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LA MATRIARCA

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LA  MATRIARCA

(VALE LA PENA UNA RIVISITAZIONE DEL 2011)

Ovvero: Anche le Nonne hanno un Angelo di Luce. Auguri Nonna Lina!

L’avevano chiamata “Natalina”, forse in onore del nonno “Natale” o, forse, perché a quei tempi, i riferimenti alle grandi festività religiose sembravano portare bene. Così era cresciuta Natalina che tutti chiamarono, fin dall’inizio, Lina e che aveva conosciuto il suo intero nome solo quando fu iscritta alla prima elementare.  Crebbe intelligente, brava ed operosa e frequentò le scuole fino alla settima classe quando il padre  perse ogni avere, a seguito di un’alluvione e la famiglia, costretta a lesinare ogni spesa, mandò Lina ad imparare un mestiere. Fu indirizzata alle migliori sarte dove, allora, si pagava per imparare. “Quanto ho lavorato e quanto ho imparato!” era solita dire.

Così divenne maestra a sua volta, dopo essersi rimboccata le maniche per far fronte al bisogno. La sua mamma era morta giovanissima e Lina dovette pensare alla sorellina orfana, al padre ormai ammalato, alla casa, al fratello maggiore. Furono anni duri, ma lei, sempre a testa alta, trovava conforto nel lavoro e nell’opera preziosa delle sue mani che sapevano, da uno scampolo di stoffa, ricavare meravigliose creazioni che poi indossava. Erano abiti a balze, con leggere sfumature ed intarsi, che poi giunse ad esibire, quando, ormai giovane donna, cominciò a frequentare La Saca, il Circolo cittadino, dove si ballava. Fu lì che conobbe un bel giovane, povero quanto lei, dal nome Lino, un diminutivo come il suo.

E Lina continuò a lavorare sempre, senza sosta, per provvedere alla famiglia che si era costruita. Lavorava e guardava ancora avanti, dritta, altera, volonterosa ed orgogliosa di farsi ammirare per le sue doti non indifferenti di intelligenza, di caparbietà e di coraggio. Poi ci fu la guerra, la seconda grande guerra e tutti rimasero senza un tetto e Lino, con un carretto di suppellettili, condusse la giovane moglie e la loro bambina in campagna per essere protetti dalle terribili incursioni aeree.

Lina era giovane e bella e le piaceva vestire come la figlioletta, con vesti colorate e arricciate; allegra e fiduciosa, cantava le festose musiche dell’epoca: operette e lirica. Lei cantava e Lino ballava, per non pensare alla disoccupazione, alla miseria, alla fame. Poi nacque un altro bimbo, Pietro, che fu accolto da tutti con grandi aspettative, ma Lina fu costretta lungamente al riposo. Sembrava non doversi rialzare, ma come una quercia colpita e non abbattuta, seppe rinverdire, per amore dei suoi cari, incurante del passare dei venti impetuosi e, guardando sempre avanti, seppe  costruire, un poco alla volta, l’avvenire e la sicurezza della famigliola.

Non durò a lungo questo stato di grazia; ben presto Lino, il suo fedele, adorato compagno la lasciò e tutto sembrò crollare. Lina lo vide sfinirsi giorno dopo giorno. Come una belva ferita si chiuse in quel nuovo dolore più grande di lei e si avvitò intorno a quella spina dorsale troppo eretta per guardare anche a terra, più in giù, più in basso, finché non si rese conto di avere ancora dei doveri da compiere. Le era accanto il figlio, il suo adorato Pietro, che doveva ancor crescere e ne fece quello che fu il suo orgoglio: “il suo  ingegnere”.

La figlia era lontano ormai, in un’altra città ed aveva avuto delle splendide creature. Quella figlia ero io e Lina era mia madre, la nonna dei miei figli. Perché non dobbiamo parlare mai delle nonne? Perché dobbiamo pensare che le gioie ed i dolori siano patrimonio esclusivo delle madri?

Lina non era stata una nonna come le altre. Andrea la chiamava “la nonna sprint”, ma la ammirava e la ricordava spesso. Nonna Lina l’aveva portato a passeggio durante il soggiorno al mare, l’aveva cullato quando, dopo un’ennesima corsa ed una risata, si addormentava nelle sue braccia;  l’aveva ammirato nella sua figura statuaria, con la divisa da ufficiale, quando era cresciuto tanto da sovrastarla, tenendola sotto l’ascella. Lei lo guardava alzando lateralmente la testa e gli diceva: “Ma Andrea, non ti riconosco più! Ti ricordi quando ti portavo a passeggio e ti cantavo la ninna-nanna?”

