantaneo, anch’esso magico. Può essere facile pronunciare la parola perdono, ma ha poco valore se non c’è il cuore, se non è coinvolta tutta la persona. L’atto della volontà è necessario (come diceva sant’Agostino)  ma non è sufficiente. Sono indispensabili risorse come l’intelligenza, il cuore, la sensibilità, il buonsenso, altrimenti risulta un perdono artificioso. Ciò richiede una generosità tale che ci si deve rimettere a un’istanza superiore , a un Altro, a Dio per poterlo realizzare.
Il perdono dipende quindi da un’azione umana e da un’azione divina in cui ciascuna vi apporta il proprio contributo, ed entrambe sono indispensabili.

Perdonare non significa dimenticare il torto subito. Spesso sentiamo dire: «Va bene, dimentichiamo, voltiamo pagina, perdoniamoci… ». In questo caso non si avrebbe niente da perdonare. Esercitare il perdono esige invece una buona memoria e una coscienza lucida dell’offesa. Anzi, alcuni suggeriscono di ricordare, anche dettagliatamente, il torto ricevuto per poterci liberare delle ferite che esso può aver provocato. In effetti, se si giunge a perdonare un’offesa ciò significa che il suo ricordo non ci causa più sofferenza ma sarà un ricordo come un altro che contribuirà ad acquistare maggiore saggezza. “Il perdono non è dimenticare le colpe del passato, ma un dilatarsi del cuore in uno scambio di vita” (Giovanni Vannucci).

Perdonare non significa negare o sminuire l’offesa subita dicendo: «Non è grave! Ho le spalle larghe, ci vuol ben altro per lasciarmi abbattere! ». Quando si riceve un duro colpo, specie da persone a noi care, una delle reazioni più frequenti consiste nel difendersi dal tumulto di emozioni che emergono in noi, negando che ci sia stata l’offesa. Ma questa reazione non si chiama perdono bensì rimozione e non c’entra nulla con il perdono cristiano.

Perdonare non significa abdicare ai propri diritti. Nel vangelo Gesù dice:
“Sapete che fu detto: occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due” (Mt 5,38-41).

Charles Duquoc, commentando questo brano, afferma che Gesù non è un ingenuo, non comanda la passività, non chiede di rinunciare alla lotta contro il male. Egli vuole mostrare che l’equivalenza nel male, fosse anche nel nome della giustizia, non trasforma la società umana. Ci vuole un atteggiamento che non si misuri su quanto è già stato fatto: occorre un gesto innovativo, un gesto creatore.
Il perdono rappresenta questa innovazione.
Il credente imita Dio creatore quando, tralasciando l’imperativo della giustizia legale, apre un’altra relazione con colui al quale egli perdona. Così il perdono, trasformando le relazioni umane, possiede la capacità di rivelare il volto originale di Dio. Il perdono comincia con un atto di coraggio.
Perdonare e accogliere il perdono sono gesti creatori che manifestano gli effetti della vita nuova che lasciamo emergere in noi.

Dai Padri della Chiesa
“L’animo sia ben disposto, umile, pieno di misericordia, facile a perdonare. Chi sa di avere offeso, chieda perdono. E’ indubbiamente assai meritevole perdonare le colpe al fratello, come il Signore perdona le nostre. E’ solo questione di volontà. Qualcuno può dire: “Ho mal di stomaco: non posso digiunare”, oppure: “vorrei dare qualcosa ai poveri, ma non posso, ho appena il sufficiente per me”. Ma chi oserà dire:”Non concedo il perdono a chi me lo chiede perché la salute non me lo permette, o mi manca la mano con cui stringere la sua?” . Perdona e sarai perdonato. Non si richiede uno sforzo fisico: L’anima non ha bisogno di fatica muscolare per compiere quanto le viene richiesto. Essendo scritto: Non lasciate tramontare il sole, senza che abbiate prima perdonato (Ef 4,26) ditemi, fratelli carissimi, se può chiamarsi cristiano colui che non vuol finirla con i rancori, che non avrebbe mai dovuto alimentare” (Agostino, Sermone 210,12).

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Edda CattaniIl “perdono”: riflessioni

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  • Ponte di Luce - 12 luglio 2010 reply

    Penso che il massimo del perdono è arrivare al punto di non aver neanche bisogno di perdonare. Dai amici,  prima o poi ce la facciamo. Un abbraccio immenso a tutti.

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