Spighe lasciate al sole
Già dai primi anni ricordo il mio risveglio in una stanza fredda, con la sveglia vibrante in modo enorme per le mie piccole dimensioni e, sulla mensola, una mezza tazza di latte dove papà, prima di andare al lavoro, aveva messo un granellino di sale…”…vedrai Gagì che la sentirai dolce…” ma per me sapeva sempre di sale. Poi scendevo dal lettone dove avevamo dormito tutti insieme, mi vestivo con il cappotto ormai stretto e sdrucito e mi caricavo sulle spalle la pesante cartella di cuoio. Chiudevo la porta dal cui soffitto scorgevo la luce (il tetto era bucato e c’era da augurarsi che non piovesse mai …. altrimenti ci si metteva la bacinella sotto… e si dormiva sentendo il gocciolare implacabile dell’acqua piovana).
Iniziavo il mio cammino scendendo quegli alti quaranta gradini…. (li avevo contati tante volte e per le mie piccole gambe non finivano mai), poi la lunga strada e l’affanno per il percorso interminabile che conduceva alla vecchia scuola allocata in un vecchio palazzo diroccato, dove mi aspettavano altre scale. Ciò che maggiormente mi creava ansia era la presenza di un “gendarme” ….un’anziana bidella che era implacabile con i ritardatari ed io, data la distanza, ero spesso fra quelli. Allora venivo accompagnata dalla direttrice che indossava un grembiule nero e che mi diceva di mostrare le mani… a quel punto un colpo secco non me lo risparmiava nessuno…. Ma poco dopo… almeno, il dolore era passato.
Il ritorno a casa non era allegro, specialmente d’inverno quando non mi aspettava un pasto caldo e una casa tiepida, ma dovevo arrangiarmi ad accendere la stufa a segatura (non senza qualche piccolo incidente), poi riordinavo la casa e preparavo qualcosa per i miei genitori che sarebbero tornati dal lavoro la sera tardi. La parte bella del pomeriggio era quando venivo raggiunta dalle mie amichette dei cortili vicini, meschine come me, alle quali davo ciascuna una bella fetta di pane… Eh sì…anche questa era il frutto sudato del mio babbo che andava la notte nei campi a “spigolare” raccogliendo le spighe rimaste a terra, poi con mamma le battevano sul tavolo della cucina e i chicchi venivano macinati con il macinino a manovella del caffè… mamma con la farina setacciata ne faceva una pagnotta che doveva durare tutta la settimana. In verità questo non avveniva perché io la distribuivo a tante creature, misere come me …. Ma quando mamma se ne accorgeva non mi risparmiava il famoso “tiro della ciabatta” mentre io scappavo a nascondermi.
Era solitudine la mia? No… la mia fantasia inventava, fate, principi e castelli e sapevo volare pensando ai tempi felici in cui avrei visto tante cose e goduto di tanta appagamento.
Questa condizione può viverla un bambino, ma per l’adulto la solitudine è una condizione, un sentimento umano nella quale l’individuo si isola per scelta propria, a volte per vicende personali e accidentali di vita, come è il caso di tante persone colpite da malattie o lutti gravi. Alle volte si viene isolati dagli altri esseri umani dando luogo ad un rapporto non tanto soddisfacente con se stessi.
Saudade (AM.G)
e guardare il mare
con lo sguardo perso in quella pozza di oro colato
guardare il mare
e sentire dentro, prepotente,
la voglia di partire.
Saudade
dolorosa e dolcissima,
tristezza che non fa solo male,
piacere che non fa solo bene
desiderio agrodolce, soave nostalgia
compagna della solitudine,
amica dell’amore
uno squarcio di passione,
una lieve tenerezza,
un momento di affetto
presenza dell’assenza.
Saudade
e sentire il cuore cantare la melodia di un nome
vivere il SOGNO
come una danza lenta alla quale vuoi solo abbandonarti
ad occhi chiusi
ad occhi aperti.
Ma ciascuno di noi viene al mondo per condividere, per spezzare il pane come facevo io da piccola e anche in condizione di solitudine è coinvolto sempre in un intimo dialogo con gli altri. Quindi, più che alla socialità, la solitudine si oppone alla socievolezza. Talvolta è il prodotto della timidezza e/o dell’apatia, talaltra di una scelta consapevole.
Il saggio conclude che l’uomo come essere sociale non può fare a meno degli altri per tempi molto lunghi, ma seguire un cammino di benessere psicofisico tendenzialmente condizionato da comportamenti etici collaborativi.
La mia solitudine attuale è creata dalla condizione dell’abbandono che mi è piovuto addosso a volte o per eventi imprevedibili, a volte per scelte di allontanamento da persone che ho creduto amiche. La mia casa è diventata una sorta di protezione ove posso camminare e parlare con i miei ricordi, ma se qualcuno suonerà il campanello troverà sempre quella fetta di pane fresco che saprò trovare nella madia del mio cuore.
Ed ora una “chicca” troppo ben scritta per non riportarla:
Sulle strade del mio vivere
Non è stato sempre facile
Ma dal dolore s’impara un po’ di più
Quando il tempo no n è docile
Quando tutto sembra immobile
Io non mi fermo, io non mi butto giù
Domani è un altro giorno
E il mondo
Avrà un respiro che si avvolgerà su me
Poi mi chiedo, e credo
Che il cambiamento sia la fonte della mia energia
Il mio contrario mi aiuta a crescere
A capire che si può perdere
Ma l’importante è non darsi vinti mai
E così se cado mi rialzo sempre
E rimango qui
Contro le mie ombre
Poi mi chiedo, e credo
Che il cambiamento sia la fonte della mia energia
Che il cambiamento dia un senso a questa vita mia
…e m’illudo che tutto possa ricominciare…così com’era ….prima….
Buena vida a tutti!!!
2 comments
Join the conversationSimone - 6 giugno 2016
Articolo molto bello
Edda Cattani - 6 gennaio 2017
Grazie!