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Bambini in ospedale

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Novembre: il mese della ricerca!

La tredicesima edizione della Giornata per la Ricerca sul Cancro avrà luogo come tradizione nel mese di novembre.

Avrà il duplice scopo di sensibilizzare il Paese attraverso la diffusione dei risultati ottenuti dalla ricerca oncologica e dei prossimi obiettivi nonché assicurare attraverso la raccolta di donazioni, nuovi fondi ai ricercatori italiani.

Tra gli innumerevoli appuntamenti che si susseguiranno nel corso della Giornata ricordiamo gli Incontri con la ricerca che si terranno, simultaneamente sabato 6 novembre in molte città in tutta Italia, nelle quali il pubblico sarà invitato a porre le proprie domande ai ricercatori.

Come da tradizione, la RAI darà voce alla ricerca con la staffetta televisiva che le tre reti organizzeranno per incentivare le donazioni in diretta.


Per tutti noi, un impegno solidale per tanti piccoli pazienti che hanno bisogno del nostro aiuto.


 

Anche questo settembre la nostra solidarietà con ABIO

 

25 SETTEMBRE 2010
SESTA GIORNATA NAZIONALE perAmore, perABIO
Appuntamento con i 5.000 volontari ABIO
in 100 piazze
per i diritti dei bambini in ospedale

 


ANCHE TU PUOI AIUTARCI A PORTARE IL SORRISO DI UN VOLONTARIO ACCANTO AD OGNI BAMBINO IN OSPEDALE!

Nelle città in cui operano, i volontari ABIO hanno organizzato delle postazioni per raccontare la loro attività al fianco dei bambini, degli adolescenti e dei genitori in ospedale.
Con un contributo minimo di € 7 riceverai un cestino di pere e aiuterai così l’Associazione ABIO della tua città ad organizzare i corsi di formazione, necessari per introdurre nuovi e preparati volontari al servizio in pediatria.

INSIEME PER I DIRITTI DEI BAMBINI IN OSPEDALE
Fin dalla prima edizione, grazie alla Giornata Nazionale ABIO molte persone hanno conosciuto ABIO e il servizio che ogni giorno i volontari prestano in oltre 200 pediatrie in tutta Italia: sostengono e accolgono infatti, in collaborazione con medici ed operatori sanitari, bambini e famiglie che entrano in contatto con la struttura ospedaliera. I volontari ABIO inoltre s’impegnano a sensibilizzare il pubblico sull’importanza dell’umanizzazione dell’ospedale: a partire dall’edizione 2008 è stata promossa la Carta dei Diritti dei Bambini e degli Adolescenti in Ospedale

Il documento, redatto da Fondazione ABIO Italia in collaborazione con la Società Italiana di Pediatria, evidenzia l'importanza di passare dal curare le malattie al prendersi cura dei bambini malati: porre attenzione al bisogno del bambino di essere accolto e curato nel rispetto delle sue esigenze, al diritto di essere ricoverati all’interno di un reparto pediatrico e in un ambiente a misura di bambino, al diritto di ricevere informazioni riguardo la diagnosi e di essere coinvolti nelle decisioni, il diritto al gioco e allo studio.

Dove trovo i volontari ABIO?

 

Esperienza di una terapista:  Sig.Lorenza Ellena

 

 

Torino- Ospedale Maria Vittoria Sede staccata S.Vincenzo 15.6.1981

 

        Dopo due anni di lavoro comincio ad intravedere più chiara la linea da tenere e che si manifesta via via l’unica che può condurre ad una vera e propria ri-abilitazione ed abilitazione dell’uomo dalla sua malattia.

Non ci sono stati casi clamorosi. A volte ho anche pensato che un buon esito ottenuto sia stato grazie alle infinite risorse insite nell’individuo e che, proprio perché ancora spesso sconosciute a noi operatori, possono portare di per sé  dei risultati strabilianti. Essendo tuttavia questa convinzione nata durante un momento ancora chiaro della linea da intraprendere, ho avuto modo di ricredermi.

Sento di dover iniziare questa specie di “ diario di bordo”da questa fondamentale constatazione. Qualsiasi tipo di intervento terapeutico, nel mio caso, la riabilitazione, è guidato, è pilotato addirittura dal nostro stesso comportamento iniziale, dalla nostra presa di coscienza, dalle nostre aspettative e dal “piede giusto” o “sbagliato” con il quale noi partiamo in questa avventura di intervento sull’uomo.

