L'attesa della Resurrezione
Dopo un inverno intenso ed estremamente lungo ci ritroviamo a guardare con stupore il risveglio della natura. Ai bambini delle scuole si insegnano le poesie che, quasi un merletto, elaborano la meravigliosa trasformazione del seme che genera la vita e del fiore che precede la nascita del frutto. E’ un’aria nuova, frizzantina e giocosa che conforta il cuore e, guardando il cielo con le nuvole di panna montata e i suoi improvvisi offuscamenti, avvertiamo un’attesa, una speranza che ci rende più fragili e sensibili. La primavera è l’immagine dell’alba della vita e la trasformazione della terra invita alla speranza cristiana nella certezza che Gesù risorto ci esorta a percorrere un cammino verso la realizzazione del nostro fine: l’incontro beatificante con Dio.
Questa foto rappresenta il chiostro di Casa Madre Teresa di Calcutta, dove è ospite il mio amato sposo. Ancor più che in altri, in questo luogo di sofferenza, si respira il desiderio di infinito, l'ansia del volo verso eterne mete, la rinascita del corpo e dello spirito.
La Pasqua e la resurrezione che, in questi giorni, celebriamo, ne è il pegno e il sostegno. “Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede e noi saremmo in tutti i nostri peccati” dice S.Paolo. (1 Cor. 15,17) Per noi, che abbiamo provato la tristezza della morte, è difficile annunciare al mondo la gioia della salvezza che fa parte della funzione profetica del cristiano, ma il Cristo ha veramente vinto la morte ed è risorto per dirci: “La vostra tristezza si cambierà in gioia… e la vostra gioia nessuno potrà togliervela”. (Gv. 16,20)
Questo richiamo alla vita è un segno forte del grande valore della vita stessa, di ciascuna vita, vita al suo nascere, vita dirompente nella sua primavera, vita giunta ormai al limite delle forze umane. La vita è una relazione di affetti che la fa esprimere nella sua indescrivibile unicità, è risorsa per comuni intenti, per progetti, per pianificazione degli interventi. Nella famiglia poi, dove i legami si accentuano per consanguineità, per percorsi temporali identici, per affinità culturali ed ambientali, la vita diviene spazio insostituibile e permanente. Anche quando l’individuo sceglie di abbandonare il tetto familiare per costruirsene uno proprio, rimane sempre quella effettiva presenza, quello strumento, quell’abitudine che si incide come impronta identificativa di un essere passato, ma ancora e sempre presente.
Di qui nasce la caparbietà di noi madri, orbate innanzi tempo delle nostre creature, di mantenere un vestito appeso ad una gruccia, un profumo in un oggetto, tante foto nelle cornici di tutte le dimensioni: “Ecco, mio figlio, era qui, era questo”. Ma il figlio, il nostro caro che sembra essersene andato per sempre, non è in quelle cose, che, con nostro rammarico divengono polverose ed inutili; quella creatura tanto amata è presente, purissimo spirito di Luce, è vicino a me, mi è addosso come una seconda pelle e …. quando Dio lo permette, mi parla e mi si manifesta: “Mamma avanti, ti sono vicino! Papà coraggio, fatti coraggio!”
In questi giorni che precedono la Pasqua sono andata nella cappella di Andrea ed ho preparato “il mio sepolcro”; Cristo viene deposto nella tomba, come mio figlio, dietro quella lapide marmorea. L’ho rivestito di fiori bianchi, gli ho portato il pesco con le colombine e l’ulivo ed ho messo a terra un cestino con i pulcini e le uova decorate. Mentre delicatamente compivo questi gesti, con atto oserei dire “religioso”, occhi invisibili mi osservavano ed un sorriso tenero accompagnava ogni mia azione: “Mamma tenera, mamma cara, mamma adorata…”.
Oh, so bene, Andrea mio che non sei dentro quella lapide, so anche che a te non serve tutto questo, ma le mie povere mani non hanno più doni da offrirti se non la mia stessa vita, le azioni di ogni giorno, le mie giornate fatte di corse e di impegni. E’ tutto per te figlio mio e queste piccole cose non sono che la manifestazione del mio sacrificio. Ti metto vicino anche il pensiero del tuo Papà che non è mai mancato di farti visita, ogni giorno, prima di ammalarsi.
Gesù benedetto e la Sua diletta Madre, Maria, che, nel sepolcro, l’ha ricoperto di unguenti e lini, possono capirmi e prepararmi al giorno in cui saremo tutti uniti per sempre!
1 comment
Join the conversationEdda Cattani - 5 aprile 2011
Ricevo e non posso fare a meno di condividere con i fratelli, il commento del nostro amico P.V. che ci segue con tanta consolante partecipazione e intensità di fede. Amico mio, la sua preghiera è la più bella elevazione che l'animo può fare nel momento del dolore, nell'attesa gioiosa della Resurrezione. Un grazie riconoscente E.C.
Cara amica, voglio semplicemente accompagnarti ai piedi di quella pianta presente nel chiostro di Casa Madre Teresa di Calcutta, per esserti vicino in quest’attesa che rende più fragili e sensibili.
Se poggi le mani su quei fusti che si divaricano verso lati differenti (V) ascolterai la stessa linfa che ne percorre le opposte direzioni, quasi metafora di percorsi e rinascite differenti, ma accomunate dallo scorrere dell’identica (V)ita.
Con affetto metto a tua disposizione le piccole risorse della mia vita: l’azione di pensarti spesso, di ricordare il tuo amato sposo (Venite Angeli di Dio. Scendete per raggiungere Mentore. Chini su di lui abbracciatelo, sostenete sul vostro petto il suo soffrire, accarezzategli la fronte e tutto il corpo, fino a quando un sorriso sereno si espanderà sul viso. Amen.), di gioire serenamente per il manifestarsi di Andrea.
Un abbraccio di sole! (P.V.)