Andrea le sorrideva, con quell’espressione serena che aveva sempre, con quella tenerezza che sapeva usare con le cose fragili… la sua nonna che sembrava essere una porcellana di bisquit. Lui l’avrebbe protetta, lui sarebbe andato da lei, ora che aveva la patente. Si erano visti poco negli ultimi tempi, ma Nonna Lina riscuoteva la sua ammirazione perché ancora accentrava l’attenzione di tutti; lei sapeva, all’occorrenza, guidare, con autorità e competenza, la barca di tutta la famiglia. La Matriarca era lei, capace di comandare a tutti, di pagare chi doveva accudirla, di farsi servire e rispettare.

La chiamavano Signora Lina ora, ed era persona nota e degna di stima. Aveva raggiunto, con il conquistato benessere economico, la soddisfazione di poter dire: “Queste sono le mie opere, il frutto del mio lavoro: la mia bella famiglia, la mia casa, le mie creature…!”. 

Ma un mattino il risveglio fu triste come mai era avvenuto. Qualcuno fu incaricato di dirle che Andrea se ne era andato, era andato via per sempre. Lina ruggì forte allora, impotente, questa volta, a far fronte all’ineluttabile. Non fu tanto il nipote che le venne a mancare, ma l’opera migliore della sua vita, il “figlio della figlia”. Questo no, questo non poteva, non doveva essere; questo era davvero troppo.

Lina non ebbe più nulla da dire, più niente da dimostrare. A  nulla erano valsi il suo operato, le sue sofferenze, i sacrifici, le lotte… tutto per i figli… i figli. Ed ora i figli dei figli. Si chiuse in casa, lasciò il lavoro, le chiacchiere a confronto delle ricchezze avute, l’ostentazione della bellezza e del benessere. Più giù, sempre più in basso; non fu più capace di levare lo sguardo da terra e cominciò ad incurvarsi tanto da non essere più in grado di alzare gli occhi.

Troppo in alto aveva guardato, troppo grandi gli spazi ove aveva mirato il suo ardire. “Signore, quando sarò di là, tu ne avrai da dire a me; ma io ne avrò da dirti…” e scuoteva la mano in aria, convinta di avere diritto di dire le sue ragioni anche al Padre Eterno. Ma Andrea era nell’aria, ormai, e Nonna Lina sapeva chiamarlo.

Chi ha detto mai che i giovani stabiliscono il contatto prima di tutto con le madri? Nonna Lina ne prese la foto della Prima Comunione e la mise su una mensola. Ogni sera lo salutava, prima di andare a letto ed ogni mattina la foto era girata nel verso opposto. Andò avanti giorno dopo giorno, rimettendola a posto, convinta più che mai che Andrea volesse, con quel segno esclusivo, noto a lei sola, salutarla. Imparò ad accorgersi di ogni particolare, ad avvertire ogni indizio, e, con la sensibilità che si accentuava,  a dare conforto a chi soffre, a sgranare il Rosario pregando la Madonna, ad invocare l’aiuto del Santo delle stimmate, Padre Pio.

Ora Nonna Lina è ancora più curva. Sembra toccare a terra, alcuni giorni. Lei, avvezza a guardare in alto e avanti, deve seguire i passi, sempre meno spediti, delle sue pantofole. E’ abbassato l’occhio, ma è vigile l’orecchio della Matriarca, pronto a cogliere i sospiri, gli affanni, le preoccupazioni dei figli. E’ lei ancora, piccolo fagotto di lana opalescente, dalle rosate sfumature, dallo voce tremula a volte e dalle mani carezzevoli, a seguire, trepida, i nostri passi.

Ora Nonna Lina legge l’Aurora e parla dei Figli di Luce e della loro dimensione di cui crede di avere una priorità per “diritto di nascita”. Lei dice che, ne è certa, quando verrà l’ora in cui dovrà lasciare questa terra, gli Angeli di Luce le andranno incontro, con tutti i suoi cari che l’hanno preceduta nella dimensione eterna.

E chi può dubitare che, fra tutti e prima degli altri, non ci siano proprio Loro, i Ragazzi di Luce, con il nipotino Franco, i giovani delle Mamme della Speranza e il mio Andrea che, davanti a Loro, sarà il primo a correre ad abbracciare e ad accogliere la sua Nonna Sprint?

E Lina, tornata giovinetta, nella sua veste rossa a fiori e balze, lo stringerà sul cuore, in quella dimensione in cui le distanze si annullano, gli anni non esistono e gli affetti della nostra vita terrena si ritrovano nel perenne amplesso dell’amore di Dio.

 

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Edda CattaniLA MATRIARCA

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