Qualsiasi tipo di patologia ci troviamo di fronte esiste un primo momento, l’impatto, durante il quale noi decidiamo “a priori”, se quella persona uscirà fuori dal suo handicap in un tal modo o nell’altro. Nella misura in cui dentro  noi stessi non abbiamo reciso traumi, sensi di colpa, paure, dettati dal nostro poco coraggio di vivere, non apporteremo certamente miglioramenti ma, rischieremo di far diventare il malato un pellegrino rassegnato a chiudere le imposte della sua vita al nuovo e al bello  che ancora lo possono attendere..

Ciò non dimostra già inizialmente che un fatto di per sé molto semplice: il terreno della riabilitazione è purtroppo l’approdo ad una spiaggia di ricerca, di approfondimento di metodiche, tecniche sofisticate ( pur sempre da conoscere per la propria professionalità scientificamente seria), stipendi da colmare.

In tutto ciò l’uomo come mezzo per raggiungere questi miti è destinato a coincidere con il numero di una cartella clinica ed una patologia con caratteristiche che interessano la nostra sfera riabilitativa e niente più.

Il terapista diventa il trait d’union tra una classe gerarchicamente più in alto nella piramide ospedaliera dei ruoli ed il malato con il suo entourage di parenti quando esistono o sovente il malato da solo con la propria malattia.

In tutta questa dinamica  di ruoli il terapista rischia di diventare il destinatario di un potere incontrollato, dopo i primi entusiasmi si dimentica dell’uomo e dell’uomo malato verso il quale all’inizio delle proprie scelte aveva rivolto il suo interesse.

Perché questa panoramica deludente? Perché se tutto ciò è realtà quotidiana del nostro rapporto di lavoro, è pur vero che esiste una molla dentro noi stessi tale da poter trasformare una realtà di dolore e di rifiuto di esso, in una fase di condivisione totale.

Ogniqualvolta io accolgo un uomo malato pienamente, in tutta la sfera motoria, intellettiva, emotiva, esperienziale, senza fare una scala di valori di esse, già ho compiuto il primo passo del mio iter riabilitativo.

Quindi: accoglienza, che significa prendere l’altro con sé nel suo insieme, senza etichette che lo dividano in compartimenti stagni.

Come una scintilla fa scoppiare un incendio, così succede nel malato.

Il malato accolto dall’operatore terapista scegli di vivere e non abbandonarsi ad un fatale destino. Sulla base del meccanismo del bio feed-back il mio stimolo suscita una risposta: l’accoglienza umana, e poi vedremo non solo umana, porta ad una scelta personalissima di vivere la malattia con occhi e volontà del tutto nuovi da parte del malato.

Quindi accoglienza prima fase  e scelta, secondo momento. Ora il malato dopo questi passaggi preliminari rispettosamente ed opportunamente guidati, si trova quasi senza accorgersene pronto ad iniziare il suo lavoro. Poiché  è lui stesso a lavorare in prima persona e al terapista va il compito di guida  e orientamento come una bussola che serve per tenere giusta la rotta. Egli stesso deve sentirsi la prima persona in causa, il motore cha fa andare avanti la macchina ed il mio comportamento deve rispettare questa ricerca a volte difficile dell’essere del malato altrimenti si cade nella deresponsabilizzazione e nella prevaricazione della volontà.

Ogni difficoltà che nasce diventa sotto la mia guida uno stimolo al superamento di ostacoli e mai deve sfociare nella delusione o peggio ancora frustrazione per non avere raggiunto la meta prefissata.  Ogni progresso, seppur minimo, deve fungere da incentivo e momento gratificante per non fermarsi a ciò che si è raggiunto.

All’inizio affermai l’importanza della globalità dell’individuo. Ne consegue che anche la sfera intellettiva ed emozionale resti coinvolta dalla novità apportata dalla riabilitazione. Quindi attenzione va rivolta ad ogni diminuzione o aumento dell’umore e del livello di autostima. E, se ci si trova di fronte ad una persona che più ne vuol sapere  della nostra volontà di vivere e trasmettere ciò al malato tramite il mezzo della fisioterapia, utile può essere valutare la possibilità di risposta che dev’essere sincera e coraggiosa.

