Mi sono imbattuta quasi per caso in questo libro e sono giunta ad approfondire questa tematica tanto affine alla mia ansia di spiritualità contemplativa. Come si saluta una Madre? Una Badessa? Una donna con il velo? Forse tacendo. Forse scrutandone il volto, leggendovi una pace sconosciuta, una delicatezza che medica ogni remora, ogni caduta, una speranza che ha il respiro di una sua lirica: «Ho tanto taciuto / sepolta nel grande silenzio / buio. / Oggi risalgo / dal fondo di tanta pazienza / perché sento che in alto / dev’esserci il mandorlo in fiore».
Madre Anna Maria Cànopi è la pietra angolare dell’Abbazia Mater Ecclesiae. Da quarant’anni, da quando scelse di rinnovare la Croce nell’isola di San Giulio d’Orta. Dove fede e leggenda (e storia) insieme stanno, nei secoli dei secoli. Assistendo, prima, alla resa di draghi e serpi, poi alla rinascita (alla risurrezione) del rodariano Barone Lamberto.
La badessa vive da quarant’anni a Orta: tra ricordi e poesia, meditando Sant’Agostino, Turoldo e Edith Stein
È nata nel Piacentino, Madre Cànopi, ma è cresciuta nel Pavese. Laureandosi alla Cattolica, una tesi sul filosofo cristiano Severino Boezio, ovvero «la bellezza è consolatrice». Ulteriori sue bussole? «Sant’Agostino, la verità, l’amore, che è sete di Dio. E le mistiche: Gertrude, Ildegarda, Teresa…E Edith Stein. Mi si propose di scrivere una lettera agli ebrei. Declinai l’invito, già ne esiste una… Immaginai, però, una lettera a un’ebrea, a Edith, magistrale la sua scientia crucis. Mi impegnò dal 9 agosto all’Assunta».
Donna di Parola, Madre Cànopi, che ha tra l’altro collaborato alla nuova versione della Bibbia. Biblista princeps, il cardinal Martini: «Un lettore, un traduttore, un esegeta splendido». E padre Michele Pellegri no, come Lei studioso egregio di Patristica? La mano della Badessa si leva, non benedicente, ma allontanante qualsiasi refolo d’orgoglio: «Ne sarà fraintesa l’attenzione al mondo operaio, che i tempi gli ispirarono. Ma era un sicuro uomo di Dio».
Descrizione
«Partendo dal Cantico dei Cantici e leggendo nel nostro cuore, vogliamo cercare di scoprire qual è l’itinerario dell’anima verso Dio, dopo che è stata toccata dalla sua grazia». Così Madre Cànopi apre questa lunga e puntuale meditazione su uno dei libri più belli e misteriosi della Bibbia, sul quale i più grandi mistici hanno sparso parole appassionate e sconvolgenti. Con la sua semplicità profonda, l’autrice ci conduce a cogliere il mistero del “libro d’amore” biblico, che può essere raccolto in un’unica frase, che dà il carattere della stessa carità divina: «L’amore discende, attira ciò che è in basso e lo solleva» a sé. «Chi non è preparato a patire, a soffrire rimanendo fedele a colui che ama, non è degno di essere chiamato “amatore”».
PREFAZIONE
È nota l’affermazione di Rabbi Aqiba a proposito del Cantico dei Cantici: «Il inondo intero non è tanto prezioso quanto il giorno in cui fu dato a Israèl il Cantico dei Cantici, perché tutti gli scritti sono sacri, ma esso è il sacro per eccellenza» (Mishnà Jadayim, 3,5).
Se questo è vero, chi oserebbe accostarsi a questo canto senza sentirsi sopraffatto dall’emozione e dal timore di profanarlo? Esso racchiude tutta la poesia, la musica e la bellezza dell’Amore, di quell’Amore fontale da cui trae origine ogni cosa e al quale ogni creatura anela a ritornare per immergersi nella sua beatitudine e nella sua pace. Soltanto i mistici possono comprendere e gustare questo Cantico; è perciò con umiltà e tremore che esprimiamo quanto l’ascolto, la meditazione e la contemplazione di esso ha suscitato in noi.
In questo poema insieme idilliaco e drammatico, Israele scorgeva la sua storia d’amore con Hashèm, il suo Signore, dal tempo del fidanzamento — l’uscita dall’Egitto e la traversata del deserto — all’alleanza sancita nella Terra promessa, ma è ancora in attesa del giorno delle nozze… A noi cui è stato dato di credere all’Amore pienamente svelato — poiché in Cristo Gesù, Verbo Incarnato, Dio si è misticamente unito all’umanità — rimane solo di attendere l’ora in cui il velo sottile del mistero si squarcerà per lasciarci vedere l’Amato nel suo pieno splendore.
Questi spunti meditativi — nati all’interno di un ritiro spirituale — sono davvero una inezia di fronte ai preziosi commenti del Cantico che già esistono, ma se giovassero almeno a tener viva in noi e in qualche altro pellegrino sulla terra la nostalgia del Volto che vedremo in Cielo, potremmo cantare con gratitudine e gioia: «Così sono ai suoi occhi I come colei che ha trovato pace» (Ct 8,10).
Isola San Giulio, 25 marzo 2000
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
Il tocco misterioso di Dio
Partendo dal Cantico dei Cantici e leggendo nel nostro cuore, vogliamo cercare di scoprire qual è l’itinerario dell’anima verso Dio, dopo che è stata toccata dalla sua grazia.
Ricercheremo innanzitutto dentro di noi il cammino che, nel suo amore, il Signore ha compiuto, e ancora va compiendo, per attirarci a sé. L’amore discende, attira ciò che è in basso e lo solleva, lo fa salire.
Il primo momento di questo itinerario è quello della improvvisa folgorazione, del tocco misterioso e profondo di Dio nell’anima, il momento inesprimibile che ciascuno sente e ricorda come quello più decisivo della sua esistenza, ma che non sa descrivere né ridire, anzi non lo sa nemmeno spiegare a se stesso. È come un tocco di calamita che orienta per sempre, decisamente, un’esistenza verso il suo fine, che dà al fiume di una vita il suo corso e lo conduce verso la sua foce, riversandolo nell’oceano dell’amore infinito.
Come sappiamo, il Cantico dei Cantici è stato già commentato e interpretato misticamente da molti Padri della Chiesa e del monachesimo, da Origene a Gregorio di Nissa, da Bernardo di Chiaravalle a Guglielmo di Saint-Thierry; ma anche nel nostro tempo uomini spirituali hanno dato suggestive e profonde interpretazioni di questo Cantico che Israele introdusse nella Sacra Scrittura, anche se nel suo linguaggio realistico e persino sensuale sembra piuttosto un’appassionata esaltazione dell’amore umano. Qualunque sia la sua origine, poiché una sola è la fonte dell’amore, il Cantico dei Cantici è comunque una rivelazione dell’amore divino. Tutta la tradizione, infatti, è concorde nel vedere rappresentato in esso il dramma dell’amore di Dio per il suo popolo, l’Israele dell’Antica Alleanza e — nell’ambito cristiano l’unione sponsale di Cristo e della Chiesa.
Letto in questa chiave, il suo già audace linguaggio risulta persino ancora inadeguato a esprimere l’intensità e la grandezza della realtà che vi è sottesa.
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