Ma tutto ciò che viene dopo è una conseguenza di quella molla iniziale di cui parlai all’inizio. Qual è questa molla? Un’accoglienza non solo umana del malato bensì, paradossalmente divina, come di un ostensorio consacrato che racchiude un tesoro inestimabile e da pochi, soprattutto dagli operatori sanitari, tenuto in considerazione: il dolore incarnato del Cristo stesso sulla croce. E, una cosa ho sentito forte avvicinandomi fin dal primo  momento al malato: che io, in particolare con il mio lavoro, ero chiamata a fare da Cireneo nel portare quella croce perché come malato avesse la forza di arrivare al culmine della crocifissione e con il mio aiuto fisioterapico partecipasse qui in terra  ad una resurrezione del corpo tramite il miglioramento e le varie funzionalità acquisite.

Far arrivare il malato, con la mia vita, a trasformare la sua messa di dolore quotidiano in sacrificio eucaristico d’Amore offerto a Colui che gli donò la vita in riparazione del male dilagante sulla terra che tutto vorrebbe intaccare.

Invece così malato e terapista si diventa tutt’uno: una cosa sola per fare da barriera e diventare come un argine d’amore purissimo, purificato e purificante.

 

              

GIORNO DOPO GIORNO

Con ABIO sulle reti RAI dal 19 al 25 aprile, accanto ai bambini in ospedale

video clip miracoli click!

    Il mio piccolo Simone prima     e durante la lunga degenza

 

LA MALATTIA DI UN BAMBINO COLPISCE UN'INTERA FAMIGLIA

che in seguito dovrà intraprendere un lungo periodo di disagio

"giù le mani dai bambini colpiti da disabilità"

 

"E' inutile ripetere o soffermarsi su ciò che si prova intimamente è qualcosa che noi abbiamo il privilegio di conoscere ma che non riusciamo ad esprimere e, anche se riuscissimo, gli altri non capirebbero".

Dal primo documento programmatico dell'A.GE.DI. – Autunno 1986

 

 

 

 

Esistono "Angeli" anche in ospedale

La favola del dottor Nanza

"così si vince la paura dell'ospedale"

Grazie alla cooperativa "le Mani parlanti" e al progetto Giocamico, i piccoli pazienti sopportano operazioni ed esami. In alcuni casi le tecniche utilizzate sono così efficaci da evitare il ricorso all'anestesia. E' successo, negli ultimi 3 anni, a 752 piccoli (su 1448) sottoposti a risonanza magnetica senza essere sedati

di STEFANIA PARMEGGIANI  da "Parma Repubblica"

L'astronave è un po' vecchiotta e arrugginita. Che nessuno si stupisca per il rumore da ferro vecchio che fa quando scalda i suoi reattori. Può trasportare i viaggiatori in un mondo lontano, simile al fondo del mare e abitato da strane creature. L'esperienza è tale da meritare una foto. Che sarà nitida e chiara, perfettamente a fuoco. Il viaggiatore deve restare immobile come ordina il dottor Nanza, la mente del grande viaggio, impassibile dietro il suo quadro di comando, nervi tesi per scattare i clic migliori. L'avventura è cominciata tre anni fa all'Ospedale Maggiore di Parma e ha imbarcato 752 bambini che, grazie all'aiuto di psicologi e volontari, hanno eseguito uno degli esami diagnostici più paurosi  –  la risonanza magnetica  –  senza essere sedati. Statistiche alla mano, il 50% dei piccoli pazienti è riuscito ad evitare l'anestesia totale. Il dato è di quelli che fa scuola e così l'esperienza parmigiana, al centro di un convegno sull'imaging in neuropediatria, è stata già replicata in altre strutture ospedaliere italiane tra cui il San Raffaele di Milano.

FOTO Il viaggio dei piccoli pazienti

 

Sabato, nella sala congressi del Maggiore, prenderanno la parola i medici dell'Azienda ospedaliera-universitaria e dell'Usl, gli psicologi, gli psicoterapeuti e gli educatori della cooperativa "le Mani parlanti", che da tredici anni frequentano le corsie con il progetto Giocamico. Il loro scopo non è curare, ma aiutare i bambini a ridurre "lo stress da ospedale", a controllare il dolore durante i prelievi più complessi, l'ansia per gli interventi chirurgici o per gli esami diagnostici. "Utilizziamo  –  spiega il presidente della cooperativa Corrado Vecchi  –  tecniche ludiche, espressive e relazionali. Ci sono sette psicologi ed educatori che distraggono i bambini in attesa di interventi chirurgici o esami invasivi. E ci sono i volontari, circa 200, che sette giorni a settimana, sia di mattina che di pomeriggio, frequentano tutti i reparti in cui ci sono pazienti in età pediatrica. Giocano con loro per sfumare la distanza con la quotidianità di fuori".
 

Edda CattaniBambini in ospedale
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